~Bedknobs, Broomsticks and Wands~, Apprendimenti; Francis Dhevan Drake

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view post Posted on 20/12/2020, 20:55
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Treguna mecoides trecorum satis dee
Tipologia: Incantesimo di trasfigurazione Difficile
Effetto:Detto anche l’incantesimo impossibile per via della pronuncia lunga e complicata, questo anima tutti gli oggetti nel raggio di 15-20 metri i quali inizieranno a comportarsi a loro discrezione senza controllo. Quando si esegue questo incanto è consigliabile trovare un riparo.
Esecuzione: Coloro che sono in grado di eseguire questo incanto lo fanno proferendolo come una canzone. La formula non prevede alcuna flessione vocale.
I movimenti della bacchetta sono semplici. Infatti, mentre si inizia a canticchiare, il castante dovrà allargare le braccia e fare una veloce piroetta che deve concludersi nel punto di partenza in cui si è efettuata.




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Francis Dhevan Drake
Corvonero - Mago Adulto - Diagon Alley

Narrato / "Parlato" / *Pensato*

Il suono della sveglia riempì le mie cavità acustiche, vibrando fastidiosa nelle orecchie. I miei timpani, offesi da tale affronto, ovattarono il suono. Già, che fossero le orecchie o il mio cervello, avevo questa capacità di concentrarmi su determinati suoni o attività. Oppure significava semplicemente che non fossi multitasking? Effettivamente mi resi conto che, non ascoltando la sveglia, la mia attenzione era andata su dei rumori per strada, rumori di lavori, probabilmente. Restare a letto era davvero impossibile, così come continuare i miei sogni. Ma, aspettate… Perché avevo messo la sveglia? Avevo già mandato la mia candidatura per la docenza a Hogwarts, avevo acquistato il necessario per il ballo in vista… Cosa mancava? Il mio sguardo si posò automatico sul comodino accanto al letto, quello sul quale tenevo il mio mazzo di tarocchi ben riposto nel suo involucro. Su quest’ultimo un Post-It con scritto Treguna Mecoides Trecor… La frase era troppo lunga per starci tutta scritta su quel foglietto ma bastò a ricordarmi il motivo del mio risveglio: Era giorno di apprendimenti. In un attimo l’entusiasmo si impossessò del mio corpo, mostrandosi finalmente meno riluttante all’abbandonare le calde coperte. In un attimo avevo già indossato i vestiti per catapultarmi fuori, anche se una parte di me pensò di aver dormito già con tutti gli indumenti addosso. Non stavo più nella pelle per l’apprendimento a cui stavo per accingermi, il Treguna era un incanto particolare di cui un amico mi aveva parlato durante una passeggiata a Portobello Road. Tuttavia, avrei avuto bisogno di qualche libro e indicazione in più. Anche perché non ricordavo il finale di quell’incantesimo ed ero certo ne avrei trovato la formula per intero alla biblioteca del British Magic Museum. Una volta per strada la mente era già lì, nella sala apprendimenti, a ballare e cantare insieme a tutti gli oggetti ivi presenti. Sì, stando alle parole del mio amico Emelius, con quell’incantesimo avrei potuto far animare tutti gli oggetti disposti intorno a me. “Sarebbe perfetto per le tue coreografie randomiche, Francis!” Aveva esclamato tra i banchetti babbani che esponevano le più disparate merci. E aveva ragione. Sarebbe stato davvero perfetto. Così, sull’onda di quei pensieri mi ritrovai finalmente nella biblioteca, come se un’intera parte di percorso fosse stata inghiottita da un varco spazio-temporale nella mia testa. Un saluto al goblin e tra le mie mani c’era già il libro degli incantesimi. Davanti ai miei occhi la sala in cui iniziare la mia esercitazione.

.I.

