Evigheden, Privata

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view post Posted on 8/11/2020, 12:35
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M
atita, piuma d'aquila, calamaio, blocchetto di pergamene stracce. Li gettò tutti nella borsa senza gran riguardo. Caddero sul fondo di cuoio ribaltandosi e spiegazzandosi e lei non si curò di quel disordine.
Congedati dall'ultima lezione della giornata, gli studenti venivano al solito punti dalla fretta. Bramavano di tornare in dormitorio per schiacciare un pisolino o per mettere sotto i denti un paio di cioccorane prima di impazzire sul saggio di storia per l'indomani. Frenetici e inafferrabili, saturi di nozioni sicchè persino il "ciao" del concasato risultava arduo da afferrare e da comprendere. Anche se si trattava del primo giorno dell'anno, a settembre, affrontato a mente fresca e forse vuota dopo l'estate.
Si poteva dire che Alchimia fosse il colpo di grazia dopo una giornata così intensa, e non solo per la difficoltà degli argomenti trattati. L'oscurità voluta dalla Belechtor fra quelle mura, in contrasto con le fiamme guizzanti al centro dell'aula, inducevano gli occhi a ricercare il ristoro di Morfeo, mentre la sua oratoria, così ermetica e travolgente, incuteva in gran parte timore. Timore di non capirci niente, o di non essere in grado di capirci qualcosa.
Casey per circa due ore riuscì a soffiare ossigeno solo nella parte superiore del suo tronco. Le spalle si alzavano e si abbassavano, deglutiva, fissava la donna e cercava di prendere appunti. Qualcosa era rimasto dentro di lei a fine lezione, ma non sul sulla sua pergamena, che invece si era procurata solo un paio di orecchiette negli angoli e qualche ditata.
In verità le sarebbe comunque risultato difficile prendere appunti fintantoché, fra il cercare di ricordarsi tutti i nomi dell'oro - e aveva sempre creduto che l'oro fosse solamente oro! -, il suo sguardo, pur di tanto in tanto, guizzava dall'altra parte dell'aula, dove Megan Haven sedeva dandole le spalle.
Sapeva che lei sarebbe stata lì, ne avevano parlato durante lo scarno carteggio avuto nei mesi estivi. Le occhiate scoccate durante la lezione volevano assicurarle che la Corvonero non gliene lanciasse altrettante, magari con una smorfia o un paio di sopracciglia alzate per sottolineare l'ambiguità di certi concetti alchemici. Ma vi era troppo buio per notarlo e la personalità assoggettante della Belechtor non permetteva scappatoie dalla sua spiegazione. Casey non aveva mai sentito così tanto silenzio entro un'aula.
Scapparono tutti piuttosto in fretta, e con la stessa fretta Casey raccolse le sue cose per raggiungere la Corvonero, sempre se la luce fioca non le avesse fatto scambiare qualcun altro per lei.
«Quindi?» Si sedette sul banco e la guardò con un sorrisetto sornione. «Cosa ne pensi di Alchimia, rubacuori
 
