È Eterno Chi Ha Scelto Di Vivere A Suo Modo

« Older   Newer »
  Share  
view post Posted on 11/11/2020, 18:34
Avatar

Ama, ama follemente, ama più che puoi e se ti dicono che è peccato ama il tuo peccato e sarai innocente. (William Shakespeare - Romeo e Giulietta)

Group:
Studente Sotto Esame
Posts:
1,510
Location:
Toscana ☀️

Status:


Contest a Tema Novembre 2020: Ambizione

La più grande ambizione di Camille è diventare un Auror, in questo frammento si racconta l'episodio che l'ha portata ad avere questo desiderio.
Legenda:
parlato di Camille
parlato di Kyle
parlato di Martin
parlato della madre di Camille
parlato del padre di Camille
pensato



20201102-154106
Cosa vorrei fare da grande? Essere come mio padre
Alla classica domanda “cosa vuoi fare da grande? qual è la tua più grande ambizione?” Camille non seppe rispondere finché a sette anni, sorprendendo tutti, disse:
-Voglio diventare coraggiosa e proteggere gli altri, come mio padre! -.
Il padre di Camille, Alexander, lavora come Auror al Ministero della Magia di Londra, per cui viaggia molto spesso se chiamato di pattuglia o per fare da scorta, ma nonostante tutto è sempre presente per la sua “principessa”. L’episodio che portò alla risposta di Camille avvenne proprio mentre suo padre era in viaggio, quando lei aveva sette anni.
Era un novembre piuttosto freddo e la piccola streghetta era a Bath a fare compere con sua madre Monique, che doveva fare provviste ed acquistare dei vasi e dei fertilizzanti per la sua coltivazione di erbe e piante magiche.
Una volta raggiunta la cittadina tramite smaterializzazione (cosa che Camille amava e ama tutt’ora perché le dà una piacevole sensazione di libertà e leggerezza), passarono la mattinata in giro per negozi e vivai e Camille era stanca morta, inoltre, per dirla tutta, si stava pure annoiando; non vedeva l’ora di tornare a casa per giocare in giardino con il suo gatto, magari cacciandosi nei guai come al solito.
Mentre erano nell’ennesimo negozio, dalla porta a vetri Camille scorse il suo migliore amico, Kyle, figlio di uno dei vivaisti da cui sua madre si riforniva; l’unico babbano a sapere che lei e la sua famiglia praticavano la magia.
Per attirare la sua attenzione ed andare a salutarlo si allontanò di soppiatto da sua madre ed uscì dal negozio.
-Hey, Kyle- lo chiamò correndo per strada.
-Hey, ciao Camille, che ci fai qua? - la salutò di rimando l’amico.
-Sto facendo compere con mia madre, ma sinceramente mi sto annoiando. Ti va di andare a giocare un po’? - chiese Camille.
Kyle accettò di buon grado, così passarono a prendere la palla al negozio dei genitori di lui e si diressero verso la piazzetta principale del paese, dove di solito i bambini della loro età si ritrovavano nel tempo libero.
I due amichetti stavano tranquillamente giocando quando un gruppetto di ragazzini più grandi di loro si avvicinò con un’aria non proprio amichevole.
Camille li riconobbe subito, era il gruppo di bulli guidato da Martin, il figlio undicenne nato magonò di una coppia di maghi molto poco raccomandabile. Martin per sfogare la sua frustrazione per essere nato senza magia e dimostrare comunque a tutti la sua “superiorità” si divertiva a tormentare i bambini, babbani o maghi, con cui veniva a contatto.
-Hey nanerottolo, dacci quella palla. Vogliamo giocarci un po’ noi adesso- intimò a Kyle mentre si avvicinava.
Kyle non sembrava intenzionato a cedere, così strinse ancora di più a sé la palla e gridò un secco e deciso -NO!!!-.
Per tutta risposta il bulletto si avvicinò sogghignando in malo modo, -Ne sei proprio sicuro? - disse spintonando violentemente a terra il povero bambino.
Camille, non potendo assistere alla scena senza fare niente, si buttò addosso al quel poco di buono di Martin nella speranza di atterrarlo, ma fu lei a finire faccia a terra ferendosi il labbro; è così che si procurò la sua piccola cicatrice.
-Ne vuoi ancora nanerottola- disse mentre Camille si rialzava da terra.
La streghetta, piena di rabbia e con il sapore ferroso del sangue in bocca, sentì formicolare le mani e salire la voglia di scagliarlo lontano usando la magia che avvertiva scorrere nelle dita; le succedeva spesso quando era arrabbiata, poteva far volare un piatto o un oggetto delle stesse dimensioni, oppure mentre era particolarmente assorta le capitava di far levitare oggetti leggeri, come piume o foglie, ma sapeva anche di non poter usare la magia in presenza dei babbani, i suoi glielo avevano vietato perché contro la legge del mondo magico.
*Contieniti Camille, non fare sciocchezze di cui potresti pentirti*, si ripeté tra sé e sé.
Aveva avuto la sua prima manifestazione magica poco prima del suo settimo compleanno, mentre stava giocando in giardino con Kyle; erano vicino ad un cumulo di foglie che Camille stava osservando pensierosa, quando d’improvviso iniziarono a levitare lasciando di stucco i due bambini.
Consapevole del divieto fece un lungo respiro e contò fino a dieci per ricacciare indietro il formicolio alle dita; stava per ripartire alla carica, voleva mettere a terra quel bulletto da quattro soldi a tutti i costi, quando arrivò sua madre, che nel frattempo si era accorta della sua assenza ed era andata a cercarla.
-Che state combinando qua? - disse Monique passando lo sguardo carico di rimprovero dalla figlia e il suo amichetto al gruppetto di bulli di Martin, che avvertendo aria di tempesta si dileguarono immediatamente per evitare le conseguenze.
-Sì, scappate pure, ve la farò pagare, soprattutto a te Martin- gli gridò dietro imperterrita Camille.
-Ci volevano rubare la palla e hanno aggredito me e Kyle- disse poi rivolgendosi alla madre.
-Per Godric figlia mia, guarda che ti sei fatta. Ti rendi conto che potevi farti male seriamente? - disse sua madre con un misto di rimprovero e preoccupazione.
-Ma mamma…- fece per protestare Camille.
-Niente ma, a casa ne riparliamo. In quanto a te Kyle, vieni con noi che ti riportiamo dai tuoi genitori. Stai bene vero? - disse rivolgendosi con dolcezza al bambino.
-Sì signora, sto bene per fortuna- disse Kyle con un filo di voce.

Una volta accompagnato Kyle ed essere rientrate a casa sua madre la ripulì per bene e le medicò la ferita.
Camille stava ancora ribollendo di rabbia e delusione per non aver fatto di più, per non averla fatta pagare a Martin e al suo gruppo, per non essere riuscita a difendersi e proteggere l’amico.
-Avrei voluto fare di più, non sono riuscita a proteggere me e Kyle, quei bulli avranno sempre la meglio così. Ma perché certe persone devono prendersela con i più deboli, è ingiusto, vorrei che la pagassero per ciò che fanno- disse all’improvviso Camille alla madre in tono serio dando voce ai suoi pensieri.
-Lo so tesoro, ma a volte purtroppo non possiamo farci nulla, solo provare a resistere meglio che possiamo- le disse con dolcezza sua madre.
-Invece no, se c’è una cosa che non sopporto sono i ragazzini che si comportano così, da grande voglio fare in modo che nessuno subisca più certe cose- ribadì convinta la piccola.
-Avrei usato la magia contro di lui pur di difendermi se non mi fossi controllata- confesso alla madre.
-Oh, tesoro, vieni qui- Monique guardò sua figlia con un misto di orgoglio e tenerezza e la strinse a sé in un abbraccio.

