Castle of glass

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view post Posted on 15/12/2020, 15:08
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Concorso a Tema: [Dicembre 2020] ~ Oblivion

Broken Porcelain
She took my heart and soul far from the carnage of the fiery sun.
I see a storm bubbling up from the sea and it's coming closer

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quattro anni fa
Stretta nella mancina, Lucien stringeva una piccola Bussola da Scopa che direzionava l'ago verso un punto impreciso all'altezza del petto. Esso si alzava ed abbassava ritmicamente in accordo al suo battito cardiaco ed infondendo la sensazione che anche il piccolo oggetto dorato fosse vivo.
Era una bussola che permetteva di orientarsi anche volando sopra le nuvole, tra le fitte foreste e le alture meno conosciute; alcune scope all'avanguardia ne possedevano addirittura una incorporata al manico, ma lei non aveva mai potuto permettersela. Aveva guardagnato quella lavorando ad Hogsmeade nei fine settimana e l'aveva sfruttata durante tutti gli allenamenti e le partite di Quidditch della sua Casa finché un giorno non aveva deciso di regalargliela. Avrebbe sempre puntato al suo cuore, gli aveva promesso, e con essa l'avrebbe sempre ritrovata anche quando fosse stata lontana da lui.
L'ago puntava insistentemente verso nord offrendogli un'indicazione per lui inutile perché consapevole che anche seguendo le sue direttive, il piccolo oggetto magico non l'avrebbe più ricondotto da lei. Puntava al suo cuore lacerato, faceva il suo dovere nonostante non ve ne fosse più bisogno e lui non riusciva a separarsene.
Si era liberato di tutto, ad eccezione di qualche fotografia che ritraeva momenti di vita perduti che, con la rapidità dei loro movimenti, lo trastullavano nell'illusione che fosse possibile riviverli ancora e ancora. Una giratempo avrebbe potuto concretizzare quel desiderio, ma Lucien sapeva di non poter modificare il passato.

ultimo anno a Hogwarts
Bianca come il latte intinto in sfumature violacee, l'incarnato opalino presentava la stessa temperatura del ghiaccio. Qualunque fosse il clima del giorno, la sua piccola lucertola era gelida come una statua di marmo che s'incendiava sotto il suo tocco febbrile. I capelli setosi erano ulteriormente rischiarati dai raggi del sole che entravano a fiotti dalla finestra fatiscente, delineati dal pulviscolo di polvere che levitava attorno ai loro corpi intrecciati.
Lucien le rivolse uno sguardo vacuo, inclinando il volto ed affossando il mento sul petto, il sospiro che gli scaturì dalle labbra risultò spezzato e ansante. La falange premette nel groviglio violaceo per avvicinarla di più, le labbra aperte sulle sue, la sua lingua s'insinuò nella sua bocca con urgenza, cercando la sua per coinvolgerla in una danza libidinosa avvolta dalla fusione di respiri, sapori e calore.
Ma a quel tocco il corpo di Kira fu scosso da un tremito e si irrigidì. Non fosse stato così annebbiato dalla lascivia, sicuramente Lucien si sarebbe accorto che qualcosa non andava, ma dovette sbatterci contro una seconda volta prima di accettarlo. Si mise a rimirare le vene azzurrine attorno alle clavicole sporgenti, il suo respiro ansante che le solleticava la pelle esposta, decise di deviare traiettoria scivolando sulla vena pulsante al lato del collo. Il violento trasalire della ragazza la indusse a sgusciare via dalle sue braccia e nuovamente Lucien travisò, avviluppandole i fianchi spigolosi con un’urgenza ruvida e traendola contro il proprio bacino.
«F-fermati..»
La sua voce limpida come l'acqua di torrente era rotta dal nervosismo, incapace di reintegrare l'aria di cui entrambi si erano privati. Lo sguardo che gli rivolse, smarrito e indeciso, la paura che cercò di celargli abbassando il capo sul mantello scomposto sotto ai loro corpi, decisero per lui. «Hai di meglio da fare?» l'arcata sopraccigliare tesa verso il soffitto mascherò l'ironia che adombrava un velo di preoccupazione.
Le accordò la richiesta abbandonando le braccia perpendicolari al busto contratto, guardandola senza capire. Senza rivolgergli altri sguardi la sua lucertola sgattaiolò sulle travi sporche, rivestendosi con una lentezza che pareva avversa ai suoi desideri.
Lucien la osservò muto, l'ansia che montava come un'onda impetuosa. Dopo aver emesso un lungo e trascinato sospiro, si arrese e la imitò raccattando i capi che componevano la divisa scolastica sparpagliati in più punti della stanza della Stamberga Strillante.
Quando i due ragazzi si ritrovarono vestiti ad una distanza inaccettabile, Lucien spezzò il silenzio calato come una pesante coperta. «Allora...?»
La sua voce baritonale sembrò scuoterla da un intorpidimento invisibile, ma ancora Kira tentennava a dar voce ai propri pensieri. Lucien non aveva idea di cose le stesse passando per la testa, mai prima di allora gli si era sottratta, specie dopo che pochi attimi prima era sembrato l'ultimo dei suoi desideri. Passò la punta della lingua sulle proprie labbra, assaporando il sapore salmastro del sudore che come una patina aveva ricoperto i loro corpi. Si cullò del ricordo della frizione dei loro corpi per stemperare l'inquietudine che si stava annidando in lui a fronte di quell'atteggiamento inspiegabile.
Kira prese a lisciare le pieghe della gonna, incapace di sostenere il suo sguardo. A quei tempi gli ormoni del ragazzo erano più agitati di una pluffa e la sua pazienza era ai minimi termini: l'attesa, l'impazienza e quel gesto si aggiunsero all'irritazione per i piani saltati. «Senti, se vuoi stare muta come un jobberknoll allora puoi anche tornartene al castello.» sbottò aspro con i sensi ancora acuiti e l'agitazione nel cuore. Quella non era la Kira che conosceva, doveva esserci qualcosa di serio a giustificare quel comportamento. Lei era una strega brillante, dannatamente eccentrica, prolissa nell'esprimere a parole qualunque cosa le navigasse nella mente. E lui non faceva altro che stizzirsi per un'erezione ignorata.
A quel punto la Grifondoro alzò finalmente lo sguardo su di lui, alcune ciocche violacee le erano rimaste intrappolate nelle lunghe ciglia, altre si erano sparpagliate sulla pelle madida.
«Ho saltato la lezione di Trasfigurazione stamattina. O meglio, ho seguito solo la prima parte.»
Lucien aggrottò la fronte e scazzato la provocò «Questo si che è tragico.» il tono era gelido come la pelle della sua ragazza. Normalmente spendevano ore a raccontarsi cosa gli era capitato nel tempo in cui erano stati divisi, ma in quel momento era l'ultima cosa che Lucien avrebbe desiderato sentirle dire. Cosa poteva c'entrare con la sua ritrosia?
«Mi sentivo poco bene così sono andata nei bagni, sfortunatamente sono capitata in quelli di Mirtilla che per poco non mi ha fatto venire un infarto.» Un tentennamento, una pausa di troppo. «Ho vomitato e quando ho finito ero troppo spossata per tornare a lezion-.» Fu interrotta da una fragorosa risata da parte di Lucien che fletté il busto in avanti e scosse il capo facendo oscillare i ricci scuri. «Quante volte ti ho detto di andarci piano con il Rum di ribes rosso? Porco Merlino, quella roba è talmente dolce che non mi stupisce che ti abbia portata a rimettere l'anima! Altro che bacio del Dissennatore, te ne privi da sola e senza scomodarne uno!»
Tutto lì? Era troppo spossata per un secondo round? Il pensiero alleggerì il peso che aveva avvertito poco prima alla base dello stomaco eppure Kira non accennava ad assecondare la sua ilarità. Va bene, va bene per carità doveva essere stato poco piacevole. Kira, che all'epoca non era una gran fumatrice, fu completamente tirata dentro il giro del fumo, di cui Lucien era esponente onorario e alla fine si era lasciata corrompere anche dagli alcolici vietati ai minori.
«Ho un ritardo...» un sussurro a fior di labbra appena udibile eppure ben chiaro alle orecchie del ragazzo. Rimase pietrificato con il cranio che iniziò a pulsargli mentre quella frase si ripeteva come un urlo muto nella sua testa e le gambe perdevano stabilità.
Una miscela di stupore e puro terrore gli mascherò i tratti fini, deformandoli in un'espressione grottesca.
«Non è possibile...hai sempre bevuto la pozione del giorno dopo, comunque siamo sempre stati attenti..sempre
Il panico prese il sopravvento sul ragazzo che pareva più volersi autoconvincere della cosa piuttosto che crederci davvero. Negli ultimi anni si era creduto più grande di quanto la sua età anagrafica gli attestasse, ma in quel momento si sentì tanto piccolo. La morsa che gli ghermì le viscere si strinse man mano che passava a rassegna tutti i cambiamenti che una cosa del genere, se appurata, avrebbe scaraventato nelle loro giovani vite. Non era pronto per una cosa di quella portata nè era certo che lo sarebbe mai stato. E Kira? Come avrebbe fatto a proseguire gli studi? Esistevano dei precedenti oppure la risposta era venir sbattuti fuori dal castello e dover ricorrere a SpeedyMagic, un corso di magia per corrispondenza molto popolare tra maghi e streghe?! Lui se non altro aveva quasi terminato gli studi lì al castello.
«Il festino organizzato da Nigel..» Ormai la voce di Kira era divenuta incolore, i capelli violacei scomposti, gli occhi torbidi, le piccole mani strette attorno al ventre spianato. Bene, a Lucien non fregava un accidente di sapere quando era stato così imbecille da commettere una simile sottigliezza, quanto fosse stato sbronzo ad una festa della quale ricordava vaghe sfumature, era un ragazzo pragmatico e non si sarebbe sottratto alla propria natura nemmeno in quel momento.
Raggiunse la Grifona con poche falciate, ghermendole le spalle con fin troppa enfasi.
«Dobbiamo andare subito in infermeria, solo lì potranno dirci se davvero sei...» le parole gli morirono in gola; non riusciva nemmeno a proferire quella parola spaventosa. La sua lucertola scosse il capo terrorizzata e fiotti di calde lacrime presero a sgorgarle sulle guance infiammate. Lucien non riusciva mai a vederla piangere, avrebbe fatto qualsiasi cosa per lei e, anche in quel momento, invece che insistere si ritrovò a stringerla forte a sè, quasi avesse paura che potesse dissolversi come neve al sole.

Fu proprio ciò che accadde.
Quel giorno si trattò di un presagio triste che Lucien ricondusse alle emozioni esacerbate, al quale non diede peso. I giorni si trasformarono in settimane: ogni volta che saltava fuori l'argomento Kira tergiversava, trovava scuse per rimandare e Lucien non aveva la forza per imporsi perché troppo spaventato dall'ipotetico responso. Si attaccavano l'uno all'altra facendo finta di avere urgenze di ogni tipo che giustificassero le mancate azioni, Lucien diede i M.A.G.O. riuscendo miracolosamente ad ottenere risultati insperati nonostante avesse la testa che minacciava di scoppiare di giorno in giorno ed i nervi a fiori di pelle, facendo dei libri un'ossessione che gli permetteva di non pensare ai suoi problemi.
Giunsero le vacanze estive e per lui il momento di dire addio a Hogwarts che era stata per lui una casa sicura e amorevole. Kira fece ritorno a Bodmin con la promessa da parte del ragazzo di raggiungerla la settimana successiva e di affrontare finalmente la questione. Stressata com'era nell'ultimo periodo, la giovane strega aveva edulcorato le ansie del diciassettenne con la papabile ipotesi che quel ritardo non fosse riconducibile ad altro che stress. Ohhh era stato facile cullarsi in quella comoda rassicurazione!
Ma non potevano più procrastinare, purtroppo però quando Lucien ebbe la possibilità di raggiungerla fu troppo tardi.
Le dinamiche riportate dalla Gazzetta del Profeta non furono mai chiare: sembra che Kira stesse raggiungendo la casa di un'amica quando, forse catturata da qualcosa (Lucien sapeva che la sua ragazza sognava da sempre di riuscire a scorgere un serpente marino tra le acque agitate di quella fetta di mondo), sembrava essere scivolata da una scogliera. Il collo si era spezzato contro le rocce, era morta sul colpo.
Il corpo senza vita era stato restituito sulla battigia, come un sasso dalla forma sinuosa; tra i capelli viola si erano impigliate delle alghe che ricordavano una tiara e gli stracci si erano diramati sulla sabbia calda.
Nella foto sulla testata magica tutto era in movimento, meno che il soggetto dello scatto.
A nulla valsero i disperati tentativi di ottenere risposte, nemmeno dai genitori della ragazza, chiusi nel loro dolore e restii a qualsiasi contatto col mondo che le aveva strappato la loro unica figlia. Lucien spedì gufo ogni dove, si recò ovunque gli fosse possibile trovare delle risposte che mai trovò.
Quell'anno Lucien non perse solo colei che si era impossessata del suo cuore acerbo, ma non ebbe nemmeno la possibilità di scoprire se con lei era morta anche un'altra vita.
Se, anche se per poco tempo, era divenuto padre.
Dilaniato dal dolore, sgretolandosi giorno dopo giorno, si chiuse in uno stato di afasia che si protrasse per mesi e ne uscì a fatica, supportato dagli affetti che gli erano rimasti.

