| Attendevi, i muscoli tesi come corde di violino pronti a reagire al segnale di via. Ripassavi mentalmente la sequenza di gesti che ti avrebbe liberata: usare l'anello per bloccare l'uomo alle tue spalle; piantare bene i piedi a terra e dargli uno spintone, mentre le mani veloci sarebbero già corse alla bacchetta. Lì le tue idee si fermavano, anche solo poter usare la magia appariva come una libertà troppo lontana dal tuo stato attuale. Intorno a te gli uomini continuavano a parlare, ma i loro discorsi ti attraversavano senza impigliarsi nella rete della tua comprensione. Avrebbero anche potuto disquisire in una lingua straniera, per quel che ti concerneva. Ti rimase impresso un unico termine, un nome, Santiago. Capisti che a chiamarsi così era l'uomo dai capelli scuri a capo delle forze dell'ordine, sillabe lontane per tratti altrettanto estranei. Anello. Spintone. Bacchetta. Una cantilena che ti ancorava debolmente alla realtà, ti ci aggrappavi perché consapevole di come fosse la tua unica possibilità di uscire da lì. Così come la mente tornava su quelle poche parole, gli occhi avevano trovato in Ieremias il loro punto di appoggio. Lui faceva di tutto per evitarti, la sua agitazione gli impediva di mantenere ferma l'impugnatura sulla bacchetta. Potevi quasi sentire le forti emozioni che lo sconquassavano, in una battaglia da cui dipendeva tanto, forse troppo. Quanto poteva rimanere tra le mani incerte di un ragazzo così giovane e fragile, prima di andare inevitabilmente in pezzi? Sarebbe stata una scena così bella, su un palcoscenico o tra le pagine fitte di inchiostro di un libro di avventura: la tensione che corre piacevolmente lungo la schiena di uno spettatore, di un lettore, l'illusione di essere in pericolo a stagliarsi sullo sfondo rassicurante di un ambiente controllato. Solo pochi minuti prima avevi pensato di non essere mai veramente salita sul palcoscenico – una constatazione carica di rammarico, che ora lasciava spazio alla gelida concretezza del pericolo, perché il capo dei malavitosi stava parlando di te, all'improvviso comprendevi anche fin troppo bene le sue parole. Anello. Spintone. Ba... La sequenza si interruppe, mentre un nodo si stringeva intorno alla tua gola ad anticiparti il pericolo che era stato messo a parole. Ti sentisti piccola, dispersa, improvvisamente le coordinate del tuo piano non avevano più così tanto senso. Ieremias scelse proprio quel momento per ricambiare il tuo sguardo. Fu quello l'inizio del caos a cui credevi di essere preparata. Quell'unica parola a fior di labbra, scappa. Se pure si trattò di una vittoria, fu una particolarmente amara. Il tuo sguardo carico di gratitudine fece appena in tempo incontrare la figura di un Ieremias disarmato e bloccato, che una spinta violenta ti fece cadere a terra. Il bruciore della pelle ferita si propagò sul tuo viso, ma dietro alla smorfia di dolore il pensiero era uno solo: sono viva. Eri viva, e terrorizzata, perché le lancette dell'orologio si erano improvvisamente mosse all'indietro – senza preavviso, i fogli del calendario erano tornati sul trentuno di agosto, che riprese a vivere nelle grida di chi aveva paura, nei botti assordanti che cercavano di soffocarle assieme alla polvere che portava l'odore delle macerie appena crollate. Avevi paura di aprire gli occhi – quante volte si può vedere il disastro e sopravvivere? La mano destra si mosse quasi a scapito della tua volontà – perché non corse alla bacchetta, come sarebbe stato più opportuno, bensì al polso sinistro, là dove portavi il bracciale che era divenuto un piccolo talismano*. Ariel te lo aveva regalato perché ricordassi che i fantasmi erano solo nella tua testa, non intorno al tuo corpo. Te lo eri ripetuto tante di quelle volte, e in ognuna di quelle occasioni avevi sfiorato la superficie fredda della sfera di cristallo – così tanto spesso che ormai anche solo quel gesto sapeva riportarti alla realtà, almeno un po', quel poco che bastava perché resistessi all'istinto di rannicchiarti a terra e farti più piccola che potevi. Un respiro profondo, e ti alzasti a sedere. Era difficile distinguere qualcosa nella nube di polvere, ancor di più lo era capire da quale punto preciso arrivasse ogni attacco che sfrecciava nell'aria verso bersagli ugualmente ignoti. Temevi che uno di essi colpisse te, ma ancor di più avevi il terrore che l'aria polverosa si riempisse di grida di dolore, degli ululati delle vittime in agonia. Era quello che ti portava a spezzarti, ogni volta. Cercasti di armarti, e mentre ti accucciavi facesti correre lo sguardo tutto intorno. Vicino – troppo vicino –, il fuoco aveva preso a divampare tra i libri. Ti allontanasti istintivamente, indietreggiando come un animale che temesse di essere