La neve era davvero fredda. Una constatazione poco originale, ma che in quel momento occupava ogni molecola del corpo della Tassorosso, mente compresa. Riuscì a sollevarsi grazie alla Grifondoro, che si era avvicinata a lei per aiutarla.
«S-sono proprio una frana!» Disse ironica rispondendo alle premure appena ricevute,
«Grazie» Aggiunse poi, accettando la forza che le era stata offerta per alzarsi. Probabilmente questa era la volta buona in cui l'insignificante orgoglio della Tassorosso risentisse di qualcosa, vista la figura appena compiuta; in realtà era l'imbarazzo che dominava al pari del gelo sotto i guanti di lana, ormai quasi del tutto bagnati. Ma quello non era l'unico problema: la caviglia sinistra le faceva un male assurdo. L'orgoglio, ancora una volta, si fece da parte.
Restò aggrappata alla Grifondoro rendendosi conto che, se avesse lasciato la presa, sarebbe finita nuovamente nella neve.
«Credo di essermi fatta davvero male» La rivelazione fu esposta come se fosse una colpa alla quale non si poteva rimediare in nessun modo.
«Ti dispiacerebbe aiutarmi a raggiungere la panchina?» Aggiunse poi cercando di fare meno leva possibile sul corpo della ragazza della quale, si rendeva conto solamente ora, non ne conosceva nemmeno il nome. Era letteralmente diventata un peso in quel momento, ovvio che i suoi sensi di colpa, già di per sé suscettibili, si sentivano presi in causa.
«Mi dispiace» Disse poi mantenendo sempre lo stesso tono. Aveva rovinato una bella partita, si stavano divertendo così tanto! E a quella vista, gli altri partecipanti ne avrebbero probabilmente approfittato, invece si erano dati alla macchia dopo che la Grifondoro gli aveva urlato contro un'intimidazione. Probabilmente i fuggitivi non avevano nemmeno dato peso alle parole di una matricola, per quanto minaccioso potesse essere un mangialumache, ma era difficile non far emergere un'emozione familiare alla vista di quegli eventi. La Tassorosso non riuscì a non pensarci e frattanto si realizzava quel trasporto improvvisato verso una salvifica seduta, cercò di resistere al dolore pressante della caviglia parlando:
«Io comunque sono Gwen..» Invitava la Grifondoro a rivelare il suo nome, se avesse voluto, perché dal suo punto di vista era sempre e stranamente complicato.
Raggiunta la panchina, in un modo o nell'altro, si sarebbe seduta con appagamento e la prima cosa che le venne in mente fu quella di disfarsi dei guanti di lana zuppi: erano così freddi che non riusciva più a percepire le mani.
«Grazie!» Non sarebbe comunque riuscita a smettere di ringraziare e di scusarsi per ciò che era successo, frattanto cercava di liberare le mani dalla presa gelante,
«Sono così bagnati che non me le sento più!» Parlò ancora con tono sarcastico, cercando di distogliere l'attenzione dalla sua caviglia per evitare che la Grifondoro si preoccupasse, anche se probabilmente gli occhi della Tassorosso iniziavano ad assumere una lucidità ben conosciuta. Quando finalmente riuscì a disfarsi dei guanti, li abbandonò sugli assi di legno, portandosi finalmente le mani a cono verso naso e bocca, in modo che il suo stesso respiro vi portasse un po' di sollievo. Pochi attimi, necessari ad un paio di soffi, poi si decise ad estrarre la bacchetta. La puntò verso la caviglia ma non fece nulla: era troppo insicura sul da farsi ed era consapevole del fatto che quell'emozione avrebbe potuto sortire l'effetto contrario. Quindi sollevò lo sguardo verso la ragazza, testimone della sua sventura, parlando con sincerità:
«Scusami, forse è meglio che io vada in infermeria..» Quei tentativi di nascondere il disagio erano diventati inutili, se già prima non era riuscita a nasconderlo figuriamoci adesso. Quindi, se la Grifondoro fosse stata così gentile da aiutarla a raggiungere il secondo piano del Castello, la Tassorosso sarebbe stata in debito con lei.
Il fumo rosso nella ricordella si sarebbe affievolito: forse Gwen non avrebbe mai spedito quella lettera, ma si sarebbe sempre ricordata a chi fosse indirizzata.