straight to Hell

Quando si svegliò di soprassalto nel cuore della notte, le pupille del mago incontrarono le tenebre e per un attimo si convinse di star ancora sognando. Ma il sudore che gli imperlava il corpo era reale, l'urlo che aveva lanciato era stato così potente da aver svegliato il coinquilino con cui divideva un buco di appartamento in Francia, mentre lavorava come apprendista Erbologo. Fu proprio la voce di Leon a riportarlo nel mondo reale.
«Merde, Lucien! Ancora con quegli incubi?!» sbottò iracondo da un punto impreciso della stanza. Il respiro di Lucien era ancora troppo affannato perché potesse imbastire una qualche risposta e il suo silenzio venne interpretato dal coetaneo come un assenso.
Nei minuti successivi, durante i quali il francese si prese il cranio pulsante tra le mani alla ricerca di un effimero sollievo, Leon castò un Lumos per sincerarsi dello stato dell'amico. Il fascio di luce emanato dalla bacchetta rischiarò gli occhi pesti di Lucien, che automaticamente aveva assottigliato le palpebre poco entusiasta di quella fonte luminosa sparata negli occhi.
«Diamine amico, hai un aspetto peggiore di un bundimun in putrefazione.» *Di bene in meglio.* pensò Lucien, che già aveva mal apprezzato lo sbotto dell'altro in un momento in cui avrebbe necessitato solo di un silenzio tombale.
Sospirò rumorosamente stanco di scusarsi per qualcosa che non era in grado di controllare. Era assuefatto stanco di trangugiare la Pozione Soporifera tutte le notti, cercava ormai di limitarne l'uso e il risultato era pressoché identico ogni notte. Si stropicciò il volto provato, senza alcun desiderio di rivolgere la parola a Leon che però non sembrava intenzionato a tapparsi la bocca.
«...hai mai pensato di ricorrere all'Oblivion?»
Quando Lucien riuscì a racimolare una sufficiente concentrazione per dare un senso a quelle parole, istantaneamente i bulbi oculari si spalancarono e guizzarono leste verso il compagno di stanza. Restò a fissarlo con un'espressione allucinata per una manciata di minuti, mentre la sua mente elaborava il consiglio. Non era un Obliviatore che seguiva il decreto ministeriale secondo cui l’incantesimo di memoria doveva essere sfruttato per modificare la memoria dei babbani che rischiavano di venire a conoscenza del mondo magico o di rivelarlo, né aveva mai provato a scagliare quell'incantesimo su qualcuno, figurarsi su sè stesso.
Leon lo guardò come se stesse aspettando una risposta da un momento all'altro, incalzandolo con espressioni irritanti.
Lucien scosse il capo più e più volte, quasi si stesse convincendo dell'assurdità di quel consiglio.
«Pensaci, Lù! Niente più incubi, niente più Bevanda della Pace, basta con questo delirio! Sono anni che lasci che un fantasma ti tormenti, devi andare avanti, fartene una ragione..in pochi minuti tutto sarebbe possibile, credimi, cancellare il ricordo di quella ragazza è la soluzione migliore!»
*No, è solo l'opzione più comoda e rapida.*
Lo sguardo spiritato di Lucien s'indurì, divenendo sempre più arcigno. «L'unica cosa che dovrei estirpare dalla mia memoria è il fatto di conoscere un troll come te!» un urlo meno agghiacciante di quello col quale aveva fenduto il silenzio notturno, ma che ugualmente echeggiò nella stanza.
La falange arpionò un lembo di stoffa delle coperte e con uno strattone si rimise supino, inghiottito dal nuovo buio. Avrebbe voluto urlargli contro che nessun incantesimo lo avrebbe mai sottratto a quel dolore indicibile, che anche se avesse cancellato solo una parte di Kira (la rivelazione) il peso che avvertiva si sarebbe solo assottigliato senza dissolversi del tutto, d'altronde ella non apparteneva comunque più al mondo dei vivi. Riviverla nei propri ricordi e nei sogni, o incubi che fossero, non leniva il suo dolore, ma imprimeva in maniera sempre più profonda l'orma che aveva lasciato nel suo cuore infranto.
Ci sono ferite così strazianti che si desidererebbe cancellare dalla memoria; in tal senso Lucien vagliò diverse volte, negli anni a venire, la proposta da Leon di ricorrere ad un Oblivion per depennare qualsiasi ricordo legato alla sua amata lucertola.
Gli occhi grigi come il fumo, la risata simile al tintinnio di campanelle di vetro, il trucco eccentrico, le emozioni che era stata in grado di trasmettergli, quell'amore infrantosi tra le onde del mare, continuando a perdurare in un piccolo angolo del suo animo.
Quel dubbio, quella possibilità, quella vita che forse aveva iniziato a germogliare dentro di lei e, con lei, se n'era andata per sempre.
Avere una conferma o una smentita non avrebbe comunque lenito le sue pene.
Tante volte Lucien fu sul punto di farlo, ma alla fine desistette reputando troppo comodo quel mezzo, troppo ingiusto nei confronti del loro amore cancellarlo dalla propria mente come se non fosse mai esistito.
Decise, invece, di mantenere vivo ogni dettaglio di quella studentessa che con abilità innata gli aveva stregato il cuore e che lo aveva lasciato per annegare nel sonno eterno. Avrebbe perpetrato le memorie come una delle cose più preziose ed al contempo più dolorose che possedeva, imponendosi di continuare a vivere senza di lei. Cicatrici invisibili che pulseranno per sempre, nel profondo, impedendogli di dimenticare.
Ancora oggi Lucien si trascina fuori dai suoi incubi anche se non c'è sollievo al risveglio.
Raccatta i pezzi di Kira, incapace di rimetterli insieme.



Edited by Atonement. - 3/11/2021, 11:46
 
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view post Posted on 29/1/2021, 15:11
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Concorso a Tema: [Gennaio 2021] ~ Spensieratezza

âmes solitairesC'était alors le temps de la jeunesse.
La légèreté naïve prévalait, les choix de vie étaient loin et tous encore à être prisé

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upFeQDs Il ruggito delle onde che s'infrangevano contro le scogliere era un suono ritmato in grado di sovrastare tutti gli altri, ad eccezione degli strilli di due giovani che si rincorrevano nella sterpaglia. Le loro sagome si confondevano nei lesti movimenti e, ad accomunarli, vi erano solo i tronchi allungati che ne caratterizzavano le altezze oltre la media e gli occhi oltremare. Dopo quelli che erano parsi minuti infiniti, uno dei due ebbe la meglio sull'altro: Lucien ghermì la sorella cingendole le spalle scarne e con il proprio peso la fece gravitare a terra. Le loro risate si mischiarono ai respiri ansanti mentre cercavano di recuperare ossigeno inglobando l'aria frizzante. Le gote arrossate di Safia contrastavano con l'incarnato d'alabastro, spiccando quanto le iridi turchesi. Il cottage di pietra e legna dove dimoravano distava pochi chilometri dalle scogliere che ospitavano il loro divertimento, silente nell'attesa del loro ritorno.
Con le schiene pressate contro gli steli d'erba smeraldina, Lucien e Safia colmarono i propri sguardi con la distesa sconfinata del cielo drappeggiato di batuffoli d'ovatta; nubi dalle forme più variegate parevano resistuir loro un fulgido sguardo mentre rapide sfrecciavano sospinte dal vento scozzese.
«Ormai manca poco.» sentenziò d'un tratto la bambina; ciò che parve poco più di un sussurro spirò dalle sue labbra tornite, il suo cuore galoppava come un Abraxas libero di cavalcare i cieli con eleganza innata. Il suo ritmo si snocciolava tra la corsa appena ultimata e l'emozione che albergava nel suo animo al pensiero di iniziare gli studi a Hogwarts. La fantomatica lettera era custodita in un piccolo cassetto di legno intagliato e veniva regolamente riletta ogni sera dalla mezzosangue, che ancora stentava a credere a quanto sarebbe successo di lì a pochi mesi.
«Già.» Una rapida risata seguitò il blando assenso da parte del fratello maggiore, eccitato per lei e desideroso di essere informato di ogni novità che l'avrebbe riguardata. Aveva desiderato che non avessero così tanti anni di differenza, in modo da poter frequentare almeno un anno scolastico assieme, ma il fato non era stato clemente difatti Lucien si ritrovava già fuori da quel mondo meraviglioso quando per Safia si spianava un percorso nuovo e meraviglioso tra le mura del castello. Non le sarebbe mancato il suo supporto, ma non sarebbe stata la stessa cosa; inoltre nuovamente avrebbero potuto trascorrere del tempo assieme solo durante le festività ed era un l'asse temporale troppo esiguo perché potessero rifarsi di tutti quei mesi di lontananza. Ad incasinare ulteriormente i piani si imponeva il nuovo lavoro di Lucien, che non sempre aveva la possibilità di lasciare la Francia per fare ritorno dai famigliari.
«Vediamo di sfruttare al meglio il poco tempo che ci resta da trascorrere assieme.» con rinnovato vigore, Lucien si rimise in piedi stiracchiando le braccia e tendendo una mano a Safia; di rimando ella la strinse e si lasciò trasportare in posizione eretta. Il caldo sole estivo le scottava la pelle, ma l'aria fresca che spirava dal mare le accordava una temperatura corporea nella norma, ora che la corsa si era tramutata in ricordo. A lei e Lucien non servivano parole, bastavano pochi sguardi per comprendere i rispettivi stati d'animo. Seppur elettrizzati dalle imminenti novità, il pensiero di doversi nuovamente separare rendeva difficile l'accettazione di un processo naturale scandito dal tempo. Pur agitati come le onde frastagliate, i loro spiriti si cullavano della spensieratezza di quegli attimi irripetibili. Soli, distanti da qualsiasi dovere e responsabilità, bastavano l'uno all'altra.
D'un tratto il fratello maggiore l'avvicinò, intrecciando la mancina nella piccola mano di Safia. La strinse con l'accortezza che si riserva ad una persona cara, meritevole di affezione e rispetto incondizionati. La investì di un sorriso amorevole, quello che in pochi avevano avuto l'onore di rimirare sul suo volto ed in grado di esprime più di quanto le più azzeccate parole sarebbero state in grado di fare.
Prese a correre diretto verso il punto dove la terra capitolava sulla distesa azzurrina, trascinando con sé una divertita Safia, incurante del pericolo cui erano esposti per la ciclicità con cui quel gesto aveva caratterizzato episodi passati. Conoscevano ogni più piccolo particolare di quel luogo dove la Natura si presentava nel suo massimo splendore e sapevano muoversi con accortezza. Ad un certo punto i loro piedi scalzi abbandonarono il terreno per lasciarsi carezzare dall'aria, spiccando un salto fulmineo. Al contempo, urla splensierate lacerarono il ridondante sciabordio dell'acqua.
I loro corpi virarono verso il basso, puntando laddove le onde s'infrangevano contro gli scogli. I loro volti sorridevano alla vita, alla loro unione fraterna e al futuro che li aspettava con dolci promesse. Come piccoli soluri umani squarciarono l'acqua e se ne lasciarono inglobare, corpi esterni remissivi che non aspettavano altro che vivere quel mondo sottomarino. Rimasero in apnea alcuni secondi, osservandosi rilasciare bollicine che raggiungevano scomposte la superficie dell'acqua e che presto avrebbero imitato; lo scenario sottomarino si perdeva in ammalianti giochi di luce, sprazzi di fondale e sfumature di blu. Quando riemersero presero a galleggiare a pancia in su, in modo da avere metà corpo immerso nell'acqua e metà a contatto con l'aria, l'unico punto di unione erano le mani che non si erano lasciate per un secondo.

 
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view post Posted on 21/2/2021, 22:34
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Concorso a Tema [Febbraio 2021] ~ Oscurità

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the long bright darkEveryone is a moon, and has a dark side which he never shows to anybody

