W h i s p e r i n g ~

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view post Posted on 28/2/2021, 14:58
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No rain, No flowers

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pioggia-mod_bn2
Qual è il nome di una verità a metà?
Ci sono momenti così luminosi che sembra quasi che il sole non tramonti mai.
Ci sono momenti così bui e negativi che sembra quasi che il sole non sorga mai.
E poi ci sono momenti spensierati e ricchi di novità che celano tra quella scintillante ricchezza un puntino appannato, opaco, oscuro. E una volta scoperto, quel puntino, quella carie in una meravigliosa dentatura apparentemente perfetta, può diventare un vuoto, una voragine, un buco nero che ti inghiotte e ha dei bordi talmente viscidi da non permetterti più di uscire. Non da solo, almeno.

Quella mattina Helena si alzò presto dal letto, stravolta. La notte appena trascorsa era stata pesante e irrequieta. Per qualche ragione non era riuscita a dormire in modo opportuno e in quei pochi quarti d’ora in cui si era appisolata non aveva fatto né sogni né incubi. Buio totale. Non c’era un motivo preciso per cui non avesse dormito, nessun dolore, malessere o pensiero insistente. Fuori diluviava e nonostante non avesse mai temuto né tuoni né fulmini, quel tumulto all’esterno rimbombava nella sua mente facendole provare una profonda inquietudine, pesante come un macigno.
L’autunno aveva deciso di irrompere al massimo delle sue possibilità, con un aggressivo temporale. Il vento faceva volare le croccanti foglie secche che scontrandosi si rompevano lasciando a terra schegge cremisi, ocra e brune, affilate come vetri. La pioggia poi, scrosciante, ne rovinava i bordi taglienti e le infradiciava di sporca melmosità.

Le lezioni furono particolarmente intense perciò Helena pianificò di anticipare i tempi, mangiare un boccone e andare a dormire poco dopo. La Sala Grande era pressoché deserta, troppo tardi per il pranzo e troppo presto per la cena, l’ideale per poter leggere qualcosa, stare in compagnia dei suoi pensieri e attuare i suoi piani.
Seduta al bordo della tavolata Tassorosso fece appena in tempo ad aprire il libro di testo e togliere fuori dalla borsa due fogli di pergamena quando con la coda dell’occhio vide un’ombra avvicinarsi e con una ventata gelida atterrare al suo fianco, bagnandole il viso.
Un gufo dallo scuro piumaggio lasciò cadere una lettera accanto alle sue mani e dopo un lungo e penetrante sguardo spiccò il volo. Una striscia nera nel cielo tempestoso.

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La busta che le venne recapitata era color ossidiana, incredibilmente asciutta, chiusa da un sigillo anonimo di ceralacca argentea. Al suo interno un foglio di pergamena piegato in due e con una calligrafia elegante ed austera recitava:

È ora che tu sappia: lei è ad Hogwarts.

A undici anni, quando la vita ti riserva delle sorprese e le domande si fanno molteplici, puoi scegliere se risolvertele da sola o scaricarle a qualcun altro, magari più grande di te.
Così Helena si precipitò in guferia e scrisse ai suoi genitori, allegando al suo messaggio la lettera appena ricevuta.

La notte trascorse pesante e irrequieta. Non riuscì a dormire opportunamente e in quei pochi quarti d’ora in cui si era appisolata non fece né sogni né incubi. Buio totale. Pensieri insistenti. Fuori diluviava e nonostante non avesse mai temuto né tuoni né fulmini, quel tumulto all’esterno rimbombava nella sua mente facendole provare una profonda inquietudine, pesante come un macigno.

Il giorno dopo, all’ora della posta, l’arrivo della civetta di famiglia le diede un temporaneo e breve conforto. Quando poi lasciò cadere con delicatezza la busta tra le sue mani, la giovane la osservò per un attimo in controluce, notando un po’ troppe parole per un semplice “non capisco a cosa si riferisca”. Non prometteva nulla di buono. Quella effimera sensazione di sollievo svanì all’istante.
Corse nei sotterranei verso la sala comune e una volta raggiunta la sua stanza la aprì.

Mia piccola Lena.

Non ho idea di chi possa averti scritto questa lettera ma in un certo senso mi ha fatto un favore.
Erano anni che ci pensavo, pensavo a quale sarebbe stata la tua reazione, a come avrei dovuto dirtelo, a cosa avresti pensato di me. Qualcuno ha voluto forzare la mano ed il giorno è arrivato.
Per il momento accontentati di sapere questo: prima di tua madre c’è stata un’altra donna nella mia vita e… abbiamo avuto una bambina.
Hai una sorella. Una sorellastra più grande. E a quanto pare frequenta Hogwarts.
Ti prego di non chiedermi altro, Lena.
Arriverà il momento in cui risponderò alle tue domande, molte delle quali, sono sicuro, sono anche le mie.
Non ci pensare.

Ti voglio bene.
Papà


La lettura la immobilizzò totalmente, come sotto effetto di un Petrificus Totalus. Rimase per alcuni secondi o forse minuti con gli occhi sgranati, le labbra semichiuse, le gambe rigide e il foglio davanti al suo viso.
Nel cielo plumbeo un tuono rimbombò così intensamente da far vibrare i vetri delle finestre.
Fu udendo quel rumore che Helena tornò in sé.
Con un movimento meccanico si sedette sul letto, le braccia come due ingranaggi bloccati stringevano forte la pergamena al punto da strapparne un lembo.
Era quello il modo di comunicarle una notizia del genere? Quando gliel’avrebbe detto, se non fosse spuntata fuori la lettera ricevuta da chissàchi? E non poteva semplicemente dirle chi fosse la ragazza? Perché tutto questo mistero, perché continuare a nasconderle la completa verità dei fatti?
Quel “non ci pensare” finale le fece accapponare la pelle.
Un ricordo affiorò improvvisamente nella sua mente. Qualche anno prima, dopo aver scoperto di essere una strega si recò con suo padre e zi* Juls dai nonni Whisperwind. Suo nonno Rabastan pronunciò una frase simile a «Ora che vai ad Hogwarts ti capiterà di conoscere t~...». E in qualche modo si interruppe.
Juls! Fu Juls a tagliare corto e sviare l’argomento. Oh, persino Juls, complice da una vita era invece rivelat* complice di questa terribile menzogna! Si sentiva esclusa, tagliata fuori, ingannata.
Non poteva pensare che quella verità a metà era l'unica spiegazione che suo padre potesse darle al momento per tamponare quella ferita che ancora sanguinava in una remota e profonda porzione della sua memoria. Non era possibile essere chiaro, al limite delle sue possibilità, con una semplice lettera; non poteva affidare anni di buio agli artigli di un rapace.

Terza notte di seguito pesante e irrequieta. Buio totale. Pensieri insistenti. Fuori e dentro di sé un diluvio di profonda inquietudine.
Erano quasi le quattro quando con un balzo uscì fuori dal letto. Osservò per un attimo la foto di lei e suo padre abbracciati, incorniciata sul comodino. Una lacrima rigò la sua guancia, percorrendone il profilo e cadendo poi accanto al suo piede gelido. Anche le sue certezze erano cadute, come un castello di carte. Era così arrabbiata che tirò fuori la bacchetta e la puntò contro il sorriso del padre compiendo un movimento circolare:
«E - va - nesco».
Il ritratto svanì. Ingoiato dall’oscurità.