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view post Posted on 24/11/2020, 00:31
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uce austera. Un odore chimico ad intervalli pungente. La voce lieve e penetrante. L’Aula di Alchimia infondeva in Megan la sensazione di una quiete aleatoria. Gli occhi blu non smettevano di studiare i gesti dell’insegnante, avvertendo il fascino che l’accarezzava lungo la schiena e vibrava nelle ossa. Poteva ascoltare quella voce per ore, immobile, cullata dalle note precise e soavi ma non ne avrebbe compreso le parole. Colpa dei troppi pensieri e della poca concentrazione, la Corvonero rimaneva in uno stato di sonno artificiale.
L’estate era giunta al termine e l’inizio dell’anno aveva riversato su di lei quel carico di responsabilità necessario che l'avrebbe vista all’opera per l’intero periodo scolastico; oggi, a differenza degli anni passati, ne avvertiva il peso. Così, la stanchezza già segnava la pelle nivea ma le occhiaie che spegnevano i suoi occhi non erano solamente la conseguenza data da quella condizione. C’era altro.
Per tutta la durata del tempo, in una posizione statica, la Corvonero non aveva mosso un singolo muscolo e la pergamena vuota, sotto il proprio naso, dava modo di vedere chiaramente quanto l’attenzione rivolta fosse del tutto assente. L’orologio scorreva e lei si era concessa qualche battito di ciglia, alcuni respiri profondi e lo sguardo vagare per esigui secondi a scrutare i compagni presenti a quella prima lezione.
Così, quando l’insegnante terminò l’accurata spiegazione Megan aveva tirato un leggero sospiro di sollievo, abbassato lo sguardo sulla cartapecora e letto su un post-it, attaccato sulla superficie, una frase scritta da lei stessa durante alcune ore passate nella Biblioteca:
“Nell’equilibrio tra il sopra e il sotto, risiede la precisione dell’universo. Dalla terra ascende il fuoco, la luce discende dal cielo. Troppo del primo infiamma il secondo, e in questo risiede l’estinzione dell’universo.”*
Recitava. Il pensiero di alcuni antichi alchimisti trascritto in un libro sfogliato per avvicinarsi a quella materia apparentemente così affascinante. Quest’ultimo parlava dell’equilibrio naturale del cosmo e fu apparentemente colpita dal testo che trattava il come si può raggiungere tale armonia attraverso l’utilizzo dei quattro elementi, a livello materiale e spirituale, tenendo conto della “Teoria del Caos” e i suoi effetti che si ripercuotono sull'intero universo.
Tuttavia, la spiegazione era ancora lontana da quegli argomenti e inevitabilmente, visti i presupposti con i quali si era diretta nei Sotterranei, rimaneva delusa dalla lezione ormai giunta alla fine. L’alchimia le sembrò più complicata del previsto e, forse, a tratti anche noiosa ma si trattava di un suo problema. Non le piaceva girare intorno a un concetto per intere ore e studiarne i meccanismi per altrettante prima di giungere al fine vero e proprio; voleva andare dritta al punto, sempre. Questo suo modo di approcciarsi allo studio giustificava i voti che non sempre seguivano una linea di valutazione precisa e ai quali non dava poi tanta importanza. Così, per quel giorno niente teorie interessanti ma solo origini e spiegazioni storiche. Non sapeva se avrebbe continuato quel corso ma si diede la possibilità di mettersi alla prova e tentare almeno di mettere il naso nei libri, consegnando qualcosa all'insegnante nella data prevista.
Il vociare dei studenti sparì nel giro di qualche minuto e la classe fu presto vuota. Megan aveva aspettato prima di seguire la fila fuori dalla porta e con calma aveva rimesso al proprio posto ogni cosa nella tracolla. Improvvisamente, però, le sfuggì un foglio dalle mani, che andò a posarsi lungo il lastricato a qualche centimetro da lei, appena la voce familiare di Casey Bell richiamò la sua attenzione. La giovane Grifondoro aveva preso posto sul banco e Megan, piegata in avanti, da quella posizione poteva vedere le gambe penzolanti. «Quindi? Cosa ne pensi di Alchimia, rubacuori?» si era sentita dire e lei, in risposta, le aveva rivolto un ghigno e uno sguardo fugace dietro i lunghi capelli che momentaneamente le coprivano il volto. Poi, Megan aveva recuperato il foglio e posato in fine gli occhi sul viso della ragazza tornando in posizione, ben seduta e dritta sulla schiena.
«Non mi ha conquistata, affatto. E se devo essere sincera sono sicura di non sapere nemmeno cosa scrivere per la prossima lezione» le rispose arricciando bocca e naso, poi fece leva sulla gamba del Prefetto poggiando la mano sul ginocchio e si alzò sistemando la borsa sulla spalla sinistra. «E tu? Cosa ne pensi di Alchimia? Pensi sia interessante o che lo sia più io?» le sorrise ricambiando la stessa espressione ma v’era un piglio di dolcezza e lieve turbamento sul suo volto. Con “Rubacuori” non sapeva a cosa la Grifondoro voleva far riferimento ma in qualche modo il riaffiorare di un preciso momento passato annebbiò i propri pensieri per un fuggevole instante.
In tal maniera, si era spostata di fronte a lei e la fissava in attesa di una risposta.

* Tratto da: Il Priorato dell'Albero delle Arance, di Samantha Shannon.
 
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view post Posted on 2/1/2021, 12:33
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ell'oscurità dell'aula di Alchimia la sfuggevolezza dei concetti entrava in contrasto con l'aura statica di un'antichità eterna imposta da una materia che si arrogava il raggiungimento di un sapere tanto assoluto da abolire ogni progresso. Il progresso stesso era la via percorsa dall'alchimista che, finché non si deliziava dell'Elisir miracoloso raggiungendo l'apice della conoscenza, si ritrovava in balia dell'incertezza.
Casey non ci capì molto di quella lezione, né degli intenti dei famosi alchimisti. Sapeva che qualcuno era diventato un eccelso per poi abbandonarsi in una dimensione fatta di misticismo e mistero. Non se ne sapeva la data certa di morte, chi fosse chi, quale fosse il vero nome di uno o dell'altro, se esistesse davvero una fine al loro disperato percorso o se si trattasse solo di dicerie popolari. Il fatto stesso che esistesse una materia ad Hogwarts che ne trattava avrebbe già dovuto dirle molto, ma tutto quel parlare per indovinelli e definizioni prive di appigli di alcun tipo per i suoi studi pregressi la rigettavano in un vortice di insicurezze debellabile unicamente con una botta di sardonica diffidenza.
E poi c'era Megan. Nella categoria della sfuggevolezza - assieme ai concetti espressi di una Belechtor priva di qualsiasi compassione nei confronti degli studenti - lei occupava un posto d'onore. Per i modi, carezzevoli e taglienti in un ossimoro che si riversava sui suoi interlocutori con l'immediatezza di una doccia d'acqua fredda ma arduo da carpire, sottile ed infimo ago d'acciaio nascosto nell'epidermide. Per la voce, eterea e concreta alla pari della corda di un violino che vibra incessante scalando l'essere del mondo per specchiarsi su di esso dal suo dovuto posto nel cielo scuotendo la terra sotto i passi dei viventi. Per il volto, candido e incastonato della spuma del mare cobalto che si infrange su rocce oscure che cadono a strapiombo nelle sue profondità, come la chioma corvina scivolava sulle sue spalle. Ma nonostante gli ossimori e la sfuggevolezza, per Casey star seduta su quel banco era pari a stringersi su un divanetto del Louvre nell'estatica contemplazione delle Ninfee. Provava a non farci caso, ma l'effimera leggerezza recuperata dall'incontro, tocco bruciante incluso - la pelle, incurante del tessuto dei pantaloni, teneva ad arrogarsi il diritto del contatto -, la fece ricadere nell'oblio, immemore di ogni presa di posizione.
«Credo che sia affascinante, ma non so per che verso prenderla. Siamo sicuri che questo cammino porti da qualche parte?» Un sorrisetto sardonico si insinuava nella prima frase priva di complemento oggetto, culminando nella seconda. Seguire la scia dell'incertezza era pur sempre in qualche modo divertente, sebbene condita di nervosismo. Purtroppo però, se l'apparente modo di essere di Megan invitava a giocare la stessa strategia, il perpetuo ossimoro si imponeva ancora una volta nelle sue parole. Schietta, l'oggetto della frase lo propose ella stessa. Il bianco aveva mosso un pedone, il nero aveva contrattaccato bloccandogliene l'avanzata con uno dei suoi.
«Cerchi conferme, vanitosona Sollevò un sopracciglio. Per quanto sfuggente, ad ogni battuta le appioppava una nuova caratteristica. Il tono scherzoso, comunque, lasciava intendere la mancanza di serietà della frecciatina. Il cavallo dunque, muovendosi ad "L", trasformava l'apertura in una minaccia per il pedone nero, anche se piuttosto blanda.
«La gente parla» continuò «e tu sei sulla bocca di tutti.» Difficile controbattere. Caposcuola, reginetta più e più volte, intervistata dalla Gazzetta, Megan era uno dei personaggi più in vista della scuola. «Non mi stupirei se aprissero una bisca per scommettere su chi sarà il più fortunato.» Sogghignò ma aveva solo intenzione di stuzzicarla, non di offenderla. «Le persone sono abbastanza crudeli, specie quando si annoiano. Ci metto una mano sul fuoco: probabilmente tutti i gossip nascono nell'aula di Alchimia e in quella di Storia. Chissà perché.» Si poggiò sui palmi posti sul banco, dietro la schiena, portandosi indietro e facendo oscillare le gambe penzoloni. Soffocava il riso per la presa in giro o per l'imbarazzo?
 
