Humanitas., Universi Alternativi: [Il Vaso di Pandora]

« Older   Newer »
  Share  
view post Posted on 31/7/2021, 14:36
Avatar

The North remembers. ♥

Group:
Medimago
Posts:
7,676
Location:
Blair Atholl, Scozia

Status:


Attenzione: il seguente scritto contiene riferimenti ad argomenti che potrebbero urtare la sensibilità del lettore, quali morte, suicidio e dolore.


humanitas
Richard John Lancaster
4.251.9-21

« Dottoressa? Mi serve una firma anche qui. »

Non riesce a distogliere lo sguardo dal tessuto verde scuro che avvolge il corpo sulla barella: immobile, la piuma stretta in mano e ferma a mezzo centimetro dalla pergamena giallastra, l’aria che fatica a raggiungere i polmoni, le sembra che le lettere sotto i suoi occhi si stiano muovendo impercettibilmente, come se animate di vita propria.

Richard John Lancaster.

Ricorda perfettamente la prima volta che ha parlato con lui: era il terzo giorno di lavoro per i neoassunti al San Mungo, era in pausa e stava per bere l’ennesimo caffè della giornata insieme ad una collega. Richard era entrato nella cucina del personale a passi larghi e con un gesto della bacchetta aveva richiamato a sé le due tazze che erano appena state riempite senza nemmeno preoccuparsi di chiedere il permesso, esclamando con voce allegra « Vedo che avete finalmente capito cosa siete realmente in grado di fare! Il prossimo tra due ore, signore! » prima di girare i tacchi e sparire nel corridoio. C’erano voluti pochi giorni perché i Medimaghi più giovani si dividessero in due gruppi, gli amici di Richard, e gli altri, e iniziassero una lotta silenziosa all’insaputa dei colleghi e – soprattutto – del Direttore. Richard era il classico collega con cui nessuno si augurava di condividere il turno: borioso, insolente, irrispettoso degli altri, specie se di genere femminile, era stato cresciuto nella convinzione di essere il migliore tra tutti e non perdeva mai l’occasione di sottolineare la sua superiorità. Aveva una risata sguaiata e fastidiosa, il sorriso falso sempre pronto a comparire quando aveva bisogno di un favore, la voce melliflua e pungente. Nelle sfortunate volte in cui aveva avuto occasione di lavorarci insieme, non aveva mai perso la possibilità di punzecchiarla o lesinato una battuta di cattivo gusto nei suoi confronti.
In poche parole, Richard John Lancaster non era una bella persona.
E ora non c’era più.

« …dottoressa? »

Lei stessa fatica a comprendere quella reazione così intensa davanti al corpo del collega: negli ultimi mesi ha visto morire talmente tante persone da aver dovuto smettere di contarle per non ritrovarle nei suoi incubi, ha visto famiglie distruggersi in pochi istanti, il mondo lacerarsi davanti a un nemico improvviso e invincibile, eppure è sempre andata avanti. Non è la prima volta che si reca nei sotterranei del San Mungo per firmare un certificato di morte, non è nemmeno la prima volta che si trova davanti a quel tessuto scuro incantato appositamente per avvolgere i pazienti che sono morti. Richard non è il primo collega che si toglie la vita prima che il morbo prendesse il pieno controllo sul suo corpo e lo spingesse tra le braccia della Morte per farlo tornare tra i vivi sotto forma di Senziente: lo hanno trovato in un bagno di servizio all’ultimo piano, nascosto in uno dei cubicoli, una boccetta di vetro stretta in mano, un’ultima lacrima solitaria ferma sulla guancia pallida. Solo contro un mostro troppo grande per essere affrontato, troppo orgoglioso per chiedere un aiuto che sapeva non sarebbe servito a nulla, aveva preso una decisione così inusuale per il suo carattere che aveva spiazzato tutti.

