Rivelazioni

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view post Posted on 31/8/2020, 12:03
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Role per il contest a tema, agosto 2020.



⸙ Io non sono più io ⸙⁎ Casa, Stratford-upon-Avon ⁎ Paura - Presa di coscienzaManca solo un giorno alla fine delle vacanze pasquali, e Jean lo sta trascorrendo con sua madre. La mamma le ha fatto trovare un pranzo regale, per festeggiare una Pasqua che è saltata per via di qualche impegno extrascolastico non programmato. Jean le sorride, come le sta sorridendo ormai da cinque giorni. Non smette di sorridere, mai, nemmeno mentre mangia. Sua mamma non può, non deve cogliere nessuna preoccupazione in lei, neanche un accenno. Jean se l'è imposto, e non ha intenzione di transigere. Si è assunta una responsabilità, probabilmente, più grande di lei, che non le è stata imposta da nessuno ma che ha scelto liberamente: proteggere la mamma a qualsiasi costo, da qualunque cosa. A livello fisico non ce n'è bisogno, o almeno non ancora, e in ogni caso sa di non esserne attualmente in grado - per quello serviranno tanti anni di studio -, ma emotivamente può già fare il suo lavoro. Farebbe di tutto pur di non far preoccupare la sua mamma.
« Tesoro, mi sei mancata. »
« Anche tu, mamma. »
« Dalle tue lettere sembra che stia andando tutto a gonfie vele. Aspettavo di vederti per averne la conferma, e il tuo sorriso mi dice che è così. »
« Sì, mami, è così. Le lezioni vanno alla grande, ho vissuto delle avventure emozionanti e, non ci crederai, ma mi sono fatta pure degli amici! »
La mamma dice che si vede che sta bene. Ma non è così. Dentro di sé Jean è come sdoppiata, non capisce più quale parte di sé stia prevalendo. Aveva delle certezze, poche ma stabili, e ora stanno cedendo una dopo l'altra. Fino a qualche anno fa, Jean era una bimba priva di preoccupazioni, coccolata e felice, che viveva giorno per giorno come tutti i bambini. Poi è dovuta crescere troppo in fretta, e si è trasformata nella Jean che ha fatto il suo ingresso a scuola. Una Jean consapevole, forte, che ha accettato la vita per come le si è abbattuta addosso, con il solo obiettivo di studiare e diventare una maga in carriera in grado di provvedere a sé e alla madre; una Jean che ha imparato a sorridere nonostante la tristezza interiore, a trasformare il dolore in forza e a vivere senza rancori. Questa è la Jean che la mamma conosce, che la fa stare serena sapendo che, nonostante la giovane età e il trauma subito, la figlia riesce a vivere nella luce. Questa è la Jean che, pian piano, sta sparendo.
L'anno scolastico trascorso, quasi giunto al termine, ha fatto emergere emozioni, desideri, idee che Jean non pensava potessero essere latenti dentro di lei. Aver affrontato le proprie paure, aver combattuto per la prima volta, aver tirato fuori la rabbia repressa: tutto ciò ha portato alla luce un lato oscuro, colmo di desiderio di vendetta e di sangue. Jean è terrorizzata. Come si può, a soli dodici anni - passati, tra l'altro, a sorridere e accettare di vivere in serenità la vita per quello che è -, decidere consapevolmente di far spazio alla propria oscurità? E se non riuscisse a tenerla a bada e dovesse prendere il sopravvento? Jean ha un obiettivo, ma si sta allontanando dalla strada e si sta perdendo. È arrabbiata, con sé stessa e con il mondo che le ha portato via il padre e ha lasciato sola sua madre. È arrabbiata per la prima volta, perché fino ad ora aveva solamente accettato l'accaduto in modo molto maturo. Ma forse stava solo nascondendo la testa sotto la sabbia. Ora l'ira cresce sempre più. Perché doveva sopportare tutta questa pressione? Per quale dannato motivo aveva dovuto subire questa merda? Perché la vita era stata così schifosa con la sua famiglia? No, ora basta. Basta dover reggere tutto questo, basta reprimere le emozioni, basta mascherare la tristezza, la rabbia e l'odio con un sorriso. La Jean che tornerà a Hogwarts l'indomani sarà una Jean nuova, pronta a esplorare il suo nuovo io.
Ma non oggi. Oggi il pranzo di Pasqua la aspetta, oggi si continua a sorridere. Oggi è ancora la piccola di mamma, e lo sarà sempre finché non si sentirà pronta a rivelarle la verità.