Il giorno dopo tornò suo padre che, vedendo la figlia coperta di lividi e con il labbro tumefatto, si allarmò immediatamente; sua moglie intervenne subito tranquillizzandolo e aggiornandolo sull’accaduto.
-La mia piccola principessa guerriera, non ti arrendi mai vero- le disse dolcemente prendendola in braccio e scompigliandole i capelli.
-No, è esattamente come te Alexander. Forse da grande sarebbe addirittura un ottimo Auror come te, con la sua grinta metterebbe in fuga chiunque, persino un Drago se volesse- disse divertita sua madre.
Ma quelle parole Camille le prese con estrema serietà, come solo una bambina testarda come lei poteva fare.
-Un Au, Aur, Aur-che? - disse la piccola un po’ in difficoltà.
I suoi genitori le avevano spiegato che lavorava a Londra in un posto che loro chiamavano Ministero della Magia, ma non sapeva cosa facesse esattamente.
-Un Auror, tesoro mio- le venne in aiuto suo padre.
-Sono delle guardie che vegliano sul mondo magico e le sue interazioni con il mondo babbano, proteggendo entrambi dai maghi e le creature oscure, che sono un po’ come i bulli che hai affrontato ieri- le disse sorridendole con amore.
-Davvero papà? allora forse la mamma ha ragione, penso sia davvero quello che potrei fare da grande- disse Camille.
-Sì, voglio fare l’Auror come te papà. Così nessuno, babbano o mago, potrà fare del male a me o ai miei amici- ribadì Camille con quella fierezza tipica dei bambini.
I genitori si guardarono con intesa e scossero la testa sorridendo, come d’accordo sul fatto che sarebbe stato inutile cercare di far cambiare idea alla figlia, una bambina tanto caparbia da muovere una montagna pur di raggiungere i suoi obiettivi.

Adesso Camille ha iniziato il suo percorso ad Hogwarts e spera davvero di poter diventare come suo padre una volta finiti gli studi. Diventare un bravo Auror….
Per raggiungere il suo obiettivo la giovane strega è consapevole di doversi dimostrare non solo coraggiosa e pronta al sacrificio, ma anche essere una brava studentessa e mantenere una certa media scolastica, per questo si è ripromessa di essere diligente e mettersi sotto con lo studio.
Le domande che si pone più spesso da quando è arrivata ad Hogwarts sono -Ce la farò? Sarò all’altezza? -











Edited by Camille Donovan - 21/9/2021, 10:50
 
Top
view post Posted on 30/10/2021, 16:03
Avatar

Ama, ama follemente, ama più che puoi e se ti dicono che è peccato ama il tuo peccato e sarai innocente. (William Shakespeare - Romeo e Giulietta)

Group:
Studente Sotto Esame
Posts:
1,510
Location:
Toscana ☀️

Status:


