The Sounds Of The Apocalypse, Universi Alternativi [il Vaso di Pandora]

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view post Posted on 20/7/2021, 18:04
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Ama, ama follemente, ama più che puoi e se ti dicono che è peccato ama il tuo peccato e sarai innocente. (William Shakespeare - Romeo e Giulietta)

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Desclaimer
Ho voluto delineare un piccolo spaccato di quotidianità. Cercando di trasmettere le emozioni della mia pg attraverso suoni, rumori e musica. Collegamenti che io stessa, amando la musica, mi ritrovo a fare automaticamente in real. Spero di essere riuscita nel mio intento.
Buona lettura :flower:



I colori, i suoni, gli sguardi raccontano il nostro tragitto



Erano mesi che nessuno aveva più notizie delle proprie famiglie, inclusa lei. Da quando Hogwarts era stata sigillata, l’unico modo per avere informazioni, seppur frammentarie, era tramite l’ascolto di frequenze radio specifiche. Quando le buone notizie non arrivavano, o erano incerte, sentiva che la sua paura più grande si stava avverando: perdere coloro che amava.
Non sapeva se fossero vivi, nascosti chissà dove. Morti. Oppure, l’ipotesi più dolorosa, a cui non voleva neanche pensare. Probabilmente era peggio della morte stessa.
Molti avevano preferito che i figli rimanessero al Castello, ritenendolo un luogo sicuro. Sicuro in che senso? A lei non dava sicurezza, non dava certezze. L’unico posto in cui voleva correre a ripararsi era l’abbraccio di una persona cara, ma non poteva. Era bloccata tra quelle mura. Indifesa. Impotente. Non si era mai sentita così inutile.
La notizia di quella lontananza forzata era arrivata come una doccia fredda. Prima che la situazione degenerasse del tutto e il Morbo si spandesse a macchia d’olio, ognuno ricevette una lettera dai genitori in cui spiegavano le loro motivazioni. Alla sua era allegato un piccolo pacchetto contenente un carillon.
Quel carillon apparteneva a sua madre, glielo aveva regalato il marito per il loro matrimonio. Quando era piccola lo utilizzavano spesso per farla addormentare, cullandola con la sua dolce melodia.
Adesso era lì, seduta sul freddo pavimento del piano terra. Piangeva, nascosta nell’angolo vicino alle scale che portano ai sotterranei, mentre stingeva a sé quella preziosa reliquia. Forse l’ultimo ricordo che le rimaneva di loro. Non se ne separava mai.
Nei momenti peggiori girava la minuscola chiave che permetteva di caricarlo, lasciando risuonare le note attorno a lei. Fece lo stesso proprio in quell’istante. Era come se la musica formasse un filamento sottile che la conduceva da loro. Aveva l’impressione di sentirli vicini. Le dava un barlume di speranza, anche se il suo solito ottimismo veniva a mancare ogni giorno di più. Non vedeva la luce in fondo al tunnel. Anche se avessero trovato la cura, quale prezzo avrebbero pagato i ragazzi come lei? Avevano ancora una casa a cui tornare? Una famiglia da riabbracciare? O erano da considerarsi già orfani?
Intanto si lasciava trasportare da quel suono delicato. Le permetteva di allontanare quelle fosche domande ancora senza risposta. Allo stesso tempo, a mano a mano che queste diventavano flebili echi nella sua mente, diminuiva anche il suo singhiozzare contro le ginocchia strette al corpo.
Ma anche la musica finisce, quindi cosa resta? Resta il silenzio. Il rumore più assordante. Un rumore composto da pensieri orribili, che si sovrappongono come il vociare disarmonico di una folla. Pensieri accompagnati spesso e volentieri dal rantolio metallico di un Senziente. Il terrore di scoprire che quell’essere era una persona conosciuta. E alla fine un grido straziante che squarciava il buio. Il grido di quando, svegliandosi nel cuore della notte, si rendeva conto che era solamente un incubo. Purtroppo, però, quell’incubo era più vero quanto potesse immaginare.
Quante volte si era ritrovata a soffocare le lacrime nel cuscino, cercando di non farsi sentire dalle compagne di stanza. Oppure si era rifugiata in bagno, chiudendosi dentro finché non riusciva a calmarsi. Aveva perso il conto. Quella era solo una delle tante occasioni in cui cadeva preda di un tracollo emotivo. Persa. Vuota. Non c’era consolazione.