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Le vacanze pasquali sono finite. Jean è alla stazione con sua madre, si tengono per mano come hanno sempre fatto. Si devono salutare di nuovo, per la terza volta quest'anno. Alla mamma scende una lacrima di commozione, come ogni volta.
« Dai mami, non c'è bisogno, ci vediamo tra pochi mesi. Starò bene. » No, non è vero.
« Lo sto cucciola, lo so. » Mi dispiace ingannarti, mamma.
« Ti voglio bene. » Jean la abbraccia con forza, come se volesse trasmetterle più di un semplice saluto. La mamma sembra non capire, ma ricambia. Lei non sa che sua figlia, la figlia che lei conosce, le sta dicendo addio. Al suo posto, la prossima volta, ci sarà una Jean diversa, in balia degli eventi e della propria rabbia. Nemmeno lei sa come sarà, ma è pronta a vedere la vita con occhi diversi, in maniera spontanea e priva di barriere. Diventerà quello che il suo cuore la porterà a essere. Chissà se sua madre, prima o poi, lo capirà da sola. Chissà se in futuro Jean sarà ancora in grado di proteggerla.

Perdonami, mamma.


 
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view post Posted on 26/12/2020, 22:53
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Contest a Tema Dicembre 2020: Oblivion
9bzT0jZ JEAN GREY Dormitorio, letto 14 anni Pensierosa, determinata EHtUxuhNevicava. Nonostante si fosse ormai abituata a vedere e toccare con mano l'ammasso bianco di freddi fiocchi, Jean si stupiva sempre un po' quando vedeva la neve. A Stratford-upon-Avon ogni tanto cadeva qualche fiocco, ma niente a che vedere con Hogwarts. Era sempre uno spettacolo. Quella sera di dicembre, però, nemmeno la neve riusciva a sollevarle l'umore. Seduta sul suo baldacchino, di fronte al comodino e di fianco alla finestra, spostava lo sguardo costantemente dal paesaggio fuori alla foto. Sempre la stessa foto, che osservava ogni notte prima di dormire. Quel gelato mezzo sciolto al limone e cioccolato, che aveva fissato nel cervello come ricordo indelebile dell'amore di suo padre. Non voleva dire "amore perduto" perché, nonostante il padre non ci fosse più, il suo amore era sempre vivo, forte, incastonato dentro di lei. Non si sentiva mai priva del suo amore, mai, nemmeno un istante. E questo amore perpetuo e infinito la spingeva, ogni giorno di più, a voler sapere. Sapere di più, capire cosa fosse successo quel giorno di cinque anni prima, sempre che fosse realmente accaduto qualcosa. Fino a non molto tempo prima, non c'era nulla di più della mera notizia della morte del padre, accolta dalla madre con un pianto straziante, raccontata alla figlia con dolcezza, senza troppi approfondimenti. Incidente sul lavoro, niente più, niente meno. Il Ministero si era presentato a casa, poco dopo la telefonata, per fare le condoglianze e spiegare cosa fosse successo. Peccato che non lo sapessero nemmeno loro. Era morto in servizio. Jean neppure sapeva cosa facesse esattamente il padre al Ministero. Sapeva solo che viaggiava spesso, e di questo ne soffriva tanto: ogni volta che la salutava prima di partire, una parte di lei se ne andava insieme a lui, per ritornare con le sue valige e la polvere del camino al suo rientro. E quella foto, quel gelato al limone e cioccolato le ricordava ogni santo giorno di quelle strane, pesanti parole che il padre le aveva detto quell'ultima giornata passata insieme, sulla riva del fiume, mentre decidevano di andare a mangiare il loro gelato preferito. Perché aveva detto che gli sarebbero mancate quelle giornate? Come mai aveva titubato così tanto quando lei aveva risposto che avrebbero passato altro tempo insieme quando fosse tornato? A suo tempo non ci aveva dato peso, come avrebbe potuto? Aveva nove anni, e non pensava ad altro che a godersi quelle poche ore insieme lui. Ma quando le era capitato di riassaggiare quel gelato in Sala Grande, le era tornato in mente quel ricordo e, insieme a esso, quelle parole. Parole cariche di dubbi, di sospetti, di arrovellamenti forse inutili, ma impossibili da ignorare. Da quel giorno non era più riuscita a dimenticare, a non pensare che potesse esserci qualcosa di strano. Che il padre sapesse di star andando incontro alla morte? Che il Ministero avesse taciuto qualche informazione? Che non fosse stato solo un incidente? O forse erano tutte scemenze. Forse il ricordo era sfalsato, magari Jean aveva solamente riversato in alcune parole la frustrazione di una morte così casuale, così inspiegabile. Forse aveva solo bisogno di dare la colpa a qualcuno.