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Settantunesima edizione contest a tema: Oscurità
 
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view post Posted on 14/3/2021, 23:53
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Rendez-vous
Quel giorno ad Hogwarts Helena si sentiva particolarmente desiderosa di scoprire qualcosa di nuovo, esplorare, assaporare nuovi dettagli. Libro di Storia della Magia sotto braccio, partì all'avventura, o verso la biblioteca. Mentre superava gradini su gradini e saliva metri su metri, notò per la prima volta che il pavimento non aveva un colore uniforme e che in genere dopo ogni fila da quattro c'era una grossa pietra più scura e più lucida delle altre. Il mago costruttore aveva seguito una sorta di logica o semplicemente era stato un caso? Le sembrava che quelle mattonelle fossero state disposte in quel modo per un motivo. Un sentiero per qualcosa? Sì, certo, magari per un tesoro mai scoperto. Stava solo fantasticando troppo.
Quel dubbio però le solleticava la mente come fosse una piuma troppo vicina alla punta del naso.
Saltò quindi con entrambi i piedi sulla prima pietra. Poi con il piede destro sulla seconda, col sinistro sulla terza e via veloce su tutte le altre. Toccare il pavimento era assolutamente proibito: *The floor is lAva. The lighter mattonelle are Kedavra*. Pensò lei soffocando una risata.
Quinta e settima, decima e hop! Quindicesima. E poi venti e trenta.
Arrivò poi ad una situazione di stallo. La successiva era particolarmente lontana e con un salto non c'erano grandi possibilità di farcela.
Sì piegò un po' in avanti sulle ginocchia, dondolò un po' sui talloni e... niente. Ci provò di nuovo con un po' più convinzione ma anche il secondo e poi il terzo tentativo andarono a vuoto.
Sentì poi una risata femminile provenire alle sue spalle, composta, educata.
«Finalmente vedo qualcuno! Petit fille! Cosa stai fascendo?»
Helena si voltò a rallentatore, con le spalle curve e le braccia a mezz'aria di chi è appena stato scoperto in flagrante nel bel mezzo di qualcosa di stupido o imbarazzante. Non c'era assolutamente nessuno. Forse seguire quelle mattonelle l'aveva portata verso la pazzia?
«Je suis ici, dietro di te!»
Di nuovo la voce di prima. Helena che non aveva mai studiato francese ignorò totalmente la prima parte della frase e si voltò di nuovo. Niente, nessuno. Stava iniziando a sentirsi decisamente fuori di senno.
«Nel quadrrrho!»
Quella erre tanto moscia quanto elegante trillò vicino al suo orecchio destro e finalmente la giovinetta capì: la voce proveniva da una donna raffigurata nell'unico ritratto di tutta la parete coi mattoni a vista.
I colori del dipinto erano vibranti, le pennellate accurate e precise, mentre la cornice che lo bordava era sottile e scarna, forse addirittura di legno grezzo. Un vero peccato perché non rendeva proprio alcuna giustizia alla bella dama francese. Tutto di lei comunicava raffinatezza: il tono di voce, la postura, l'abbigliamento, lo sguardo e magari anche un cuore gentile, chissà.
«Oh mi scusi tanto signora, non l'avevo proprio vista!»
«Ne t'inquiète pas! Non mi vede mai nessuno, qui non passa mai nessuno! Cosa fai ici?»
Helena non riuscì a comprendere se il suo viso fosse triste, felice o irritato poiché la donna subito se lo nascose con un libro dalla preziosa copertina di pelle brunita, decorata con ricercati motivi dorati. La strega rispose quindi cordialmente e con tutta l'onestà possibile, rendendosi conto solo in quel momento di essersi persa.
«Io stavo evitando le pietre chiare e saltellando sulle scure, signora. Niente di importante, solo un gioco sciocco che ho iniziato a fare qualche piano più sotto. Mi spiace averla disturbata! Saprebbe dirmi in che parte del castello ci troviamo?»
«Siamo al quinto piano, una zona dove non passa nessuno, mai. Non, tu non hai disturbato me! Sono felisce di vedere qualcuno, qui sono toujours sola, da anni e anni! Non ho niente da fare. Non ricordo più si non so leggere perché mon livre ha solo pagine bianche o si mon livre ha pagine bianche perché non so leggere»
Con un gesto sinuoso degno della più brillante Étoile dell'Opera mostrò alla giovane strega l'altro lato dell'apparentemente prezioso libro che teneva in mano. Tutte le pagine interne erano effettivamente e totalmente immacolate. Anche qui, tanta grazia sprecata. Mai come questa volta: non giudicare un libro dalla copertina.
«Mi dispiace signora. Perché non si sposta negli altri ritratti? Così potrebbe interagire con gli altri...» non sapeva se definire gli altri ritratti, altri ritratti o se questo potesse rappresentare un tasto dolente per la donna, perciò rimase vaga «...gli altri signori e le altre signore che vivono nelle cornici!».
«No, jamais!»
Jamais? Cos'era, il nome di una persona? Un insulto? Un avverbio?
«Va bene...»
Sempre con entrambi i piedi precisamente al centro dell'area della pietra scura la tassina spostò il libro dalla mano sinistra a quella destra e la donna parve illuminarsi.
«Hai anche tu un livre! Leggi qualcosa per me, s'il te plaît!»
«Questo è un libro di Storia della Magia, non credo contenga qualcosa di particolarmente interess...» Si morse la lingua sperando che le ultime vibrazoni prodotte dalle sue corde vocali non giungessero mai alle orecchie del suo docente.
«Non importa, leggi per me, s'il vous plaît! Tout ce que vous voulez!»
Helena sospirò rassegnata cedendo al fascino di quella lingua romanza, quindi aprì una pagina a caso e dopo essersi schiarita la voce e aver assunto una posizione solenne, iniziò a con la lettura.
«Atlantide era un’isola molto vasta, situata nell’oceano Atlantico, oltre le colonne d’Ercole, attualmente meglio conosciute come stretto di Gibilterra. L’intera isola era ricca di risorse naturali, sul territorio erano presenti catene montuose, pianure fertili [...] ~ Ci sono incantesimi che proteggono l’intera area, che i babbani stessi hanno soprannominato Triangolo delle Bermuda.»
Quando dopo una decina o dozzina di minuti la gola iniziò a seccarsi, la voce diventare più flebile e la curva della schiena più rilassata, la donna la fermò estasiata.
«Magnifique! Promets-moi che tornerai qui e lo farai di nuovo!»
«Ma io... »
«Très facile! Prendi un livre qualsiasi, tuo o de la bibliothèque, segui le pietre scure fino a che non riuscirai più a saltare. Io sarò là à t'attendre! Sono sempre qui, da sempre...»
Il tempo scorreva secondo un ritmo dispettoso tutto suo. Più lo si desiderava rapido e più lui si prolungava. Più lo si desiderava lento e più lui spingeva sull'acceleratore e correva, correva, correva o forse volava. Per la dama francese non era solo rallentato ma con buone probabilità addirittura duplicato.
Quella donna, quell'insieme di pigmenti colorati ricchi di emozioni e sentimenti, era intrappolato lì da anni, decenni o forse secoli. Senza osservare, incontrare, parlare con nessuno. Avrebbe potuto spostarsi per interagire con gli altri, ma aveva scelto di restare lì, bloccata in quello Yard al quadrato. Forse era arrabbiata o forse aveva solo perso le speranze. Ma la sua gentilezza e i suoi modi eleganti e pacati non facevano pensare a nulla di tutto ciò. Magari le andava bene così, in fondo.
Helena si sentì profondamente scossa da quella storia di solitudine e monotonia, non poteva e non voleva in alcun modo tirarsi indietro. Il sentiero di pietre scure portava davvero ad un tesoro.
«Allora ci vediamo qui venerdì prossimo, alla stessa ora! Va bene?»
«Oh oui, oui! Merci! J'ai un rendez-vous, c'est super!»
La dama sorrise, era raggiante. Con un tintinnio di perle, orpelli e gioielli si voltò poi a fare qualcosa (o a fingere di farlo) ed Helena capì di essere stata congedata.

_______________


Premier rendez-vous

« [...] “Capite ora perché i libri sono odiati e temuti? Perché rivelano i pori sulla faccia della vita. La gente comoda vuole soltanto facce di luna piena, di cera, facce senza pori, senza peli, inespressive.” [...]»


Deuxième rendez-vous

« [...] “Più d’una volta non seppero più dove erano: a furia di giravolte, di ritorni, d’inseguimenti, di lunghe soste riempite di mormorii e contatti perdevano l’orientamento e dovevano sporgersi da una finestra senza vetri per comprendere dall’aspetto di un cortile, dalla prospettiva del giardino in quale ala del palazzo si trovassero.” [...]»


