Non era mai stata una gran chiacchierona, ma per forza di cose - e della spilla che da quasi un anno ormai aveva sostituito quella da Prefetto - aveva dovuto imparare a socializzare anche quando, e soprattutto, non ne aveva una gran voglia. Ragazzini che le venivano incontro strillando che Pix aveva rubato loro il libro o chissà cos'altro, tra un dispetto più o meno di cattivo gusto, o ai disagi che le ragazze soffrivano nei bagni infestati del secondo piano. In una giornata normale aveva a malapena il tempo di arrivare in Sala Grande per la colazione, sgraffignando un
biscotto o una fetta di pane tostato, oppure di fermarsi a ciarlare di qualsiasi argomento con uno dei suoi compagni, coetanei o piccini che fossero; c’era così tanto da fare, a volte, che l’idea di chiudersi nell’Ufficio Vuoto al terzo piano - e sparire dalla circolazione per soltanto un paio d’ore - l’aveva sfiorata in più di un’occasione, senza tuttavia veder mai applicazione concreta. La Torre di Divinazione, poi, che nei primi anni era stata per lei fonte di malessere al sol pensiero, ad oggi restava un luogo in cui trovare davvero la pace nel silenzio di un paesaggio ai suoi occhi senza fine. Peccato per quel menestrello dipinto a colori ad olio, la cui cornice era appesa esattamente poco prima dell’ultima svolta che conduceva alla Guferia. Coi suoi abiti ampi e pomposi, di un bel rosso rubino, e quella specie di
ukulele sotto braccio - che poi forse era un liuto a pensarci davvero bene - aveva preso quel brutto vizietto di intonarle una sonata ogni volta che passava di lì; intonava inni commentando la sua bellezza, o presunta tale, e la paragonava a quella certa dama vissuta nel
1254, anno in cui egli si dichiarò a tal donzella e finì per essere cacciato da non si sapeva nemmeno bene quale corte. Accordava il suo strumento mentre le raccontava sempre la stessa solfa, con quella voce stridula e fastidiosa che le aveva fatto pensare ben più di una volta che la sua separazione dalla corte non fosse stata proprio dettata da quella sua cottarella, bensì dalla sua incapacità di mettere insieme quattro note e due strofe in rima. Una storia veramente triste, ben più triste della sua invero, che però l’aveva così stancata da farle andare in disgrazia perfino quel piccolo angolo di cielo visibile dalla Torre e alimentando la tentazione di correre al Ponte Sospeso e di gettarsi nel
burrone sottostante.
Così era arrivata in Sala Grande per la cena, anche quella sera, con il muso lungo di chi avrebbe preferito vivere giorni migliori, la sua borsa a tracolla in bilico sulla spalla e il desiderio di strafogarsi di cibo fino a scoppiare, un atteggiamento ben lontano dalla norma. Probabilmente, in quella giornata iniziata male - e destinata a finire peggio - Thalia si era trovata a fare i conti anche con la poca ispirazione degli Elfi Domestici: la
minestrina era talmente insipida che le sembrava quella che girava nell’Infermeria della signorina White nel peggiore degli inverni.
«
Sono io che non sento nulla oppure davvero non sa di niente?»
La destinataria della domanda era Gwen Nieranth, il suo fidato Prefetto, che come lei quella sera pareva esser vittima della mancanza di stile delle cucine. Con un sospiro rassegnato, allontanò il piatto da sé, proprio quando Camille si alzò all’improvviso da tavola, poco distante da loro, con la faccia di chi abbia da dire qualcosa e non sappia esattamente quale sia il modo migliore per farlo. In cuor suo, Thalia sperava che le guance arrossate non significassero guai in vista: in una Scuola di Magia sarebbe stato il minimo sindacale.
Scoccò uno sguardo perplesso dapprima a Gwen e agli altri Tassorosso presenti, dopodiché Camille attirò completamente la sua attenzione. In un primo momento rimase senza parole, completamente, e non le fu facile tacere ancora, osservando quella sua espressione mortificata dalla vergogna; non succedeva tutti i giorni che una matricola palesasse tanto apertamente il proprio affetto per una Casata intera. Da che Thalia si trovava ad Hogwarts una cosa simile non era mai accaduta. «
Questa è la cosa più carina e straordinaria che mi sia capitata oggi.» si trovò a fare quel commento a voce alta, senza pensarci troppo. Levò il calice d’acqua, il sopracciglio sollevato e uno sguardo complice in direzione di Gwen invitandola senza troppe cerimonie a far la stessa cosa. Brindare con l’acqua non era esattamente il massimo, ma in fondo… meglio della minestra insipida. O no?