Di tutto questo, alla madre non ne aveva parlato. Il motivo era sempre lo stesso: proteggerla, evitarle qualsiasi tipo di dolore. Anche solo parlare della morte del padre avrebbe riaperto una ferita che, secondo Jean, non si era mai rimarginata. Se le avesse detto che sospettava che potesse addirittura essere stato ucciso, sarebbe stato come darle una stilettata sul cuore. Aveva provato, però, a indagare tenendo un profilo basso. Durante l'ultima estate, aveva fatto qualche domanda, l'una a distanza di settimane dall'altra, per non destare sospetti. La prima volta le aveva chiesto se, prima di partire, il padre le avesse detto qualcosa di particolare. Aveva cercato di far passare la domanda come una curiosità nostalgica, dicendo lei a sua volta le ultime cose che il padre le aveva detto (tralasciando le frasi incriminate). La mamma aveva sorriso dolcemente, ma aveva titubato un po', e questo a Jean non era sfuggito. Aveva aggiunto, poi, che non ricordava ci fosse niente di speciale nelle sue ultime parole o azioni, a parte forse un bacio più passionale del solito, ma sosteneva che fosse semplicemente un modo romantico di ricordare l'ultimo bacio che aveva dato al marito. Temendo di causarle troppo dolore, aveva tagliato il discorso. Settimane dopo, se l'era tentata con un'altra domanda: se sapesse cosa avrebbe dovuto fare il padre in quell'ultimo viaggio. La mamma le era parsa vagamente infastidita dalla domanda, ma doveva aver pensato che Jean fosse in una fase di ricerca di risposte tipica degli adolescenti, e aveva avuto pazienza. Non sapeva cosa dovesse fare: era un viaggio di lavoro come un altro, noioso per quanto ne sapesse lei, e non aveva indagato ulteriormente. Anche quella volta, non aveva proseguito con l'argomento. Molto tempo dopo, a ridosso del ritorno a Hogwarts, aveva azzardato il colpo grosso.
«Mamma, scusami se ci ritorno sopra... Quando quelli del Ministero sono venuti qui, hanno detto qualcosa di strano? Non so, qualcosa di poco chiaro...» Il pugno sul tavolo avrebbe dovuto bastarle come risposta.
«Ma si può sapere perché mi fai queste domande? Cosa vuoi che ti risponda? No, niente di strano! A cosa vuoi arrivare?»
Evidentemente, centellinare le domande nel corso dell'estate non era servito. Jean aveva liquidato la conversazione in fretta, scusandosi, trattenendo le lacrime, spiegando che aveva solo bisogno di qualche informazione in più per darsi un po' di pace. In parte era vero, ma la verità era molto più grande. La mamma si era calmata, ma Jean non aveva più sollevato la questione. Era un po' arrabbiata con sua madre: non capiva come potesse non essersi fatta domande, come potesse non volerne sapere di più. Capiva che non volesse soffrire, ma non sarebbe stato meglio sapere la verità? In ogni caso, non l'avrebbe coinvolta ulteriormente in quella storia, almeno finché non ne avesse saputo di più: con un po' di fortuna, non ci sarebbe stato nulla da scoprire, e quindi nulla da dirle.
Posò la cornice, che aveva preso tra le mani senza accorgersene, nuovamente sul comodino, e tornò a guardare fuori dalla finestra. Sapeva che era arrivato il momento di prendere una decisione. Doveva scegliere: dimenticare quelle parole, abbandonare quella storia e andare avanti, o continuare a ricordare, indagare e approfondire. La sua vita sarebbe cambiata drasticamente in base a quella scelta. Entrambe le opzioni avevano lati positivi e negativi. Avrebbe potuto dar peso ai suoi dubbi, ai suoi sospetti, iniziare a indagare: da dove, non lo sapeva; cosa avrebbe scoperto, neppure. Avrebbe potuto soffrire tanto, magari scoprire qualcosa di brutto, di molto brutto, e a quel punto non sapeva cosa sarebbe potuto succedere. Era consapevole, ormai, di avere un lato oscuro latente, innescato, pronto a esplodere: scoprire che dietro la morte del padre ci fosse la mano di qualcuno sarebbe stata sicuramente la scintilla che avrebbe causato l'esplosione. Ma magari avrebbe potuto scoprire che si era trattato realmente di un incidente, e avrebbe messo la parola fine a ogni dubbio. Poteva forse nascere qualcosa di buono da tutto questo?
Oppure, avrebbe potuto decidere di dimenticare tutto, far finta di non aver mai sentito nulla di sospetto, scegliere di credere di aver alterato i propri ricordi e mettere tutto in un cassetto chiuso a chiave. In questo modo, avrebbe accettato la storia dell'indicente, senza pensarci più. Avrebbe sofferto di meno, forse avrebbe evitato di affrontare la propria oscurità. Avrebbe avuto la mente più libera, sì, libera di dedicarsi a cose belle, come i suoi neonati sentimenti per Genny: la sua amica, che forse iniziava a essere qualcosa di più; la sua àncora, la sua spalla, quella con cui aveva condiviso ogni difficoltà e gioia a Hogwarts da ormai tre anni. Sarebbe stata una bella parentesi. Ma Jean conosceva la verità: non poteva nascondere la testa sotto la sabbia. Non avrebbe avuto pace se non avesse provato a scoprire qualcosa. Nemmeno se Genny avesse ricambiato i suoi sentimenti avrebbe potuto stare realmente bene. No, Jean non avrebbe mai dimenticato: lo doveva a sé stessa, a sua madre, a Genny, e soprattutto lo doveva a suo padre. Lui le donava ogni giorno il suo amore, e lei poteva ricambiare solamente in un modo: scoprendo la verità.
Osservando i fiocchi di neve che si scioglievano sul vetro, Jean capì di aver preso ormai la sua decisione.
Aveva scelto di ricordare.