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view post Posted on 18/2/2021, 21:55
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a quella posizione Casey le sembrò più alta.
I capelli biondi, corti, la pelle candida e gli occhi di un verde primavera, costellato da varie sfumature a tratti visibili nella poca luce che innondava quel luogo. La guardava, il viso coperto dal lieve imbarazzo e il sorriso nascosto da un’espressione tesa. Seguì la leggerezza di quei lineamenti, cullata dalla risposta. La voce cauta, scherzosa. Megan non fece altro che sorridere, accogliendo il gioco, con lene stupore. Poi, abbassò lo sguardo per qualche istante incrociando le gambe di lei, fino a perdersi nelle geometrie inesatte del lastricato. Sapeva bene di avere una carica importante, di essere una persona nota e spesse volte sentiva il peso di quel ruolo opprimerla. Sotto gli occhi di molti, sulle bocche di tutti; poteva di certo averci fatto l’abitudine e se in passato alcune parole l’avevano ferita, fatta sentire sotto accusa, colpevole, ora non avevano alcun valore.
In tal modo, quando tornò con lo sguardo in direzione della Grifondoro Megan segui i suoi gesti. Posò la borsa sulla sedia spostandola leggermente con la gamba e si appoggiò al banco, quasi seduta con i piedi ben saldi a terra e le mani a sostenere parte del suo peso.
«Una volta le parole delle persone avevano una certa influenza su di me» disse, rivolgendo lo sguardo verso l’uscita. Fuori da quell’aula ogni tanto passava qualche studente e un leggero spiffero di vento accarezzava il lastricato. «Mi chiedevo se tutto quello che arrivava alle mie orecchie era verità. Sai, magari gli altri riescono a vedere ciò che noi non riusciamo a vedere, semplicemente» abbozzò un sorriso aspro, la sensazione di come quando si morde l’interno di un agrume poco maturo. Aveva strizzato gli occhi appena, sbattendo le palpebre un paio di volte, accompagnata da un sospiro impercettibile. «Eppure non mi sono mai fidata. È difficile accettare ciò che sei… sei diventata» continuò, solo in quel momento le rivolse un’occhiata fugace. La vide ancora in una posizione comoda, adagiata sui palmi, spinta leggermente indietro. «Adesso c'ho fatto semplicemente l’abitudine e tutto ha smesso di avere importanza. O meglio: riesco a distinguere a chi dare ascolto anche se faccio ancora parecchio fatica» questa volta sbuffò divertita sollevando il mento verso l'alto, prendendosi gioco di se stessa. «Tu cosa pensi? Dunque… Sono vanitosa, una rubacuori e poi?» tornò a guardarla con un mezzo sorriso. Quando incrociò nuovamente i suoi occhi Megan si chiese per quale motivo Casey era lì con lei; perché era seduta al suo fianco come fosse una cosa normale e niente più. E allora ripercorse le strade di Londra e l’anno passato. Era come se qualcosa tra di loro fosse rimasto in sospeso; v'era leggera tensione, effimera quiete. La Corvonero tamburellò le dita sulla superficie del banco un paio di volte, in attesa di una risposta, irrompendo nel probabile silenzio che si sarebbe venuto a creare. Guardava il vuoto nell’oscurità di quella stanza e inavvertitamente si sentì a proprio agio. Stare lì con Casey andava bene.
Voglio che tu sappia che se tu volessi mai parlarmi... di qualsiasi cosa, io vorrei provare a capirti.
Inaspettate, quelle parole le tornarono in mente.
 