upFeQDs Era una notte di luna piena e la pioggia sferzava incessantemente qualsiasi elemento ostacolasse la sua rovina. La steppa rorida si stagliava per miglia e miglia nella campagna scozzese dove rovine, castelli, fattorie e villette contaminavano una natura altrimenti incontrastata.
Ad illuminare l'erba aggrovigliata vi erano solo lo spicchio di luna e le stelle che brillavano come diamanti nel cielo color inchiostro.
Una bambina di appena correva a perdifiato incurante degli abiti zuppi e dell'aria gelida che le faceva accapponare la pelle lattea; il suo cuore palpitava per la gioia e l'eccitazione, tutto il resto non aveva importanza.
I suoi genitori e suo fratello maggiore erano convinti che stesse dormendo placidamente nel letto, sfinita da una serata di intensi giochi ed interminabili risate. Ma Safia Cravenmoore non era mai stata una figlia ubbidiente e dava peso al proprio volere più che a quello altrui.
Anche quella notte, incapace di prendere sonno, aveva deciso di disubbidire alle regole abbandonando la sicurezza delle mura domestiche per inoltrarsi nella fitta boscaglia. Dopo una camminata infruttuosa aveva scorso davanti a sè un piccolo coniglio di campagna e si era messa a rincorrerlo.
Le sue risate squarciavano l'ululato del vento, il ticchettio dei piccoli proiettili d'acqua che le inzuppavano gli abiti e gli altri rumori prodotti da animali oscurati alla sua vista ammantavano il suo divertimento spensierato.
Non sapeva quanto tempo fosse trascorso da quando aveva messo piede fuori casa e la cosa non la toccava, troppo presa dalla sua occupazione. Di tanto in tanto il coniglio scompariva dal suo campo visivo per poi riapparire vicino ad un cespuglio o oltre un albero incavato.
Safia aveva raggiunto un piccolo bosco dove l'intrico delle foglie fornivano uno scudo naturale alla pioggia che continuava a cadere da ore. In quel punto la presa delle scarpe sul terreno era migliore e permetteva alla bambina di correre più agevolmente nonostante gli ostacoli offerti da sassi e radici esposte.
Cadde una volta, inciampando contro un cumulo di tetta scossa da qualche animale, ma fece in tempo a rialzarsi abbastanza in fretta da non perdere di vista il suo obiettivo.
Nemmeno si accorse di essersi sbucciata un ginocchio. Qualche rivolo di sangue abbandonava la sua carne per depositarsi sul terriccio, lasciando una piccola traccia del suo passaggio. Proprio quando era convinta di essere ad un passo dal catturare il soffice animale, avvenne qualcosa che Safia non aveva preventivato. Poggiò incauta il piede destro su un terreno friabile e sotto di lei si aprì una voragine che la fece capitolare.
La caduta le sembrò durare attimi eterni, quando all'atto pratico la profondità della buca non era poi così notevole. Prese contro oggetti che non potè identificare perché troppo oscurati. Un tonfo sordo ma fortunatamente attutito da un gruppo di foglie secche le permise di non rompersi qualche arto quando finalmente toccò il suolo. La piccola Safia avvertì dolori in diversi punti del corpo e nella semi oscurità che la circondò riuscì a scorgere qualche elemento. Si trovata in una specie di caverna naturale; era stretta e di forma vagamente ovale, illuminata solo da una tenue luce azzurrina che si scorgeva lontano.
Il soffitto era pieno di fori rocciosi nei quali si nascondevano neri pipistrelli, che di tanto in tanto aprivano i loro occhietti rossi e spiegavano le ali per un breve volo. La visione di quegli animali non impressionò eccessivamente la bambina, che li aveva già visti vicino in più occasioni, ma trovarsi improvvisamente sola, o almeno così pensava, dolorante ed impaurita, fece colare calde lacrima sulle gote arrossate. Alzò il capo, individuando il foro che l'aveva fatta cadere, dal quale si poteva scorgere qualche pezzetto di luna coperta dagli alberi. Le lacrime scivolarono sul collo sporco di terra, toccando il vestito già bagnato e sporco come la sua pelle una volta diafana.
C'era un silenzio quasi innaturale, l'unico rumore che ogni tanto si udiva era quello delle gocce che cadevano nelle numerose pozze d'acqua stagnante. «AIUTO!!! Mamma!!!» le sue grida, rotte dai singulti, echeggiarono per minuti interminabili. upFeQDsSafia non nominò suo padre, col quale già da allora viveva un rapporto teso e conflittuale: a lei aveva sempre preferito il primogenito, maschio, e in un secondo momento la sorellina più piccola e, in principio, dolce. «Qualcuno mi aiuti!!» Convinta che nessuno fosse in ascolto, si lasciò prendere dal panico e dallo sconforto, sbattendo energicamente le mani strette in pugni contro le cosce.
Ma qualcuno l'aveva udita e glielo fece presto notare.
In principio, troppo scossa per prestare attenzione ai rumori intorno a sé, Safia non udì il fruscio che da un punto imprecisato dell'oscurità si stava avvicinando a lei. «Non c'è bisogno di urlare. Noi ti sentiamo.»
Una voce affilata e antica, come mai ne aveva udite fino a quel momento, squarciò il momentaneo silenzio che aveva accolto quel luogo quando la bambina aveva smesso di urlare. Safia si irrigidì all'istante, il cuore che le martellava nel petto come una bomba pronta a scoppiare. Sgranò gli occhi umidi nell'attimo in cui realizzò cosa fosse la fonte di quelle parole. Un piccolo serpente strisciò rapidamente verso di lei, arrestandosi a pochi metri dalle sue gambe. Le pupille rotonde la fissavano imperscrutabili, la testa non si staccava dal resto del corpo ma era un pezzo unico. Noi? Safia era talmente scioccata dalla situazione da non aver avuto il riflesso di urlare; si limitava a fissare l'animale con gli occhi fuori dalle orbite e le labbra dischiuse, immobilizzata dalla paura.
Trascorse un tempo che a lei sembrò infinito prima che decidesse di proferir parola ma, quando si decise, la sua voce fu arrestata dal rumore di altri serpenti che strisciarono verso di lei, per un totale di tre, che si posizionarono di fianco al loro compagno, come piccoli soldatini.
«Non ti faremo del male.» Questa volta a parlare fu uno dei nuovi arrivati e Safia avvertì il mutamento di suono nella voce. Tremava convulsamente, ma qualcosa in quelle parole confortanti, le impedivano di riprendere ad urlare e correre lontano da quegli animali.
Non capiva.
«M-mi capite?» balbettò, avvertendo i denti che battevano gli uni sugli altri per il freddo.
Com'era possibile che capisse il linguaggio di quegli animali e che loro capissero il suo?
«Si.» Il serpente attese qualche attimo prima di avvicinarsi ulteriormente a lei. Safia automaticamente arretrò di un poco, arrivando a toccare con la schiena la parete di quella specie di grotta naturale. Avrebbe potuto alzarsi di scatto e mettersi a correre, sebbene lo spazio a sua disposizione fosse esiguo, ma non lo fece. «C'est... tellement absurde..» (È tutto così assurdo..) Il serpente riprese la sua avanzata sino a sfiorarle la caviglia, dopodiché si arrotolò su se stesso e rimase immobile ai tuoi piedi. «No, non lo è. Se lo desideri resteremo con te finché un umano ti troverà.» Altre parole carezzevoli, rassicuranti, incoraggianti, capaci con la loro musicalità di infondere calma alla bambina che, di fatto, annuì col capo. Rimasero soli, inghiottiti dall'oscurità, a studiarsi reciprocamente finché Safia non udì una voce familiare fendere il silenzio chiamandola a squarciagola. Con i pozzi cerulei ricolmi di speranza si mise ad urlare in risposta finché nel nero che l'avvolgeva, scorse sopra di sé la sagoma del fratello maggiore. Appariva stremato, col fiato corto a sconquassargli il corpo, spaventato come mai lo aveva visto prima.
«Safia!!!» una voce conosciuta e rassicurante. D'istinto la piccola tese il braccio ma le piccole dita catturarono solo l'aria viziosa. «Sei ferita?!» Nonostante la scarsa illuminazione, ella si rese conto che Lucien a sua volta aveva fatto altrettanto senza però riuscire ad afferrarla. Lo rincuorò sulle proprie condizioni di salute e non appena ebbe ultimato la frase, avvertì nuovi fiotti caldi rigarle le guance sporche di terra.
Il ragazzo tentò più volte di raggiungerla tendendo il busto più che potè, ma il buco era troppo profondo perché potesse avere qualche speranza di riuscirci. «Andrà tutto bene, Safia; ti tirerò fuori di lì, fosse l'ultima cosa che faccio! Torno il prima possibile!» le urlò in preda al panico, sentendola piangere disperata perché credeva che non sarebbe più tornato. Non gli era permesso usare la magia fuori dal Castello, ma avrebbe corso i rischi del caso se solo avesse avuto la propria bacchetta con sé. Gli incantesimi che aveva appreso fino ad allora non erano molti sebbene durante l'anno scolastico spendeva ore ed ore in biblioteca a studiare più del richiesto, perciò se anche avesse trasgredito alle regole non avrebbe probabilmente risolto il problema. *Il Wingardium Leviosa non è provato che abbia effetto anche sull’uomo* pensò mentre si guardava attorno alla ricerca di un aiuto ed una soluzione alternativa.
Notò un groviglio di rami caduti accatastati di fianco allo spesso tronco di una quercia e, senza pensarci due volte, l'assaltò con ansia. Le mani sfregarono sulla superficie irregolare sfrefiandosi in più punti ma il Corvonero non badò al dolore che ne derivò; scansò i tronchi inutili per la sua causa e quando ne ebbe trovato uno che poteva andare lo trascinò fino al buco dov'era caduta la sorella minore.
I suoi singulti echeggiavano nell'oscurità, stringendogli il cuore. «S-afia! Ho...ho trovato una specie di bastone, cerco di allungartelo...aggrappatici e..e tienilo stretto con tutte le tue forze..!» i denti battevano per il freddo notturno e la pioggia battente, la paura di non farcela andava di pari passo con la mente che cercava di elaborare un piano B. Fece come le aveva spiegato, acquattandosi ed allungando il pezzo di legno finché non fu certo che l'estremità opposta fosse stata gheemita dalla bambina. upFeQDsIl suo peso non era esagerato, ma trascinarla a sè fu così difficile da stremarlo e richiese ben due tentativi. Ma la sensazione di sollievo che lo avvolse quando sentì il suo corpicino gracile stretto al suo fu totalizzante. La strinse con forza a sé macchiandole l'abito di terra e sangue e cercò come potè di tranquillizzarla. Safia tremava, piangeva convulsamente come un torrente in piena e pareva essersi fatta piccola piccola avvolta dal suo corpo. «Shhhh, va tutto bene.» più parlava, più sembrava ottenere l'effetto opposto ai suoi desideri. Le piccole spalle si curvavano come un uccellino che cercava di nascondere le proprie ali facendosi sempre più minuto. «Lù..L-Lù! I s-sserpenti!» Con uno scatto Lucien la staccò afferrandole le spalle con rinnovato terrore. «C'erano dei serpenti? Ti hanno morsa?!» il tono graffiante che accompagnò la domanda si scostò da quello dolce e rassicurante che lo aveva preceduto, contro il suo volere. La bambina scosse energicamente il capo, facendo oscillare i capelli setosi ed ingrumati di terriccio. «No..» non arrestò quel movimento, anzi, prese a farlo con maggior intensità. «No..noo!» Credendola sotto shock, Lucien cercò di mostrarsi tranquillo e sicuro per entrambi. Tuttavia non era preparato a ciò che la bambina stava per confidargli. «Mi hanno parlato .. io li capivo! E loro capivano me!» Accigliato, il fratello pensò subito che fosse stata vittima di un'allucinazione della cui veridicità si era autoconvinta, vittima delle circostante e soggiogata dalla paura. «È tutto finito, possiamo tornare a casa.» sempre che non si fossero persi. Conosceva il temperamento di Safia, si sarebbe infervorita se avesse messo in dubbio le sue parole, ma ovviamente stentava a crederle. Aveva appreso tempo addietro dell'esistenza di una capacità rara e solitamente ereditaria di parlare il Serpentese (la lingua dei serpenti) nota come Rettilofonia. Proprio ad Hogwarts aveva colto i primi accenni quando si era documentato sui fondatori di Hogwarts, tra i quali figurava il rettilofono Salazar Serpeverde. Stando ai suoi studi, tutti i Rettilofoni conosciuti erano suoi discendenti e non gli risultava che loro padre lo fosse - e nemmeno gli balenò nella mente l'associazione, in quel momento. «N-non mi credi?! Proprio tuuu?» la voce rotta di Safia si ridusse ad uno stridulo, quasi come se una risposta affermativa avrebbe potuto mandarla ancora più in crisi. Lucien le impresse un morbido bacio sulla fronte e contro la superficie morbida lasciò che le labbra si muovessero di nuovo, più lentamente. «So che è un segno della Magia Oscura, qualcosa che non ti sfiora nemmeno. Tu sei buona, questo lo so per certo.» proferì mentre lei si dimenava come un animale selvatico braccato da chi voleva domarlo. O almeno provarci.
«Se ti fa stare più tranquilla, però, faremo delle ricerche e quando capiterà l'occasione mi mostrerai questa capacità.» Dalle sue parole trasudava la volontà di chiudere il discorso. Era una promessa che non avrebbe mantenuto, ma in quel momento non poteva saperlo ed il suo unico obiettivo era tornare a casa preservando l'incolumità di entrambi. Safia era, assieme ai loro genitori ed i suoi amici, le figure più preziose che aveva al mondo e la loro serenità era per lui imprescindibile.
Quando avvertì la stanchezza ammantarle la gracile figura, la condusse nella loro casa, laddove la luce non si spegneva mai; quella dell'amore che vi permeava e dove entrambi sapevano di poter offuscare l'oscurità dei loro animi nei momenti più bui, come quello appena vissuto, trovando sempre la luminosa spirale che scaldava i loro cuori.

 
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view post Posted on 10/3/2021, 14:42
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Concorso a Tema [Marzo 2021] ~ Attesa
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Odora di vapore. Non ha un nome, non ancora, ma è riuscita ugualmente ad attrarre la curiosità dell'undicenne. Vuoi per il timbro della voce, i modi garbati, la tonalità smeraldina di uno sguardo acerbo che, come il suo, si affaccia alla vita con multiformi aspettative. I boccoli ramati sono sussultati nel lieve movimento che ne ha indotto il capo a dirigersi nella sua direzione. Un semplice sguardo, in apparenza nulla di più, dal quale filtra l'atona promessa di un gemello, prima o poi. Al che Lucien non si lascia scappare l'opportunità di rivederla, abbandonando i discorsi con coloro che condividono la cabina per lanciare l'ipotesi di un incontro in uno scompartimento adibito a ripostiglio per oggetti ingombranti.
Una curiosità avida, la sua, la stessa che gli smuove ogni azione da anni, ormai, e che modella su qualsiasi cosa gli sia sconosciuta e reputi degna di essere scoperta.
Il giovanissimo Lucien non appare titubante né timido come molti coetanei, la maschera di sicurezza è bel calata e cela più di quanto si possa sospettare. Il suo però è un mondo smarrito che lo porta ad essere sempre in cerca di emozioni ed attenzioni, le colpe dei genitori che s'intrecciano a quelle dei figli in una matassa difficile da sbrogliare e che si aggroviglia con il passare del tempo.
Si trova stipato tra bauli e gabbie, gli occhietti bucolici di civette e barbagianni ne sondano l'intrusione senza tuttavia infastidirlo.
L'attesa si fa snervante, il tempo scorre attraverso i filamenti dorati del sole che trapassano in alcuni punti le travi di ferro battuto di cui è composta la locomotiva scarlatta. Non vi sono altre fonti di luce in quel loculo e l'aria è compressa come le scapole del giovane mago. Il battito cardiaco rassomiglia al ticchettio di un orologio e Lucien lo usa per contare da quanti minuti sta aspettando la sconosciuta.
Le intenzioni nei suoi riguardi non si sono ancora configurate nella sua mente, esiste solo l'urgenza, mite compagna di un'adolescenza che batte prepotentemente contro l'animo puerile, di conoscerne anche solo il nome.
I polpastrelli premono con insistenza sulla superficie di vetro della Ricordella, lasciandovi aloni lattiginosi che scompaiono dopo pochi istanti, dimentichi di un'esistenza troppo breve.
Il giovane attende la realizzazione di qualcosa conforme alle proprie speranze, per la quale non ha altro a cui aggrapparsi se non quel fulgido sguardo a lui indirizzato. E se non fosse stato lui il soggetto dell'altrui interesse? Se avesse interpretato male quell'unico rapido gesto?
La sospensione del tempo, diluito senza che Lucien ne abbia piena coscienza, introduce ansie, paure, tentennamenti, ripensamenti.
Eppure non si schioda dalla postura scomoda a cui ha obbligato il proprio gracile corpo, stoico nel perseguire le proprie convinzioni per il tempo necessario - quale che sia non gli è dato saperlo.
La paura si annida, si scioglie per incanalarsi in ogni fessura del suo essere, diventa gassosa ed incalza, urta, spinge contro la gabbia toracica.
All'attesa della fanciulla senza nome si aggiungono nuovi pensieri e nel silenzio che solo lui riguarda, il ragazzino si conficca il canino nel labbro spaccato e preme; preme finché non avverte un sapore ferroso disperdersi in bocca, accompagnato da un lieve dolore. Lascia che esso si scontri con le emozioni che quei pensieri hanno generato ma, non vedendo vincitore, semplicemente si arrende cheto.
Nell'usuale smania che accompagna il suo esistere in un mondo che appare così difficile per i suoi undici anni di vita, in quello stato vegetativo sospeso in quell'attimo che non vuole arrivare, il corpo di Lucien appare fin troppo tranquillo.
Ma il suo animo duella con i sentimenti ed è lì che fa a braccetto con l'agitazione fisica. Irrequieto, accoglie la consapevolezza di nuovi tipi di attesa.
Lucien non sta aspettando solo una sconosciuta scorta sul treno, ma è anche in attesa di una nuova vita all'interno delle mura di Hogwarts. Qualcosa che ha atteso per così tanto tempo e che ora la paura lo induce a rifuggire, sperando che quei timidi raggi non s'incendino del purpureo arrivo del tramonto.
Ha atteso quel giorno per buona parte della vita e senza che se ne accorgesse è giunto troppo in fretta: si sente impreparato, inadatto ed impaurito.
Nessuno gli ha insegnato ad affrontare la vita, i suoi genitori gli hanno posto validi esempi, sussurrato saggi consigli e sa che potrà aspettarsi lo stesso dai suoi nuovi insegnanti, ma non basta.
Non ha importanza se si senta pronto o no, il fatidico momento è giunto ed egli si trova in balia degli eventi e dell'attesa del loro arrivo, poiché pur essendo giunto uno di questi, ad esso si allacciano numerosi accadimenti dal sapore virginale che instillano in lui le più primitive paure, scisso dal desiderio che giungano subito e quello di rifuggirle.
Dalla fessura alla base della porticina chiusa, Lucien scorge le ruote del carrello dei dolci. Si dice che l'anziana strega che distribuisce dolciumi e controlla che nessuno abbandoni il treno in movimento lo faccia da centonovanta anni. Gli ha confidato di aver realizzato più di sei milioni di Zuccotti di zucca e, per ingannare l'attesa, il giovane trangugerebbe volentieri qualche dolcetto, ma non muove un solo arto.
Certi individui attendono un perdono che non arriverà mai, lasciandosi imbellettare i volti da una speranza vana; Lucien crede di essere esente da colpe, vuole e crede di poter avere tutto e subito.
Dover attendere qualcosa di bramato è per la sua giovane età sinonimo di pena e strazio perpetuo e ne sta avendo riprova di minuto in minuto.
I dolci possono aspettare, si dice, mentre l'acquolina assale come un'onda impetuosa gli angoli della bocca.
Ogni cosa, a conti fatti, può attendere a cominciare dalla ciclicità delle stagioni che si susseguono con la regolarità del tempo. Cosa sono, dunque, secondi/minuti/ore di attesa verso qualcuno che potrebbe portargli una maggiore ventata di novità?
E se arriverà potrà mai sentirsi soddisfatto oppure porrà sempre sul suo cammino qualcosa di nuovo?
Dopotutto il ragazzino aspetta sempre qualcosa: un'esperienza, un insegnamento, una conoscenza, una delusione.
La parola magica, però, è sempre una soltanto: attesa.