Sfogliai le pagine del libro fino a giungere alla lettera T ed eccolo lì: treguna mecoides trecorum satis dee. L’incantesimo combaciava col mio Post-It e anche col ricordo che avevo di esso. Il libro ne parlava come un incantesimo dalla difficile pronuncia. Difatti lo era. Mi congratulai mentalmente con chiunque avesse inventato quella fantastica formula perché non solo aveva una peculiare enunciazione ma permetteva, quasi cantando, di animare gli oggetti intorno. “Coloro che sono in grado di eseguire questo incanto lo fanno proferendolo come una canzone. La formula non prevede alcuna flessione vocale. I movimenti della bacchetta sono semplici. Infatti, mentre si inizia a canticchiare, il castante dovrà allargare le braccia e fare una veloce piroetta che deve concludersi nel punto di partenza in cui si è effettuata.” Affermava il libro di incantesimi. Sembrava davvero un incantesimo perfetto per un pazzo come il sottoscritto e non vedevo l’ora di accingermi a quella fantastica prova, in fondo, quanto potevo impiegarci? Tolsi il mazzo di tarocchi legato in vita e lo poggiai sul tavolo lungo disposto nella zona centrale dell’aula. Mi chiesi se si sarebbe incantato anche il mio mazzo e cosa avrebbe potuto… fare. Una parte di me ebbe paura delle possibili ripercussioni, il libro sosteneva anche fosse il caso di ricercare riparo una volta utilizzato l’incanto. Gli oggetti, a quanto pare, prendevano vita propria, comportandosi fuori controllo. Non era, però, il momento di indugiare ma di agire. Un ultimo sguardo al libro e la mano subito sul legno di sicomoro della mia bacchetta:

“TREGUNA MECOIDES DECORUM SATIS DI”

Quello che venne dopo la fallimentare pronuncia dell’incantesimo fu un ulteriore susseguirsi di fallimenti. Nell’allargare le braccia e piroettare i miei piedi si intrecciarono facendomi perdere l’equilibrio e finendo con le chiappe a terra. Quest’incantesimo necessitava davvero di prove al pari di un musical babbano. In tutto ciò, oltre a dimenticare e sbagliare le parole dell’incantesimo avevo anche dimenticato di proferirle cantando. Un vero disastro.

.II.

Ero ancora con il fondoschiena per terra, dalle mattonelle sentivo il gelo dell’esterno penetrare attraverso i vestiti e poi giungere alla cute. Presi uno slancio degno del miglior ballerino, uno scatto di reni professionalmente eseguito, e una volta in piedi posai nuovamente lo sguardo sulle pagine aperte del libro. *Treguna mecoides trecorum satis dee, treguna mecoides trecorum satis dee, treguna mecoides trecorum satis dee* Le parole risuonarono più volte nella mia mente, l’attenzione completamente rivolta all’apprendimento di quell’incanto. Le ripetei come si fa con un mantra, come se tra le dita avessi un japamala, ad ognuno dei 108 grani corrispondeva un “treguna mecoides trecorum satis dee”. Spesi 40 minuti circa solo su quell’attività, pensando che anche durante la notte avrei finito per sognare quelle lettere inseguirsi nel labirinto del mio cervello. Trovai opportuno togliere le scarpe. Avrei sentito un po’ di freddo ma, perlomeno, avrei permesso ai miei piedi di muoversi più liberamente. E, in ogni caso, se fossi riuscito nell’incantesimo, non mi sarebbe dispiaciuto vedere le mie scarpe esibirsi in uno spettacolo di tip tap al volteggiare delle carte dei tarocchi per aria. Tutto pronto. Presi un gran respiro ed enunciai la formula, tenendo bene a mente l’esibizione degli oggetti che avrei desiderato.

“Treguna mecoides trecorum satis dee”

Braccia aperte. Piroetta. The end. Niente. Sbuffai, dandomi in testa la bacchetta. Non avevo nuovamente cantato e, in più, facendo la piroetta ero finito senza rendermene conto su una sedia vacante lasciata nelle vicinanze. Male, molto male. La descrizione dell’incanto era chiara: bisognava cantare, senza alcuna flessione vocale prevista ed eseguire una veloce piroetta a braccia aperte fermandosi al punto di partenza.

.III.