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I
l volto di Megan si cuciva di diverse espressioni. Evanescenti, gli occhi si perdevano spesso nel vuoto, scivolando via dai corpi e dalla materia. Era difficile capire quali fossero le esatte emozioni che le si annidavano nel petto in quei momenti, ma Casey poté giurare di aver intravisto un'ombra di tristezza. Se lo confermò con le sue frasi successive, riflessioni che rivelavano un'indole meditabonda che sovente, appunto, la induceva a perdersi per qualche attimo nei meandri della mente alla rincorsa di un ricordo o alla conemplazione di un pensiero.
«Le persone sono semplicemente prive di empatia.» Strano ma vero, la risposta di Casey fu quella. «Estrapolano piccole sezioni dai fatti, e ci giudicano basandosi esclusivamente su di esse. E' facile in questo modo.»
Voglio che tu sappia che se tu volessi mai parlarmi... di qualsiasi cosa, io vorrei provare a capirti. Una simile affermazione possedeva migliaia di significati, ma non per Casey. Le voci su Megan erano sempre e solo state un input per conoscerla più a fondo e comprendere tutto quel che vi era celato dietro, se vi era. Quante volte per Casey era stato lo stesso? Non alla stessa maniera, s'intende. Non era la bella della scuola, era sempre stata fin troppo ordinaria finché la spilla non giunse ad impreziosire la sua divisa. I giudizi riguardavano l'indole da dittatore che caratterizzò le prime amicizie al castello, certe uscite, approcci alla gente e reazioni. Nessuno sapeva perché, nessuno si era occupato di scavare a fondo. E vi erano tante cose.
«Le persone non hanno la giusta empatia per desiderare di contestualizzare ciò che dice o fa qualcuno. Parla, racconta, divulga, senza preoccuparsi di ciò che c'è dietro e di come tutto questo possa fare sentire il diretto interessato.» Rimaneva seduta sul banco, poggiata sui palmi. Incrociò le gambe assumendo una posizione leggermente più seria, poiché quel discorso e la sua posizione in merito contemplavano autorevolezza. Il viso era serio, in bocca l'amaro dava un sentore di rabbia sopita al suo tono.
«Come quello stronzo di un giornalista che ti ha intervistata.» Continuò aggrottando le ciglia. «Se avesse fatto a me una cosa del genere avrei...» contrasse le labbra, incerta su quale potesse essere la punizione peggiore da infliggergli. «Se mai lo incontrerò per strada gli darò il ben servito da parte mia e tua, se lo vorrai.»
Cosa poteva esserci di così scabroso nell'intervista ad una studentessa appena maggiorenne? Quel che, leggendolo, saltò all'occhio della Grifondoro fu il resoconto sulla tragica scomparsa dei genitori di Megan. L'empatia, di cui ora parlava, le rivoltò lo stomaco dopo quel paragrafo, non volendo più andare avanti. Come si era sentita Megan leggendolo, sapendo che uno dei tratti posibilmente più cupi della sua vita era stato messo alla mercé dei pettegolezzi?
«Fai bene a non fidarti. Senza fatti, nulla è dimostrabile.» Disse infine. Ma quando lei rise, prendendosi gioco di sé da sola e chiedendole di incrementare la dose di nomignoli e aggettivi da affibbiarle, Casey non poté che sorridere di rimando. La tensione fu per lei come un pendolo che oscillava fra i momenti in cui si guardavano negli occhi e quelli in cui l'altra distoglieva lo sguardo, salendo e ricadendo di continuo. E in quel momentaneo crescendo, in cui freni e consapevolezze vennero a mancare, osò andare oltre, rispondendo al quesito. «Rubacuori, vanitosona e bella. Dentro... e fuori.»
 
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ornare a posare gli occhi su Casey fu naturale; allo stesso modo, qualche istante dopo, distogliere appena lo sguardo sentendola intervenire. Un discorso senza dubbio sensato il suo, che non ammetteva margine di fuga. Tuttavia Megan, nel silenzio, cercava una porta per eludere quel momento ma senza risultato, elaborando solamente pensieri confusi e futili.
Così, senza battere ciglio, rimase impassibile e con lo sguardo puntato nel vuoto si limitò ad annuire fermando il nodo alla gola che di colpo, all’udire di un ben chiaro riferimento, minacciò di farla tossire nervosamente.
Il cuore tamburellò lasciando la sensazione di un vuoto improvviso e la risposta a quel “se vorrai” si mostrò dando suono a un dolce ghigno. Fu in quel momento che tornò a sondare il verde muschio delle iridi della Grifondoro, posando lo sguardo sulle labbra non appena le sorrise di rimando.
«È strano» fu quella la prima risposta. Tornò a fissarla ruotando il corpo verso di lei; la mano destra cercò quella di Casey, se lei non l’avesse ritratta avrebbe afferrato le sue dita stringendole appena. Nel gesto inaspettato lasciò le due parole viaggiare tra di loro rimanendo in sospeso. Le iridi analizzarono quanto appena accaduto per poi tornare a indugiare tra i capelli biondi argento e la delicatezza del viso della ragazza. Un contatto, il primo vero contatto tra di loro. Un tacito “ti ringrazio”, mosso da un gesto all’apparenza semplice ma che probabilmente non avrebbe lasciato indifferenza.
Erano poche le persone alle quali Megan si era avvicinata, Casey aveva iniziato a fare parte di quella stretta cerchia dove Megan riponeva la propria fiducia. «È bello sentirsi dire questo» disse lasciando chiara la fine di quell’iniziale discorso, forse ancora non maturo. È strano. Avrebbe lasciato la presa senza smettere di guardarla e continuato: «È bello sentirlo da te». Non poté nascondere il leggero imbarazzo e la fossetta sulla guancia sinistra che si mostrò al lieve cenno di riso in tralice. Chiuse per un istante gli occhi tirando un lungo sospiro: «Non è stato facile dopo quell’intervista» ammise trascinando la mano lungo la superficie del banco, fino a giungere sul bordo. Eccola che si lasciava andare.
Le dita si strinsero in un pugno ben saldo mentre le nocche impallidirono all’istante. La tensione crebbe nel ricordare il momento in cui era venuta in possesso del giornale con su scritta la propria intervista. Ricordò la sensazione di soffocamento, così come quel principio di nodo alla gola s’era manifestato poc’anzi. «Ora tutti sanno chi sono realmente, sanno cosa mi è accaduto. Proveranno pena per me? Ma io non voglio. Con quali occhi mi guarderanno? Non voglio» fissò nuovamente il vuoto ma in un punto indefinito alle spalle di Casey questa volta, dando modo alla ragazza di non perdere nemmeno la più impercettibile delle emozioni. «Non ho fatto niente» andò avanti, tornando dopo qualche secondo a posare lo sguardo su di lei. Forse la capiva. «Non ho detto niente» continuò. «Lo stretto necessario, almeno. Lui, invece, ha detto troppo.» La rabbia attraversò il blu oceano degli occhi lasciandoli luccicare appena. «Il mio ruolo dovrebbe essere più imparziale possibile, attento, sempre nel giusto e ligio al dovere ma… Diamine se farei qualcosa per fargliela pagare!» Le sopracciglia si incurvarono in un moto di sdegno accompagnando quelle chiare parole. Successivamente Megan avrebbe rivolto lo sguardo verso il pugno teso allentando la presa a vuoto.
«Se dovesse esserci mai occasione Lucas Scott potrebbe ricevere una piccola sorpresa. E se potrò contare sul tuo aiuto… Beh, credo che sarà davvero divertente! È bello immaginarti al mio fianco» alzò gli occhi verso Casey concedendosi a un sorriso soddisfatto, dipingendo in volto una leggera nota di malizia.
 