Troisième rendez-vous

« [...] “Per mille volte cercò gli occhi di lei e per mille volte lei trovò i suoi. Era una specie di triste danza, segreta e impotente. Hervè Joncour la ballò fino a tarda notte, poi si alzò, disse qualcosa in francese per scusarsi, si liberò in qualche modo della donna che aveva deciso di accompagnarlo e facendosi largo tra nuvole di fumo e uomini che lo apostrofavano in quella loro lingua incomprensibile, se ne andò. Prima di uscire dalla stanza, guardò un’ultima volta verso di lei. Lo stava guardando, con occhi perfettamente muti, lontani secoli.” [...]»


Quatrième rendez-vous

[...] “Quando la tempesta sarà finita, probabilmente non saprai neanche tu come hai fatto ad attraversarla e a uscirne vivo. Anzi, non sarai neanche sicuro se sia finita per davvero. Ma su un punto non c'è dubbio. Ed è che tu, uscito da quel vento, non sarai lo stesso che vi è entrato” [...]»


Cinquième rendez-vous

« [...] “Oggi non è che un giorno qualunque di tutti i giorni che verranno. Ma quello che accadrà in tutti gli altri giorni che verranno può dipendere da quello che farai oggi.” [...]»


Sixième rendez-vous

Helena saltò e saltò finché non si trovò con il naso davanti ad un portone mai visto prima. Aveva in qualche modo superato la pietra scura più difficile, quella che mai era riuscita a raggiungere. Aveva barato? Aveva cambiato percorso? O era diventata più abile grazie ai suoi allenamenti settimanali?
Tornò indietro di corsa, lo sguardo attento incollato su ogni parete.

Arrivò finalmente alla sottile cornice di legno grezzo.
L'elegante dama francese non era più lì.


corridoio

SETTANTADUESIMA EDIZIONE CONTEST A TEMA: ATTESA
 
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view post Posted on 31/1/2022, 23:55
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lanterna6-sopra
La lanterna simboleggia l’illuminazione, il luogo sicuro
in cui l'animo può riposarsi ed essere in pace.

Residenza Whisperwind, Scozia, fine novembre
Lo squillo del telefono in casa Whisperwind ruppe il silenzio di un freddo mattino di fine autunno. Il prefisso +81 726 palesava una chiamata dall'estero.
«Moshi moshi» la voce di Yoko era acuta ma cauta, mentre quella dall'altro capo del telefono suonava greve e con un deciso accento di Kyoto.
La donna ascoltava con attenzione e annuiva saltuariamente col capo.
«No. Non occorre. Lo ritirerò personalmente.»
La voce dall'altro lato del telefono risuonò sorpresa. Proseguì con le ultime informazioni del caso poi salutò con composta gentilezza.
La donna rimase immobile col telefono tra le sottili e gelide dita. Un sospiro profondo e sommesso fu la virgola che le permise di tornare ad occuparsi della sua giornata.


Aeroporto Internazionale di Kansai, Giappone, 27 dicembre
Non appena mise piede sul freddo cemento della pista di atterraggio, ad Helena scappò un sonoro e smodato sbadiglio.
Una donna dai liscissimi capelli neri le lanciò una fulminea occhiata e alzò gli occhi al cielo. Sarebbe potuta essere la reazione di sua madre, ma in una versione decisamente più teatrale e meno sobria.
La giovane strega in borghese sbuffò divertita e sorrise alla bambina che correva dietro alla donna. Lei ricambiò al volo, strattonata via dalla signora antipatica che zampettava a tutta velocità verso le porte scorrevoli dell'aeroporto.
Anche escludendo la naturale spontaneità di una dodicenne, le quasi ventiquattro ore di viaggio erano decisamente sufficienti per perdonare il suo piccolo malgarbo.

Quando Yoko, durante una delle prime cene delle vacanze invernali che Helena aveva deciso di trascorrere a casa e non ad Hogwarts, aveva esordito distrattamente con «tra qualche giorno andrò a Kyoto. Vuoi venire anche tu, Hel?», lei non se lo fece ripetere due volte.
Era ancora arrabbiata e delusa con suo padre per la questione irrisolta e mai affrontata della sorella misteriosa, perciò, nonostante si sentì fin troppo cattivella a rispondere così sfacciatamente, pronunciò un sonoro «Certo!» senza nemmeno degnare Ewan di uno sguardo.


Stazione di Polizia di Kyoto, Giappone, 28 dicembre
«Ma perché siamo qui?» Non che essere in vacanza nella sua terra d'origine le dispiacesse. Ma trovarsi in un posto che non era esattamente dietro l'angolo, per di più alla stazione di polizia senza averne chiaro il motivo, non era esattamente rilassante o ciò che potesse definire vacanza.
«Devo ritirare una cosa. Una cosa che potrebbe essere l'ultimo cimelio ancora esistente di mia madre.»
Helena sgranò gli occhi. Sapeva che sua nonna era morta a causa di una terribile esplosione avvenuta nell'okiya -la casa delle geishe- dove viveva, quando Yoko era ancora piccola. Lei si salvò per miracolo perché in quel momento si trovava a scuola, ma della madre, della nonna di Helena, non restò alcuna traccia.
«Nonna Naoko? Pensavo non...»
«Anch’io. Eppure…»

«La signora Harris?» Il commissario chiamò la donna nel suo ufficio. Dopo qualche domanda di circostanza consegnò a Yoko una piccola scatola in legno di cedro rosso.
Essendo al corrente del contenuto e dotato di estremo tatto, uscì dalla stanza per lasciarle un po’ di privacy, socchiudendo la porta dietro di sé con gran delicatezza. Raggiunse Helena, ancora seduta lì in attesa, e cercò di intavolare una conversazione per alleviare il peso del trascorrere del tempo. Per la giovane strega non fu semplicissimo comprendere ogni parola pronunciata dall’uomo, sia perché la sua conoscenza del giapponese era piuttosto limitata, sia perché l'accento del poliziotto era davvero marcato.

Oltre la porta, Yoko aprì la scatolina col cuore in gola.
All’interno trovò un pettinino finemente decorato, una vecchia fotografia e un diario malandato dalle pagine ingiallite.

2 settembre
Questa sera io e Masuyo andremo al ryōtei per intrattenere un gruppo di signori provenienti dall’Inghilterra, qui a Kyoto per affari. Lei non sta nella pelle. Dice che di solito hanno i capelli del colore dell’oro e un accento molto buffo. Non ho mai intrattenuto uno straniero e spero di esserne all’altezza.

4 settembre
Ci è stato richiesto un secondo incontro con il gruppo di inglesi. Due giorni fa ho trascorso una bella serata e spero possa essere così anche domani. Ho cantato e suonato lo shamisen, ho danzato coi ventagli e abbiamo giocato coi bicchieri di sakè. Masuyo c’è rimasta male perché stavolta avevano tutti i capelli scuri, o grigi.
Mi ha detto che uno di loro non mi toglieva più gli occhi di dosso e spero non sia l'anziano signor Cooper.

12 settembre
Il signor Harris ha i capelli scuri e gli occhi del colore dell’oceano. Quando gli offro il sakè osservo sempre il suo riflesso nel bicchiere, per non sembrare troppo insistente nel guardarlo in viso.
I suoi denti sembrano perle e quando parla si rivolge sempre a me. Vorrei tanto poter comunicare con lui senza aver bisogno del signor Honya-san, l'interprete.

4 novembre
Stasera, mentre tornavamo all’okiya dopo aver intrattenuto il signor Harris e i suoi colleghi, lui è uscito di corsa, si è avvicinato a me e per la prima volta ha sfiorato e preso le mie mani. Mi ha guardata negli occhi con dolcezza, poi dalla tasca ha estratto la fotografia che ci hanno scattato insieme una delle prime sere e un pettinino decorato con gigli in oro e madreperla. I gigli sono i miei fiori preferiti e lui se l'è ricordato. Prima di tornare in sala ha pronunciato alcune parole che non ho compreso, concludendo col mio nome. Ha sorriso, di nuovo, con dolcezza. Quanto vorrei sapere il significato di quelle parole…

26 novembre
Il signor Harris è tornato in Inghilterra. Prima di partire è passato all’okiya con alcuni colleghi per omaggiare l’okasan e accomiatarsi ufficialmente. Non abbiamo potuto nemmeno sfiorarci, nemmeno una carezza per salutarci.
Non dovrei né scriverlo e nemmeno pensarlo, ma il mio cuore è a pezzi. Non è per una geisha desiderare, non è per una geisha provare sentimenti. Perciò nasconderò tutto in un posto sicuro, comprese queste righe. Tutto questo vivrà solo nei miei ricordi. E mai nessuno potrà portarmelo via.