Continua da qui

Please, let me read in your mind

A Jordan mancavano pochi mesi per terminare l'addestramento e, se tutto filava liscio, entrare ufficialmente nel corpo degli Auror. Appena tornati dall’Irlanda aveva preso in affitto un piccolo appartamento nel nord di Londra, nel borgo di Islington. Quel pomeriggio, a sua insaputa, stava andando a dargli una mano col trasloco, o meglio a distrarlo da quell’ingrato compito. Si era ripromessa di salvarlo dal sollevare e svuotare scatoloni, magari per uscire a prendere una boccata d’aria fresca, anziché quella impolverata di soffitte e scantinati. Tra l’altro doveva ancora perdonarla del tutto per il brutto quarto d’ora che gli aveva fatto passare al lago, sperava che distrarlo con qualche attività funzionasse.
Finalmente arrivò di fronte all’edificio, una struttura stile anni ’60, dalle pareti candide lievemente spuzzate dal grigio dello smog cittadino. Sfiorò il portone di legno massiccio verniciato di verde, due anelli metallici riflettevano i caldi raggi del sole del primo pomeriggio. Lo aprì senza troppo sforzo e si diresse verso le scale, una serie gradini in marmo l’attendeva. Le imboccò e in pochi istanti raggiunse il terzo piano, ritrovandosi sul pianerottolo dell’appartamento.
Bussò più di una volta, ma nessuno rispose. Per fortuna le aveva dato una copia della chiave che, senza troppe cerimonie, infilò nella serratura. Quando questa scattò abbassò la maniglia e, neanche il tempo di varcare la soglia, vide un raggio vermiglio rasentarle il fianco destro.
«JORDAN, PORCO MERLINO, MA CHE PROBLEMI HAI. SONO IO, VENGO IN PACE. GIURO!» peccato, però, che nella stanza assieme a lei non ci fosse suo cugino. Trasalì appena scorse una figura sconosciuta, immobile, distante giusto pochi passi «Chi diavolo sei tu? Dov’è mio cugino. Se gli hai fatto del male, io-» sibilò. Istintivamente portò la mano alla bacchetta, la presa ben salda, talmente salda da farle sbiancare le nocche. Era pronta a ricambiare con la stessa moneta.
«Chi sei tu semmai, ti pare il modo di entrare in casa d’altri!» a parlare fu un ragazzo alto, slanciato, dai capelli biondo cenere che doveva avere più o meno l’età di Jordan. «Ah, sei la cugina? Chi l’avrebbe mai detto!» disse squadrandola con occhi cerulei.
«Ti sorprende se riceve visite dai parenti?» sollevò un sopracciglio in segno di sfida. Voleva proprio vedere se aveva da controbattere «E comunque non hai ancora risposto, chi sei?» lo incalzò. Apparentemente, non trattandosi di una minaccia, si rilassò leggermente, ma comunque senza abbassare la guardia.
«E a te sorprende che inviti a casa degli amici?» fece una smorfia infastidita, come se l’estraneo tra i due fosse lei. Quando arricciò il naso, mise in mostra un piercing alla narice destra.
«Amici? Non mi pare mi abbia mai parlato di te!. Chiunque tu sia…» il tono era pungente e aspro. Le ultime parole lasciarono trasparire, inoltre, una certa impazienza, dato che l’altro non si decideva a rivelare la sua identità.
«Ah no? Non mi sorprende, ci siamo persi di vista dopo li studi ad Hogwarts. Lasciami indovinare, tu sei appena all’inizio? Dai proprio l’idea essere di una novellina.» con sua sorpresa le si avvicinò. Quando la raggiunse le prese il mento, stingendolo tra il pollice e l’indice, e inchiodò lo sguardo nel suo. L’espressione impassibile «Invece, io credo che mi abbia parlato di te» la freddezza con cui lo disse la lasciarono interdetta. Senza battere ciglio, la osservava come a volerle leggere dentro. Si sentiva sopraffatta, come un giocattolo alla sua mercè. Lui ne stava studiando i componenti, sezionandola parte per parte. Un brivido di paura le percorse la spina dorsale. Il corpo si contrasse. I nervi si tesero come corde di violino. E lei rimase lì. Bloccata. Incapace di muoversi. Incapace di agire. Avvolta nell’incertezza. Se si era sbagliata? Se voleva davvero farle del male? La sua sicurezza stava per crollare completamente, ma i dubbi vennero bruscamente dissipati. Almeno per il momento.
«Sei Camille, la nanerottola Tassofesso!?» la sfotté. Semplicemente gli piaceva farla innervosire.
«Tassorosso!» ringhiò «E non chiamarmi mai più nanerottola! Non ti permettere!» solo una persona poteva e non era lui. A quel punto gli mollò uno schiaffo sulla mano per farsi lasciare «E tu? Supponente, arrogante, indisponente, stronzo….eri Serpescemo!?» non era da lei esprimersi così, ma lui le stava facendo salire la bile in gola. Non riuscì a trattenersi.
«Perspicace!» sul suo volto comparve un ghigno divertito, quasi compiaciuto.
«Sei proprio un idiota, sono sorpresa che tu sia amico di Jordan!» cos’aveva da spartire con uno così? Nonostante avesse abbandonato la presa, non accennava a spostarsi. E lei, d’altro canto, dal basso del suo metro e cinquanta continuava a fissarlo in cagnesco.
«Davvero non sei convinta? Vuoi sapere come ci siamo conosciuti?»
«A quanto pare il soggetto della contesa ama farsi attendere oggi, quindi ho del tempo da perdere…» lo sguardo ancora indurito iniziò a sciogliersi, lasciando posto alla curiosità. Voleva proprio sapere chi era il suo interlocutore. Con chi aveva a che fare? Tra le pile di oggetti imballati scorse una poltrona libera e vi si accomodò. Era tutta orecchie «Allora? Hai cambiato idea?» con il braccio indicò un divanetto proprio lì di fronte, invitandolo a sedervisi e cominciare a parlare.
«Credo ne avrà per un bel po’, la montagna di cianfrusaglie che ha portato in cantina poco fa l’avrà sommerso a quest’ora…» senza protestare obbedì «Partiamo dal principio…Io sono Maxwell Morris, forse non proprio lieto di conoscerti.» le labbra sottili piegate in un sorriso sghembo.
«Sappi che la cosa è reciproca!» riversò in quell’affermazione tutta la sua schiettezza, tutta la ritrosia causata da una prima impressione negativa. Cosa si aspettava il ragazzo dopo uno scontro incontro poco pacifico?
«Touché!» alzò le mani mostrando i palmi in segno di resa. «Come ho già detto, mi chiamo Maxwell e ho conosciuto Jordan ad Hogwarts. Eravamo allo stesso anno, ma in Case diverse.» fece una pausa, forse in cerca dei termini giusti per descrivere il loro rapporto da studenti. «All’inizio non ci sopportavamo, ma, come dire, dopo aver vissuto insieme un’esperienza abbastanza imbarazzante abbiamo iniziato a frequentarci.» Imbarazzante. Non sapeva dove sarebbe andato a parare con “imbarazzante”, ma intanto la fece sghignazzare sonoramente. Tentò immediatamente di soffocare il rumore, onde evitare di interrompere il racconto.
«Sono per caso diventato un comico tutto d’un tratto?» si accigliò, regalandole poi un’occhiataccia.
«No, scusa. Vai pure avanti…» non voleva certo dargli un’altra scusa per litigare. Mentre il suo interesse nei confronti degli avvenimenti narrati aumentava, cercò di ritrovare un minimo di contegno.
«Come preferisci…» un istante di silenzio, interrotto solamente dal sospiro rassegnato di Maxwell, ormai pronto a proseguire.
«Eravamo appena rientrati dalle vacanze estive, frequentavamo il Quarto Anno. Una mattina, durante un’ora buca, ci trovavamo in giardino e mostrai ad alcuni concasati un qualcosa che, beh, avrebbe potuto costarmi una punizione. Indovina chi s’intromise?» accompagnò la domanda retorica con un cenno d’intesa.
«Prima di partire da casa presi in prestito, o meglio rubai diverse fiale di Pozioni ed alcuni ingredienti per prepararle dalle preziose scorte di mio….padre» sputò l’ultima parola come fosse veleno. Di colpo si rabbuiò. Con il timore di farlo chiudere a riccio, non ebbe il coraggio d’indagare.
«Alcuni intrugli finirono persino nel lavandino del suo laboratorio, seguiti poi da qualche coccio…» non c’era rimorso nella sua voce, solo disprezzo. «Il bastardo era un Pozionista, o almeno si definiva tale. Quella volta puntai ad infilare qualche bastone tra le ruote ben oleate del suo lavoro. Non so neanche che fine abbia fatto quel figlio di-» si trattenne a stento. Serrò i pugni, il giovane viso deformato da una maschera d’odio. Non immaginava neanche lontanamente quello che doveva aver passato, cosa lo portava a provare tanto livore verso il genitore. Lei si fece piccola, piccola, sentendosi un’intrusa sgradita nella sua vita.
«La ciliegina sulla torta? utilizzai davvero una parte del mio “bottino”.» pian, piano parve calmarsi. Tornò ad assumere una postura meno rigida.
«La presenza di Jordan e l’altro tuo cugino, Christopher, rese tutto più stuzzicante. Una sorta di sfida ad infrangere le regole. Mostrai anche a loro ciò che tenevo in mano, era dell’algabranchia, e gli esortai a fare un bagnetto nel Lago Nero.» aveva l’impressione di averla già sentita quella storia. O perlomeno un accenno ad essa.
«Ci immergemmo. Peccato, però, che quando tornammo in superfice il vecchio Gazza si aggirasse proprio sulla riva, in cerca di cosa ancora ce lo stiamo domandando. Forse della sua dannata gatta, ogni tanto capitava che sgattaiolasse tra gli alberi del giardino. Appena si girò di spalle, corremmo come pazzi verso un cespuglio lì vicino, dove restammo nascosti una buona mezz’ora in costume. Infreddoliti e ad incolparci a vicenda. Col passare dei giorni ci ridemmo su e cominciammo a progettare insieme altre scorribande.»
«E dopo? Come vi siete ritrovati?» pigolò. Nonostante la tentazione fosse molta, ancora non osava chiedere approfondimenti sul resto.
«Al Ministero. Sono uno Spezzaincantesimi. Ho incrociato Jordan per caso nell’atrio, mentre andava al quartier generale degli Auror per sbrigare alcune questioni burocratiche.»
«Uno Spezzaincantesimi?» aveva letto di personaggi storici che svolgevano quel mestiere su diversi libri scolastici, ma erano informazioni sommarie «Cosa fa esattamente uno Spezzaincantesimi?»
«Per fartela breve ci occupiamo di annullare antichi sortilegi e maledizioni, che siano posti a protezione di manufatti magici o luoghi specifici. Molti non sono capaci, quindi chiamano noi. Lo so, messa su questo piano non sembra granché come lavoro. Il vero vantaggio? Viaggiare.» viaggiare le piaceva, ma ci vedeva anche un sostanziale lato negativo: sentire la mancanza della famiglia, degli amici. Come poteva sopportarlo lui?