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n cuore impavido non tollera chi semina paura e dolore. Asciuga il pianto delle vittime e le porta sulle proprie spalle sul cammino verso la vittoria.
Lo sguardo bagnato di lacrime di Megan fu la goccia che spinse Casey a scivolare dentro il turbine di rabbia nato in sordina nel suo petto. Saltò giù dal banco e, con le dita intrecciate alle sue, l'avrebbe circondata in un abbraccio stretto. La fronte aggrottata e le labbra increspate si sarebbero affacciate oltre le spalle della Corvonero. L'ira, che le scorreva nelle vene di al posto del sangue, sovvertì l'ordine imposto dall'incertezza e dal timore facendola agire d'impulso. Avrebbe cominciato a sentirsi stupida a danno fatto, dopo cinque secondi di contatto, ma il benessere che ne sarebbe scaturito sarebbe stato pari a quello di una pozione anestetica in grado di offuscare tutti i dolori del mondo.
Si staccò da Megan abbandonando l'espressione rabbiosa, dedicandole occhi comprensivi.
«Essere Caposcuola non dovrebbe voler dire essere succube» disse facendo "no" con la testa. «Forse non potrai prenderlo a pugni o dirgli che è figlio di una megera - quello posso farlo io, in caso» aggiunse «ma puoi denunciarlo e mandare una lettera alla Gazzetta. Questo sarebbe un modo maturo di reagire. Modo che fa più per te che per me.»
Casey non era avvezza a mettere in pratica le considerazioni più saggie, né proprie né altrui. Come la più grossa fetta di popolazione umana era solita predicare bene e razzolare male, donare consigli e studiare analiticamente gli eventi e le persone dall'esterno senza mai riuscire ad applicare gli stessi metodi su di sé.
«Sappi comunque che sarei disposta ad ascoltarti se volessi parlarmene. Le nostre storie sono più o meno simili.» Abbassò lo sguardo.
Quando mai Casey si era comportata in maniera saggia? Soprattutto ora, che abbracciava Megan e la guardava negli occhi a distanza ravvicinata, ogni possibile forma di freno autoimposto veniva vanificato e dimenticato come in preda ad un'ubriacatura. Sarebbe bastato poco in effetti, un altro scatto in avanti, per scommettere tutto su una possibilità ben lontana dal reale e dichiararsi un mostro per le promesse rotte. Non era in grado di chiarirsi se si trattasse di una mossa saggia o no, ma decise di fare un passo indietro. Semplicemente perché era giusto così.
«Ehm, volevo comunque chiederti una mano con una cosa...»
Si sarebbe staccata da lei, portando le mani agitate alle tasche della divisa. Cercò al loro interno; poi, non trovando niente, si tolse la tracolla dalle spalle e la poggiò su un banco, quasi contenta di poter avere del tempo in più per riprendere fiato. E dalla tasca interna della sacca estrasse un ciondolo.
«Ciondolo Prezioso Ricordo. Me l'hai regalato tu un po' di tempo fa e, uhm... ci ho fantasticato su spesso, ecco, su usarlo o no, su ciò che tu sai.» Lo abbandonò sul tavolo, aggrottando la fronte su di esso. «Perché mi sta facendo molto male, Meg, e la paura mi blocca.»


Purtroppo gestire i tempi verbali con 'sto condizionale è un suicidio. Sorry per le brutture.
 