 
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view post Posted on 24/4/2021, 15:14
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L'episodio narrato si ricollega a questo contest, dove viene menzionato. Questa è la versione approfondita della vicenda. Disclaimer: lo scritto presenta un contenuto forte e tematiche che potrebbe urtare la sensibilità del lettore, pertanto se ne sconsiglia la lettura a chi potrebbe esserne sensibilmente toccato.


Concorso a Tema: [Aprile 2021] ~ Furore
L'aria compressa in quel piccolo spazio vitale svelava gli aromi che di giorno in giorno animavano la sala principale dei Tre Manici di Scopa. Taluni si ripresentavano di volta in volta identici, mentre altri mutavano in accordo alla clientela che animava il rinomato pub di Hogsmeade. Una buona fetta di questa era costituita da studenti di Hogwarts in gita nel ridente villaggio magico; tra questi, vi era anche Lucien Cravenmoore.
I tratti sporcati di qualche impiccio ormonale, gli abiti babbani che una volta tanto andavano a sostituire la consueta divisa, la zazzera bruna più agitata di una tempesta. Sedeva ad un piccolo tavolo circondato da due concasati, giacché la sua cerchia di amicizie era arida per selezione, ed i loro discorsi versati avrebbero facilmente ricollocato le loro figure alla Casa di appartenenza. I pozzi cristallini alternavano un attento gioco di sguardi verso i suoi interlocutori ad insistenti occhiate indirizzate a due tavoli vicini. Il primo era occupato da altri due Corvonero, il secondo da tre studentesse, una Grifondoro e due Tassorosso.
La sua ex storica, Kira Hurley, teneva le brighe della conversazione con la spigliatezza che la contraddistingueva e le amiche parevano assai prese dalle chiacchiere, precluse all'udito di Lucien perché troppo lontane. Ma sembravano aver tratto l'interesse anche dei due contendenti alla nomina di Caposcuola, Justin Fisher e Cole Cameron, che continuavano ad indirizzarle occhiate sature di ormoni. Fu quando le sostituirono con le parole che quelle degli amici di Lucien passarono sullo sfondo del suo interesse.
«Ehi Hurley, Justin mi ha detto che ti ha fatta strillare come una mandragora.»
I muscoli di Lucien si tesero come corde di violino e s'immobilizzò al punto che gli amici credettero che avesse smesso di respirare. Osservò i due come se fossero insetti da schiacciare, il più era decidere in che modo farlo.
Kira ignorò il commento e non degnò l'autore del commento nemmeno di una rapida occhiata; scrollò appena i boccoli tinti di rosa, come se un billywig fastidioso le avesse ronzato nell'orecchio per una frazione di secondo.
Essere ignorato irritò Justin, che si alzò abbandonando la sedia con uno scatto fulmineo per poi piazzarsi troppo vicino alla grifona, che ugualmente parve ignorarlo. «Sono il battitore migliore che la squadra di Corvonero ha da anni e lo sai perché? Perché uso la mazza con una tale forza da rigettare i bolidi contro gli avversari facendoli cadere dalla scopa. E si fanno molto, molto male.» sghignazzò come se avesse detto una battuta molto divertente. Questa volta le iridi cerchiate di arancione di Kira lo degnarono di un unico annoiato sguardo, le iridi ridotte a fessure. «Mi risulta che le mazze siano piccole
Lucien osservò passivamente la scena covando astio per i due galletti dell'ultimo anno, ma si tenne tutto dentro.
Lì era più al sicuro.
Cole si divertiva nel vedere i tentativi fallimentari di Justin tanto quanto quest'ultimo si irritava via via che che Kira continuava ad ignorarlo o a rispondergli per le rime. Perdere terreno proprio di fronte all'accerimo nemico gli era intollerabile; avrebbe avuto tutto ciò che aveva conquistato lui e di più: l'ambita spilla. Ma sarebbe andato per gradi. Ai tempi i due non erano ancora su terreno di guerra come poi avrebbero fatto in seguito, fomentati dall'ambizione.
La mancina di Lucien cominciò ad accartocciarsi come una foglia secca, le unghie sbeccate trafissero le venature lignee del tavolo imprimendovi la rabbia che stava montando dentro di lui.
«Ehi, ci sei..?» uno schiocco di dita spezzò il filamento invisibile che collegava il suo sguardo di ghiaccio alla scenetta rivoltante. Sven cercò di catturare la sua attenzione, resosi conto di averla perduta già da tempo. «Dai Lucien lascia perdere, Kira ormai non ti riguarda più.» Si pentì di aver proferito quelle parole non appena uno sguardo ardente quanto lava colata lo inchiodò sul posto. Comprese che non fosse il caso di aggiungere altro così tornò a parlare con James di scope truccate.
Lucien tornò invece a dedicarsi alla sua silente osservazione, con i nervi ancor più tesi dopo quella tristemente corretta asserzione. Ciò che faceva Kira non era più affare che lo riguardava e sebbene poco gli interessasse verificare le voci che giravano su lei e Justin, ciò che si stava verificando sotto ai suoi occhi era riprovevole.
I ragazzi a scuola lanciavano voci come fiammiferi accesi per vedere cosa avrebbe attecchito; lui rimaneva zitto ascoltando lo sfrigolio e la scintilla delle loro parole, comportandosi come se fosse acqua in grado di spegnerle. Ma quella situazione aveva smosso una fiammella che si stava nutrendo del suo animo secondo dopo secondo, battuta dopo battuta.
Passarono altri minuti e le amiche di Kira parvero scocciate al punto da proporle di andarsene, lasciando dietro di loro dei boccali di Burrobirra ormai svuotati. Ma la prospettiva di perdere la preda parve non allettare Justin che, alzandosi a sua volta, ghermì l'esile polso della grifona e l'attrasse a sé. Le bisbigliò qualcosa all'orecchio per poi lasciarle una scia umida sulla guancia.
A quel punto Lucien non ci vide più e scattò dalla sua postazione come un cacciatore che aveva appena individuato la sua preda, livido come di rado qualcuno lo aveva potuto vedere. Gli bastarono poche falciate per raggiungere il gruppetto, il cuore rischiava di schizzargli dal petto da un momento all'altro mentre gli occhi dardeggiavano come tizzoni ardenti.
«NON TOCCARLA!»
Le sue parole erano talmente bollenti che l'aria intorno parve fumare; la voce raggiunse un'altezza tale da aggiudicargli l'interesse di tutti i clienti seduti ai tavoli, ma non se ne curò.
Sentì la rabbia lambirgli i piedi, pronta a sollevarsi e a travolgerlo come un'onda impetuosa. L'intero corpo allungato vibrava come lo sfrigolio della carne lambita da olio bollente.
«Cravenmoore! Non voglio i tuoi avanzi, ma Justin ha detto che la tua ex ha studiato contorsionismo e volevo verificare.» sbottò in una fragorosa risata, stendendo le braccia per rendere l'idea delle lunghe gambe a stecchino della figlia di Godric.
Le parole del concasato graffiano le tempie di Lucien e rimbombarono come un eco che, invece che ritrarsi progressivamente, aumentava di intensità di secondo in secondo.
Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso poiché letteralmente andò a premere su un nervo scoperto.
Chi conosceva Lucien sapeva che aveva la lingua più affilata di un coltello e che ad uno scontro fisico, per natura, prediligeva quello verbale, perciò nessuno avrebbe potuto preventivare la piega che presero gli eventi.
Infuocato da ciò che Justin aveva smosso fino a quel momento, il Corvonero non fu più in grado di trattenersi. Perse definitivamente il controllo, lasciando affiorare la rabbia covata fino a quel momento per sfogarla nel modo più intimo che gli venisse in mente. Seppur a volte le parole potessero fare più male dei fatti e la magia potesse ledere in modi inimmaginabili, la materialità di un contatto diretto si fece per Lucien necessaria.
Con un rapido slancio, si scagliò con una foga tale contro il Corvonero da inficiare la disparità di massa muscolare, imprimendo in un unico poderoso gesto il risentimento e il disgusto che quell'individuo gli smuoveva. Sferrò un pugno potente quanto in bolide, mirando a quella bocca che sputava veleno e a quella lurida lingua che non aveva saputo tenere nella cavità orale, godendo del contatto della propria pelle contro la sua che si modellò sotto la sua forza come burro. Non riuscì a vedere se lo aveva colpito nel punto desiderato, ma gli parve di sentire uno scricchiolio sinistro e qualche fiotto di sangue inzaccherò la sua mano.
Sentì qualcuno urlare, un trambusto che prendeva vita e del quale non si curò mentre, allontanandosi, scosse la mancina aperta che gli doleva e pulsava.
«Ah...argh..!»» L'impatto fece arrancare Justin di qualche passo, mentre si portava automaticamente le mani sul volto. Assestato il colpo, Lucien cercò di valutare quella sensazione di passione violenta che lo stava divorando capendo di desiderare di più. «Allora shai anc-che usale le mani quanfo vvoi..» biascicò l'altro con un sorriso folle che si allargava sulla bocca rubiconda, macabramente simile a quella del Joker. Gli occhi tradivano il suo compiacimento, assieme ad una rabbia cieca e bestiale per il danno subito e la figura fatta di fronte alla preda e, soprattutto, di fronte al suo acerrimo rivale. Mai si sarebbe aspettato una reazione come quella da Lucien Cravenmoore, aveva creduto che avrebbe risposto con animosità verbale ed il solito self control. Ma si sbagliava.
Aspettandosi una reazione dall'altro, Lucien pensò che se si era giocato bene le sue carte con l'effetto sorpresa, se non aveva centrato la bocca, con ogni probabilità doveva avergli rotto il naso. I pensieri si frantumarono assieme alle difese abbassate quando Justin gli restituì la cortesia, centrandogli la bocca.
Sentì la pelle infuocarsi, percossa da un pizzicore che andava in crescendo ed un dolore intenso dipanarsi e martellargli le tempie. Istintivamente portò le mani alle labbra e quando le allontanò di pochi centimetri, la trovò scarlatta, intrisa del sangue che sgorgava copioso dalla bocca. Passò la lingua tra i denti, sincerandosi che fossero ancora tutti al loro posto e giungendo all'unica conclusione possibile: aveva il labbro spaccato. Ansante e dolorante, tamponò nuovamente il labbro tumefatto dal quale fuoriuscivano copiosi schizzi scarlatti e, senza perdere tempo in inutili tentativi oratori, si scagliò contro il concasato con la furia di un fulmine.
Razionalmente Lucien sapeva che le parole di Sven erano vere, ma quel pomeriggio era tutto fuorché razionale. E lo divenne ancor meno quando il pugno di Justin gli fece scattare la testa indietro. I colpi si susseguirono con una ferocia quasi animalesca dove l'istinto prevaricava sulla ragione quando, con l'ennesimo gancio, Lucien perse del tutto l'equilibrio. Dovette piegare un ginocchio e poggiarsi al suolo, contorcendosi su se stesso per le fitte lancinanti causate da una ginocchiata nel costato che gli aveva mozzato il respiro già compromesso. Non era bravo nelle scazzottate, aveva sempre prediletto la dialettica allo scontro fisico e dalla sua poteva vantare solo l'altezza, non dei muscoli allenati dal Quidditch come il suo avversario, forse più abituato ai pestaggi in stile babbano.
Sputò ripetutamente grumi rubicondi, strinse i denti e si gettò con tutta la forza rimastagli contro l'avversario, abbassandosi quel tanto che bastò per colpirlo direttamente in vita e spingerlo contro il pavimento. Lo fece crollare sotto il peso del suo corpo, bloccandone i movimenti con le gambe come tenaglie: la furia affiorò di nuovo in superficie e lo indusse ad assestare altri due diretti colpendo Justin alla cieca. Quando si ritrovò allo stremo delle forze rotolò a terra accanto a lui, stremato e senza fiato per la fatica e il dolore acuto in varie parti del corpo. Si lasciò cadere con la schiena contro il pavimento, ansimando e cercando di scacciare il bruciore che provava alle nocche sbeccate.
Il dolore era talmente preminente da impedirgli di pensare; i brusii dei presenti facevano da sfondo sfocato, lui fremeva, diviso dall'eccitazione che il combattimento gli aveva suscitato e la rabbia contro se stesso. Boccheggiante, con la ferita all’interno delle labbra che gli riempiva la bocca di sangue, cercò di valutare i danni riassunti in: labbro spaccato, taglio alla guancia destra e quello che si sarebbe trasformato in un vistoso ematoma all'occhio sinistro.
Avvertì qualcuno strattonarlo verso l'alto, con la medesima delicatezza di quello che gli percuoteva lo stomaco ad ogni respiro. Come un burattino privo di volontà propria, lasciò che gli amici lo trascinassero fuori dai Tre Manici mostrando un'arrendevolezza che andava di pari passo con il graduale scemare di quell'impetuoso risentimento che lo aveva consumato.
L'aria frizzantina gli mozzò il respiro mentre si tastava con cautela il labbro inferiore, che si era gonfiato e faceva un male cane, ricercando stabilità nel riprendere una posizione eretta. Quello stronzo gli aveva spaccato le labbra prima che ne uscisse qualcosa di irreparabile. Gli amici parlavano concitati, increduli di fronte a ciò che avevano visto e banalmente galvanizzati nel vedere quel lato nascosto di Lucien.
Dopo qualche minuto, dalla porta d'ingresso uscirono Kira e le sue amiche; la purosangue dischiuse le labbra nel vederlo, sorpresa e ancora scossa da quanto era accaduto. Il suo volto pulito parve mimare un Grazie senza voce, ma sembrava che non lo riconoscesse e ne fosse quasi più scossa rispetto al comportamento tenuto dall'altro combattente. Dal canto suo il francese era talmente svuotato di tutto da non reagire, limitandosi a restituirle lo sguardo con l'unico occhio ancora spalancato. Il gruppetto s'incamminò verso il castello e sparì presto dalla vista.
«Andiamo.» Sven gli passò una mano sulla spalla e quel leggero gesto bastò a provocare un dolore micidiale in Lucien, che grugnì ma non obiettò, limitandosi a seguire gli amici. Qualcosa gli diceva che non desideravano veder uscire Justin e Cole, col rischio di sfociare in un secondo round.
Trasse dalla tasca dei pantaloni una piccola fiala di vetro color petrolio dentro cui vorticava un liquido scuro. Ne fece colare un po' in bocca, sussultando per il bruciore.
Bruciava come i suoi sentimenti.
Lucien Cravenmoore ~ 17 anni ~ I Tre Manici di Scopa
« Bersek »
codice role © Akicch~NON COPIARE - WANT YOUR OWN? GET IT
 
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Concorso a Tema: [Giugno 2021] ~ Fanciullino