«I viaggi sono il motivo principale per cui ho perso i contatti con le mie vecchie conoscenze. Poco tempo dopo i M.A.G.O ho ottenuto il mio primo incarico e sono partito per l’Egitto. Sono rimasto lì per un mese.»
«Dev’essere fantastico…quali altri paesi hai visitato finora?» sognando ad occhi aperti, si ritrovò a pensare a quante cose meravigliose doveva aver visto.
«Sono stato in Cina lo scorso anno e in Perù giusto qualche settimana fa. Gli Incas erano dei geni in fatto di maledizioni, quasi al pari degli egizi. Scommetto ti divertiresti, ogni tanto dobbiamo fare attenzione a non rimanerci secchi, però ha il suo fascino!»
«Sicuramente, ma…» esitò un istante prima di continuare «Non ti senti mai solo? Insomma, essere sempre in giro tiene lontano dalle persone…care» si era già pentita amaramente di averlo chiesto.
«Ho imparato a preferire la solitudine alla presenza di persone false, pronte a ferirti alla prima occasione, o a considerarti strano solo perché non sei esattamente come loro…»
Schiuse le labbra indecisa se dar voce a ciò che le frullava nella mente oppure tacere. A suo rischio e pericolo scelse la prima opzione «È per via di tuo…padre? Cosa ti ha…fatto? Perché lo odi tanto?»
«Quello che avevo da dirti su di lui te l’ho detto, non credo ti convenga conoscere i dettagli!» replicò secco.
«Scusa, io…» *Complimenti per il tatto. Quanto puoi essere stupida!?* si rimproverò mentalmente.
«È solo che…non riesco a…» si morse la lingua. Doveva imparare a tacere. «Fa finta che non abbia chiesto niente, non dovevo intromettermi!»
«Non riesci cosa? Non credi fosse un poco di buono? Vuoi delle prove tangibili? Bene, allora lascia che ti mostri una cosa!» con lentezza prese a rimboccarsi meticolosamente la manica della camicia, lasciando libero l’avambraccio sinistro. «N-non è necessario…Io non-» ciò che vide la lasciò di sasso. In rilievo, una sottile linea diafana gli solcava la pelle. Era una cicatrice lunga circa 15 cm.
«Se teneva a me non mi avrebbe lasciato questo splendido ricordo, uno dei tanti per l’esattezza.» portò la mano al collo, scostando il bavero scoprì, all’altezza della clavicola, un lembo di pelle che portava i segni di un’ustione.
«Quando avevo la tua età, forse poco più, scoprii di avere una vocazione particolare che a lui non andava a genio. Lo terrorizzava. Da quando morì mia…» aveva toccato un tasto dolente. Aveva riaperto una ferita troppo profonda e mai rimarginata.
«Da quando morì mia madre entrambi siamo cambiati drasticamente. Io sono diventato scontroso, turbolento e lui mi detestava per questo. Lui voleva solo soffrire in pace. Una volta mi disse che era meglio non fossi mai nato.» si coprì nuovamente l’avambraccio, conscio di aver rivelato e mostrato fin troppo di sé.
«Immagina quando capì cos’ero in grado di fare. Per lui ero solo un…mostro» si lasciò andare poggiandosi allo schienale del divano, evitando accuratamente di guardarla.
La Tassorosso sbiancò. Non sapeva come comportarsi. Come poteva rimediare al danno appena fatto? Le sue corde vocali erano annodate, non avevano intenzione di emettere alcun suono. Quello che emise fu un brusio indistinto, o almeno sperava risultasse tale «Io, ecco…non credevo, mi dis-»
L’altro, invece, la sentì e tornò a concentrarsi su di lei «Eccola, la faccia della pietà!» sbottò, azzittendola malamente. «Capisci perché non volevo aggiungere altro?» si percepiva il suo risentimento alla distanza di un miglio.
Ovviamente l’aveva fraintesa. Poteva andare diversamente? «Guarda che-»
«Max, ci sei ancora?» la voce di Jordan la fece sobbalzare «Ci ho messo più del previsto, ma adesso poss-» quando notò la presenza della cugina rimase sorpreso. «Ho interrotto qualcosa?»
«Lascia perdere…» tagliò corto Maxwell. Dal suo tono trasparì tutta la malcelata tensione che aleggiava tra di loro.
«No, tranquillo…» mormorò lei.
«No, non lascio perdere. Max, ti conosco come le mie tasche, te lo leggo in viso. Cosa è successo?»
«Niente, non è successo niente!» si alzò di scatto, dirigendosi verso la finestra dall’altro lato della stanza.
«Con te non è mai niente. Dimmi almeno che non è come penso. Non hai mica utilizzato quella cosa con lei?»
«Cristo Jordan, è una ragazzina, non userei mai-» nascose il volto tra le mani, passandole poi tra i capelli, cercando invano di calmarsi. «Proprio perché mi conosci non dovresti trattarmi come quella…quella carogna!»
«Si può sapere di cosa state parlando? Usare cosa?» adesso era perplessa.
«Se vuoi impallidire di nuovo te lo spiego!?» non era sarcastico, ma terribilmente serio.
«Max, stai esagerando!» redarguì l’amico prima di rivolgersi a lei «Comunque, al momento meglio che tu non sappia, non credo tu sia pronta!»
«Come sempre, no. Tanto non faccio mai la cosa giusta…»
«Non ho detto questo!»
Voleva scomparire. Non era il caso di restare lì un minuto di più, non con quell’atmosfera «È meglio che me ne vada. Non dovevo venire.» prese le sue cose e si diresse verso l’uscita. Suo cugino le disse qualcosa, ma lei non lo sentì. O meglio, non volle ascoltare. Lasciò l’appartamento. Una volta all’esterno inspirò profondamente. Ne aveva abbastanza. S’incamminò senza una meta precisa, le bastava schiarirsi le idee.

Prova Words of Magic:
Body n°3 - Il tuo PG incontra un PNG sconosciuto e si fa raccontare la sua storia.





 
Top
view post Posted on 30/4/2022, 19:21
Avatar

Ama, ama follemente, ama più che puoi e se ti dicono che è peccato ama il tuo peccato e sarai innocente. (William Shakespeare - Romeo e Giulietta)

Group:
Studente Sotto Esame
Posts:
1,510
Location:
Toscana ☀️

Status:


Contest di scrittura | Aprile 2022

Alcune necessarie precisazioni
Anzitutto scusa la prolissità, ma serviva a me per dare un quadro preciso della situazione anche a chi, magari, non ha letto il mio primo post che parla del PNG legato alla mia Tassina. Camille, infatti, incontra il personaggio di Maxwell per la prima volta qui (click).