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view post Posted on 18/9/2021, 23:44
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ra un momento magico. Megan poteva avvertirlo nelle ossa; la pelle leggermente accaldata e piccoli brividi lungo la spina dorsale. Era tesa. Si accorse di stare piangendo solo quando l’improvviso abbraccio la travolse. Il corpo si scontrò con quello di Casey che la cinse tra le braccia. Avvertì il respiro sulla pelle e, poggiando sulla spalla di lei, lasciando le mani seguire quel gesto stringendola delicatamente, sentì una lacrima cadere lungo il viso. La sorpresa per quel gesto riflesse sul proprio volto con un’espressione stupita. Lo sguardo indugiò lungo un’ala dell’aula di Alchimia per poi dirigersi in basso; chiuse gli occhi per qualche istante e respirò profondamente mentre gli angoli delle labbra si sollevavano in un sorriso grato. Lasciò Casey guidarla, avvertendo la lieve mancanza di quel breve contatto quando lei si staccò. Incontrò i suoi occhi; osservarla, in quel momento, ricordò a Megan il colore del riflesso della rugiada allo spuntare di una nuova alba. Il rapporto che c’era tra di loro cresceva. Radici più profonde, fragili ed esili, si allungavano aggrappandosi alle piccole cose: gesti, parole e sguardi; se ne nutrivano nel tempo fino ad irrobustirsi o, talvolta, a distruggersi.
«L’idea non è male... È comunque qualcosa» disse alla fine. Annuì e si tamponò il viso bagnato dal sale, provando a cancellare quell’attimo di debolezza. Qualche istante e tornò seria, sostenne lo sguardo fino a che Casey non abbassò la testa. Avrebbe voluto allungare la mano e sollevarle il mento; nel tentativo un brivido la fece sobbalzare appena. In quei secondi riuscì solamente a schiudere le labbra per dire qualcosa ma la Grifondoro fece nuovamente il primo passo, mettendo un punto a quella conversazione. La vide allontanarsi, poi una richiesta di aiuto che smosse la sua curiosità. Abbassò lo sguardo incrociando le braccia. Non disse niente bensì rimase in attesa che quell’oggetto, il ciondolo che le aveva regalato tempo prima, le venisse mostrato.
Quando il cobalto incontrò la pietra incastonata, avvolta parzialmente nel metallo, Megan si beò della sua bellezza e distolse lo sguardo solo quando Casey lo posò sul banco di legno.
La guardò. «È giusto farlo?». La mano nel mentre si allungava in direzione del gioiello che afferrò stringendolo nel palmo. «Fa male... Lo so.» mantenne un tono basso, la voce veniva lievemente interrotta dall’agitazione. Ricordare quella notte era ancora una ferita aperta, sebbene avesse cercato di buttarsela alle spalle. Parlare con Oliver aveva alleviato quel peso che le premeva nello stomaco ma quelle immagini erano difficili da dimenticare.
«Quello che è successo ci ha cambiate in qualche modo. Se non fosse accaduto io e te non saremmo qui oggi. Non saresti la Casey Bell di adesso e...» alzò un sopracciglio nella speranza di vedere una qualsiasi reazione. Avanzò di un passo lasciando diminuire le distanze. «E non voglio che qualcosa cambi in te». Era arrivato il momento di ricambiare. «Però voglio solo che tu sappia...», un attimo di pausa; abbassando lo sguardo sulla pietra Megan riprese respiro. «Voglio solo dirti che qualunque decisione tu voglia prendere io sono con te. Sarò con te!» le mostrò il palmo mentre le labbra mimarono un “grazie” muto e poi un riso sincero. Così tirò fuori la bacchetta e la puntò alla tempia di lei. Diminuì ancora una volta le distanze inspirando piano. «Prefetto Bell, a lei la decisione» provò ad imitare la voce di Peverell e scoppiò a ridere. Un modo goliardico per alleggerire quel momento.
«Pensa intensamente a quella notte e ricorda... Sono qui» disse infine con tono calmo.