Il corpo di Yoko si era paralizzato. I lineamenti sodi e austeri del suo viso sembravano liquefarsi. Un tonfo improvviso dentro al petto la costrinse a lasciarsi andare, per una volta, a quel turbinio di emozioni.

Dopo qualche minuto che sembrò un’eternità il poliziotto fece ritorno nel suo ufficio.
Yoko si schiarì la voce con compostezza e non appena fu certa di poter pronunciare una frase senza che la sua voce potesse abbandonarla e spezzarsi da un momento all'altro, domandò all'uomo dove avesse trovato quella scatolina.
L’uomo si accomodò nuovamente sulla sua sedia di pelle nera, dietro alla scrivania. Schiarendosi a sua volte la voce iniziò a raccontare, cercando con estremo tatto le parole più indicate per parlare di una storia profonda, quando delicata.
«Come sa, signora Harris, l’esplosione che causò la prematura scomparsa di sua madre colpì principalmente l’edificio, mentre il cortile retrostante fu solo parzialmente danneggiato. L’estate scorsa, durante dei lavori di riqualificazione del sito, un operaio che si trovava lì per la manutenzione del giardino, non seppe spiegarmi nemmeno lui perché, si interessò ad una vecchia lanterna di pietra. Sa, una quelle tradizionali, pesanti. Ha presente?»
Yoko annuì, ormai incapace di controllare il suo corpo che si sporgeva sempre più in avanti verso l'ispettore, fremente per l'attesa e ansiosa di ascoltare ogni singola parola del suo racconto.
«Ecco, era ricoperta di muschio, immagino non avesse nulla di diverso rispetto alle altre. Ce n’erano almeno un’altra dozzina lì in zona! Eppure in qualche modo, iniziò a ispezionarla e si accorse presto di una particolare cavità all’interno e lì, beh...trovò questo piccolo grande tesoro. Sono passati trenta, forse quarant’anni…ma quella scatolina è sempre stata lì, protetta da una pietra che ne ha celato, e allo stesso tempo preservato, la vita.»
Un sospiro profondo. Notando negli occhi della donna una certa commozione e un luccichio nella rima inferiore delle ciglia, si affrettò a proseguire.
«Comprendendone l’estremo valore affettivo, si rivolse a uno degli ultimi okiya rimasti nella zona, per cercare di individuare la proprietaria. Essendo ormai passati parecchi anni non fu semplice. Il contributo di Masuyo, amica e collega di sua madre, fu cruciale. Raccontò all’uomo che nove mesi dopo, Naoko partorì una bambina…» fece un leggero cenno con la mano, indicando Yoko. Lei, che fino a quel momento non aveva tolto gli occhi di dosso dall'uomo, abbassò lo sguardo, quasi imbarazzata. «...e per questo fu costretta a rinunciare alla sua carriera da geisha e a prestare servizio all’okiya, gratuitamente. Poi dopo qualche anno, il tragico incidente. Ed eccoci qui.»

Rive del fiume Kamo, prefettura di Kyoto, 29 dicembre
Quella sera, al vecchio molo sul fiume, Helena e sua madre osservavano l'orizzonte con occhi vuoti, mentre il cielo si arrossava velocemente, scottato da un tramonto infuocato.
Dopo aver letto quelle pagine, osservato quella vecchia foto e sfiorato quel dono d'amore, la giovane strega potè quasi sentire il suo cuore spezzarsi, sgretolarsi e andare in mille pezzi ma al contempo ricomporsi, impreziosito e riparato con l'oro. Come se fosse passato tra le mani di un abile maestro di Kintsugi.
Avrebbe voluto una vita più lunga per sua nonna, avrebbe voluto per lei la possibilità di conoscere a fondo la bontà e la nobiltà d'animo del suo, seppur per poco, compagno.
Erano bastati pochi mesi per far innamorare i nonni di Helena, ed era bastato così poco per spezzare la giovane vita di lei. Eppure, grazie a quei pochi mesi, Helena era lì, in carne ed ossa, piena di vita, accanto a sua madre come mai l'aveva vista prima di allora. un essere umano, ricoperto di spessa corteccia ma nelle cui vene scorreva una linfa vitale carica di emozioni e sentimenti, proprio come quelli di chiunque altro.

Helena si sentì profondamente riconoscente nei confronti del destino, di quell'operaio e di quella donna -Masuyo-. Quello scrigno di pietra e muschio poi aveva protetto e custodito gelosamente quella storia che, passata per mani gentili, era stata capace di tornare a casa e carezzare le corde più profonde di tanti cuori, in modo così semplice, puro, diretto.

«Mamma...»
Madre e figlia accesero accesero una piccola lanterna di carta che, adagiata su una barchetta di legno di bambù, dondolava docilmente sulla superficie calma del Kamo.
«...non mi avevi mai detto che i nonni si volessero così bene.»
Come al Toro Nagashi, il Festival Delle Lanterne per commemorare le anime dei morti, con una spintarella consegnarono insieme la barchetta al fiume e la osservarono prendere il largo, diventare un minuscolo punticino nel buio e sparire tra i flutti.
«Io… non lo sapevo.»
Le cose che perdiamo trovano sempre il modo di tornare da noi.

Ottantunesima Edizione Contest a Tema: Lanterna

 
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view post Posted on 31/5/2022, 20:43
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Ottantacinquesima Edizione
Contest a tema