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La luce vespertina tingeva la Natura di tonalità dorate, facendo apparire un luogo sinistro come la Foresta Proibita un groviglio di contrasti. Pennellate più intense lasciavano posto alla naturale opacità di un verde asservito alle influenze oscure del luogo. Come un miracolo, i raggi del sole morente erano riusciti a penetrare la fitta boscaglia, rischiarando l'oscurità che normalmente aleggiava in quel luogo dall'accesso proibito.
Era un pomeriggio come tanti che offriva repliche di mansioni lavorative divenute ormai una costante per il Guardiacaccia, nondimeno le variabili che un luogo come quello poteva proporre servivano a spezzare la ripetitività. Lucien non sapeva mai bene cosa aspettarsi ogni volta che calpestava il terriccio nodoso e trascurato del bosco che circonda parte del castello di Hogwarts e l'imprevedibilità, pur guarnita di potenziale pericolo, animava il suo umore anche in giorni in cui si sentiva molto provato. Gli stimoli in quel particolare mestiere non mancavano e provenivano da più correnti, interne alla Foresta e agli altri luoghi di sua competenza, così come dagli individui che popolavano il Castello e alle creature che incontrava sul suo cammino.
Un potere animava la Foresta in particolare e di cui Lucien aveva preso coscienza solo dopo diversi mesi di lavoro ed era la capacità che aveva di stupirlo, nel bene e nel male, portandolo a sentirsi alla stregua di un bambino.
Per molto tempo aveva creduto che quella sensazione fosse dipesa prima dall'impiego in sé, poi dallo scenario che ospitava le sue mansioni, dunque dalla foresta.
Si era reso conto di essere in errore e che era la propria sensibilità ad indurlo a meravigliarsi delle piccole cose, come l'orma dello zoccolo di un Centauro o la forma della ragnatela di un'Acromantula. Se ne meravigliava come un bambino ed il suo sguardo mimava quello che aveva costellato una buona fetta della sua infanzia, quando ogni cosa gli era nuova e non aspettava altro che essere scoperta.
Il potere della Foresta, dunque, risiedeva nella sua capacità stimolare quel tipo di sensibilità del Guardiacaccia, portandolo ad osservare con un occhio meno superficiale ciò che lo circondava.
L'episodio più forte che lo aveva indotto ad interrogarsi sul fenomeno era capitato giusto qualche mese prima, quando vi si era introdotto per recuperare un po' di legna per le cucine di Hogwarts. Una fitta coltre di neve appena caduta ammantava ogni elemento naturale rendendolo di un candido bianco che colmava lo sguardo. Avvalendosi della magia, Lucien si era creato un varco per evitare di dover affondare nella neve fresca ad ogni passo. Fasci di luce dorata coloravano le tonalità boschive dove la neve non aveva attecchito, mutandone l'aspetto in maniera sottile ma capace di stupire il Guardiacaccia. Stava superando un dedalo di faggi rossi, spogli di quasi tutte le foglie, quando con la coda dell'occhio aveva scorto un filamento bianco penzolare dal tronco.
Oscillava seguendo i refoli d'aria mossi dal suo incedere affettato - data la pericolosità del luogo - e riuscì ad accaparrarsi l'attenzione del mago che si arrestò per osservarlo con maggiore attenzione. Pareva un crine di unicorno, anche se non poteva esserne del tutto certo. Lo prese tra pollice e indice, stando attento a non staccarlo dalla superficie lignea e fu in quel rapido momento di contemplazione che notò una piccola insenatura nel tronco. Apparentemente, sembrava un buco scavato da qualche animale, ma fu ciò che vide al suo interno a lasciarlo estasiato.
Una fata aveva deposto quelle che probabilmente erano una cinquantina di uova, deposte sulla pagina inferiore delle foglie. Le aveva sistemate come una sorta di pavimentazione naturale e tutt'attorno aveva rivestito il suo "nido" con elementi naturali come muschio, rametti e, tra le altre cose, qualche filamento bianco.
Lucien rimase nascosto per non disturbare la creatura, sul volto un'espressione di genuina meraviglia.
Dimentico della naturale propensione al ragionamento, in modo intuitivo ed irrazionale e guidato dall'effetto che quella visione gli aveva procurato, Lucien aveva ceduto il posto allo stupore, con aurorale meraviglia, come fosse la prima volta che vedeva una situazione simile, quando invece molto spesso le fate del suo terrario avevano dato vita a nuove vite. Quella sfumatura di esistenza composta di pezzi già visti assumeva un contorno totalmente nuovo e profondo, smuovendo una reazione spontanea ed intuitiva in Lucien.
Spese più tempo di quanto fosse saggio fare nel suo istintivo stupore, ed ebbe riprova della magia che permeava in quella foresta ma lo sguardo di emozionato infante che quel frangente gli regalò, lo accompagnò finché non fece ritorno alla sua capanna.

 
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view post Posted on 16/8/2021, 14:24
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Durante quelle giornate d'inverno, Lucien sentiva più imperioso il bisogno di isolarsi, cercando gli angoli più isolati della costa dove trascorrere del tempo in solitudine. Spesso si trattava di piccoli avvallamenti rocciosi difficili da raggiungere, e per questo scarsamente frequentati, o delle irte scogliere che cadevano a strapiombo nel mare, maestose e silenti come montagne di zucchero.
Da quell'altura gli abitanti di Durness parevano piccole formiche laboriose: fabbri, artigiani, sarti, muratori, locandieri, pescatori, lavoratori forgiati dal sole cocente, dall'aria salmastra e dallo scorrere del tempo.
Da lassù Lucien si sentiva un osservatore invisibile, come gli spiriti che navigavano nei suoi sogni. Se ne convinceva al punto da avvertire spesso la sensazione di essere un elemento fuori posto dentro una cornice impeccabile, ma tale condizione non gli pesava e nutriva la speranza della pace dell'animo che andava ricercando come un'ossesso da quando aveva compreso di non appartenere più del tutto a quel mondo, un mondo babbano.
Più volte credeva di averla trovata ed ogni volta doveva ammettere di essere in errore e quell'ammissione diveniva di volta in volta più pesante. Così cercava di concentrare i propri pensieri su altro ed era qui che entrava in scena la miccia capace di innescare la sua curiosità d'infante: le caverne sotterranee che serpeggiavano lungo la costa nord.
Meta di scorribande giovanili, era sconsigliato raggiungerle dai locali perché giudicate pericolose, caratterizzandole con l'epiteto di meta proibita.
Lucien non conosceva i cunicoli germogliati grazie all'erosione dell'acqua - cosa che, a quanto si diceva, era stata concessa unicamente ai capitani e alle loro ciurme - ma alcuni suoi amici sostenevano di esserci riusciti, senza ovviamente addentrarsi troppo in profondità. Ed era proprio ad uno di quei cunicoli plasmati dagli agenti atmosferici che il giovane Lucien aveva puntato, avvinto dalla curiosità.
Il motivo scatenante, quello primario almeno, era sempre uno: la ricerca spasmodica della solitudine che gli regalava il silenzio dopo ore di incessanti domande da parte dei suoi simili. Come stava? Cosa vedeva nel proprio futuro? Sarebbe tornato a vivere stabilmente a Durness, un giorno?
Le risposte avevano plasmato quelle vacanze natalizie come la sabbia a contatto con l'acqua, torcendolo sino a farlo diventare troppo buio per la luminosità che un tempo aveva vantato.
Quella mattina si era svegliato con il sorriso sulle labbra: non aveva impegni che includessero altri esseri umani e poteva buttarsi in quell'avventura.
Il cielo era terso e soffici nuvole coprivano parzialmente la volta celeste, colorando il mare di una sfumatura argentata. Voleva rimirarlo, contemplarne la bellezza e colmare il cuore di quella visione. Era l'alba, e il suo passo non aveva incontrato ostacoli; la popolazione di Durness dormiva pacata mentre Lucien proseguiva il suo cammino diretto alle caverne. Sulla sua spalla destra troneggiava il fedele Boo, il camaleonte che aveva trovato diversi anni prima e che da quel giorno era divenuto il suo più caro amico. Il ragazzo serbava nei suoi confronti un attaccamento simile al rapporto tra un padre e un figlio e guai a chi osava arrecargli disturbo.
Dopo aver inciampato in diversi dislivelli poco amichevoli - rischiando più volte di abbracciare lo strapiombo sottostante e capitolare in mare - il giovane giunse all'imboccatura della grotta. Gli angoli delle labbra si torsero in un sorriso, come chi ha appena raggiunto un obiettivo sudato.
Il colore delle pareti era una tavolozza di sfumature che andavano dal grigio perla al nero inchiostro, tinteggiate di forme astratte realizzate dai fasci di luce che baluginava sulle pareti. Stalattiti di diverse forme e dimensioni facevano somigliare la grotta ad un enorme volto incorniciato da capelli ondulati ed il silenzio ne incrementava la solennità, ad eccezione del canto del mare all'imboccatura. Lucien sapeva di non potervi stare a lungo poiché in determinati momenti della giornata l'alta marea bloccava l'uscita e l'entrata ed a quel punto non si poteva far altro che pazientare, aspettando il momento in cui l'acqua si sarebbe ritratta. Ma, se si puntava come nel suo caso agli anfratti più bassi e profondi, l'acqua avrebbe colmato ogni spazio inghiottendo nella sua morsa ogni avventuriero.
Ma Lucien aveva fatto bene i suoi calcoli, oh siii, dopotutto mai una volta si era sbagliato.
Dall'interno arrivava un freddo vento salmastro; più oltre, nell'oscurità, ruggiva il rumore del silenzio. Una sottile peluria dorata si rizzò sulle braccia scoperte dell'adolescente, che indossava solo una leggera maglietta nera tempestato di sfregi color corallo. Boo si mosse eccitato sulla sua spalla, felice di vedere un posto nuovo. Lucien l'aveva portato perchè gli pesava lasciarlo per ore chiuso in casa, così appena poteva lo portava con sè in qualche avventura solitaria.
Gli occhi cerulei brillarono nell'oscurità e con passo attento si addentrò sempre più nelle profondità di quell'anfratto naturale, muovendo il capo prima a destra e poi a sinistra. Dov'era? Assottigliò lo sguardo e rimase immobile per qualche istante. «Ah!» mormorò quando finalmente intravide il sasso che il suo amico Louis gli aveva confidato di aver posizionato tatticamente nella parte sinistra della prima stanza della caverna, profonda come i suoi sogni. Era facile riconoscerlo perché possedeva una forma simile al timone di una barca.
Il mago sistemò Boo sul suolo freddo e senza fatica riuscì a spostare il sasso. Una volta alzato, esso rivelò un vecchio libro impolverato dal titolo Gli abissi dell'anima che Lucien aveva prestato all'amico con la promessa di riaverlo in quel modo. Lo batté contro la coscia per liberarlo della polvere, cercò un angolo asciutto e si immerse nella lettura, cullato dal suono delle onde contrapposto al silenzio della grotta sommersa.
Aveva appena iniziato a far scorrere le pagine ingiallite alla ricerca della linguetta lasciata come promemoria, quando con la coda dell'occhio individuò il camaleonte correre verso la strada che li aveva condotto lì. «Ehi furbastro, non penserai mica di lasciarmi solo, vero? Torna qui!» I polpastrelli lasciarono la presa attorno al libro, che atterrò sul terriccio con un tonfo sordo. Cercando di non inciampare, Lucien cercò di raggiungere l'animale quando si accorse che questi si era arrestato, fissando un nuovo intruso. Era davvero lui?
Non fece in tempo a trovare risposta che essa si palesò davanti ai suoi occhi. L'intruso si avvicinò loro, rivelandosi l'ultima persona che il mago si sarebbe aspettato di rivedere: Jago Hareton, apprendista speziale e amante dei veleni. «Tu..?!» le parole gli morirono in gola, sopraffatto da un'ondata di emozioni: sorpresa, incredulità, rancore; emozioni discordanti che galleggiarono nel suo animo scontrandosi all'impazzata.
Le gote gli si imporporarono all'istante incendiandosi come petardi. Non vedeva il coetaneo da mesi ed era stato attento affinchè le loro strade non si rincrociassero quando aveva fatto ritorno a Durness per le festività.
Attento, si, ma non abbastanza.