ferito; dovesti alzarti in piedi, ma rimanesti leggermente china – ti sentivi ingombrante, esposta a qualsiasi pericolo. Le fiamme avrebbero presto divorato un libro dopo l'altro, si sarebbe esteso tra gli scaffali vicini come una piaga mortale; sarebbe stato più semplice estinguerlo ora che era ancora contenuto, ma in nessun modo avresti saputo comandarti di avvicinarti. Affrontare l'incendio era fuori discussione, già le tue gambe tremavano, frementi della necessità di scappare. Non sapevi con precisione quando avevi rinunciato ad essere coraggiosa, ma in qualche momento era accaduto, e non eri ancora pronta a tornare sui tuoi passi. Ti voltasti da un'altra parte, alla ricerca di una via di fuga. La trovasti: ecco il vicolo da cui i delinquenti avevano progettato di scappare, ecco la via verso la tua amata tranquillità. Muovesti un passo, poi un altro, ma qualcosa non era corretto. Ieremias. Dov'era? Cosa ne era stato di lui, dopo che attacchi congiunti lo avevano reso completamente incapace di difendersi? Lui aveva saputo prendere la decisione giusta; rivedevi il luccichio nei suoi occhi umidi, sulle labbra quel mormorio che aveva preceduto la confusione: scappa. Potevi farlo? La risposta ti arrivò quando, abbassato lo sguardo, individuasti la figura di un uomo riverso a terra e schiacciato sotto al peso di uno scaffale. Le tue gambe si mossero prima della tua consapevolezza, in un istinto ormai radicato nel tuo essere tanto quanto la paura. Barcollasti sui primi passi, ma poi ti sforzasti di correre, di coprire il più velocemente possibile quelle poche decine di metri che ti separavano dall'uomo. Cercasti allo stesso tempo di mantenere gli occhi aperti per non finire sulla traiettoria di qualche incantesimo. Se fosti riuscita a raggiungere la vittima riversa a terra, avresti esitato solo pochi istanti sopra al suo corpo. Gli interrogativi attraversarono la tua testa veloci some i lampi di luce che si susseguivano intorno a te – chi era? Un Auror, un civile, un delinquente? Domande inutili. Era un ferito, e i suoi gemiti erano l'unica identificazione di cui avevi bisogno. «Ti aiuto io» mormorasti con la poca voce che riuscisti a trovare, forse abbastanza forte per farti sentire, forse no. Puntasti il catalizzatore contro al mobile che lo schiacciava dalla vita in giù. Un tempo aveva accolto dei libri che avrebbero potuto fare la piccola felicità di un passante, ora, rovesciato, si era tramutato in una trappola di dolore. I vetri della vetrina erano andati in mille pezzi, altrettante piccole e insidiose ferite nella carne. Ti concentrarsi sul legno massiccio, la punta della bacchetta a tracciare con precisione un cerchio in un unico movimento continuo. La motivazione era più forte della paura, per una volta, perché sapevi con precisione cosa dovevi fare – qual era il tuo ruolo, al di là di qualsiasi fazione e perfino dei tuoi incubi ricorrenti. In fondo non vi erano fantasmi, lì intorno a te – non per il momento, per lo meno. E-VA-NESCO! avresti scandito in tre sillabe taglienti, mentre al contempo muovevi la bacchetta. Immaginasti di far sparire quel peso ingombrante, di lasciare al suo posto solo l'aria e la possibilità di ridare una parte della libertà a chiunque giacesse in quel momento ai tuoi piedi. Come Ieremias, sapevi di aver fatto la scelta giusta. PS: 247 / 257 | PC: 200 / 205 | PM: 242 / 242 | PE: 35Bacchetta
Macchina fotografica magica (caduta)
Gioielli indossati: Anello Vegvisir: aiuta chi si è perso a ritrovare la strada, infondendo coraggio e fiducia in se stessi. Anello della Gorgone: se utilizzato contro un avversario umano blocca totalmente o parzialmente i suoi movimenti per 1 turno, non pietrificandolo. Bracciale Yūrei: porta incastonato in una piccola sfera di vetro infrangibile un fluido argenteo in grado di percepire la presenza degli Spiriti. Se colui che lo indossa si trova nei pressi di uno di essi, il fluido diviene gassoso e si connota di sfumature dal bianco al rosso, attraverso tonalità intermedie, che ne certifica la pericolosità. Bracciale di Damocle: concede la possibilità di lanciare un "doppio incanto", ovvero due incantesimi in un solo post/azione, ma non più di una volta ogni 6 post di Quest/Evento.
In borsa: Spettrocoli: permettono di vedere creature invisibili o immaginarie. Se indossati per troppo tempo possono provocare stordimento. Essenza dell'Elfo (x1 boccetta) Taccuino Penne biro (un paio) Sacchetto con 10 Galeoni
Vestiario: jeans, camicia, anfibi e un cappotto leggero. INVENTARIO | Fino alla IV classe di incantesimi, esclusi i proibiti. VI classe: Adduco Maxima.
Vocazione: Animagus inesperto (rondine). CONOSCENZE |
* Mi riferisco al bracciale Yūrei.
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