Nostalgia
S
tanotte mi sono ritirata nel dormitorio con uno strano mood. Sarà il cielo nuvoloso di oggi che mi ha fatto ingrigire l'anima, la lezione di stamattina che mi ha lasciato una sensazione negativa o sentire in lontananza quel bullo sbraitare contro chissà chi, arrogandosi il diritto di chiamarlo "stupido", "asociale", "strambo" o "lo scemo senza amici".
Non so.
Ora che sono nel letto del mio dormitorio con la doccia appena fatta, i denti lavati e il pigiama fresco di bucato, dovrei essere super rilassata e invece non riesco a dormire. E non posso che fare a meno di pensare. Penso di non riuscire a dormire perché sto pensando troppo. Credo che sia la mia mente troppo affollata, piena di ogni genere di riflessione, ricordo, immaginazione, ad impedirmi di farlo.
Assurdo.
Osservo Camille nel suo letto e Memory poco più avanti, entrambe caldamente avvolte tra le coperte giallonere. Sembrano così tranquille e rilassate da far invidia a noi, poveri umani, che ancora non abbiamo raggiunto il mondo dei sogni. Tenetemi un posto ragazze, tra poco spero di raggiungervi!
Spero.
Oggi a lezione di incantesimi siamo stati divisi in coppie e ho avuto come l'impressione che tutti avessero il o la propriə migliore amicə accanto. È bastato un "scegliete un compagno..." dell'insegnante per vedere tutti, a due a due, voltarsi verso la propria persona del cuore e convergere come fanno i magneti coi i poli opposti, pronti a fare qualsiasi cosa sarebbe stato chiesto loro di fare. Io mi sono guardata attorno boccheggiante e solo dopo aver intravisto un altro Tassorosso -di cui non ricordo il nome- fare lo stesso, mi ci sono avvicinata.
Io non ce l'ho una migliore amica, né un migliore amico. O meglio, la prima ce l'ho, ma purtroppo non è qui ad Hogwarts.
Provo vergogna solo a pensarlo, ma ho avuto talmente da fare, talmente tanti pensieri e talmente tante cose da scoprire qui al castello che non sono riuscita a pensare ad altro che alla realtà in cui sono immersa ora.
Non mi sono dimenticata di Frances. Non potrei mai farlo, perché una parte del mio cuore le appartiene e lei mi ha dato in cambio un pezzo del suo: ventricolo sinistro per ventricolo sinistro, per fornire alle nostre rispettive anime ossigeno e nutrimento.
Facendo quanto meno rumore possibile, apro il comodino in cui ho conservato il regalo che mi ha fatto prima di arrivare ad Hogwarts. Passo le dita sulla copertina intarsiata e se da un lato vorrei tantissimo scrivere qualcosa in quelle candide pagine, dall'altro penso che questa agenda sia così bella che è quasi un peccato rovinarla con la mia scrittura, rischiare di aprire le pagine più del dovuto o di fare le orecchie agli angoli dei fogli. È così bella che dovrei lasciarla così, pulita, perfetta, intonsa. A volte mi capita di non fare qualcosa per paura di farla sbagliata. Ed è forse è un po' ciò che è accaduto a me e Frances.
So che si aspetta racconti incredibili da parte mia. Juls è statə così bravə a creare aspettative che ora persino cavalcare un drago bianco con gli occhi blu sarebbe una sciocchezzuola di poco conto. Dannata la sua intelligenza e la sua abilità oratoria.
A questo punto direi che quella del tempo potrebbe essere una scusa bella e buona per mascherare la verità: non le scrivo perché non ho nulla di incredibile da raccontarle.
Qui le persone non volano (non senza scope), non è così facile leggere nel pensiero o prevedere il futuro, non si può essere immortali e non basta un colpo di bacchetta per avere tanti amici. O per non provare nostalgia. O per perdonare tuo padre che non ti ha mai detto di avere un'altra figlia.
Che palle.
Mi manca lui e mi manca Frances. E visto che pensare a lui mi fa arrabbiare, voglio solo cullarmi nelle belle emozioni vissute con lei.
Ripenso a quando nelle sere d'estate ci sdraiavamo sul prato a guardare il cielo trapunto di stelle e ci infastidivamo quando le nuvole ce lo impedivano o quando speravamo di vederle cadere e invece restavano lì, immobili, pietrificate come i nostri desideri inespressi.
Quando per non farci capire dai grandi ci siamo inventate una lingua tutta nostra, con parole tutte nostre: quella per "baciare", quella "osservare qualcuno con interesse", quella per "mi piace quello". Che poi alla fine non abbiamo mai combinato nulla, ma era bello sognare di farlo.
Quando sono stata una settimana con mio padre a Londra dai nonni, e al mio rientro mi ha accolta con striscioni di carta igienica attaccati insieme col nastro adesivo, per creare un'enorme "Bentornata Ellie!".
Quando poi siamo state da sua nonna che parlava solo spagnolo e Fran mi faceva da interprete inventando un sacco di cavolate e facendomi ridere come una scema persino davanti alla più normale delle domande, ad esempio "come stai Helena?". Ora potrei stare meglio, nonnina di Fran, mi manca così tanto sua nipote!
Ripenso poi a quella volta in cui avevo preso un votaccio in matematica alla scuola babbana, mia madre mi aveva impedito di uscire per andare al brunch coi compagni di classe e quindi Frances era venuta a casa da me, aveva portato i suoi fratelli e aveva organizzato una festicciola nel mio giardino. "Se Ellie non può venire alla festa...la festa va da Ellie!" mi aveva detto schioccandomi un bacio sulla guancia. Nemmeno quella roccia di mia madre riuscì a contraddirla e non poté che sentirsi irreparabilmente impotente davanti alla nostra amicizia e a quel così puro gesto d'affetto.
Uno dei momenti a cui sono più affezionata è sicuramente quando mi ha chiamato "sorella" per la prima volta, quando siamo andate al campeggio con la sua famiglia. Sono passati alcuni anni ma lo ricordo ancora come se fosse ieri. Ad ogni persona nuova che conoscevamo, lei diceva che io fossi sua sorella e tutti ci avevano creduto. Non perché la nostra fisionomia fosse somigliante (anzi!), ma perché i nostri gesti, il nostro linguaggio e il nostro atteggiamento erano così simili da sembrare quelli di due consanguinee. La prima volta pensavo si fosse confusa. Poi alla seconda e terza capii che così non era e quando le chiesi perché, si limitò a sorridere e ad abbracciarmi. Per me, che sono sempre cresciuta sola in un mondo di adulti, sentirmi chiamare "sorella" è stata un'emozione unica: ho provato un senso di affetto e sicurezza totalmente nuovi, così intensi che non sono nemmeno capace di descriverli. E ora che ripenso a quei giorni mi rendo conto di quanto tutto fosse perfetto. Sgattaiolare dal letto la notte e raggiungere la spiaggia, guardare le stelle, fantasticare sul futuro e ballare insieme al chiaro di luna.
Rifletto ancora e arrivo alla conclusione che non è solo questione di tempo, non è solo mancanza di fantasticherie da raccontare. È che per necessità ho costruito una piccola Fran in un angolino della mia mente, in cui lei occupa un posto fisso tra i miei pensieri. È l'amica silenziosa, immutabile ed immanente che custodisco con cura e affetto e che vive le giornate insieme a me, così come eravamo solite fare. È bellissimo e vorrei crogiolarmici dentro all'infinito, ma tutto questo crolla come un castello di carte quando mi torna in mente lei, la vera lei.
Lei che non mi ha mai chiamata Sayuri perché è sempre stata dell'idea che questo nome avesse un sapore lontano, troppo lontano. E ora che sono diventata davvero la sua Sayuri, mi rendo conto che sono stata una stupida ad allontanarmi da Fran.
Apro l'agenda, prendo una penna babbana che mi aveva regalato lei e, finalmente, senza alcuna esitazione, strappo un foglio con un gesto deciso e poggio la punta sulla superficie bianca.
Sorrido, scrivo.

"Cara Fran, spero di ritrovare presto quel filo che ci unisce e rientrare così nella tua orbita. Non voglio più essere Sayuri. Permettimi di tornare ad essere, semplicemente, Ellie."

La guferia mi attende.
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A F., l'Amica lontana con cui ho condiviso alcuni dei momenti più spensierati della mia vita.



Edited by Helena Whisper - 14/5/2023, 11:40
 
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view post Posted on 30/11/2022, 23:58
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I Whisperwind sono un'antica famiglia purosangue scozzese. Rabastan e Andromeda Whisperwind hanno avuto una discendenza numerosa, tra cui Ewan -padre di Helena- e Juls -donna transgender nata di sesso maschile (MtF), sorella minore di Ewan-. Poco dopo l'arrivo ad Hogwarts di Helena, grazie ad una lettera anonima e ad una breve e confusionaria confessione di suo padre, la giovane Tassorosso scopre di avere una sorella(stra) ad Hogwarts, di cui mai aveva saputo l'esistenza. Passa così mesi di silenzio, rabbia, tristezza, paura, finché finalmente trova il coraggio di affrontare la realtà e decide di incontrare suo padre per chiarire la situazione.