Le grotte che pullulavano vicino a Durness rappresentavano un'incognita ed un pericolo. L'unica cosa che gli era stata concessa prima di addentrarsi al loro interno, era stata una datata frequentazione da parte del suo amico che gli aveva permesso, in maniera abbastanza certa, di poter calcolare le tempistiche entro cui quei cunicoli si sarebbero tramutati in percorsi di morte certa. Tuttavia la sua breve esistenza gli aveva permesso di apprendere una seconda verità: niente poteva dirsi esatto quando si aveva a che fare con madre natura.
Non avrebbe messo la mano sul fuoco sul fatto che le teorie su cui aveva basato la sua avventura si sarebbero rivelate esatte, tanto più che era la prima volta che vi si avventura a, ed era stato con un prolungato timore legato al rischio del dubbio che l'aveva invitato a rischiare, giacché di rischi e probabilità si stava parlando. Ma il suo essere fin da bambino era stato accarezzato dal desiderio di accostarsi al rischio dell'ignoto e più le cose si facevano rischiose, più Lucien se ne lasciava ipnotizzare, inducendo il proprio corpo ad assecondare i propri desideri.
Era così ogni volta che decideva di compiere un gesto sconsiderato, combattendo l'ignoranza con il cuore carico di emozioni tumultuose. In esse aveva trovato un rifugio, lontano dai problemi del quotidiano, lontano da quelle persone che non potevano in alcun modo capirlo, lontano da Hogwarts. In quei momenti nessuno era in grado di ferirlo e la solitudine si era dimostrata una cara amica capace di ascoltarlo e assecondarlo. Boo era stato un'eccezione, d'altronde quel piccolo animale verdastro trasudava silenzio e quiete esattamente come quegli anfratti rocciosi e la sua presenza gli trasmetteva il barlume di coraggio necessario per spender ore a fare cose senza sapere se sarebbero state le ultime della sua vita.
La paura aveva iniziato a stringersi attorno al suo piccolo cuore pulsante quando l'allontanamento di Boo aveva fatto seguito ad un'insolita scoperta: un altro essere vivente capitato in quegli anfratti secolari. Un altro umano che avrebbe tanto desiderato non rivedere.
Jago aveva rappresentato un capitolo tormentato che Lucien non aveva alcuna intenzione di inserire nuovamente nel suo quotidiano. A quanto pareva, però, il destino non era stato dello stesso avviso.
Una risata sguaiata aveva anticipato le parole dell'altro. «Lucien e il suo rettile! Jago sapeva che eri fuori di testa, ma non pensava fino a questo punto. Scommetto che è la prima volta che vieni qui e che non avresti immaginato che a rischiare la pellaccia non saresti stato solo.»
Lucien lo aveva ascoltato, senza permettere alla sua voce di fondersi con la sua. Come ricordava, il giovane si esprimeva in un modo che trovava profondamente irritante: sembrava dovesse sempre dire l'ovvio. Ovvio che non avrebbe potuto immaginarlo, ovvio che rischiavano di morire, ovvio che non avrebbe pensato di rischiare la vita da solo, ma non perché poteva immaginare il suo arrivo, ma perché con lui su era portato Boo. Per non parlare del modo in cui Jago parlava di sè che Lucien aveva letto come sinonimo di egocentrismo e arroganza da un lato, e di insicurezza e indeterminatezza identitaria dall'altro - due facce della stessa medaglia - nonché sintomo di una personalità frammentata.
Non era stato facile non pensare a lui e altrettanto difficile era doverci nuovamente avere a che fare. Ma questi sentimenti furono spezzati da un rumore sinistro che annunciava l'innalzamento del livello dell'acqua. Essa lambì la pavimentazione sono a bordare le scarpe calzate dal mago. La bacchetta avrebbe dovuto riposare al sicuro, pressata contro la sua pelle, in un chiaro invito ad essere usata; ma non poteva e, comunque, non l'aveva con sé.
«Ma che.. ? Non doveva, oggi... non ora.. !» Jago prese a bofonchiare mentre una maschera di ansia mista a terrore gli stropicciava i tratti. La mano di Lucien fu stretta dalla sua, più massiccia, che prese a strattonarlo con insistenza.
«Vieni con noi, idiota! Non possiamo tornare da dove siamo arrivati, la corrente ci risucchierebbe riportandoci qui.. dobbiamo percorrere quel cunicolo, ci condurrà nell'unica apertura abbastanza grande perché possiamo passarci!» La voce a tratti isterica rimbombò nello spazio chiuso, infastidendo i timpani del mago. Doveva credergli? Proprio a lui? Davvero non poteva ripercorrere la strada dell'andata? Lucien gettò uno sguardo in quella direzione e notò che effettivamente l'acqua stava affluendo con una certa lena e molto rapidamente, troppo rapidamente, stava sommergendo l'angusto spazio cavernoso.
Non aveva abbastanza lucidità per ragionamenti migliori, e guardando il punto dove il libro era ormai stato inghiottito dall'acqua gelida, fece un cenno affermativo col capo e lasciò che l'altro lo trascinasse in cunicoli bui dei quali sospettava solo l'esistenza. Era la strada giusta? Quante volte ci era stato Jago sa avere la certezza di non perdersi in quel labirinto di roccia? Era certo di dov'erano diretti o era l'istinto e la paura a muovere i suoi arti come una marionetta senza controllo?
Boo, che nel frattempo aveva ripreso posto sulla sua spalla, arpionava con i piccoli artigli posti sulle zampe stoffa e carne in una presa mordace che gli permise di non cadere nonostante gli spostamenti repentini.
Ovunque posasse lo sguardo, a Lucien sembrava di vedere lo stesso scenario con qualche piccola variante; due volte inciampò e si sbucciò un ginocchio contro una roccia scabra. L'eco dell'acqua che li rincorreva era incalzante e si mischiava a quello dei battiti cardiaci accelerati.
Ad un certo punto cominciarono a salire e Jago mollò la presa, intimandogli di seguirlo mentre si arrampicava su speroni rocciosi di diverse misure. Più agile di Lucien, nonostante la mole il babbano presentava un equilibrio e sicurezza dato, probabilmente, dall'esperienza; ugualmente Lucien riuscì a seguirne gli spostamenti senza perderlo di vista. Finalmente uno sprazzo di luce rivelò la presenza di uno squarcio nella parete sopra le loro teste: non era molto grande, ma il giovane credette che avrebbero potuto davvero passarci.
Jago si allungò stendendo le braccia e con un unico salto raggiunse l'orlatura del buco. Vi si appigliò, dondolò pochi secondi e si issò sparendo dalla vista di Lucien.
Il francese si aspettò di veder spuntare un braccio proteso per aiutarlo, ma ciò che vide gli ghiacciò il sangue nelle vene: un masso di piccole dimensioni rotolò sino a bloccare buona parte dello squarcio, lasciando solo una piccola fessura di luce.
«Sei più stupido di quanto pensassimo! Credevi davvero che ti avremmo aiutato?» Un'ombra si spostò, segnalando l'avvicinamento di Jago prima che un terzo del suo volto si stagliasse dallo squarcio. Lucien imprecò, vomitandogli addosso i peggiori improperi che conosceva fino a sentire la gola bruciare. «Oh, ma non mentivamo sull'impossibilità di passare da dove siamo arrivati. Vedila così: ora avrai un po' più di tempo per esplorare queste caverne. Sempre che tu non ti ci perda cercando un'altra via d'uscita che, a quanto ne sappiamo, non esiste. O che l'acqua non ti sommerga prima.» Una risata amara come il fiele si disperse man mano che Jago si allontanò, lasciando Lucien e Boo alla mercé della propria disperazione.
Dopo che Lucien ebbe prosciugato tutta la propria rabbia, la lunga coda del camaleonte gli pizzicò le guance, a mo' di carezza. I due avevano instaurato da tempo una forte connessione emotiva e non avrebbero potuto fare a meno l'uno dell'altro. Rimasero a fissarsi per lunghi minuti, trasmettendosi più di quanto potessero fare le parole.
D'un tratto, il mago tese il braccio in modo da arrivare il più vicino possibile al foro: Boo vi si arrampicò e, con l'agilità propria della sua specie e sfruttando le proprie piccole dimensioni, vi passò in mezzo raggiungendo la salvezza. «Vai... »
Lucien rimase ad osservare quel punto qualche minuto dopo che l'animale scomparve dalla vista, poi si accovacciò per cingere le ginocchia con le braccia, la fronte pigiata, gli occhi sbarrati.
Non fu mai in grado di calcolare il tempo intercorso, ormai l'acqua aveva raggiunto anche quella cavità quando il masso fu spostato ed una maggiore luce illuminò la cavità. Le lacrime rigavano ancora le guance del mago, sporche di terra e polvere organica quando le pupille saettarono di colpo in quella direzione.
La possente figura di suo padre lo chiamò a gran voce, l'ansia a colorargli il tono grave.
Dalla sua spalla sbucava la piccola sagoma del camaleonte.

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Esplora un luogo che il tuo pg non ha mai visto prima.

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view post Posted on 24/9/2021, 14:16
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Concorso a Tema [Settembre 2021] ~ Leggenda
5A3BRP2
The world seems full of good men, even if there are monsters in it
N
otturn Alley è uno di quei luoghi dove viene meno la percezione della notte e del giorno. Addentrarvisi è come oltrepassare un muro invisibile e perdere la cognizione di spazio e tempo, stretto in una cupola che ti confina in quella che pare a tutti gli effetti una dimensione differente da quella in cui si è soliti bazzicare. Almeno questa è la sensazione che mi ha sempre smosso, rimasta immutata nel tempo, nonché fattore scatenante di un'attrattiva che mi ha condotto nella strada laterale innumerevoli volte. D'altronde i motivi per recarvisi sono variegati, ma specie nell'ultimo periodo sono spesso collegati all'impiego come guardiacaccia; nello specifico, in via ufficiosa devo acquistare il Repellente per le Lumache Carnivore che infestano l'orto della scuola. Naturalmente i miei affari mi appartengono, pertanto chiunque stia leggendo non otterrà la vera motivazione che mi ha condotto qui. E non ha rilevanza, credetemi.
Dovrebbero essere circa le otto di sera quando mi inoltro nel vicolo pullulante di negozi dedicati alla Magia Nera e alle Arti Oscure. È una notte fredda, il gelo spira fino ad insinuarsi tra le ossa ghiacciate, non v'è barlume del tepore che dovrebbe aleggiare nell'aria di quel settembre appena iniziato. Il cielo, una distesa infinita color ossidiana, osserva muto i passi che segnalano la mia presenza. Gli anfibi lasciano un rumore sordo sul lastricato traslucido, dove i segni della pioggia si mischiano al lercio che ricopre lo strato di malta.
Sguardi sfuggevoli dardeggiano sulla mia sagoma, il tarlo del dubbio s'insinua nelle menti affamate. Ben nota è la frequentazione abitudinaria di quello spicchio di mondo magico ed io a quale corrente appartengo? Lascio che le risposte serpeggino di bocca in bocca, proseguendo il mio cammino sino ad inoltrarmi in una via laterale.
Ed è qui che tutto ha inizio.
Sento un rumore, simile ad un sibilo, che cattura la mia attenzione. Ad accogliere il mio sguardo sono le tenebre, tra le quali scorgo una figura umana della quale non riesco a scorgere molti dettagli. I miei sensi, già acuiti, subiscono un'impennata che mi induce a far scivolare la mancina nel drappeggio del mantello; solo sfiorare la dodici pollici mi instilla un senso di sicurezza e mitiga il mio umore. La figura emette un lamento seguito da un borbottio: parrebbe agonizzante.
«Ha bisogno di aiuto?» domando con l'impugnatura sempre più salda attorno al tiglio argentato, pronto a scattare in caso di necessità. Ho sempre peccato di scarsa fiducia, specie verso gli sconosciuti. Specie un quell'ambiente.
«S-si..»
Una voce arrochita dal tempo, fredda come pietre intrappolate nel ghiaccio, rivela una presenza maschile e di certo non giovane. Muovo un passo nella sua direzione, ma questi si ritrae nell'ombra, rendendomi ancor più difficoltoso individuarlo.
«S-state lì, ve ne prego.» Un accento dell'est caratterizza la sua inflessione, anche se non riesco ad attribuirlo a nessun luogo in particolare.
Con un fruscio, vedo allungarsi verso di me un braccio dalla cute molto pallida e segnata dal tempo, le unghie teatralmente lunghe e lievemente affilate. Il genere di incontri che si mette in conto di fare in un luogo come Notturn Alley.
La pelle è incrostata di sangue rappreso, fresco in altri punti. Non riesco a capire da quale punto sia sgorgato, probabilmente è più in alto, verso la spalla, coperta da un velo di ombre.
Inarco le sopracciglia, stranito dalla visione ma non turbato dal liquido rubicondo; nel mentre lo sconosciuto allega alla visione le seguenti parole. «Sono stato aggredito poco fa. Dovevo incontrare un amico per cena, ma le cose non sono andate come pensavo.»
Le ultime parole vengono tirate in un gemito di dolore trattenuto. Mi domando dove intendesse cenare, visto il luogo, ma evito di domandarglielo perché incuriosito da come invece si fossero svolte le cose. Il silenzio che ne consegue non sembra invitarlo, come speravo, ad informarmi meglio circa la sua disavventura. Mi aspetto che mi dica come posso aiutarlo. Quasi leggendomi nel pensiero - anche se più verosimilmente ci deve essere arrivato per logica - questi prosegue. «Ho detto che ho bisogno di aiuto, non che voi potete garantirmelo.»
Inizio a spazientirmi, d'altronde mi trovo da quelle parti per ben altre ragioni - procurarmi ingredienti particolari per le mie pozioni.
«Se ritiene che non possa aiutarla, proseguo per la mia strada augurandomi che riesca a trovare qualcuno più capace di me.» Taglio corto, sono spazientito e non manco di lasciarlo trasparire dal mio tono, ma non appena muovo un passo per ritornare sulla mia strada, l'uomo si affretta a bloccarmi.
«Aspettate...!» Simile ad una supplica, avverto una tensione che non mi piace. «Vogliate accettate le mie scuse, non era mia intenzione mancarvi di rispetto. Avete chiesto se avessi bisogno di aiuto e ve l'ho confermato, poiché di fatto ne necessiterei, ma la compagnia di un giovane che mi ispira è già benefico per le mie sofferenze.»
Una voce nella testa mi suggerisce di abbandonare la compagnia di questo individuo eppure vi è in lui qualcosa che mi respinge ed attrae allo stesso tempo, e che mi induce a trattenermi ancora un po'. Il tempo non mi manca e che sia o meno la decisione giusta presumo lo scoprirò a breve.
«Asserisce di trovare positiva la mia compagna, dunque l'avà. Per un po'. Potrebbe iniziare a dirmi il suo nome.» butto lì, senza pensare davvero che un nome possa dirmi qualcosa di utile di lui; quanto potrei sbagliarmi. Non spezzo la vicinanza con la bacchetta, tuttavia i nervi molto lievemente si distendono mentre resto in attesa. In tutta risposta ottengo una risata roca.
«Ho avuto diversi nomi, ragazzo.» Colgo qualcosa di diverso: una sfumatura di vanità, forse, ma a sorprendermi è piuttosto l'improvvisa mancanza dei segni di dolore che avevano colorato la sua voce fino ad ora. Essa appare più sicura e, a tratti, agghiacciante. «Sebbene un nome non definisca l'individuo, nel mio caso altri hanno cercato di fare in modo che lo fosse trovandone di curiosi Più parla, più mi accorgo che il mio interesse nei suoi riguardi si accentua, anche se non posso non cogliere i segnali - come quello del tono di voce cambiato - che mi indurrebbero ad allontanarmi seduta stante. Azzardo, vinto dalla curiosità. «Allora le andrebbe di dirmi qualcosa di lei e della sua vita?»
Il silenzio che ne consegue mi porta a supporre che sia titubante ad ottemperare alla mia richiesta, sebbene non ne comprendo il motivo.
Di scatto l'arto proteso viene ritratto e di lui riesco a individuare solo una sagoma nel buio. Un movimento troppo lesto per un arto ferito al punto da sanguinare.
Appartiene davvero a lui quel sangue? È davvero una vittima?
«Mi chiedete di narrarvi la mia storia. Ebbene, non so se posso soddisfarvi appieno, ma farò il possibile.»
Non posso vederlo, ma immagino stia sorridendo. Probabilmente sono in errore.
Pendo dalle sue labbra e mi maledico per questo, scoprendomi più interessato di quanto vorrei.
«La mia storia presenta fatti reali ed altri immaginari, starà a voi capire quando le mie parole corrisponderanno ad uno e quando all'altro. È stata presa e modellata dalla collettività rendendone le dinamiche surreali ma coinvolgenti e di grande interesse per i più; esse si sono lentamente sovrapposte alla realtà fino a trasformare i fatti in leggenda e me, di riflesso, una leggenda. Che ciò mi stia bene o meno non ha rilievo. A onor del vero, ha offerto notorietà alla mia nazione, altrimenti di scarso interesse nelle pieghe del tempo. Uno scrittore ha investito nel narrarla per iscritto e gli è valsa una discreta notorietà, ma come tutte le leggende - fruita per diversi contesti, passata di bocca in bocca, da mezzo a mezzo - ha avuto le sue mutazioni che l'hanno resa più colorata
Un fruscio si unisce al suono sordo di passi, segno che il mio interlocutore ha preso a muoversi pur scegliendo di non avvicinarsi a me. La cosa mi dà sollievo e per qualche strano motivo me ne ritengo fortunato.
«Dovete sapere che il mio temperamento particolarmente sanguinario e crudele mi ha vantato di molteplici vittorie in Europa, tra cui la conquista di un impero non indifferente per la storia di allora. Diciamo che i metodi che imponevo nel mio regno erano considerati, passatemi il termine, poco ortodossi. Tra le credenze popolari, la pratica dell’impalamento come metodo di tortura e di esecuzione, che mi è valsa il soprannome di Țepeș, (impalatore) sembra sia quella che riscuote il maggior interesse degli ascoltatori e lettori.»
È vanesio, non c'è dubbio, e per l'ennesima volta mi trovo a domandarmi se credere alle sue parole. In quanti hanno creduto alla sua storia, sia quando si svolsero i fatti sia a posteriori? Ma poi...di quanto tempo stiamo parlando?
Per un attimo una delle tante emozioni che albergano in me in questo momento prevale sulle altre e benché sia normalmente più incline al raziocinio, non riesco ad ammansirla. È la paura che questo tizio sta smuovendo in me con la sua sola presenza, abilmente oscurata dalle tenebre, e la favella.
«Nacqui a Sighisoara, figlio di un illustre membro dell’Ordine del Drago (istituzione creata a protezione del Cristianesimo nell’Europa orientale) e sovrano della Valachia. Durante l'infanzia io e mio fratello Radu fummo fatti prigionieri dai turchi per sei anni, durante i quali nostro padre morì e cedette il regno ad un uomo immeritevole. Non appena feci ritorno a casa mi appropriai di ciò che mi spettava di diritto, ma regnai sulla Valachia per soli due mesi perché quell'usurpatore mi sconfisse ed esiliò. Riuscii a riottenere il mio regno e mi sistemai in un imponente castello tra i boschi. Qui la mia prima moglie si gettò da una torre finendo tra le acque del fiume Arges, ponendo fine alla sua vita, pur di non farsi catturare dai turchi. Una sorte differente mi attese poiché fui rinchiuso per dodici anni in una torre a Buda; per ingannare il tempo, decapitai, impalai, torturai e mutilai gli uccelli di passaggio. Quando poi, con l'aiuto della Transilvania, riuscii a riconquistare il trono, applicai quel diletto anche a turchi, boieri e cristiani infedeli per imporre loro l'onestà e la giustizia. Contestualmente mi sposai di nuovo ed ebbi due figli. Tutto procedeva per il meglio, quando a causa di una falda lettera fui accusato di tradimento e imprigionato a Visegrad e Pesta per dodici anni; Stefano il Grande, principe della Moldavia, mi graziò con la liberazione e potei tornare a regnare, ma non passò nemmeno un mese che una cospirazione dei boieri portò alla mia morte. Una morte che mi portò ad una nuova vita, fatta di sangue ed eternità.»
Impiego diversi minuti ad incassare tutte quelle informazioni, sebbene me le abbia narrate con la calma di chi ha tutto il tempo di questo mondo per farlo. Il mio corpo sembra aver appreso più velocemente la portata della storia, più incline a crederlo e a reagirvi di quanto la mia psiche sia disposta a fare. Sto tremando sotto il mantello e la mia bocca accoglie l'aria che la frusta, spalancata. Perché mi trovo ancora lì non mi è chiaro; vorrei andarmene ma non riesco a farlo. Forse sono troppo spaventato.
«Senta...devo andare adesso, ho una certa fretta.»
La mia voce non è convincente, me ne rendo conto e so che anche lui lo sa. «Prima non sembravate averne.» Lapidario, ancora una volta riesce ad inchiodarmi sul posto senza castarmi incantesimi o usare la forza fisica. Ne gongola, me lo sento.
«Non abbiate timore, non vi tratterrò con i dettagli più succulenti, d'altronde per una narrazione esaustiva necessiteremmo di tempo che voi non avete. Secoli, forse.»
È ironico, mi dico, non credendo ovviamente che servirebbe così tanto tempo, ma trovando sempre più labile il confine di cosa possa ritenere davvero credibile e cosa no.
«Mi è bastato quanto mi ha detto.»
Risulto probabilmente scortese, ma poco mi importa a fronte dell'impellente desiderio di lasciare che la compagnia di questo individuo non si riveli ancora più pericolosa di quanto già mi appaia. Da diversi minuti ho elaborato l'idea di non avere di fronte una vittima, come mi aveva lasciato intendere all'inizio, bensì il carnefice. E non si tratta solo della sua storia, che mi ha sbocconcellato come un pasto delizioso, ma della sua intera figura che ancora non riesco a vedere. E, forse, è meglio così.
Finalmente trovo il sangue freddo per trarre la bacchetta allo scoperto, puntandola davanti a me. Ne segue l'ennesima risata di scherno, che stavolta assume un significato che non necessita di parole per trafiggermi le sinapsi: quel mezzo potrebbe rivelarsi inutile contro di lui.
Arranco alla ricerca di un'alternativa, domandandomi se la presenza di un rado pubblico che potrebbe notare un attacco ai miei danni fermerebbe lo sconosciuto.
È lui a polverizzare i miei pensieri, allungandosi verso di me come un'ombra, quel tanto da permettermi di notare le iridi rubiconde.
«Ora, se non vi dispiace avrei una certa sete da placare e voi, per quanto allettante, non sembrate desiderare ancora la mia compagnia come poco fa. Nè di aiutarmi, alla fine dei conti; ve lo avevo detto che ritenevo non poteste garantirmi l'aiuto inizialmente offerto. Perciò tenetevi il vostro tempo, quel che ne rimane. Io ne ho in abbondanza e troverò senz'altro nuovi amici per cena.»
I secondi si polverizzano accompagnando uno scatto che mi sottrae alla vista il mio interlocutore. Si ritrae con una velocità incredibile tra le ombre che lo avevano risputato offrendolo a me. O me a lui.
Di quello strano incontro rimane un cieco terrore che mi irrigidisce corpo e mente come un cadavere in una tomba e passano minuti interminabili prima che riesca finalmente a ritrovare la padronanza delle gambe ed affrettarmi con passo spedito da dove sono arrivato. Ciò che mi ha condotto a Notturn Alley può aspettare e mentre torno a casa, mi accorgo di essere ancora preda della paura più cieca e bestiale.


