Libero arbitrio ai pensieri
intervista Caposcuola.
Eccole, ben visibili agli occhi di Lucas, le riflessioni insite nelle convinzioni della ragazza, un ragionamento di pura e semplice trasparenza emotiva.
Era incredibile quanto quel concetto di bene assoluto fosse agli antipodi dei suoi insegnamenti ricevuti da bambino: la diffidenza, l’accortezza delle parole, dei gesti, la purezza del sangue, tutti elementi in grado di rimescolarsi furiosamente nei suoi ricordi adolescenziali, forgiandosi in una nuova forma.
Comprendeva, ora, quanto avesse influito l’educazione severa che suo padre aveva adoperato in maniera intransigente nei suoi riguardi, costringendolo a vivere all’interno di una gabbia oscura, fatta di ipocrisia e negative consapevolezze. Una fortezza impenetrabile, fatta di sbarre spesse e aggrovigliate con dolcezza ad ogni angolo, ad ogni spigolo, la chiara intenzione di rendergli la fuga impossibile.
Da piccolo, gli era stato donato l'ossigeno dal respiro dell'odio, e gli era stato detto che era aria normale. Era stato picchiato, frustrato, minacciato, insultato. I suoi capelli erano stati strappati e le sue guance schiaffeggiate. La sua schiena, sì, la schiena era però la vittima preferita.
In quell’involucro oscuro la mente di Lucas riusciva ancora a sentire il dolore di ogni frustrata, l'odore del sangue misto a quello dell'umidità della vecchia cantina, le sue orecchie udivano ancora lo zampettare dei topi attratti dall'odore delle sue ferite.
Un lampo di fuoco balenò nell'azzurro sguardo mentre esso indugiava sul volto della Caposcuola, una leggera invidia provata nei confronti di un’infanzia normale alla quale lui era stato sottratto. Fu un secondo però, un secondo in cui lui odiò la ragazza che aveva di fronte, una forma di ribellione nata a causa di quelle parole così contrastanti, costringendo la sua normale logica a porsi domande su sé stesso.
La verità era lampante, le convinzioni della ragazza erano cieche e sbagliate, non certo le sue. Esternazioni che decise di accantonare, almeno per il momento, costringendo la gabbia oscura a svanire dalla sua vista.
Deglutì, accogliendo con un lieve sorriso il punto fermo posto da Thalia circa quell’argomento così spigoloso, gli occhi malinconici che continuavano a seguire il profilo delicato della giovane, cercando di carpire quante più informazioni possibili nelle sue risposte lungimiranti. La domanda relativa alla Casata di appartenenza, riuscì a rabbuiare per un istante quel viso così grazioso.
Per quanto si sforzasse di trattenerlo, era troppo palese il suo malessere emotivo.
Spiegazioni che non tardarono ad arrivare.
-Concordo, Tassorosso, Corvonero.. Sono solo nomi, non contano niente.-un sorriso gli increspò le labbra, ma la testa aveva cominciato a dolere, incapace di sopportare tutte quelle incongruenze che si affollavano nella sua testa, lanciandogli continue stilettate di dolore che soltanto grazie al suo autocontrollo riusciva a tenere a bada.
La destinazione della Casata, le classificazioni di sangue, le origini del cognome, erano tutti fattori fondamentali per lui. Loro erano Maghi e in quanto tali erano degni di apprendere le Arti che per secoli i loro antenati avevano tramandato.
Gli altri? Impuri, immeritevoli. Come potevano ambire alla Magia coloro i cui antenati, anni e anni prima, l'avevano ripudiata additandola come Oscurità, addirittura rinnegando la sua esistenza?
-Il modo secondo il quale decidiamo di studiare la magia, apprenderla ed utilizzarla a favore di un bene superiore, determina il tipo di persona che in realtà siamo!-deglutì, cercando di mantenere lo sguardo fisso in direzione della ragazza.
Tassorosso, dopo tutto nascondeva ottimi studenti, svegli e incredibilmente sagaci: l'attuale conoscenza di Thalia Moran stava smussando alcuni suoi preconcetti iniziali, forse.
-In lei percepisco una mente brillante signorina Moran, sono sicuro che sarebbe riuscita a raggiungere i suoi traguardi a prescindere dal contesto differente di Casata!-disse con voce serena, come a darle coraggio. Scacciò alcuni pensieri e proseguì.
-L’intelligenza è un dono. Un dono dettato dalla magia. Utilizzarlo per uno scopo nobile come il suo è ammirevole.-disse concentrandosi su quella figura che aveva di fronte.
Sentiva e conosceva le persone prima dall'odore, che dalle parole. Passò lo sguardo da quegli occhi chiari alle labbra strette, per poi risalire con lentezza agli occhi. Non percepiva più il timore di risultare indisponente o troppo avventato con quegli sguardi. Ma per quanto la studiasse, i suoi occhi erano sempre gli stessi. Chiari, certo, ma più simili a due profondi pozzi neri in cui uno sprovveduto sarebbe potuto cadere, di lì ad un attimo ponendo la domanda sbagliata.
-Voglio essere sincero con lei, perché scegliere una strada così complicata per il suo avvenire lavorativo? Il sistema giudiziario del nostro mondo magico va avanti da moltissimi secoli e nessuno è mai riuscito a cambiare le cose..-socchiuse gli occhi mentre rifletteva rapidamente sulla domanda da porre alla Caposcuola. Il sorriso, lento, si spense dalle labbra lasciando solo una vaga espressione persa.
-Vuole dimostrare qualcosa a qualcuno? O si tratta di una semplice scommessa che intende vincere con con sé stessa?-chiese incuriosito.