Revealed, it's time
«Dobbiamo proprio andare da lui» fredda, distaccata. Un pizzico di veleno sulla punta della sua lingua. Difficilmente reagiva così, ma quando si trattava di lui diventava dura come la pietra.
«Si può sapere cos’hai contro Maxwell? Credevo che dopo l’ultima volta le acque si fossero calmate…» *Calmate? Certo, come no!*
«Ci vorrà ancora parecchio prima che si plachino, credimi…» come poteva dare totale fiducia a Maxwell? Forse Jordan era a conoscenza dei suoi segreti, ma lei no. Ciò la metteva a disagio ogni volta che l’altro incrociava il suo cammino, come quel sabato pomeriggio.
L’aria di fine Aprile era tiepida, una leggera brezza le scompigliava i capelli ed il sole, ormai non più tanto timido, le sfiorava le guance mentre passeggiavano lungo le vie di Kensington. Non ci misero molto a sbucare in Argyll Road, raggiungendo poi il numero 125.
«Arrivo!» la voce del ragazzo li accolse appena suo cugino bussò. Lontana, smorzata dalla presenza di una porta in legno, verniciata di un rassicurante azzurro cielo.
Quando aprì, posando gli occhi cerulei su di loro, un’espressione stupita s’impadronì del suo giovane volto «Che ci fate qua? Non vi aspettavo…»
«Bella domanda…» bofonchiò tra sé e sé.
«Siamo solo di passaggio…» esordì Jordan, dopo averle rifilato una gomitata ben assestata nelle costole. Era tentata di ripagarlo con la stessa moneta mentre, con aria corrucciata, si massaggiava il fianco «Sono venuto a portarti questo…» con gesti rapidi estrasse dall’interno della giacca un libro, sventolandolo davanti all’amico. «Te lo avevo promesso, no? Il Volume sugli antichi sigilli magici che tanto cercavi!» concluse compiaciuto.
«Allora dovrete rimandare i vostri programmi! Io devo ringraziarti e tu, beh, devi assolutamente raccontarmi come hai convinto quel testone di Greenwood a lasciartelo in prestito!» con un sorriso sincero si spostò, facendo strada con il braccio sinistro dentro l’abitazione. Era in tempo per fare dietrofront? La risposta? No.
«Non è stato semplice, te lo assicuro…» venne sospinta dentro, senza avere la possibilità di replicare.
Al contrario di quanto si aspettasse, l’interno non rispecchiava la cupezza che aveva riscontrato in Maxwell. Era luminoso, con parecchie finestre, le pareti di un bianco accecante. Nell’ambiente aleggiava odore d’incenso, abbastanza pungente da stordire. Uno stereo era acceso, rilasciava in sottofondo “Disguise & Dismay”, della band Skull&Roots. Un sound che gli si addiceva.
«Lo credo bene, l’ultima volta che gli ho chiesto un favore mi ha fatto rimpiangere per mesi di essermi rivolto a lui!» si sedettero su due poltrone in pelle affiancate, non ci fu bisogno d’invito reciproco. Che ci faceva lei lì? Si sentiva un pesce fuor d’acqua, tant’è che rimase in piedi come un’idiota finché, sentendosi osservata, si andò a rannicchiare in un angolo del divano poco distante, puntò lo sguardo altrove per perdersi ad osservare chissà cosa. Probabilmente il vuoto.
«Cosa c’è, tuo cugino ti ha silenziata come i Fwooper?» il solito tono fastidiosamente sbeffeggiante, mentre con il capo indicava l’altro.
«È semplicemente…offesa! Non era nei suoi piani, ecco, seguirmi in questa deviazione, giusto?»
Non riuscì nemmeno a rispondere, non ne aveva la benché minima voglia. Tutto ciò che le uscì dalla bocca fu un grugnito sommesso, un suono gutturale che implicitamente intimava di lasciarla perdere.
«Immaginavo, colpa mia…» il sarcasmo, stranamente, cominciava a scemare. L’espressione si fece lievemente più seria «Devo fingermi sorpreso, o…» il resto gli morì in gola. In fin dei conti sapeva di non essersi presentato con il miglior cartellino da visita l’estate precedente. Da lì le cose non erano migliorate, ma neanche peggiorate dopotutto. Era una sorta di stallo. Nessuno dei due aveva provato a smorzare la tensione. Si studiavano a vicenda, cercando di capire fin dove spingersi per non infrangere quel sottile e precario equilibrio. Sospirò «Non mordo, tranquilla. Almeno, non sempre…» non sempre, come un animale che mostra i denti quando si sente braccato. Lei aveva già oltrepassato, anche se di poco, il limite impostole e lui aveva ringhiato. Evidentemente temeva riaccadesse perché quella, seppur addolcita da calma apparente, era un’ammonizione in piena regola. «E tu? Hai intenzione di mordere?» ed eccolo tornare come al suo solito, irritante.
«Fossi in te starei attento alle dita…» i suoi tentativi d’ignorarli stavano per fallire. Roteò gli occhi al cielo, fino ad un secondo prima fissi su un cortiletto nel retro, senza vederlo realmente, incorniciato da una porta-finestra lungo la parete alla sua destra.
«Hmm, dici? Hai consigli su come potermi difendere?» a quel punto un lieve fruscio attirò la sua attenzione. Voltandosi, vide Jordan sussurrare qualcosa nell’orecchio a Maxwell.
«Sono qui, non serve che tramiate alle mie spalle…» l'irritazione colorò vivacemente la sua voce. Cos’avevano da confabulare?
Il suo corpo scattò sull’attenti quando Maxwell, tendendo una mano, la incalzò con un «Seguimi!» non c’era niente di strano nel suo gesto, nel modo in cui si era posto. Tutto sembrava solo…conciliante.
«Perché dovrei?» non si fece scappare l’occasione di regalargli un’occhiata di sfida.
«Perché non dovresti?» non parve cedere, ma se lo aspettava. Già, perché non doveva? In fondo cosa rischiava?
«Oh, e va bene!» non proprio vogliosa, ma piuttosto curiosa si alzò. Non prese la mano offertale, anzi portò la propria distesa, serrandola lungo il fianco, come a dirgli che non era necessario alcun contatto fisico. «D’accordo, andiamo» Secca. Decisa. Non poteva più tirarsi indietro.
«Non uccidetevi a vicenda, mi raccomando! Non ci tengo a nascondere i vostri cadaveri…» le parole di Jordan la raggiunsero mentre lasciava la stanza. Da lì, silenzio.
Faceva bene a regalargli un briciolo della sua fiducia? Poteva essere un passo avanti? Il primo tassello delle sue difese cadde. Cadde inarrestabile in un baratro scuro e profondo.