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PuroSangue
«Ciao tesoro»
«Ciao papà»
Un abbraccio frettoloso, più per imbarazzo che per anaffettività.
«Come stai?»
«Bene, tu?»
«Abbastanza bene.»
Silenzio.
«Come va a scuola? Ti trovi bene tra i Tassorosso?»
«Sì, molto.»
La laconicità degli adolescenti feriti sapeva mettere a disagio chiunque, da sempre. Ewan tentò di eluderla, introducendo un po’ di ironia rompighiaccio.
«C'è ancora quella piantina carnivora che morde le dita, lì in sala comune?»
Helena abboccò e si sciolse in un sorriso, in memoria di quella volta in cui Ingrid fece una scommessa con un concasato del quinto anno. Si fece mordere tutto l'indice della mano destra e restò immobile senza fiatare, per oltre 5 minuti. Perse poi qualche ora in infermeria, ma sicuramente ci guadagnò in rispetto.
«È quasi arrivata a toccare il quadro di Tosca. Spero non morda anche lei...»
Ewan sorrise mostrando appena i denti, gli occhi come due mezzelune.
«Allora, volevi parlarmi di qualcosa?»
«Sì... Io....»
Spostò il peso sul lato destro del corpo, abbassando leggermente lo sguardo. Lo rialzò per cercare quello del padre, lo riabbassò una volta trovato.
«Volevo chiederti qualcosa di più su mia...sorella?»
L'ultima parola fu pronunciata con un volume decisamente più basso rispetto a quello delle precedenti, con una nota di indecisione e inquietudine.
«Immaginavo. Cosa vorresti sapere?»
Il suo tono era calmo, sereno.
Lei non proferì parola, ma la sua espressione parlò al suo posto. “Tutto”, avrebbe voluto rispondere. Ma suo padre la precedette, leggendoglielo negli occhi.
«Va bene.»
Ewan accompagnò Helena con un gesto delicato, verso il raccolto parchetto urbano qualche metro oltre Zarathustra. La panchina di legno bruno che scelse per loro era situata proprio sotto un grosso ginkgo biloba dalle foglie ingiallite e ballerine.
Una volta accomodati, i piedi destri inclinati da un lato e le ginocchia sinistre piegate ad angolo acuto, resero le posture involontariamente gemelle.
«Al termine della mia carriera scolastica ad Hogwarts, ho iniziato a studiare e a girare il mondo per diventare Magizoologo. In uno dei miei viaggi ho conosciuto una donna, una strega, con cui ho avuto una relazione. Siamo stati insieme per 3 anni, mi pare, e in questo periodo abbiamo avuto una bambina.»
«Questo più o meno lo sapevo…»
Le ginocchia di Helena si andarono a scontrare, le caviglie ad aprirsi lateralmente.
«Cos’altro vuoi sapere?»
«Lei chi è?»
«La strega? Una donna…purosangue»
«Non lei, la ragazza» Inspirò forte per garantirsi l’ossigeno sufficiente per domandare tutto il necessario in una volta sola. Tre…due…uno… «In che Casa è stata smistata? Quanti anni ha? Come si chiama? Vi vedete?»
Mentre lei gli vomitava addosso domande, a lui comparve un’espressione quasi stordita sul viso, che fece corrucciare quello di Helena.
«In realtà non so dirti. Noi non… no, non ci vediamo.»
Se la prima negazione urtò leggermente la tassorosso, l’ultima fu egoisticamente rincuorante. Il breve spiraglio di luce però venne subito oscurato da una domanda più che lecita.
«Scusa ma, com’è possibile?» Lo osservò intensamente, le ginocchia che fino ad allora si erano ripetutamente scontrate, si bloccarono. «È tua figlia…»
«Io…Non lo so. Io e…» Una pausa, sguardo vacuo, poi riprese. «Ci siamo lasciati. Non ho più rivisto né lei, né la bimba…»
«”Lei”, la “bimba”...» Gli fece eco Helena «Ce l’avranno un nome queste due, o no?!» Non avrebbe voluto apparire così spazientita. Ma quel vuoto le dava sui nervi.
«Io..non…» Di nuovo, il nulla sul volto dello scozzese. «Non è andata a finire bene. Abbiamo litigato, ognuno ha preso le sue strade. Non ho più saputo nulla.»
Lei strisciò i piedi a terra, sollevando una piccola nuvoletta di polvere bianca. Non sapeva se essere più seccata per quelle risposte o se per il fatto che suo padre avesse una figlia e poi se la fosse dimenticata chissà come o perché.
«Ma non t’importa di sapere chi è, come sta, cosa fa, che faccia ha?»
Ewan arretrò col busto, come colpito da uno schiaffo. Lei quasi si stupì di ciò che disse. In un certo senso stava spingendo suo padre, l’uomo il cui affetto desiderava solo per sé, a cercare la persona che tanto aveva odiato nell’ultimo periodo. Odiato ma ardentemente desiderato conoscere, dopotutto.
«Certo. Ho provato a cercarla. Ho contattato la segreteria di Hogwarts, i registri dell’anagrafe, San Mungo, il Ministero, persino Olivander e chiunque potesse aiutarmi a trovarla. Niente. Non risultano Whisperwind, a parte i tuoi cugini e le tue cugine. Non è stata registrata col mio cognome. E non capisco come questo sia possibile, dato ricordavo diversamente…» Sospirò. Una foglia giallo oro si lasciò andare e pigramente ondeggiò verso il basso, interrompendo poi la sua danza sulla spalla dell’uomo. Lui non sembrò accorgersene, perso com’era a ripescare memorie da cassetti vuoti. «Non ho idea di chi possa averti mandato quella lettera all’inizio dell’anno. Forse sua madre. Forse qualcuno che sa, sicuramente più di me. Credimi, le ho provate tutte. È come se si fossero entrambe volatilizzate…»
«Ma perché non mi hai mai detto nulla?»
«Non sono esattamente cose di cui parlare ad una bambina, specialmente la domenica pomeriggio dopo il Quidditch o la sera all’ora di cena, dopo aver passato la giornata ad ispezionare escrementi di mooncalf selvatici…» i folti baffi si mossero un poco, segno che le sue labbra si stavano inarcando in un lieve sorriso. «Stavo aspettando il momento giusto, ecco.»
«E comunque io non sono più una…» si zittì. Avrebbe pestato persino i piedi a terra, ma certo in questo modo non avrebbe avvalorato la sua tesi. Si morse l’interno della guancia, distogliendo lo sguardo.
«Lo so. Ormai sei grande, vai anche a lavorare!»
Helena lanciò uno sguardo al grosso orologio civico a coronamento della facciata di un vecchio ma ben tenuto edificio di pietra. Era in ritardo di quasi cinque minuti per il suo turno a Zarathustra.
«Sono in ritardo! Devo scappare papà. Se poi mi licenziano non potrò nemmeno più vantarmi di essere una strega indipendente!» Non che lo fosse al momento, ma le piaceva pensarlo.
«Buon lavoro, Lena.»
Tutti i dubbi rimasti furono spostati dalla vista e riposti momentaneamente in seconda fila, dietro un affetto ritrovato e un abbraccio frettoloso.