Ed eccomi al terzo tentativo. Più caparbio e deciso che mai. Davanti a me le scarpe per terra, distanti pochi metri, e il mazzo di tarocchi sul tavolo. La mia mente iniziò a vagare tra le possibili azioni che avrebbero potuto svolgere gli oggetti che mi circondavano. Quella stanza non era certo gremita. A parte qualche tavolino, un lungo tavolo centrale e delle sedie, non era un luogo in cui potersi perdere tra dettagli e oggettistica. Gli elementi vagamente più interessanti erano delle lanterne poste qui e lì che contribuivano all’illuminazione del loco, altrimenti considerabile spoglio. Anche la voce risuonava nel vuoto della stanza, emettendo la tipica eco dei locali nuovi e privi di mobilio. Quell’incantesimo mi stava dando del filo da torcere ma avrei provato e riprovato fino a riuscirci, fino ad avere l’affanno e i piedi gelati. Nella mente ripercorsi quelli che potevano essere gli effetti dell’incantesimo, una sedia avrebbe potuto farmi uno sgambetto, i tarocchi avrebbero vorticato in aria e le scarpe ballato il tip tap. Già, sul tip tap non c’erano dubbi. Mi sarei quasi offeso se non avessero esaudito i desideri del mio immaginario. Per me era già fatta.

“Treguna mecoides trecorum satis dee!”

Le labbra si erano schiuse come il becco di un usignolo che si accinge al suo canto mattutino. Avevo intonato un incantesimo come mai nella vita. Aprii gli occhi in attesa che le scarpe, le sedie, le lanterne, i tarocchi si muovessero, danzassero, saltellassero. Ma niente. Un attimo… Perché avevo chiuso gli occhi? Oh, accipuffola. Mi ero talmente concentrato sull’immagine degli oggetti danzanti e sul cantare con trasporto la formula da dimenticare completamente di allargare le braccia e fare la piroetta. Maledii me stesso e l’universo. Perché non ero stato dotato dell’abilità del multitasking? Avrei dovuto capirlo già dal mattino che quella non sarebbe stata una facile impresa. Per un attimo iniziai quasi a pentirmi di essermi tirato su dal letto caldo.

.IV.

Nulla nasce senza sforzo. E senza sforzo non si può arrivare ad eseguire un incantesimo così complicato da pronunciare e da eseguire. L’entusiasmo avuto ad inizio giornata sembrava man mano abbandonarmi. Non tanto per la difficoltà effettiva di quell’incanto, quanto per le mie discutibili capacità di eseguire più attività in sincrono. Eppure ero stato così bravo quella sera al testa di porco quando cantai e ballai un’intera coreografia per la mia amica Rowena Abyss. No. Non potevo certo farmi sconfiggere da un incantesimo. Non importa quanti altri tentativi avrei dovuto fare, non mi sarei arresto. Io, Francis Dhevan Drake, avrei terminato quella giornata stremato ma con un nuovo incantesimo nelle tasche. E così l’immagine di nuovo in mente, ogni oggetto prendeva forma e si muoveva in una nuvoletta immaginaria di pensiero, mano alla bacchetta.

“Treguna mecoides trecorum satis dee!”

Cantando melodiosamente la formula, sollevai le braccia e metà busto eseguendo una perfetta piroette che lago del cigno babbano spostati proprio. Con grazia e delicatezza mi ritrovai nello stesso punto dal quale ero ripartito. Guardai speranzoso gli oggetti intorno a me, in trepidante attesa che qualcosa facesse un minimo cenno di movimento. Ma nulla. L’incantesimo non era riuscito. Nulla si muoveva. Riuscii ad attribuire l’errore alla troppa grazia e delicatezza impressa nello svolgere quel giro su me stesso. Avrei dovuto farlo con più velocità.

.V.