******


La loro meta era al piano di sopra. Una porta anonima, al termine di un corridoio spoglio, li attendeva. Quando l’altro la spalancò, ciò che si trovò davanti era l’ultima cosa che si aspettava.
«Cos- cos’è questa stanza?» era genuinamente sorpresa e affascinata.
«Diciamo che è la mia…Tana! Salgo qui per passare il tempo, leggere qualcosa e ascoltare musica…» sparsi qui è là, apparentemente in ordine casuale, c’erano scaffali lignei pieni di libri e vinili, intervallati ogni tanto da gingilli ornamentali: piccoli vasi, statuine, cofanetti contenenti chissà cosa, candele, e molto altro. Il profumo della pergamena e della cera impregnava piacevolmente ogni cosa. Il perimetro era rettangolare, il soffitto alto e arioso, dipinto di blu notte, in contrasto con le pareti avorio. Su di esso spiccavano le riproduzioni di alcuni strani simboli, non aveva idea di cosa rappresentassero. Aleggiavano scintillanti, in rilievo scoppiettavano come fiamme nel camino. Non a caso, le sfumature erano quelle del fuoco.
«E come, come fa ad essere così grande?» ebbene sì, era decisamente sproporzionata rispetto alle dimensioni reali della casa.
«Piuttosto comodo l’incantesimo d’estensione, non trovi? Soprattutto quando hai un sacco di roba e non sai dove metterla, come nel mio caso…» la sua collezione, effettivamente, sembrava infinita.
«Perché hai voluto mostrarmi questo posto?» era ragionevolmente sospettosa, non credeva potesse svelare altro di sé, almeno non a lei.
«Un uccellino mi ha detto che poteva interessarti!» un occhiolino e uno sguardo d’intesa, convinto che avrebbe capito. «E poi, non eri curiosa, tempo fa, di sapere di più su di me? Beh, a quanto pare abbiamo anche qualcosa in comune…» forse.
«Può darsi…» Uno. Due. Tre. Quattro. Diversi altri mattoncini delle sue difese, uno dopo l’altro, caddero, compromettendo gravemente il solido muro che aveva costruito tra lei e Maxwell. E lui? Per lui valeva la stessa regola? «Posso?» la richiesta le uscì spontanea, anche se con una leggera incertezza. Tra un pensiero e l'altro i libri e il resto la chiamavano come sirene. Voleva ficcanasare, era innegabile.
«Fa pure, ma vedi di non rompere niente!» sollevò un sopracciglio, rovistando poi nelle tasche per estrarne un pacchetto di sigarette e un accendino. L’uno, ormai libero di creare sbuffi di fumo, sembrò volerle veramente venire incontro. L’altra, libera di gironzolare, si nascose dietro la prima scaffalatura che le capitò a tiro. Saggiò con le dita le varie costine, leggendo i titoli dei tomi o estraendo un disco per ammirarne la copertina.
«Hai un Autore o un Artista preferito tra tutti questi?» ce n’erano sia di babbani che appartenenti al Mondo Magico. Alcuni a lei conosciuti, altri dei perfetti sconosciuti.
«Non ci ho mai riflettuto, sai…» attese qualche secondo e aggiunse «Forse neanche ne ho uno. Ad ognuno sono legati dei ricordi particolari, penso sia difficile scegliere…E tu? Ne hai di preferiti?»
«Io, ecco…» non riuscì a terminare, il suo sguardo venne attratto da una cornice argentata, molto fine. Coperta dalla barricata che la separava dall’altro, si fece spavalda. Si scoprì ad allungare le dita. Ad afferrarla. Una giovane donna dai capelli dorati sorrideva radiosa, le sue braccia avvolgevano le spalle di un bambino identico a lei. Sembravano…felici.
«Tu cosa?» Maxwell cercò di richiamarla alla realtà, ma lei non lo sentì. Pensava di conoscerlo quel bambino, anche se ora era un uomo e, probabilmente, non più così felice come in quello scatto. Non osava chiedere. Le fece tenerezza. Si ritrovò a sperare che il pezzo di ghiaccio che era oggi si sciogliesse, che si aprisse come i libri che la circondavano. Che, semplicemente, si raccontasse completamente, non come un capitolo lasciato a metà sul più bello. Cosa nascondeva? Aveva già tentato invano di scoprirlo, ma con il risultato di essere azzittita malamente. L’iniziale sussurro di quel flusso di pensieri divenne un grido nella sua mente. Un grido che somigliava vagamente ad un “parlami!”. Rimbombò in lei come un tuono durante la tempesta, ma venne sovrastato ben presto da qualcosa di ben più assordante.
«NO!» l’urlo di Maxwell la fece sobbalzare bruscamente, permettendo alla cornice di svicolare dalla sua presa. Una cascata di frammenti di vetro si depositò ai sui piedi.
«Cazzo…» sibilò a denti stretti. Cosa lo aveva spinto a reagire così? Si guardò attorno, lui non c’era, non poteva averla vista, non poteva trattarsi della foto. Infatti, comparve solo un’istante dopo.
«Io- …scusa, non volevo…» riuscì a malapena ad articolare quando gli si parò davanti. Non le disse niente. La ignorò, recuperò la bacchetta e con dei semplici movimenti pose rimedio al suo danno.
«Ti avevo detto di stare attenta…» Glaciale. Distaccato. Era accaduto di nuovo. Aveva commesso di nuovo un errore, era andata ancora oltre, ma come stavolta? Poggiò quel ricordo al suo posto, quasi volesse seppellirlo da qualche parte in mezzo alle cianfrusaglie perché troppo doloroso.
«Perché hai gridato?» si era fatta coraggio, ora stava a lui darle una spiegazione valida.
«Perché non dovresti impicciarti degli affari che non ti riguardano…» ammiccò verso la cornice, ormai tornata intatta.
«Non è per quella!» mise tutta la sua convinzione in quell’affermazione «Non puoi avermi vista. Non eri qui, ne sono sicura!»
«Invece sì!» il tono non era del tutto fermo, qualcosa lo fece tentennare.
«Ti dico di no!» era piccata, conscia di avere ragione.
«Vuoi proprio saperlo?» sospirò rassegnato «Mi crederesti se di dico che ho percepito le tue intenzioni? Che mi hai praticamente pregato di parlarti di lei, di…noi?»
«Non è vero, io non ho parlato! Non puoi aver-» *sentito cosa pensavo?*
«Non era il suono che intendi tu, proveniva da qua…» con l’indice le picchiettò sulla fronte «Non rispondevi…Avevi abbassato la guardia e, beh, ecco, io ne ho approfittato…» era quasi in imbarazzato.
«Tu cosa? Non è possibile, non si può leggere la mente!» almeno, per quanto ne sapeva lei. Le suonavano come delle fesserie. Fesserie, però, che la fecero rabbrividire.
«Ovviamente, non mi credi…» Delusione. Questo traspariva dal suo viso.
«Come potrei?»
«Vuoi una dimostrazione? Ti assicuro che la mente altrui è argilla per me, posso manipolarla come voglio!»
«Io n-non-» si ritrovò a vacillare, a fare un passo indietro per allontanarsi da lui.
«Allora?» la sua voce era calma, fredda come il vento dell’Artico. La stava spaventando.
Non rispose.
«Hai paura, ma non sei ancora completamente convinta, vero!?» riportò la mano alla bacchetta. Cosa voleva fare? «Non sentirai nulla, promesso…» diminuì drasticamente la distanza tra loro, bloccandola con le spalle alla scaffalatura.
«FERMATI, COSA VUOI FARE!» non sembrò importargli delle sue proteste. Le prese il mento tra il pollice e l’indice, stringendo forte. Inchiodò gli occhi nei suoi, puntandole la bacchetta alla tempia sinistra.
«Legilimens!» Buio. Quando le luci si riaccesero, dei fotogrammi sconnessi cominciarono ad essere proiettati.

Volti familiari di amici. Neve. Tanta neve. Schiamazzi allegri di viandanti in festa. L’odore dello zenzero. E, infine, fuochi d’artificio. Un tripudio variopinto di scintille che, come in un quadro di Pollock, schizzavano la tela di un cielo al tramonto. Lo spettacolo anticipato da boati e seguito dalle risate cristalline dei presenti.