«Donovan, vieni? Stanno per servire la cena. Speriamo di ricevere anche qualche novità» sussultò. Non sapeva di chi fosse quella voce, non l’aveva riconosciuta e non le importava. Voleva solo essere lasciata in pace. Voleva restare sola, con il suono attutito di quello stillicidio che, mentre le rigava le guance per poi colpire il tessuto dei vestiti, faceva da sottofondo alla sua disperazione. Ma non poteva scappare per sempre dalla realtà. Si tamponò rapidamente gli occhi, ormai gonfi e arrossati, con le maniche della divisa. Poi, senza porre attenzione alla figura sfocata di fronte a lei, si alzò, fece scivolare in tasca il carillon e si diresse come un automa in Sala Grande.
Cena. Quella che ogni sera si trovavano nel piatto non poteva neanche essere definita tale. Le scorte stavano diminuendo, così come le loro razioni. Non riusciva a mandare giù niente, aveva lo stomaco completamente chiuso. L’idea d’ingerire qualcosa le dava la nausea. Il volto si contrasse in una smorfia, se a causa del cibo o per altro era un mistero. Allontanò con un gesto rapido il piatto da sé, convinta che qualcuno si sarebbe deciso a condividerlo.
Come di consueto, prima di prepararsi per andare a dormire, si radunarono per ascoltare i messaggi radio provenienti dai vari punti di raccolta o da gruppi sparsi di superstiti. Anche loro il giovedì avrebbero trasmesso il resoconto settimanale. Prima ci fu un armeggiare di manopole, poi un gracchiare ed infine una serie di parole ben scandite:

«Buonasera, stiamo trasmettendo direttamente dal Ministero. Non abbiamo ancora novità riguardanti la cura, ma dati i continui progressi ci aspettiamo a breve qualche risultato positivo.» ne seguì una serie di notizie poco rilevanti. Supposizioni fatte presumibilmente per rassicurare, ma con scarsi risultati.

Di nuovo il fruscio leggero delle manopole:

«Ci sentite? Trasmettiamo da Godrick's Hollow. Siamo a corto di viveri, c’è qualcuno in ascolto che può venire in nostro aiuto?» un problema comune a quanto pare, erano tutti sulla stessa barca.

Ancora un cambio di stazione:

«Ci stanno attaccando, mi chiamo ******** e sto trasmettendo dalla Foresta di Dean. Mi sono appena nascosto, ma mi scoveranno a breve. Vi prego, se siete nei paraggi accorrete. Vi scong-……..» rumori indistinti, un urlo agghiacciante e poi più nulla.
Lei, come tutti i presenti, era attonita, non riusciva a respirare. Se alcune delle persone attaccate erano loro amici? O parenti? Cosa stava succedendo? Era di nuovo in procinto di scoppiare a piangere, quando l’ultimo messaggio trasmesso si apprestò a riassestare un minimo gli animi:

«Stiamo trasmettendo dal quartiere Streatham di Londra. Abbiamo recuperato un altro gruppo di sopravvissuti. Presto faremo un censimento e comunicheremo i nomi, in modo da rassicurare eventuali familiari ancora in vita.» ebbe un tuffo al cuore. Istintivamente portò una mano al fianco, carezzando leggermente l'oggetto che vi premeva. Non tutto era perduto. Adesso aveva un motivo per sperare di nuovo. Se tutto fosse andato bene, quella comunicazione sarebbe diventata la colonna sonora migliore per quella dannata Apocalisse.





 
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