Non c’è quattro senza cinque si dice. O non si diceva così? Ad ogni modo la delusione che avvertivo poco prima si trasformava man mano in rinnovata determinazione. Decisi di sedermi un attimo per recuperare le forze, mentali e fisiche. Quell’incantesimo mi stava letteralmente drenando, ma non mi avrebbe mai sconfitto. Quel senso di fallimento riaccendeva in me ogni atomo di esuberanza e curiosità, sì, perché ero davvero troppo curioso di sapere come si sarebbero comportati gli oggetti intorno a me. Chissà se anche loro mi avrebbero picchiato e vessato, alla stregua della gente a cui avevo avuto modo di rompere gli zebedei. Involontariamente, sia chiaro. Soppesai la materia grigia contenuta nel mio cervello tenendolo con le mani, i gomiti poggiati sul lungo tavolo della sala. Sembrava leggera. Oddio, forse nell’eseguire l’incanto mi stava dimagrendo il cervello? Poteva il cervello perdere e guadagnare peso? Avveniva o meno tramite l’assunzione di cibo? Le domande, seppur intriganti, non aiutavano il mio processo di apprendimento. Serviva concentrazione. Respirai ed inspirai, ripassando mentalmente non solo le indicazioni contenute nel libro di incantesimi ma anche quelle di “Meditazione per Maghi Deconcentrati” di Alexander Dorodisky. Riposate le membra, sentivo già tremare la sala degli apprendimenti al mio cantare l’incantesimo inesprimibile, gli oggetti tutt’intorno si muovevano già al mio delineare movimenti fatati. La mente focalizzata su di un’unico obbiettivo: tornare a casa a dormire, fiero di aver appreso il treguna. Dorodisky consigliava proprio quello, pensare di aver già ottenuto quello che si desidera. Così strinsi tra le morse della mia volontà il desiderio di conoscere quell’incantesimo, presi lo slancio, allargai le braccia con la bacchetta in mano e finendo il giro sul punto da cui era iniziato mi resi conto che intorno nulla si muoveva. Perché? Perché preso dall’entusiasmo e dalle parole di Dorodisky, non avevo nemmeno pronunciato l’incantesimo. L’unica cosa che mi sembrò opportuna in quel momento fu lanciare un urlo a pieni polmoni. Quantomeno capii che Dorodisky era meglio accantonarlo.

.VI.

Mi sembrò di sentire qualcuno bussare alla porta. Probabilmente il mio urlo aveva infastidito qualche mago nella sala adiacente che, a rigor di logica e con assoluta ragione, aveva ben deciso di farmi notare il mio comportamento inappropriato. Tuttavia, quell’urlo, mi consentì di liberare le tossine del fallimento sedimentatesi dentro di me per lasciar spazio alla sola sete di apprendimento che nutrivo per quel fantastico incantesimo. L’intuizione arrivò in un lampo, un lampo di genio. Non c’era bisogno di stare lì impalato a fare movimenti robotici e da manuale. Quella non era una lezione ad Hogwarts, era il campo minato dell’esperienza magica negli incantesimi della vita. Era un incanto che necessitava ritmo, movimento e perché no un po’ di passione. Amavo cantare e amavo esprimermi attraverso il movimento, anche nelle situazioni meno opportune. Ero o non ero fuori dagli schemi? Era questo a cui la mia mente doveva fare ricorso, la mia estrema e creativa fantasia. Focalizzai il pensiero sugli oggetti che mi circondavano. Erano pochi, ma quei pochi oggetti avrebbero ballato e danzato con me. E così riuscivo già ad immaginare le mie scarpe battere tacco e punta a tempo di musica in un inimmaginabile solo di tip tap, le sedie rincorrersi in fila indiana , quasi fossero un trenino di persone entusiasmate da una qualche canzone festosa. I tarocchi avrebbero vorticato in aria, forse mi avrebbero anche colpito, sbattendosi sulla mia faccia come dei kamikaze. Le lanterne avrebbero fatto su e giù nella sala, divertendosi ad illuminare meglio dei punti più di altri. Così le mie labbra si schiusero nuovamente, le parole di una canzone fuoriuscirono istintive lasciandomi quasi perplesso. Che canzone era? Dove l’avevo ascoltata? Non importava… Quella sarebbe stata la base per castare perfettamente l’incantesimo, come un auto che ingrana le marce per arrivare all’ultima disponibile e sfrecciare verso la meta ambita, il traguardo.