Buio. Un urlo lo squarciò. Si senti cadere. Scivolò lentamente fino a toccare il pavimento. Le spalle ancora ancorate al legno delle mensole. Quando la nebbia si diradò, vide Jordan che spingeva da parte Maxwell.
«SI PUÒ SAPERE COSA INTENDEVI FARE??»
«Voleva sapere, io l’ho accontentata! Perché dovevo nascondermi?» non era minimamente sconvolto, al contrario dell’amico.
«Cristo Max, certe volte non ti capisco proprio!» strinse i pugni, probabilmente nel tentativo di trattenersi dal colpire l’amico.
«Cos- cosa è successo?» biascicò. Gli occhi sgranati, vacui, che fissavano il nulla.
«Stai bene?» suo cugino cercò di aiutarla, ma lei lo fermò. Non voleva essere toccata.
«Credo di sì…» fisicamente stava bene, ma psicologicamente era turbata.
«Quando ci siamo conosciuti volevi sapere perché mio padre mi odiava, giusto? Beh, era per questo…» allargò teatralmente le braccia. «Sono quello che chiamano…Legilimens Una vocazione che ho…avevo in comune con mia madre, solo che l’ho scoperto tardi e lei non ha potuto insegnarmi…»
«Max, ora basta!» l’altro non l’ascoltò.
«Non ti ho fatto niente, non preoccuparti! Ho solo sbirciato nei tuoi ricordi, nient’altro. Potevo plasmarli a mio piacimento, ma non l’ho fatto…»
«Ma comunque hai agito nonostante ti avessi di no, perché? Non bastava parlarmene, o mostrarmi un testo che trattasse l’argomento? Ne avrai uno, no?» Era furiosa. Le veniva da vomitare. Le lacrime cominciavano a pungere, ad insistere per sgorgare. Non avrebbe digerito tanto facilmente quella rivelazione, non dopo che aveva provato quello schifo sulla sua pelle. Si sentiva violata, ma allo stesso sporca, come se fosse colpa sua. D’altra parte lei glielo aveva permesso, seppur inconsciamente.
«Non sarebbe stata la stessa cosa, non in quel momento! Dovevi capire…» Capire. Certo, come no.
«Vaffanculo! Ti prego Jordan, andiamo via…» se doveva piangere, sfogarsi, non voleva farlo lì. Inoltre, voleva mettere più distanza possibile tra lei e Maxwell.
code by Camille


Precisazioni post-lettura
Non è molto simpatico Maxwell, ma spero possa, con la sua Vocazione, essere un frammento fondamentale che compone la strada che ho scelto di far intraprendere a Camille, se tutto va per il verso giusto :secret: Era già da un po' che avevo in mente di scrivere questo post, far rivelare la natura di Legilimens di Maxwell a Camille, e questo contest è stata la scusa perfetta :<31:
 
Top
view post Posted on 31/10/2022, 19:01
Avatar

Ama, ama follemente, ama più che puoi e se ti dicono che è peccato ama il tuo peccato e sarai innocente. (William Shakespeare - Romeo e Giulietta)

Group:
Studente Sotto Esame
Posts:
1,510
Location:
Toscana ☀️

Status:


Contest a Tema Ottobre 2022: Fiera

Dunque, tutto ciò prosegue da qui.
Per sapere invece di più su Maxwell, consiglio vivamente di leggere qui e qui :zalve: :<31:



20221006-175251






«Tu. Io. Festa di Halloween. Harrington Square. Tra un’ora rompo burrascosamente la quiete dell’appartamento di Jordan. Scivolo al suo fianco sul divano, picchiettando vivacemente l’indice su un volantino – la grafica in bianco e nero, il testo macabramente colorato in risalto – che sventolo davanti al suo naso.
«Non accetto un no come risposta.» sollevo un sopracciglio mentre attendo impaziente la sua reazione. Stranito, chiude di scatto il libro che tiene in grembo.
«Allora?» lo incalzo.
«Allora cosa? Lo sai che non fa per me già da un bel po’ partecipare a questi eventi.» fa spallucce sperando di liquidarmi in fretta, ma si sbaglia.
«Oh andiamo! Per una volta che fanno qualcosa d’interessante nel tuo quartiere….» insisto, certa che avrò la meglio su di lui come al solito. «…ci saranno cibo e attrazioni a tema.» riporto nuovamente l’attenzione sul volantino, indicando un paio di righe in rosso scuro sul fondo.
«Vuoi provare a corrompermi con del cibo e dei giochi per ragazzini? Davvero?» tremendamente sarcastico, l’espressione di chi vorrebbe tornare agli affari propri senza ulteriori interruzioni.
«Che gran simpaticone…» lo rimbecco, ruotando le iridi al cielo prima di continuare «Da quanto non festeggiamo Halloween insieme?» l’euforia comincia a perdere le sue tinte accese, si assottiglia fino a svanire.
«Camille…» il mio nome suona come una predica, lo pronuncia assieme ad un sospiro.
«È chiedere troppo voler passare questa giornata con mio cugino? Come ai vecchi tempi?» i toni s’ingrigiscono totalmente. «Ti preegooo…» lo supplico.
«Va bene, tanto lo so che continueresti a tormentarmi.» rassegnato poggia il volume sul tavolo «Prometti però che non mi chiederai d’indossare maschere assurde!» un sorriso illumina il mio volto istantaneamente, felice che abbia cambiato idea.
«D’accordo, ma solo se mi concedi una sfida al loro famigerato tirassegno stregato lo stuzzico, rifilandogli una gomitata scherzosa nel costato.
«Ci tieni a perdere, come ai vecchi tempi
«Vincevi perché baravi usando la bacchetta, lo sai benissimo. Lì non potrai farlo, però.»
«Ancora con questa storia? Lo dici solo perché non riesci a digerire la sconfitta.»
«Io non digerisco le sconfitte? Ma non dire bolidate!»
«Lo vedremo, vai a prepararti.» ammicca verso le nostre giacche spiegazzate, poste senza troppa cura su una sedia vicino all’ingresso. Non me lo faccio ripetere due volte.
Pregusto già la spensieratezza che ci doneranno le ore successive: il ritornare piccoli, le luci ed i suoni delle giostre, le risate dei visitatori di passaggio, il profumo di zucchero che invade le narici. Non immagino minimante che questo possa andare in frantumi in un battito di ciglia.

********


L’allegria pervade ogni angolo della piazza, incorniciata dalle sfumature autunnali. Il tramonto è alle porte, il cielo prende fuoco, si fa aranciato diventando un tutt’uno con le foglie che costeggiano il percorso che serpeggia attraverso le bancarelle. Gli schiamazzi della folla si mischiano a quelli dei venditori ambulanti e dei giostrai.

“Non siate timidi!
Venite a fronteggiare le vostre paure nel tunnel degli orrori!
Morti che camminano, vampiri, spettri. Questo e tanto altro vi attende!”


Un uomo con un completo viola stinto e rattoppato tiene banco, la faccia coperta di cerone e gli occhi contornati di nero, dietro di lui – di guardia all’accesso – il fantoccio di una mummia piuttosto realistico. Noi, intanto, passiamo oltre.
«Ti sei ricreduto?» mostro orgogliosa la coccarda da primo posto che ho guadagnato al tirassegno «Che ti avevo de-» m’interrompo, un bambino ci viene incontro correndo:

“Tanto non mi prendi!” grida al suo inseguitore, una bambina dalle trecce bionde che gli sta alle calcagna.
“Ridammi il mio pupazzo!” si picca lei.