Il fatto che Lucien dia del Lei allo sconosciuto mentre lui del Voi è voluto.

Words of Magic
Body ~ 3 Il tuo pg incontra un png sconosciuto e si fa raccontare la sua storia.
Miscellanea ~ 5 Unisci una delle prove al contest a tema del mese.
 
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view post Posted on 19/10/2021, 13:03
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Concorso a Tema [Ottobre 2021] ~ Labirinto

Disclaimer: il testo presenta un contenuto forte e tematiche che potrebbe urtare la sensibilità del lettore, pertanto se ne sconsiglia la lettura a chi potrebbe esserne sensibilmente toccato.

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Just like a spy through smoke and lights, I escaped through the back door of the world and I saw things getting smaller, fear as well as temptation. I make my way through this labyrinth and my sense of direction is lost like the sound of my steps.
I’m walking through the fog, I see my memories in black and white, they are neglected by space and time. I left my whishes so far behind I find my only salvation in playing hide and seek in this labyrinth.

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È ridicolo morire così, non trovate?
Nel mezzo di una battaglia che ha già mietuto molteplici vittime, dove un Anatema che uccide potrebbe offrimi una morte magica memorabile, oltre alla scoperta di cosa accade in quell'infinitesimo lasso di tempo tra la luce smeraldina e la morte istantanea. Non che abbia poi così importanza, alla fine, dopotutto anche scoprendolo non riuscirei a sottrarmi al mio destino fatale. E, ricordate, io non voglio morire, sebbene le azioni che mi hanno visto protagonista negli ultimi mesi potrebbero far credere il contrario.
Sono stato messo alle strette da un paio di Mangiamorte dai macabri sorrisi purpurei - sembra che prima di volgere il loro interesse su di me abbiano tagliuzzato uno dei nostri sino a farlo morire dissanguato. Nei miei riguardi sembrano non volersi sprecare in incantesimi, con ogni probabilità mi ritengono talmente indegno dato il mio sangue sporco da preferir giocare con me e alla fine offrirmi una morte babbana.
Il Corridoio degli Sbagli mi ha condotto all'aula di Storia della Magia e qui, dopo aver tentato di difendermi attraverso incantesimi prontamente respinti, vengo spinto verso la finestra che dà sul cortile. Il messaggio è chiaro, glielo leggo chiaramente nelle iridi folli: vogliono che mi butti cosicché i miei compagni possano pensare che in un atto di estrema codardia, abbia preferito il suicidio ad una morte onorevole sguainando la bacchetta. Prendo la boccetta che tengo appesa al collo con l'intento di evocare un famiglio che mi permetta di volare via di qui, dato che in questo luogo non posso smaterializzarmi; ma il gesto viene intercettato dai nemici e le mie speranze neutralizzate. I maghi non vogliono contaminare la magia facendole saggiare la mia pelle così optano per una soluzione alternativa, animando la cattedra e scaraventandomela addosso. L'impatto col mobile è paragonabile ad un bolide del peso di tre uomini scagliato addosso e la velocità di movimento tale da far premere il mio corpo martoriato contro la finestra. Il vetro s'infrange in mille pezzi, alcuni dei quali mi trafiggono la carne, ed è il vuoto ad accogliermi con la sua ineluttabilità.
L'impatto col suolo è devastante e sento le mie ossa scrocchiare come le imposte della Stamberga Strillante: si spezzano come legna marcia ed il dolore che ne deriva s'impossessa della mia mente, mentre dal cranio avverto fluire un liquido caldo.

Il reparto Janus Thickey Ward è un’ala del San Mungo che ospita pazienti per una lunga degenza; smaterializzarsi è fuori discussione e pare che sia chiuso a chiave. Io e gli altri internati abbiamo subìto un danno permanente non curabile di varia natura, eppure di tanto in tanto arriva qualche strizzacervelli convinto di riuscire dove perfino la magia è stata inutile. Di norma resistono poco, due o tre sedute al massimo, e li sfruttiamo per ravvivare giornate ripetitive segnate dal tormento cui siamo piegati.
Noah Shaw mi è stato presentato come uno dei medimaghi specializzati più capaci del Regno Unito (l'equivalente di uno psichiatra babbano) e ho preso per vere le parole del capo reparto, come sempre. D'altronde conforta l'animo sentirsi dire che prima o poi tutto questo avrà una fine.
Il medimago Shaw si è trovato per le mani il mio caso: Lucien Cravenmoore, sopravvissuto alla battaglia di Hogwarts per mano del Signore Oscuro e i suoi seguaci, porta gli strascichi di un crollo nervoso. Sente voci nella sua testa e ha manie di persecuzione, addossandosi la colpa della morte dei propri studenti anche se questi, come ha scoperto Shaw, sembrerebbero essere ancora in vita.
«Buongiorno, dottore. Ha conosciuto il Pozionista Parnassus? Le avevo detto che avrebbe presenziato all'evento.» lo stuzzico non appena mette piede nella stanza spoglia, lo vedo sbattere le palpebre e non è chiaro se sia in risposta alle mie parole o alla forte luce che illumina i nostri volti.
«Può avertelo detto qualcuno che lavora qui e ha contatti col mondo esterno. Comunque si, gli ho parlato.»
Gli lascio qualche attimo per metterlo a suo agio, per fargli credere di essere padrone della situazione. Non dispongo di passatempi più stimolanti da quando sono qui, a parte i nostri incontri. Il mago si siede sull'unica sedia a disposizione e non posso fare a meno di notare - ed invidiare - i suoi abiti curati e dai toni vivaci.
«Mi corregga se sbaglio, ma dubito che qualche dipendente del San Mungo possa avermi informato anche di cosa avete discusso. Distillato d'angelo, se non vado errato. Lo sta studiando da diversi mesi, ormai.»
Stavolta lo vedo vacillare. I suoi occhi verdi mi scrutano attenti, i folti baffi tremolano impercettibilmente. Cerca di ricomporsi, di trovare un argomentazione con la quale controbattere e non la trova. Questo non è stato scritto sul mio fascicolo e solo Shaw ne è a conoscenza; lo sta testando da molte sedute e non riesce capacitarsene: sembra che dopo la battaglia che mi ha quasi portato all'altro mondo, io abbia sviluppato l'inquietante facoltà di prevedere discorsi futuri ed eventi che devono ancora verificarsi.
«Ascolta, Lucien, ci sono cose che non riesco a spiegarmi. Dalla prima volta che ci siamo incontrati, è come se fossi diventato io il paziente..» Scuote la testa, è visibilmente provato ed ogni parola sembra costargli quanto l'ammissione della loro veridicità. Ammetto di nutrire pena per lui quanta ne ho per me; spesso mi sono domandato se, sapendo ciò a cui sarei andato incontro, quel giorno avrei preferito non sopravvivere. «Ho parlato con tua sorella Océane.. poi un Auror mi ha detto che in realtà è morta quel giorno a Hogwarts perciò credo.. credo di essere preda delle tue stesse allucinazioni.» La sua voce si incrina, ha paura di spezzarsi anche lui. Non deve essere facile accettarlo, non lo è stato neanche per me; decido quindi di andargli incontro perché so quanto sia dura accettare l'inaccettabile, ma le mie parole servono a poco come lo sono state quelle che lui ha rivolto a me durante tutte le sedute. Ci si cerca di aiutare anche quando si sa non poter ottenere risultati soddisfacenti ed è buffo, nella sua tristezza. «Non si preoccupi, tutto questo finirà presto. Ho deciso di farla finita tra due giorni, è l'unico modo.» lo vedo sbarrare gli occhi, le labbra schiudersi per la sorpresa mentre annaspa alla ricerca di una forma di accettazione che possa aiutare sé stesso, oltre che me. In quel momento nella stanza entrano altri pazienti - lo spazio è quello che è e dobbiamo trovare il modo di beneficiarne tutti. Mi fissano con aria affranta e non ne comprendo il motivo, mi limito a restituirgli la stessa espressione. «È spacciato, non durerà ancora per molto.» Sento i loro sussurri, appena udibili dalla mia posizione, e mi domando se non abbiano udito i miei piani. Il medimago Shaw ha iniziato ad implorarmi di ripensarci, forse credendo che se anche non riuscisse a dissuadermi dall'intento, i suoi colleghi potrebbero impedirlo. Le sue argomentazioni sono valide, glielo riconoscono, ma del tutto inutili ed è ciò che non comprende. È quest'ultima considerazione a farmi ridere isterico, il corpo scosso finalmente vivo. Mi sembra di risentire quella sostanza liquida e calda che aveva preso a sgorgare dalla mia testa quel giorno, ma nella stanza non vi sono specchi che possano farmi capire se me la stia solo immaginando. Non sarebbe la prima volta, a quanto pare, che immagino qualcosa. Tasto il punto e noto che i polpastrelli si tingono di rosso.
«Non capisce, dottore? È inevitabile. È tutto qui, nella mia mente.» asserisco picchiettando la scatola cranica con l'indice, sporcando qualche ciocca di capelli.

Il sole morente getta i suoi ultimi spicchi sul mio volto e le sfumature ambrate si mescolano a quelle rubiconde del fuoco che arde tra le mura del castello. Pezzi di vetro sono incastonati nel mio volto e non sento più il resto del corpo, divorato dal dolore conseguente la caduta.
Avverto voci accorate radunarsi attorno a me: riconosco i loro volti come se li avessi visti pochi minuti fa. Ad un certo punto si avvicina un uomo di cui riconosco gli occhi verde bottiglia e i buffi baffi.
«Sono un medimago. Stai tranquillo, andrà tutto bene.»
Un ronzio assordante mi rimbomba nella testa e fatico a comprendere il resto delle sue parole. Sembra non riconoscermi, come se fosse la prima volta che mi vede.
Lo vedo fare il possibile per salvarmi la vita e, negli sprazzi di lucidità che ancora mi è concessa, mi rendo conto che intorno a me si sono radunati volti che ho visto al San Mungo. Sono gli altri pazienti, sono i medimaghi. «È spacciato, non durerà ancora per molto.» bisbigliano fissando impietositi il mio capezzale, alcuni hanno gli occhi bagnati di calde lacrime. Solo ora la mia mente mi permette di riconoscerli davvero. Tutto ciò che credevo di aver vissuto altro non è stato che una proiezione mentale basata sui volti di coloro che ho visto nel lasso di tempo intercorso tra la caduta e la mia imminente morte. Ogni uomo si consuma nel tentativo di spendere la vita al meglio prima che sopraggiunga la sua fine e, quando senti che ha deciso di non indugiare più, la paura non annebbia più il tuo cuore e vieni investito da una pace che speri si protrarrà anche dopo.