Edited by Megan M. Haven - 24/9/2021, 10:16
 
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view post Posted on 11/10/2021, 21:43
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G
iusto e sbagliato, piacere e dolore, bianco e nero. Sul piccolo scranno da cui Casey governava la sua testa si scorgeva un intricato groviglio di strade oscure e illuminate. Acciottolato, erba, fiori, edifici, panche; luoghi ameni inesplorati, distese dal manto verde baciate dal sole. Vi era l'immagine concreta in un paesaggio della morale cristallina e la raffigurazione più ermetica, a tratti spaventosa a tratti tentatrice, di tutto quel che la buona coscienza vieta. Ma la tentazione che spinse Casey a rifugiarsi nel ciondolo non nacque dall'attrazione, dalla fascinazione verso quel che la sua mente visualizzava come oscuro. Si trattava di un palliativo contro il dolore.
Era sbagliato disfarsi del tutto di un evento della propria vita. Ogni esperienza, ogni insegnamento, è necessario al fine di un'evoluzione. La crescita è un piano che si realizza su una serie di scogli; senza, tutto rimane perpetuamente immobile.
Megan aveva ragione.
«Senza quel giorno io e te non ci saremmo mai davvero conosciute e saremmo rimaste solo sulla superficie delle nostre vite. Non saremmo qui a parlare, a far piani per vendicarti di Scott. Io non sarei qui a chiederti qualcosa di così sbagliato e terrificante.»
Si lasciò cadere su una sedia. Guardò la Corvonero con occhi supplicanti. La volontà ferrea di afferrare una cesoia e strappare da sé un pezzo sgorgava dalle parole, dall'espressione dura e buia del volto.
«Ma non voglio che tu mi tolga un intero giorno. Voglio dimenticare il grido. Quelle parole e la loro realizzazione. Voglio dimenticare Oliver che si contorce sopra le nostre teste spinto da una forza che sarebbe dovuta essere inesistente e che la mia ragione non può concepire. Voglio dimenticare il sangue nei suoi occhi, nel naso, nelle orecchie, nella bocca e la paura che mi ha indotta a non bussare alla sua porta in infermeria e che tutt'ora non mi permette di guardarlo. Voglio poter guardare il mio amico senza credere che ciò che gli è accaduto possa accadere anche a me e che io non possa controllarlo. Perché io sono come lui, capisci? Io vedo e sento cose che non esistono o che non esistono ancora, cose che posso anche toccare, sentire, odorare e che svaniscono dopo poco nell'etere lasciandomi con la paura che possano accadere. Sono i mostri sotto il mio letto che non mi lasciano dormire la notte e che mi stremano il giorno. Verrà il momento in cui mi uccideranno, oh, magari domani mi indurranno a lanciarmi dalla Torre di Astronomia lasciandomi credere che si tratti di un prato o a castarmi uno Schiantesimo alla tempia perché…»
Si fermò con le parole aggrovigliate alla gola fra un rantolo e un singhiozzo. Si rese conto di avere gli occhi lucidi e si toccò gli zigomi per asciugare eventuali lacrime, ma non ve ne furono. Casey Bell non piangeva mai di fronte a qualcuno.
«Fallo.» ribadì secca allora. Aveva esagerato nel dar voce ai propri pensieri e non intendeva andare oltre.«Per favore.»
Chiuse gli occhi. Percepì la punta fredda della bacchetta di Megan alla tempia destra. Seguendo le sue parole, si tuffò nella scatola nera della sua testa e corrugò la fronte per rimestare e rimestare al fine di trovare ogni dettaglio, ogni movimento, ogni parte più intensa che quella sera del Ballo delle Rose e delle Spine le conficcò nel cuore e nell'anima.

Megan viene chiamata da Peverell per ballare con Oliver.
I primi passi di danza.
La musica.
Il fermo.
Il respiro bloccato.
Le bocche schiuse degli astanti che credono si tratti di una trovata d'intrattenimento.
Lo sgomento quando tutti capiscono che non è così.
Oliver si alza sopra di loro, a mezz'aria viene travolto dagli orrori del Tempo. Parole sfondano le sue labbra chiuse e radono al suolo il suo Io, tutto ciò che lui è per rendendo un mero oggetto sfruttato dal Fato per compiersi.
Oliver giace al suolo, spezzato, dissanguato.

I suoi occhi erano le bocche di un vulcano che eruttavano sangue; gli occhi di lei su quelli di lui stalattiti di ghiaccio e paura conficcate nel cranio. Eppure non si perse in sé stessa ma tempestiva si diede da fare e corse, corse a gambe veloci per chiedere aiuto. Si perse nell'azione, si perse nella fuga; perché pur di fuggire da quella vista avrebbe fatto di tutto, persino fuggire per chiedere aiuto per lui.

Il paradosso degli Incantesimi di Memoria e dell'imbottigliamento di un ricordo è che per disfarsi di un pensiero bisogna concentrarsi su di esso tanto intensamente da riviverlo. Strinse il suo ricordo con mani sanguinanti e solo così, quando una stalattite fredda e pungente le venne estratta dalla tempia, ogni parte di esso svanì lasciando le ferite a cicatrizzarsi.
Prima il sangue di Oliver, poi la Profezia, poi il suo volo, poi lo sgomento della folla. Andava a ritroso come un nastro che si riavvolge, lasciando quello scompartimento di mente candida e vuota. Ma ben presto - così in natura accade con la materia, così accade con i pensieri per l'horror vacui - ogni vuoto venne colmato, esattamente quando il viaggio a ritroso non la portò al punto di partenza: il tavolo a cui erano sedute lei e Megan. Per l'esattezza il momento in cui Casey si innamorò di Megan.

Le sue palpebre sfarfallarono ed emise un sospiro profondo, come se mai avesse respirato aria. Sentì le spalle alleggerirsi, lo stomaco smettere di dolerle. Una carezza fatta d'aria e sollievo le sfiorò il volto e le permise di aprire gli occhi posandoli su Megan.
«Grazie.»


Casey usa il suo Ciondolo Prezioso Ricordo per liberarsi del ricordo di Oliver spezzato dalla Profezia del Ballo delle Rose e delle Spine.
 