Edited by Jean Grey. - 26/12/2020, 23:13
 
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view post Posted on 17/5/2021, 14:20
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Concorso a Tema: Maggio 2021: Perdono
Lettera a me stessa JEAN GREY Ovunque e da nessuna parte 15 anni r9VFN6dMia cara Jean,

ti scrivo questa lettera nella speranza che possa servirti, un giorno, per salvarti da te stessa.

Ci saranno dei momenti, nella vita, in cui ti potrai trovare a un passo dal baratro, dallo smarrimento. Momenti in cui rischierai di dimenticare chi sei davvero, di dare spazio alla parte peggiore di te, lasciare che prenda il controllo della tua mente, del tuo corpo. Momenti in cui smetterai di rischiare perché ti sarai arresa e ci sarai fnita, dentro il baratro.
Cederai.
Cadrai.
All'inizio ti piacerà, ti sentirai potente, forte di una sensazione di libertà che ti farà credere di avere il mondo ai tuoi piedi. Urlerai, ti scatenerai, griderai al mondo la tua rabbia, che brucia forte dentro di te da anni, da prima ancora che potessi accorgerti di lei e comprenderne il significato, le implicazioni. Pensavi che tenerla nascosta, al sicuro, fosse la cosa giusta da fare, che in questo modo avresti sofferto solo tu e protetto gli altri.
Sbagliavi.
L'ira avrà preso possesso di ogni tua vena, ogni muscolo, ogni fibra del tuo corpo ed esploderà, com'è normale che sia, ma tu non potrai saperlo. Soffrirai tu, soffriranno i tuoi amici, la tua famiglia. Tuo malgrado, avrai imparato a lasciar fluire i sentimenti, le emozioni, a dar loro spazio, a qualunque costo. Scoprirai di essere pronta a pagarne il prezzo, perché è sempre la cosa giusta da fare, anche se può non sembrare sia a te che agli altri.
Ma tu ormai lo saprai, che se non condividi rischi il collasso.