Proprio quando Helena trovò le chiavi del negozietto e di fretta tentò di inserirle nella serratura del portone, una mano leggera dalle lunghe dita si posò sulla sua spalla. Juls Whisperwind, sorella minore di Ewan, fece scivolare il cappuccio scuro rivelando la sua cascata di riccioli rossi. Aveva l'aria stanca, seria, ma vigile. I suoi lineamenti marcati vennero accarezzati dalla luce morbida del tramonto, che la fece apparire quasi eterea, come appena uscita da un dipinto preraffaellita.
«Come stai, Lena?»
«Zia, ciao!» La abbracciò con forza, inspirando pienamente il residuo del suo profumo, così familiare, così tipicamente suo. «Ma che ci fai qui? Ero con papà! Forse c’è ancora, aspetta, magari…»
Juls la fermò, intromettendosi con garbo nel suo entusiasmo.
«Lo so. Vi ho visti, da lontano. Volevo assicurarmi che stessi bene. Vieni…»
«Devo entrare in turno»
«Non ti preoccupare, ho parlato con Jamila, ti copre per mezz'ora.»
Hel abbozzò un sorriso, riconoscendo per l'ennesima volta quanto l’ex corvonero fosse sempre un passo avanti.
Qualche mentre oltre il viottolo sul retro del negozio, una passaporta, una vecchia cabina, una strada trafficata e poi un irish pub babbano. All'interno persone di ogni genere, vestite nei modi più bizzarri ed eccentrici. Persone sole, coppie variegate e gruppetti mangiavano, chiacchieravano, bevevano e ridevano, rendendo l’atmosfera del locale vivace e frizzante. Sicuramente nessuno lì dentro avrebbe badato a loro.
Si accomodarono ad un riservato tavolino all’angolo della sala principale, una di fronte all’altra. Un cameriere con un’imbracatura di pelle nera, borchiata, su una attillatissima camicia bianca perfettamente stirata, sì avvicinò a loro con un sorriso magnetico. Juls lo osservò per un attimo, in silenzio. Fu negli occhi profondi dell’uomo, che trovò ispirazione. «Per me un French 75.» «Per me una limonata, grazie.» Lui chinò leggermente il capo per confermare quanto ordinato e tornò dietro il bancone per preparare il tutto.
«Allora, com'è andata?» Si concesse un ultimo sguardo e poi tornò a dedicarsi alla nipote.
«Bene, credo.»
«Hm. Che ti ha detto?»
«Che ha avuto una relazione prima di conoscere mia madre e che hanno avuto una bambina»
«E questo già lo sapevi. Ti ha detto altro? Ad esempio come mai è finita, questa relazione?»
«No, in realtà.»
Juls sospirò. Lasciò vagare lo sguardo verso la profondità della sala e poi tornò a dedicarsi ad Helena.
«Credo tu ormai sia abbastanza grande per conoscere tutta la storia.»
L’ex corvonero l'aveva sempre trattata come una persona capace di intendere e volere, persino da bambina. Non si era mai rivolta a lei con le stupide vocine che gli adulti riservavano ai più piccoli. Aveva un modo particolare di volerle bene, non vezzeggiativo ma protettivo e maturo, come in un rapporto tra pari e non tra alto/adulto e basso/bambino. E questo Helena l’aveva sempre apprezzato.
La osservò, in quegli occhi proprio identici ai suoi. Una stretta allo stomaco fu il segnale che anche il suo corpo era pronto. Annuì leggermente col capo, pronta a farsi sommergere dalla verità.
«Tuo padre è a conoscenza solo di una piccola parte dei fatti, quella che gli è rimasta nel profondo, che non è stata intaccata, né rimossa. Ma non è tutto.» Fece una pausa, cauta, per accertarsi di trovare le parole migliori.
«È stato vittima di Amortentia e, con ogni probabilità, di Imperio.» Senza fronzoli, il dardo scoccò dell’arco. Lo sguardo vacuo di Hel, però, fu l’invito a spiegare meglio.
«L'Amortentia è il filtro d'amore più potente del mondo. È una pozione che crea un fortissimo desiderio o ossessione per una persona, ma non il vero amore, che ovviamente non può essere creato artificialmente.» Non aveva idea di quanto la dodicenne ne sapesse dell’amore, ma sembrava seguire il suo ragionamento con attenzione, perciò proseguì «La Maledizione Imperius è invece un terribile incantesimo di Magia Oscura. Permette di avere un controllo totale sulla vittima, piegarla al proprio volere senza che nemmeno se ne renda conto.»
Il cameriere fece ritorno con il cocktail in una flûte e la limonata in un bicchiere con ghiaccio, e li porse alle streghe con gentilezza. Entrambe ringraziarono e Juls riprese a parlare non appena lui si fu allontanato.
«Quando tuo padre era più giovane sparì dalla circolazione per un po’. Inizialmente per perseguire i suoi obiettivi professionali, poi a causa di quell’arpia. Era un periodo in cui anch’io ero persa. Stavo cercando di capire chi fossi davvero; non ero di certo la persona che conosci oggi…» Sospirò, lievemente malinconica. Il periodo a cui si riferiva era quello di transizione, quando ancora il corpo femminile non le apparteneva.
«Tuo padre è stato l’unico che mi ha sempre capita davvero e non mi ha mai giudicata.» Portò alle labbra il bicchiere alto, prendendone un piccolo sorso e poi posandolo sul tavolo con delicatezza, senza fare alcun rumore.
«Ogni tanto ci scambiavamo dei gufi. Solo che più il tempo passava, più lui mi sembrava strano. Ho capito che qualcosa non andava quando gli dissi che avevo deciso di dirlo ai nostri genitori, ma che avevo paura di farlo perché sapevo come sarebbe andata a finire…e lui mi rispose con qualcosa come “penso che dovresti lasciar perdere e smetterla con queste sciocchezze”.» Sbuffò, gli occhi azzurri sgranati.
«Ewan non mi avrebbe mai detto una cosa del genere. Non il vero Ewan.»
Helena ascoltava, silenziosa ma attiva, cercando di cogliere ogni minima mutazione d’animo della strega dai capelli ribelli. Sapeva che quella storia non preannunciava nulla di buono, ma sapeva anche che era arrivato il momento di esserne a conoscenza.
«Dopo quella volta, per testarlo, ho iniziato a parlare di cose assurde, cose che sapevo che lui non avrebbe mai condiviso: il fatto che dovessimo andare fieri di essere maghi purosangue, che dovessimo impegnarci a preservare la purezza, la razza, il sostentamento dell’unica comunità magica degna di esistere… insomma, tutto ciò che abbiamo sempre ripudiato. E sai poi cosa trovavo scritto nelle sue lettere di risposta? “È vero”, “Hai ragione”, “Quegli animali non meritano nemmeno l’ossigeno”, “I sanguemarcio dovrebbero estinguersi” e altre oscenità che non sto qui a ripetere. Poi un giorno ha raggiunto l’apice: “conosco una strega che vorrei presentarti. È una donna per bene, purosangue ovviamente. Sono sicuro che potreste formare una bellissima famiglia!”» Si portò una mano alla fronte e scosse il capo con forza. «A me? Dire una cosa del genere A ME? Che assurdità!»
«Persino i sassi sanno che a te non importa nulla di queste cose!»
«Infatti! Non c’erano più dubbi sul fatto che quelle lettere non erano scritte da tuo padre. Decisi allora di stare al gioco e far finta di desiderare quell’incontro più di ogni altra cosa al mondo, chiedendo però che fosse presente anche lui per fare le dovute presentazioni. Ci furono parecchi tira e molla, indecisioni, temporeggiamenti, scuse assurde, ma poi finalmente accettò e dopo circa due settimane ci incontrammo in un villaggio poco distante da Aberdeen, per un pic-nic fuori porta. C’era la tizia che voleva essere ingravidata, un’altra donna, una bambina di circa 2 o 3 anni… e tuo padre.» Una involontaria scossa alle spalle la fece rabbrividire. Helena, tesissima, ascoltava sporgendosi in avanti sul tavolo.
«Tuo padre che non era ancora tuo padre. Ma non era nemmeno più mio fratello. Era un pupazzo di gomma. Non parlava, non mi guardava, non sorrideva, non reagiva. Sai com’è lui, molto emotivo, reattivo, timido ma presente. Ecco, non era niente di tutto ciò.»
H. si portò una mano alla bocca, chiudendola poi a pugno per nascondere le labbra semi aperte per lo sbigottimento. La discussione stava iniziando a diventare pesante e non era sicura di riuscire a reggerla del tutto.
«Non è stato difficile sbarazzarmi della tizia più giovane. Con la scusa di “conoscerci meglio”, ci siamo appartati e l’ho schiantata. Quando poi raggiunsi gli altri, facendo finta di averla persa, la donna che stava con tuo padre mi lesse sul viso che qualcosa non andava. Era la prima volta che schiantavo una persona in ambito non scolastico e ne rimasi abbastanza scossa. Ci fu una discussione accesa, poi dalle parole si passò ai fatti e poi persino alle bacchette. Fu uno scontro breve ma intenso. Non so nemmeno io come ho fatto ad uscirne viva. Fatto sta che proprio mentre stavo per evocare un incantesimo che mai avrei pensato di utilizzare -ti prego, non chiedermi quale-, la donna capì che non avrebbe potuto uscirne bene, così afferrò la bambina per un braccio e si smaterializzarono.»