Tirano dritto senza accorgersi della nostra presenza, rischiando di far cadere le bibite ormai dimezzate che abbiamo in mano.
«Per Merlino, c’è mancato poco.» stringo d’istinto il bicchiere in plastica, cercando di riprendere il filo del discorso «Quindi? Che mi dici?»
«La fortuna del principiante.»
«Cosa! Sei proprio un Troll figlio di Morgana.» gli rifilo un’occhiataccia «Ricordami un po’ chi tra noi due non accetta le sconfitte, eh?»
«Io no di certo, ma se ci tieni a darmi la rivincita per dimostrarlo…»
«Ummm vedremo, dopo forse, volevo fare prima un salto alla casa degli specchi.» si trova poco più avanti, una struttura in legno dall’esterno anonimo, l’unica non addobbata.
«Come vuoi. Però comincio ad avere fame, prendo qualcosa da mangiare e poi entriamo insieme, ok?»
Annuisco.
«Porto qualcosa anche a te?»
«Per ora no, grazie. Ti aspetto là.» ci separiamo. Vedo Jordan dirigersi verso il chiosco più vicino, io invece mi avvio nella direzione opposta.
Quando arrivo dintorno è deserto, ne approfitto per salire le scalette che conducono all’entrata e aspettarlo lì e, perché no, per dare una sbirciata preliminare all’interno. Raggiungo la cima e la schiena tocca la ringhiera, provo a portare il bicchiere alla bocca per terminare il contenuto, ma neanche le sfiora, si ferma a metà avanzata.
«È proprio piccolo il mondo.»
La voce è come una stilettata, perdo la presa e avverto un tonfo sordo. Il latte corretto con sciroppo di lamponi si spande ai miei piedi in una chiazza – sangue che sgorga da un taglio letale –, intride le assi irrimediabilmente. Non c’è nessun cadavere però, anche se sono fredda e pallida come se fossi già tre metri sotto terra.
Percepisco i suoi passi, i gradini scricchiolano reggendo il suo peso.
La rabbia cresce e le unghie si conficcano nei palmi. Finalmente decido di muovermi, mi scosto dalla ringhiera – i pugni ancora serrati lungo i fianchi – mi volto verso di lui e arretro finché lo spazio me lo consente. Uno spazio vitale che preferirei condividere con chiunque tranne che con Maxwell Morris.
«Fin troppo.» nonostante detesti trovarmelo davanti, ingoio il rospo e mi pongo in maniera piatta, gelida.
«Talmente tanto che manca l’aria.» aggiungo. A quel punto non mi resta che cercare d’imboccare l’unica via di fuga rimasta – ovvero dentro l’attrazione –, sperando che non mi segua. Se ha da dirmi qualcosa non voglio ascoltarlo, non ora, non in mezzo alla gente.
Appena varco la soglia avverto una pressione sulla spalla. M’irrigidisco e stavolta non mi trattengo, scaccio la sua mano con cattiveria.
«Non farlo mai più alle sue orecchie potrebbe risultare un ringhio sommesso.
«Non posso neanche provare a fornirti delle spiegazioni?»
«Credi veramente che delle spiegazioni valide cancelleranno quello che hai fatto? L’esserti intrufolato nella mia mente senza…senza…» senza che ti dessi il consenso? Mettendomi alle strette, letteralmente? Ho ancora il voltastomaco, ma evito di vomitargli addosso bile mista a ciò che penso di lui.
Mi fissa e tace.
«Bene, non abbiamo altro da dirci.» faccio per andarmene, di nuovo.
«Aspetta.» perché non mi lascia in pace?
«Ti ho detto che non voglio parlare.»
«Capisco che-» Capire? S’illude veramente di capire? Non resisto, esplodo e le parole esondano come un fiume in piena.
«Capisci cosa?» tronco il suo discorso sul nascere «Che sei stato uno stronzo? O peggio?» la mia intenzione di non affrontarlo sta andando in fumo, mi costringe a fare i conti con lui, con quello che provo. «Non puoi sapere come ci si sente ad essere violati così.» la sensazione d’impotenza, la totale incapacità di reagire. Restare semplicemente preda di un manipolatore, un abile burattinaio, come lui stesso s’era descritto in qualche modo.
«Non puoi ripeto con durezza.
«Ho desiderato…» deglutisco a fatica, la gola è cartavetrata «Ho desiderato che tu sparissi per sempre, che non restasse traccia di te nella mia vita.» ma non sarebbe bastato un Evanesco ben castato.
«Ho desiderato che la persona che ho visto quel giorno, quel…quel-» non so come definirlo. Vorrei chiamarla quella che era solo l’ombra di un umano – senza luce o gentilezza negli occhi – posta sulla mia strada – oppure, molto semplicemente, io stessa avevo cercato ossessivamente quell’essere –.
Magari se gli trovo un nome, se glielo grido in faccia se ne andrà come un Tremotino qualunque smettendo di torturami.
«…quella specie di demonio fosse un brutto sogno.» purtroppo non è stato sufficiente sollevare le palpebre, l’incubo era reale, tangibile, mi ha tolto il sonno per settimane.
«Ho sperato che il tocco della bacchetta sulla tempia fosse frutto della mia immaginazione, ma non è così.» rabbrividisco al ricordo. Il terrore dell’incertezza, il non comprendere cosa stesse accadendo.
«Pensa che non credevo di poter odiare fino a quel momento.»
«Invece adesso avverto solo repulsione quando ti vedo. Nient’altro mi aveva fatto sentire sporca, in colpa. Era riuscito davvero a convincermi che fossi stata io a volerlo, che io avevo abbassato le difese facilitandolo. Tant’è che non l’ho raccontato a nessuno per timore di sentirmi dire che ero stata ingenua, sciocca, che non avrei dovuto intromettermi.
«Era questo che volevi sentire?» i dotti lacrimali bruciano, ma neanche una stilla a rigare le guance.
«Sei proprio come mio padre.» sibila.
«Tuo padre aveva ragione….su tutto il mio sguardo – umido e astioso – inchiodato nel suo.
Rammento tardi le cicatrici diafane che lo segnano, tracciate ad arte dal genitore sulla sua pelle come una mappa. Mi pento di quell’affermazione violenta, ma non riesco a formulare delle scuse.
I suoi occhi increduli si posano su di me ed io – codarda – non riesco a sostenerli, lascio che sia la mia schiena a farlo. La bestia feroce che ho dipinto comincia a sgretolarsi, lascia spazio ad un ragazzo come tanti sul quale sto sputando il mio livore – anche se giustificato –.
Accosto la fronte sulla superficie fredda di uno degli specchi, il corpo pretende sostegno. La consapevolezza di essermi messa allo stesso livello dell’uomo che lo maltrattava mi disgusta, mi trafigge il petto come una spada.
Io non sono così.
Il mio riflesso dice il contrario. Mi stacco appena dal vetro, una figura distorta che stento a riconoscere mi osserva.
Mi giudica.
Per eliminare un mostro mi trasformo in uno di essi. Il viso deformato, le dita allungate allo stremo come artigli che solcano gli arti in profondità e affondano nell’anima.
Una creatura oscena, spietata, senza scrupoli, con i denti avvelenati che mordono la carne viva, tenera e delicata.*
Sale sulle mie labbra: è pianto.
Un pianto catartico che esorcizza lo schifo che ho provato – e sto provando – verso Maxwell, verso me stessa. Un macigno che mi schiaccia e che non posso sopportare, mi blocca il respiro.
Uno schianto mi risveglia.
Una rete caotica di venature adorna quello che ormai è un portale per l'inferno.
Qualcosa di caldo scorre sulle mie nocche.
Mi sento afferrare il polso. Non mi ritraggo, anche se la tentazione di strattonare è alta.
«Perdonami.» sussurra.
No, non c’è perdono oggi.
Oggi esistono solo due fiere che si leccano le ferite dopo uno scontro, promettendosi silenziosamente di non intralciare più il cammino l’una dell’altra.

code by Camille


* Se te lo stai chiedendo, sì, si sta riflettendo in uno specchio deformante. E' un'illusione reale, oltre che metaforica :zalve:
 
Top
3 replies since 11/11/2020, 18:34   297 views
  Share