E allora ti chiederai perché stai così male. Perché ti sentirai avvolta da un oscuro manto di disgusto. Lo so, quello che penserai. Ti sentirai brutta, cattiva, crudele. Penserai di meritare di stare da sola, che i tuoi cari stiano meglio senza di te. Crederai di dover andare da sola per la tua strada, di non aver bisogno di aiuto, di non meritarlo. Avrai mentito a tua madre, allontanato il tuo amore, escluso i tuoi affetti pur di inseguire la verità. A quale prezzo? Ne sarà valsa la pena?
La verità è sopravvalutata. Sarà un demone che busserà al tuo cervello, ti prometterà di regalarti la pace, e invece si insedierà dentro di te e non avrà intenzione di uscire. Ti guiderà nelle direzioni sbagliate, dandoti false speranze, facendoti credere che è questo ciò di cui hai bisogno, che la verità cancellerà per sempre tutte le brutte sensazioni, le nausee, le ansie, il dolore che hai accumulato.
Gli crederai.
Sbaglierai.
Ti sentirai sola, e lo sarai, fin quando non capirai e accetterai che non è colpa tua. Non è colpa tua il tuo dolore. Non è colpa tua se tuo padre è morto. Non è colpa tua se tua madre non voleva scoprire di più, ma tu sì. Non è stata una scelta sbagliata agire da sola, perché l'hai fatto per proteggere le persone che ami. Non c'è niente di più giusto di questo. Ma non te ne renderai conto finché non avrai imparato a perdonarti.
Dovrai perdonarti.
Dovrai guardarti allo specchio e riuscire a vedere, oltre quel velo di disprezzo e tristezza, la vecchia Jean, la vera Jean, che è sempre viva dentro di te. Dovrai guardarti negli occhi e dirti «Io ti perdono». Sarà l'unica cosa di cui avrai bisogno. Solo che nessuno te lo dirà, e tu dovrai scoprirlo da sola. Odiarti non servirà a niente, non farà altro che far crescere ancora e ancora la bolla di oscurità che si sarà impadronita di te. Disprezzarti farà solo stare peggio te e chi ti vorrebbe stare attorno. Pensa a Genny. Pensa ai tuoi compagni. Pensa a tua madre, al ricordo di tuo padre. Concentrati su questo. Perdònati, così che loro possano perdonare te.
Non è colpa tua.
L'hai fatto per loro.

Avrei voluto che qualcuno ti avesse detto prima tutto ciò. Avrei voluto che potessi avere questa lettera anni fa, ma purtroppo queste cose le ho imparate in ritardo, insieme a te. Sono la Jean che ha imparato a perdonarsi e ad amarsi. La Jean che ha sofferto più di quanto avrebbe dovuto perché queste cose non le sapeva.
Ora le so.
Ora le sai.

Mia cara Jean, ti scrivo questa lettera per ringraziarti di essere stata forte, di aver capito quanto vali, quanto sei bella nella tua complessità. Ti ringrazio per aver creduto di meritare l'amore, sia il tuo che quello dei tuoi cari.

Grazie per esserti perdonata.

Se ti troverai di nuovo in questa situazione, per favore, rileggi queste parole. Sono le tue parole. È la tua vita che parla per te.
Abbi fiducia in te stessa.

Con tutto il mio amore,
Jean

 
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view post Posted on 29/1/2023, 17:01
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Sotto il tappeto
Concorso a Tema: Gennaio 2023 - Polvere

Vacanze di Natale.