Juls bevve un altro sorso, Helena il primo. «La cosa più devastante però non fu lo scontro in sé… proprio nell’istante prima che le due sparissero, un pianto e quello straziante “PAPÀ!” urlato dalla nanetta, mi mandarono in tilt.» Socchiuse gli occhi, per deglutire quel boccone amaro. L’immagine della bambina che piangeva disperata era ancora fissa nella sua mente, seppure avesse cercato di dimenticarla più volte.
«Tuo padre osservava il vuoto come un ebete. Nemmeno si era reso conto di tutto quello che era appena accaduto. Era talmente fatto di quella fottutissima Amortentia che nemmeno si ricordava che fossi sua sorella. O meglio, fratello, all'epoca.»
Helena dovette reggersi la testa con una mano, perché stava iniziando a girare e ad essere pesante. Pesante ma fluttuante. Una sensazione strana, mai provata. Come potevano entrare tutte quelle informazioni, tutte quelle emozioni e rivelazioni nella piccola testa di una dodicenne? Come potevano poi fermarcisi tutte quante, senza causarle opprimente dolore? La terra sotto i piedi sembrava venire meno, ogni minuto sempre più intensamente.
Juls, che percepì quella forte tensione, cercò di stemperare un po’ quel gelo.
«Ero talmente scossa e arrabbiata che ad una certa gli sferrai persino un pugno!» Un riso amaro. «Mi ci vedi, fare a pugni?»
La tassorosso, che nel frattempo aveva chinato il capo e lo reggeva con entrambe le mani, arricciò il naso esibendo un tiratissimo sorrisetto.
«Scusami tesoro. Mi sto spingendo troppo oltre…»
«No. Ti prego, vai avanti.»
Juls sorseggiò nuovamente il suo drink. Posò la mano sinistra al centro del tavolo, con il palmo rivolto verso l’alto, pronto ad accogliere quello della nipote.
Rimase vuoto per un po’, finché poi una mano minuta, fredda, andò a scaldarsi in quel porto sicuro. Due sorrisi si incontrarono, illuminando i visi scossi per qualche attimo prezioso.
«Tu padre venne ricoverato al San Mungo e restò lì per alcuni mesi. Fu poco dopo essersi riabilitato che proseguì gli studi per diventare Magizoologo e durante una missione incontrò tua madre.»
Helena arrossì, apprezzando l’introduzione di sua madre nel discorso come una boccata d’aria fresca in un pomeriggio di inizio agosto.
«Ma perché quella donna ha voluto rapire mio padre?»
«Non so. Troppo bello pensare che se ne fosse semplicemente innamorata.»
Una smorfia, poi riprese.
«C'era un tempo in cui nelle nostre zone giovani maghi e giovani streghe purosangue sparivano e venivano incantati per generare eredi di sangue puro
«Veramente?»
«Sì. Ma ti parlo di anni e anni fa. Credo che persino i nonni abbiano combinato l'unione tra i miei genitori, per lo stesso scopo, ma senza questi infimi mezzi. Diciamo che ai loro tempi era quasi normale, il matrimonio combinato. Sono sempre stati misteriosi a riguardo e sai bene che di certo non sono la prima persona a cui vorrebbero fare delle confidenze.»
Si mosse appena, mentre una rughetta ai lati delle labbra carnose increspò momentaneamente il suo volto diafano.
«Pensi sia successo lo stesso a mio padre? Un rapimento per "preservare la purezza del sangue"?» Virgolettò le ultime tre parole con un gesto delle dita e un tono sprezzante.
«Questo non so dirtelo. Non conosco l'identità della donna e non so come possa essere arrivata a tuo padre. Ma non lo escluderei. Anzi… molto probabilmente è andata così.»
«E chi pensi possa averla introdotta a lui?»
«Una famiglia tristemente tradizionalista, forse? Ho cercato di indagare, parlare coi miei e tentare di capire. Si sono sempre dichiarati estranei e anzi, hanno fatto fuoco e fiamme quando ho solo provato ad introdurre l'argomento. Penso che tu non abbia mai visto tuo nonno veramente incazzato. Mi auguro che non lo veda mai.»
Helena socchiuse gli occhi, incerta se domandare o no. La testa sempre più pesante, bruciante, pulsante.
«Ma tu... Gli credi?»
Juls inarcò un lato delle labbra, l’amarezza palese sul suo viso. Inspirò profondamente, prendendo un altro sorso.
«Vorrei poterti rispondere di sì. Ma conoscendo mio padre non mi sento di escludere nulla.»
La più giovane deglutì con forza, mentre l'altra, notando il suo disagio, le strinse la mano, rassicurante.
«Le idee di alcuni maghi sono veramente oscure, Lena. C’è chi ucciderebbe per raggiungere i suoi assurdi scopi. C’è chi l’ha fatto. E c’è chi ha venduto suo figlio, o sua figlia, per un posto al Ministero o una bella somma di galeoni. Non t’immagini lo schifo che c’è dietro un bel vestito e un’eredità apparentemente impeccabile.»
«Ma tu e papà, come avete fatto a… ?» non concluse la frase, non riuscendo nemmeno a capire che cosa volesse domandarle. Juls proseguì con il suo discorso, cercando di decifrare la domanda di Helena.
«Io e tuo padre non siamo così. Tu padre, beh, sta con tua madre per amore, amore vero. Non t'immagini il caos quando ha comunicato alla famiglia la volontà di sposare una babbana. Con alcuni zii non si sono parlati per mesi, con papà -Rabastan- addirittura per quasi un anno. Ma Ew se n'è fottuto allegramente del loro giudizio e con la testa alta e l’animo ferito, ha seguito il suo cuore.»
Hel sorrise appena, orgogliosa del coraggio di suo padre.
«Quanto a me... beh, io scopo con chi mi capita e il mio sangue lo dò a tutti. Non vale più di quello di chiunque altro...»
L’uomo al tavolo accanto con due enormi occhi nocciola alzò lo sguardo e rivolse un’occhiata a Juls. Una remota espressione maliziosa sembrò materializzarsi sul suo viso squadrato; sembrò stesse per alzarsi, ma notando Helena fece finta di nulla e si rimise comodo. Osservò nuovamente Juls, bramoso, ma si girò di spalle e non si intromise più in quel mondo che non gli apparteneva.
Helena arrossì, totalmente a disagio, mentre la strega adulta glissò, facendo finta di nulla.
«Quando gli hai chiesto maggiori dettagli non ti ha saputo rispondere, vero?»
«Vero. Che rabbia, sembrava mi stesse prendendo in giro!»
«Non è così, Hel. Lui non ricorda davvero. Per guarire è stato obliviato. Alcuni dei suoi ricordi sono stati ricostruiti mentre altri semplicemente oscurati. Non è colpa sua. Non ha mai voluto mentirti.»
La tassorosso ascoltava con attenzione. Ogni parola apriva dei mondi dolorosi ed inesplorati nella banca dei suoi pensieri. Aveva riversato così tanta rabbia in suo padre, nella sorella sconosciuta…mentre loro in realtà non erano altro che due vittime degli sporchi giochi di una donna folle. Suo padre era stato un burattino tra le mani di una donna malvagia, un pupazzo da muovere, spingere, violare a piacimento. E quella sorella, che prezzo aveva dovuto pagare per avere un sangue prezioso? Com’era stata stupida, ad odiarla, a serbare rancore, a rimuginare e ingoiare rabbia. Avrebbe potuto parlare con suo padre e Juls da subito, chiarire la questione, indagare, aprirsi e raccontare i suoi dubbi…e invece aveva passato mesi con l’animo avvelenato, tra incubi terribili e insonnia straziante.
«Ma poi, che fine hanno fatto la donna e la bambina?»
«Non ne ho la minima idea. La donna è ricercata dal Ministero della Magia e ha una cella ad aspettarla ad Azkaban. Della bambina invece non si è mai saputo nulla.»
«Pensi che sia davvero ad Hogwarts?»
«Sì, è molto probabile.»
«E la lettera che ho ricevuto ad inizio anno, chi pensi possa averla scritta?»
«Non ne ho idea. Ma chiunque l’abbia scritta, credo che sappia molto più di quanto ne sappiamo noi.»
Milioni di domande, milioni di risposte non pervenute. Come avrebbe trovato sua sorella, se di lei non sapeva praticamente nulla? E aveva ancora senso odiarla, dopo quanto appreso? Dopotutto non aveva alcuna colpa. Solo la sfortuna di essere nata da una relazione fittizia, dall’imitazione dell’amore ma che amore non fu mai.

Contest a tema: novembre 2022


Edited by Helena Whisper - 14/5/2023, 11:43
 
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