“Supercallimagic-extramotus… mezzo imperscrutabile e a pochi notus. Non c’è niente più stupendo di così, supercallimagic-extramotus vieni qui!” (Click per il riferimento)

Intonai quella canzone come se fossi il protagonista di un musical di Broadway, chissà che non potesse in futuro diventare la colonna sonora di un film. Danzando e muovendomi nella sala riscaldando il mio corpo. Poi avvertii una vocina esclamare “Ora!” e sentii le membra vibrare di pura magia. Ero pronto.

“Treguna Mecoides Trecorum Satis Dee.”

Stetti attento a pronunciare perfettamente ogni parola, avendo cura di proferire il tutto come se stessi cantando in accompagnamento alla canzone di riscaldamento. Contemporaneamente alla formula, bacchetta salda in mano, allargai le braccia, i miei piedi pronti in posizione per lo slancio che mi avrebbero portato ad eseguire quella che mi sembrò un’encomiabile piroette, veloce ed aggraziata al punto giusto, terminando quindi il mio giro al punto di partenza come descritto da manuale. Per la prima volta fui fiero di me per la capacità di multitasking dimostrata, ero riuscito a cantare un incantesimo, a braccia larghe, eseguendo addirittura una piroette, tutto nello stesso momento. Stentavo davvero a crederci. Ma non era finita lì, perché mancava ancora un importante elemento: il risultato. Qualcosa sembrava muoversi, il mio sguardo trepidante e ansioso ricercava la fonte di quel movimento sonoro. Era un battere di piedi? Un cozzare di sedie? Ero riuscito nel mio intento? Certo, non avrei potuto influenzare più di tanto il comportamento degli oggetti circostanti, ma sperai con tutto me stesso che gli oggetti nel mio raggio potessero muoversi, anche fosse colpendomi in piena faccia. Beh, se fosse successo, avrei certamente gioito nel dolore.

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{ Solo la follia può prolungare la giovinezza e tenere lontana la vecchiaia. }


© Code by Ethan Stark



In Attesa del Master!

 
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view post Posted on 27/12/2020, 17:27
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Il Fato

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Rumore di passi, fu questo che udí Francis in principio. Sembravano provenire da non troppo lontano ma erano sicuramente alle sue spalle. Se si fosse voltato, avrebbe visto le sue scarpe muoversi timidamente verso l'uscita, cercando forse di fuggire da lui. Che gli puzzassero i piedi? Se lui si fosse mosso, nel tentativo di raggiungerli avrebbe avuto decisamente qualche difficoltà, il tappeto infatti, bloccato sotto la scrivania, oscillava inviperito, voglioso di muoversi e cercando un appiglio per riuscire a liberarsi dalla sua trappola, ma la scrivania, troppo grossa e goffa, si muoveva a salti pesanti e rumorosi, mentre le sedie, oscillavano in avanti su di un piede solo, passo dopo passo com perfetti soldatini. Anche la piccola lampada si muoveva saltellando in giro tutta eccitata mentre il libro da cui aveva appreso la formula dell’incantesimo, muoveva le pagine con foga, come se fossero ali con la chiara e vivida intenzione di spiccare il volo. Francis aveva sicuramente appreso l’incantesimo ma aveva fatto un semplice errore di calcolo tralasciando quella piccola frase, un mero consiglio che era sulle pagine vergate del libro spiccava il volo

“Quando si esegue questo incanto è consigliabile trovare un riparo.”

Probabilmente il mago perse del tempo utile osservandosi estasiato in giro, e dando tempo alle sue scarpe di svignarsela, alla scrivania di muoversi pesantemente verso la porta tentando di bloccare il passaggio, al tappeto di scrosciare e rotolare, con la piccola lampada che sembrava fare da domatore di questo, mentre le sedie, avevano preso a duellare tra loro, cozzando brutalmente le loro gambe di legno e avvicinandosi pericolosamente a Francis. Le cose da fare ora, erano due, sistemare quanto aveva combinato o darsela a gambe. Ovviamente scalzo.

Incanto appreso.
 
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