Non ricordo di aver mai passato le vacanze invernali a pulire. Qualche volta, forse, ho aiutato mamma a curare il giardino spalando la neve o apparecchiando e sbarazzando la tavola. Ma la camera, di solito, me la fa sempre trovare già messa a nuovo. Non glielo chiedo io, non lo farei mai. Ma a lei è sempre piaciuto farlo. Ho immaginato spesso che fosse il suo modo di farmi sapere che mi pensa anche quando non ci sono. Passo così tanto tempo a scuola e così poco qui a casa, com’è normale che sia. Forse l’assenza è diventata troppo pesante. Forse si sta dimenticando di me. Perché quando sono arrivata, qualche giorno fa, la stanza era peggio di come l’avevo lasciata quest’estate.
Disordinata.
Chiusa.
Polverosa.
Serrande abbassate. Sembrava che non ci fosse entrato nessuno per settimane, forse mesi. Pure il resto della casa è meno tirato a lucido del solito. Non ho avuto il coraggio di chiederle il motivo. Parliamo poco, ormai. Anzi, ci sono giornate in cui stiamo a parlare tutto il giorno, ma di cose superflue. Del nulla. Sciocchezze. Pettegolezzi. Racconti sui nuovi flirt della vicina di casa, sui disastri che combinano i figli delle sue amiche, sulle novità del mondo magico e babbano. Ogni tanto mi chiede come stanno i miei amici. Io lo so che lei non ha nemmeno idea di chi siano i miei amici, è ancora convinta che inviterò Genny per Natale. Non capisco nemmeno perché questa cosa mi faccia incazzare. Non dovrebbe, è colpa mia: io non le racconto niente, io tengo segrete le mie relazioni, le mie fughe notturne per raggiungere Connor e sbronzarmi col gruppo, i miei trascorsi sentimentali e più o meno qualunque cosa succeda nella mia vita. Non riesco più. Lei fa solo la mamma, prova a chiedermi qualcosa perché probabilmente si rende conto anche lei del muro che si sta innalzando tra noi. La verità è che non inizio nemmeno un argomento con lei, aspetto sempre che sia lei a parlare di qualcosa. E so bene perché lo faccio. Ho paura. Ho sempre, costantemente paura di lasciarmi andare all’unico argomento di cui vorrei davvero discutere.

Che cazzo sai di papà, mammina? Hai scoperto qualcosa? Quale razza di persone ti sei messa a cercare per scoprire cosa gli è successo? In quali situazioni di merda ti stai cacciando? Non ti è mai, nemmeno una volta, venuto in mente di dirmi qualcosa, qualunque cosa a riguardo? Hai mai pensato che non sono rincoglionita e mi sono sempre accorta di ogni volta che hai volutamente cambiato argomento e che ho sempre sospettato, se non saputo, che mi nascondevi più di una cosa? Dimmi quello che sai. Parlami. Non trattarmi come una bambina indifesa da proteggere. Qualunque cosa stia succedendo, so come affrontarla. Tu forse non lo credi, perché forse tu alla mia età eri debole, e magari lo sei ancora. Ma io non sono te.