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view post Posted on 7/11/2021, 22:41
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l braccio si sollevò e la bacchetta di ciliegio toccò la tempia destra di Casey con una lieve pressione. Megan a fatica riuscì a mantenere la stabilità.
Non era stato facile per lei rimanere in silenzio, osservare i movimenti e ascoltare quelle parole. Casey era tremendamente ferita. Nei suoi occhi la richiesta di aiuto era stata chiara. Percorrere assieme gli ultimi istanti prima del caos, nella notte del Ballo delle Rose e delle Spine, in un fiume di parole severe, sulle quali navigava senza alcuno scoglio e con una consapevolezza disarmante, aveva riportato alla luce ogni cosa. Megan si era vista lì di fronte, proiettata nel passato. Un’immagine chiara. Il tormento era tornato a stringerle la gola, il cuore in tumulto. Ne aveva accettato di nuovo la verità mentre chiara era apparsa dinanzi a sé l’immagine di lei in ginocchio in una pozza di sgomento e disperazione. Ferita dal presente, tormentata dal passato che tornava a scalfire il muro costruito intorno a sé con tanta fatica. Tuttavia, era rimasta impassibile all’apparenza e gli occhi fissavano quelli di Casey senza recidere quel contatto così intenso. Sentiva parte della sua sofferenza e ne aveva paura. Come se tutto quello che Casey sentisse fosse ben più profondo di quanto esteriormente potesse sembrare. Anche lì. Anche in quegli istanti. Certe parole, per quanto Megan non ne comprendesse a piano il significato, l’avevano toccata profondamente e vederla asciugarsi il volto assente di qualsiasi lacrima per lei fu un ulteriore allarme. In che senso era come Oliver? Perché aveva paura di finire come lui? L’avrebbe stretta a sé se solo avesse potuto, come lei aveva fatto poco prima, ma in quel momento lasciò semplicemente che chiudesse gli occhi. Lasciò che la disperazione, la perdita di ogni speranza, il dolore e la paura tornassero senza alcun impedimento. La mano smise di tremare e fronte a quell’ordine colmo di rabbia Megan chiuse gli occhi insieme a lei. Premette con più forza la bacchetta sulla tempia, attenta a non farle del male, e gli attimi successivi furono tempesta in una finta quiete. Il silenzio che si riempiva di sofferenza, il viso di lei che ne lasciava tracce visibili.
Solamente quando tirò via quel ricordo, imprigionandolo all’interno del ciondolo, Megan fece un lungo respiro. «Sei stata coraggiosa» disse. L’espressione mutò tornando a guardare le iridi verdeggianti. Mettendo via la bacchetta strinse le mani di Casey, imprigionando il ciondolo tra le dita. «Spero diventi più facile per te affrontare i giorni di qui in avanti» continuò. Il tono, sebbene fosse comprensivo, tradiva note di dubbio. Megan capiva il dolore ma non comprendeva la volontà di volerlo rimuovere. Per lei era fondamentale convivere con i drammi della sua vita, per quanto spiacevoli e dolorosi l’avevano resa ciò che era oggi. Tuttavia, aveva promesso a Casey che ci sarebbe stata per lei e che l’avrebbe appoggiata se ne avesse avuto il bisogno. Così, seppur non condividesse ciò che lei aveva appena fatto, sperava solamente che trovasse la pace.
«Se così non dovesse essere sai dove trovarmi e ti prego, fallo per me se conto qualcosa, non farmi rivivere questo. Combatti.» strinse la presa. Non avrebbe voluto vederla come aveva visto Oliver quella sera, né in qualsiasi altro modo se la sua vita fosse stata in pericolo. «Non potrei sopportarlo. Non Te dopo tutto… Dopo tutto questo» finì per dire abbozzando un tenero sorriso.
«E non nasconderti se vuoi che non lo faccia nemmeno io. È questa la regola» strizzò l’occhio. «Io vorrei provare a capirti» aggiunse. Certa di ricordare a Casey quelle stesse cinque parole pronunciate da lei qualche tempo prima a Londra.
 
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view post Posted on 17/11/2021, 13:36
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l vuoto prese a disegnarsi nella sua memoria. Passo dopo passo, connessione dopo connessione, ogni azione, luogo, immagine e pensiero di quella parte del Ballo andò inghiottito dal nulla e risucchiato dalla bacchetta di Megan.
La liberazione in atto si fece percepire in ogni sua dimensione. Il peso del cervello nel cranio diminuì e gli occhi furono in grado di aprirsi. I muscoli sciolsero le loro tensioni e gli organi e lo scheletro poterono respirare, non più stretti dalla morsa dell'ossessione e della paura.
Casey si tolse un grosso peso dalle spalle. Determinare che fosse la soluzione finale alle sofferenza fu un errore, trattandosi di una fuga momentanea dal dolore. Il Tempo tiene sempre in serbo le sue minacce e le sue sorprese, i conti ritornano a galla e nemmeno il più impavido Grifondoro può sfuggirvi. Presto o tardi la ruota del Destino avrebbe ripreso a girare, se il suo ruotare cieco non fosse già in atto.
Si alzò dalla sedia e la prima cosa che fece, col cuore sollevato, fu riabbracciarla. Fece sprofondare le labbra nel cuscino di capelli neri e li baciò, assaporando il calore di quel contatto finalmente priva di distrazioni interne. Si sentì toccata dalla preoccupazione di Megan, se sentì ricambiata. Non avrebbe osato sorpassare il limite di spazio che si interponeva fra i loro volti, anche se il richiamo dell'affetto e dell'attrazione risuonava nel suo cuore prepotente e impossibile da zittire. Tuttavia non poté che raccogliere quel dono e riporlo nella memoria, al posto di quanto si era appena disfatta, per custodirlo.
«Non so se questo fermerà ciò che mi accade, ma sono certa che da ora in poi non potrà che andare meglio. Anche perché tu sarai con me.»
Nonostante tutto, Casey desiderava più di tutto poter avere fede in qualcosa. Fede che con quel gesto ogni cosa sarebbe andata diversamente seguendo una piega positiva, che si sarebbe disfatta piano piano delle visioni. Di poter trovare la fonte della propria felicità.
I saggi dicono che la vera felicità può essere trovata solo dentro noi stessi, e ad Alchimia quel giorno avevano parlato dell'evoluzione umana a partire dall'interno. Ma chi sbaglia lo fa per imparare, e persino un Alchimista sa quanto luccica l'oro degli stolti.
 
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10 replies since 8/11/2020, 12:35   480 views
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