Riapro gli occhi quando ormai credo di non poterlo più fare e ad accogliere il mio sguardo smarrito non vi è null'altro che le tenebre. La percezione del mio corpo mi trasmette un messaggio forte e chiaro: sono vivo; il cuore mi bombarda il petto, il sudore imperla la pelle nuda e le più disparate emozioni mi schiaffeggiano l'animo tormentato. Sebbene potrei farmi luce con la bacchetta preferisco annaspare al buio, sospinto verso la luce naturale che trapassa la piccola finestra della stanza. Inciampo nei vestiti disseminati sul pavimento, impreco a denti stretti sentendo un fruscio alle mie spalle: è il corpo di Jane, raggomitolato tra le coperte sfatte. Questa sottospecie di vacanza scozzese mi ha destabilizzato sin dal principio ed ora mi trovo a riflettere su quanto le mie scelte potrebbero riflettersi sulla strega, al punto da far virare il suo sangue da rosso rubino a nero inchiostro. Perché questo sogno è uno dei tanti semi che stanno germogliando dentro di me: Les Fleurs du Mal, dice tutto, rivestiti di una bellezza sinistra e fredda, plasmati nel cieco furore e nella ferrea pazienza. Le diramazioni del percorso intrapreso in un tracciato inestricabile di strade che mi porteranno ad un'unica uscita, trovata quando avrò chiaro il mio posto nell'eterna dicotomia tra Bene e Male.
Raggiungo la finestra attraverso la quale il paesaggio verdeggiante è celato da una fitta cortina di nebbia. Presso la fronte rovente contro la latta di vetro ghiacciato e provo una fastidiosa sensazione, ma nonostante ciò non la ritraggo; resto con le orbite fisse nel vuoto, la mente continua imperterrita a percorrere nuove diramazioni. Il sogno mi ha mostrato una delle possibili conclusioni a fronte di una presa di posizione in favore del Bene, i cui contorni risultano sfumati. Ho rimandato troppo a lungo, anni spesi a sentirmi una goccia nell'oceano senza cercare di renderla in qualche modo distinta, ma i cambiamenti non sono mai facili da contemplare; e chi si trova ad orbitare intorno a me ne verrebbe automaticamente influenzato. Il respiro ritmico della medimaga tenta di infondermi una serenità che non riesco a ricucirmi addosso e mi sento ancora più nudo di quanto già non sia, in balia di decisioni che non ho la forza di prendere. Alcuni dei miei affetti sono soliti compendiare il mio nome in Luce ed il pensiero mi induce ad arricciare le labbra come una pergamena scottata dal fuoco. Luce Oscurità, un ossimoro più forte della mia volontà.
Sarò una Luce nell'Oscurità oppure la Luce dell'Oscurità?
Words of Magic
Spirit prova n°7: descrivi un sogno che sembra voler comunicare qualcosa di importante al tuo pg.
Miscellanea n°5: unisci una delle prove al contest a tema del mese

La OS si sviluppa nella trama di questa role. La player che muove Jane ne è al corrente ed ha acconsentito alla menzione del pg.
 
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view post Posted on 13/11/2021, 21:23
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Contest a tema: [Novembre 2021] ~ στοργή Storgé

Océane

affondi i piedi minuti nella sabbia con la stessa naturalezza con cui hai perso l'innocenza. Non so esattamente quando, ma è successo ed accettarlo non mi è facile; ormai di te ho perso diverse certezze, troppe. Ogni affondo ti allontana sempre più da me, seguendo il tortuoso percorso di crescita che sta delineando la donna che un giorno diverrai. Dentro di te, nascosta, quella luce che ti fa brillare più delle stelle più fulgide, che nemmeno i tuoi peccati sono in grado di adombrare ed io resto silenzioso spettatore delle tue scelte, dei tuoi sbagli, delle tue conquiste, lasciando che ciascuno smuova sentimenti contrastanti che non sono mai stato in grado di confidarti. È forse il mio orgoglio a privarmi della capacità di effettuare tentativi, fossero anche piccoli, e mi ripeto vigliaccamente che tanto tu sai, senza necessità di sforzi da parte mia. I secondi scorrono come i minuscoli granelli di sabbia che si sono staccati dalla tua pelle pescata diventano minuti, ore, giorni, mesi, anni e lascio che il mio mondo mi offra le scusanti per placare i sensi di colpa.
Lo studio, gli esperimenti con i miei coetanei, le nuove scoperte, assimilo ogni cosa lasciando che ponga tasselli sempre più rigidi nel muro invisibile che lentamente ci sta dividendo. Ma i sentimenti sono liberi dagli impedimenti che, senza accorgercene, ci siamo creati; il mio affetto per te è alacre come un fuoco che mai si spegnerà. Tu questo lo sai ma non lo dici, così come non lo faccio io.
E mi odio.
Per essere preda di un sentimento tanto volubile, che nella sua stoica presenza lascia che scintille opposte animino i miei occhi quando ti guardo. upFeQDsL'ambivalenza è ciò che ci definisce: la coesistenza di due elementi dinamici diversi ma non necessariamente contrastanti. Difatti sta nelle nostre molteplici differenze l'incastro che accetta ed ammette la nostra unione emotiva e parentale. Essa si manifesta altresì come condizione di chi, contemporaneamente, riceve due impulsi antitetici, nel nostro caso amore e odio. Molte tue azioni mi portano ad accendermi di orgoglio, altre mi infiammano le vene di veleno arroventato; è un calderone ricolmo di ingredienti che si mescolano senza sosta in un moto imperituro che mi lega a te, ora e per sempre.
Per te ho compiuto scelte aberranti, per te ho smosso la parte migliore di me; non potrei mai tornare sui miei passi perché quando si tratta di te, mia dolce perfida Océane, nessuna regola vale il degrado morale che mi rende, agli occhi di entrambi, il fratello più strano che potesse capitarti.
Non il migliore, non il peggiore, semplicemente colui che non smetterà mai di sentirsi molle per un sentimento così tenero e melenso, condito nell'odio, plasmato dall'amore. O forse basteranno gli anni di maturità che tutti mi dicono che raggiungerò, per avere una visione d'insieme meno grezza e squadrata. Chi può dirlo...
Questa tenerezza che tanto ripudio la si può cogliere in ogni mio sguardo affettato, in ogni mia azione e in ogni reazione. Perché anche se ti stai trasfigurando, divenendo da piccolo bozzolo ad elegante farfalla, resti la mia sorellina e tale resterai nel paradosso di un legame indissolubile.
Il tuo aspetto è mutato, la tua essenza si è plasmata in accordo alle tue scelte ed il nostro legame si è modellato di conseguenza. Non riesco più a farti ridere come allora, con una volgarissima barzelletta sul Troll e la Veela, né a capire cosa ti passa per la testa senza che me lo comunichi con la voce mutata da una crescita obbligata e, concedimelo, troppo frettolosa.
Mi sento sempre più sporco e inadeguato nel percorrere il tuo stesso cammino, quello che per ogni tuo affondo nella sabbia di Durness lascia voragini al posto di impronte, sapendomi colui che quand'eri bambina ti cantava ninnananne che ti facevano piangere e che ora gioca con le tue grida.

I tuoi boccoli di miele vengono solleticati dal vento e si animano come per magia, ma essa non alberga in questa fetta di mondo, bensì solo dentro di noi. Il vestito a fantasia floreale ti accarezza la pelle e si piega anche lui all'elemento, rivelandosi d'intralcio mentre inizi a salire verso il promontorio della scogliera. La tua arroganza ti induce a credere di poter fare di tutto senza conseguenze ed io, come sempre, sono qui a raccogliere i pezzi delle tue illusioni frantumate tra le rocce.
«Dai Lulù, muoviti!» A stento riesco a comprendere le tue parole ghermite dalla corrente, mi limito ad affrettare il passo per raggiungerti, senza riuscirci. Ad un certo punto ti vedo in difficoltà, credo tu sia scivolava sul terreno scosceso perché il tuo corpicino vacilla e inizi a cadere. Mi posiziono cercando di prenderti ma il tuo peso, unito al terreno smosso, mina i miei intenti e ruzzoliamo insieme; ti tengo stretta al petto mentre la mia schiena viene pressata con forza lungo i sassi.
Stare con te comporta farsi male: che tu ne sia consapevole o meno, che tu lo faccia di proposito oppure no, non giovi a chi ti sta vicino come il tuo limpido sorriso indurrebbe a credere. La tua essenza sobilla l'inganno ed è una delle tue armi più pericolose.
Dopo secondi interminabili il terreno ritrova il proprio equilibrio, e con esso i nostri corpi. Sento le vertebre ancora scricchiolare, il mio intero corpo sconquassato dal dolore e il tuo vibrare sopra il mio scossa da una risata genuina.
«È così che conquisti tutte quelle povere allocche che ti sbavano dietro?»
La tua voce è scossa dai singulti, la risata si fa quasi isterica. Il tuo peso gravita su di me quanto il peso delle tue parole, ma chiaramente non ti curi né di uno né dell'altro.
«Loro non mettono a rischio la propria vita pur di avere le mie attenzioni» ghigno beffardo.
E tu, Océane, le mie le avresti a prescindere, anche se ovviamente non le stesse che desiderano le studentesse o gli studenti di Hogwarts. Già, sperimentare mi ha condotto su sentirei che mai avrei pensato di percorrere e la novità sta nel fatto che non te ne ho parlato. «Sei un idiota, eppure tutti noi non riusciamo a non gravitanti attorno» Ecco una magia che ci accomuna, piccola mia. Durante la caduta, la mia nocca si è sfregata contro qualche superficie irregolare ed ora un'abrasione ne scalfisce la superficie. Non me ne accorgo, giacché il dolore che avverto non è circoscritto solo a quell'area, finché non la prendi tra le dita affusolate e te la porti alle labbra. Succhi quel poco di sangue che trabocca, lo stesso che scorre anche nelle tue vene, poi sostituisci la carne tenera con le zigrinature dei denti candidi.
Mi fai male, di nuovo.
«Peggio per te. Stai certo che noi femmine ti faremo soffrire» mi assicuri e, anche se non posso vederlo, sono certo che stai sorridendo. Purtroppo hai ragione, ne ho già avuto riprova, ma mai potrei paventare ciò che Kira non molto tempo dopo questo episodio causerà alla mia squallida esistenza.
Al dolore ci si abitua, dopo un po', e pur di non separarmi dalla mia sorellina sono sempre stato pronto a partirlo; d'altronde anch'io ne sono stato fautore nei tuoi riguardi, senza volerlo. Uno dei caleidoscopici fili che si intrecciano nel nostro legame fraterno, tessuto nel tempo e negli accadimenti che ci hanno visti protagonisti e che si annoda ad altre persone finendo per intaccare le reciproche vite. In tutte le accezioni positive di cui esso si compone.
«Correrò il rischio» ti sussurro con un mezzo sorriso celatoti alla vista, facendo scorrere la mano sporca tra i tuoi capelli fini che si attaccano alla ferita.
Rimaniamo così per un po', ad osservare le nubi che si rincorrono sopra le nostre teste, poi con uno scatto ti rimetti in piedi e mi allunghi il braccio. Ogni qualvolta arrechi dolore, sei subito pronta a fare del bene; ogni volta che induci qualcuno ad odiarti, sai sempre come farti amare. Se vuoi.
Mi decido ad afferrare la tua mano e facendo leva sul braccio libero mi dò una spinta per raggiungerti; pur apprezzando il gesto, so che sei troppo fragile per tirare il mio peso. Ed è a quel punto che mi abbracci - un gesto inconsueto per te, per noi, del tutto inaspettato. Non so come interpretare questo gesto perché è talmente semplice eppur profondo, così nuovo e strano per noi, da destabilizzarmi. Mi trovo a fare l'unica cosa che l'istinto mi suggerisce, ossia stringere a mia volta il tuo corpicino gracile; il tuo capo raggiunge a malapena il mio sterno e lì spinge, come se desideri che lo assorba, sparendo dentro di me. È il tuo modo per dirmi che mi vuoi bene, nonostante tutto, e che non sparirai, come invece farà nostro padre. Non mi resta che ricambiare il gesto ed il tuo corpo, così piccolo e fragile sotto la mia stretta energica, mi fa pensare che potresti polverizzarti all'istante. È un pensiero intollerabile quello di perderti, più salato delle acque che ci circondano e più pesante di un ancora che ci fa inabissare sotto il peso degli eventi che turbano le nostre esistenze. Restiamo così per un tempo indefinito ad esprimere i nostri sentimenti nell'unico modo che conosciamo; anticonvenzionale, imperfetto, sincero. A questo punto, senza alcun indugio, riprendiamo la salita impervia di una vita legata indissolubilmente.

 
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view post Posted on 22/12/2021, 22:29
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OD8EiG9 Caro Babbo Natale,
non ti ho scritto una lettera nemmeno quando me la facevo nel letto e mi trovo a farla ora, a ventisei anni, perché ho perso una scommessa - e sono sbronzo da fare schifo. Nella tazza natalizia che tengo nella mano libera dalla piuma, ribolle un ottimo whisky incendiario vin brulé levate; Leviosa di tanto in tanto ci intinge il becco, essendosi presto abituata alle buone abitudini della capanna. L'aria è pervasa di semi di Giusquiamo e Levitisco, la neve scende copiosa oltre la finestra - o almeno credo - e insomma sono nelle condizioni più distensive possibili per immolarmi in questa impresa.
Il pigiama a fantasia plimp- ah no di boccini giganti, mi pizzica la pelle perciò potrei dover interrompere la stesura di tanto in tanto. Se passo da un contesto ad un altro, caro Babbo, ora ne sai i motivi.
Metto subito le cose in chiaro, o le mani avanti: non sono stato per niente buono quest'anno. Non sono più un bambino, non sono stato buono, insomma, penso che più di qualche caramella non potrei chiederti, no? Dai, a Natale siamo tutti più buoni (in teoria) quindi fai il buono anche tu Babbino.
'orco mannaro! È caduta un po' di cenere sulla pergamena, ma dovrebbe leggersi lo stesso. Almeno le parti importanti. Se prometto di impegnarmi in vista del prossimo Natale a comportarmi, ehm, meglio conto di ricevere mille galeoni in contanti.
Per assicurarmi di ottenere il regalo anche se disgraziatamente non dovessi riuscire a tener fede al proposito sopra esposto, allego alla lettera un pacchettino di erbette magiche.
... grazie?
Appena avrò terminato di scrivere, farò volare in aria questa lettera assieme alla cenere pungente, vediamo dove il fato la sospingerà e se davvero la porterà a te.
Buon Natale!

Il buon bambino GesùLulù
letter to Santa - iniziativa Candele di Natale del Focolare Domestico



Edited by Atonement. - 29/12/2021, 13:14
 
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