Io non sono te.
Mi sono ficcata in testa questa frase tempo addietro, quando quell’orribile Isaiah continuava a guardarmi e parlarmi come se mi conoscesse, come se il solo fatto di conoscere Cara lo autorizzasse a pensare di sapere esattamente chi fosse sua figlia. Mi sono sentita venduta, come se il mio corpo e la mia mente fossero state lasciate a uso e consumo di quell’estraneo. E mi sono arrabbiata con mia madre per un motivo che non ho ben identificato. Forse perché mi ha fatto rabbrividire sapere che si fosse relazionata a quella specie di barbone ubriaco. Forse perché avere la conferma dei miei dubbi, ovvero che stesse indagando anche lei sulla morte di papà, mi ha fatto stare peggio di quanto pensassi. O forse mi ha solo dato fastidio che quell’uomo, per colpa di Cara, si arrogasse il diritto di trattarmi e parlarmi come se fossi un surrogato della donna che un tempo aveva amato e che probabilmente l’aveva rifiutato, su cui sfogare la sua insoluta frustrazione.
So di essere ingiusta nei suoi confronti. Sono certa che l’obiettivo di mamma sia solo quello di proteggermi. Ma, mi dispiace davvero tanto dirlo, sta clamorosamente fallendo. Potrà anche proteggermi dalle persone con cui è in contatto, dai venduti del Ministero che sicuramente saranno dietro tutta la faccenda, e da chissà quale altro schifo. Ma non può proteggermi dall’odio e dalla rabbia che lentamente, giorno dopo giorno, si stanno facendo largo nelle mie vene. Ogni conversazione su un qualunque argomento diverso da quello è un mattone in più nel muro sempre più alto che si è creato tra me e lei.
Ne vale la pena, mamma?
Rido. Sì, rido, perché sono solo una pagliaccia. Dovrei chiederlo a me stessa. Ne vale la pena, Jean? Lasciare che il rancore corroda te e i tuoi affetti più cari solo per la paura? Paura di parlare, di essere rigettata, di rovinare ulteriormente quel rapporto sempre più labile. Paura di doverle continuare a mentire pur di farla stare buona. Paura di confessarle che le hai già mentito, a lungo. Terrore di sapere che Cara si è già cacciata in guai da cui non può uscire. Di sentirti impotente di fronte alla verità. Vale la pena di continuare a nascondere questo enorme peso sotto un tappeto come hai appena fatto con la polvere sul pavimento della tua stanza?
Riesco a vedere la gobbetta che emerge dal tessuto. Mi vergogno un po’ a dirlo, ma sono una frana con le pulizie. Ho sempre accettato il gesto di mia mamma come una coccola, ma credo di essermi lasciata troppo andare. Migliorerò, pian piano. Quel cumulo di polvere ora e lì, nascosto ma così visibile. Pare fatto apposta. Voglio tenerlo lì, come monito. Osservo quella gobba nel tappeto, sapendo cosa nasconde, e penso all’errore madornale che sto commettendo ogni singolo giorno. Credo di non essere lucida. Sarà la sbronza di ieri, le quattro ore di sonno. Forse sono i mille pensieri. A tratti mi torna in mente Alice, la bella, bellissima Alice. Ripenso al suo sguardo malandrino, al suo corpo tonico, alle sue labbra così morbide ed eccitanti. A come mi sono sentita quella sera nello spogliatoio, durante ma soprattutto dopo. Al vuoto che mi ha assalito e che ancora mi toglie l’appetito. Credo di essere dimagrita, quest’ultimo mese. Mangio poco, bevo ogni volta che posso. Annebbiarmi il cervello mi aiuta a spegnerlo. Ho bisogno di spegnerlo. La consapevolezza della profonda mancanza che sento mi rende debole, stanca, mi impedisce di pensare lucidamente. Sono sempre stata convinta di stare bene da sola, di voler solo il sesso fine a se stesso. E mi piace, lo cerco, questo rimane vero. Ma allora perché, per quale motivo mi sono sentita così? Mi sento così. Ho bisogno di svuotarmi per colmare il vuoto. Un controsenso, forse. Liberarmi dei tormenti che mi tengono sveglia e mi affamano è l’unica cosa che può salvarmi.
Oppure posso scappare.
Andare via da qui, trovarmi una casa in cui vivere per conto mio, dove spazzare la mia polvere da sola. Quella nel pavimento, quella che ho dentro, quella che creo. Senza aspettare che qualcuno lo faccia per me. Senza rimanere delusa dall’assenza di attenzioni. Senza svegliarmi ogni giorno con l’ansia di dover vivere altre diciotto ore di angoscia, costrizione, terrificanti convenevoli con una donna in cui a dispetto delle apparenze mi rispecchio sempre meno. Una casa in cui lasciarmi andare, dove abbandonarmi ai miei desideri e impulsi, dove vomitare le mie ansie, i miei rancori, le mie paure insieme al gin. Una casa in cui avrei la libertà di sentirmi in colpa senza il timore di ferire la persona a cui devo la mia intera vita. Una donna che amo ma che non vedo più, che non mi riconosce più.
Ma forse sto pensando solo un mucchio di stronzate. Sto esagerando ogni cosa, come sempre. Magari mamma combatte con gli stessi demoni con cui lotto io, ma con la responsabilità di proteggere una vita umana da lei stessa generata. Sono egoista? Forse. Ma sono sovraccarica. Non ce la faccio più. Ho il terrore di uscire da questa stanza, di vivere un’altra giornata di menzogne, di non riuscire più a trattenere la mia frustrazione e vomitargliela in faccia. Passerò il resto della mattinata in camera a pulire, o a fingere di farlo, poi mi inventerò qualche compito a casa, e stasera esco appena posso. Andrò da Connor, per la terza volta questa settimana. Con lui posso rilassarmi, bere, divertirmi, non pensare. Metterò in pausa il cervello fino a domattina, un giorno in meno alla fine di questo strazio di vacanze. Poi, finalmente, tornerò a Hogwarts, lasciandomi alle spalle ancora una volta questa casa, questa stanza, la frustrazione nascosta sotto il tappeto. Chissà se la noterai, mamma. Se entrerai qui dentro e tornerai a farmi le coccole, come un tempo. O se per allora avrò già deciso di andarmene, e in questa stanza, sopra questo tappeto, non metterai più piede.
Chissà come finirà tra di noi.


 
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