Eppure, come può biasimarlo? Ormai chiunque conosce i mutamenti del corpo umano infettato dal Morbo di Pandora: all’inizio il semplice fastidio scatenato dal morso, resistente a qualsiasi antidoto o pozione, ma ancora nulla al confronto di quello che arriverà dopo; la febbre, infida, inizia a comparire dopo qualche ora. Il secondo giorno se si è fortunati abbastanza da essere ancora tra i vivi, compaiono le vertigini, la febbre sale ancora più alta e iniziano le allucinazioni: si finisce in un limbo tra il sonno agitato e il dormiveglia confuso, nei rari momenti di lucidità la disperazione si fa strada sul volto insieme alla consapevolezza che ormai è troppo tardi. Da ultimo, lo stato comatoso, che avvolge tra le sue spire il paziente ormai incosciente e designato al più orribile dei destini. Dal morso nel frattempo nuove lesioni hanno preso vita e iniziano a ricoprire centimetro dopo centimetro ogni lembo di pelle: quando il paziente muore ormai ha il volto occupato quasi completamente da strane escrescenze, deformato e irriconoscibile.
Con l’ultimo respiro si capisce che non c’è più nulla da fare e che bisogna agire in fretta: è quando il paziente spira che l’umanità abbandona definitivamente i Medimaghi e li costringe ad andare oltre ogni loro giuramento, decretando chi abbia il diritto alla flebile speranza dell’Ufficio Misteri e chi, invece, sia destinato a rimanere vivo solo nel ricordo dei propri cari.

Sta tremando e capisce quello che le sta succedendo solo quando l’inserviente accanto a lei le toglie la cartellina dalle mani e la accompagna a sedersi su una sedia. Non se ne accorge subito, ma ha anche iniziato a piangere. E’ talmente sorpresa quando avverte le lacrime scorrere lungo il viso che alza una mano per accertarsi della veridicità delle sue emozioni: ne ha versate talmente tante negli ultimi mesi che pensava di averle esaurite. Il mago le posa una mano sulla spalla, stringendola comprensivo, e mormora piano parole di conforto. « Mi dispiace per il suo collega. Se preferisce, qui finiamo noi. Si prenda pure tutto il tempo che le serve. »
Ma Jane non sta piangendo per Richard. Vorrebbe avere il coraggio di specificarlo, confermare a voce alta che ormai la sua anima se n’è andata, che i propositi che l’hanno portata a diventare un Medimago sono spariti insieme al resto del genere umano poche settimane dopo l’incidente con il Vaso di Pandora, ma non ci riesce. Si asciuga le lacrime rimaste con un gesto veloce della mano, scuotendo la testa, poi allunga il braccio per farsi consegnare nuovamente la cartellina: una firma secca, e la restituisce al mago. Dopo nemmeno un minuto sta già salendo le scale, lasciandosi alle spalle i sotterranei dell’ospedale e abbandonando Richard al suo destino insieme al resto delle vittime.

La sala d’accettazione è deserta: è strano vederla vuota, silenziosa, così simile ad un luogo abbandonato da tempo quando fino a pochi mesi prima era piena di persone a tutte le ore del giorno e della notte. Si siede su una sedia di plastica ricoperta di polvere, una delle poche rimaste ancora integre, lo sguardo fisso davanti a sé, vuoto. I primi tempi, subito dopo l’incidente, sembrava che nulla fosse cambiato: i pazienti giorno dopo giorno continuavano a recarsi al San Mungo per ogni genere di problema nonostante le raccomandazioni del Ministero, e solo dopo i primi focolai di Morbo nati proprio in quella stanza la gente aveva iniziato a capire l’entità di quello che stavano vivendo. Così, lentamente, niente più incidenti tra scope, niente calderoni esplosi che riempivano le braccia di strane pustole, niente incantesimi tra ragazzini con il solo risultato di un dente troppo lungo o un corno nel mezzo della testa. I morsi degli gnomi da giardino erano un vago ricordo, come le intossicazioni da pozione doxicida. I pochi che giungevano in ospedale ormai erano tutti uguali nella loro disperazione: un morso infettato e l’illusione della speranza nel volto.

Non ricorda nemmeno l’esatto momento in cui ha accettato che quella nuova realtà diventasse abitudine: senza rendersene conto la sua vita è diventata un insieme di gesti e scelte dettati da criteri nuovi, sbagliati e forse immorali da certi punti di vista. Si alza ogni mattina più stanca di quando è andata a dormire, beve un caffè diluito – ormai da mesi hanno iniziato a razionare le scorte, anche loro come il resto del Mondo Magico – mentre il collega del turno precedente la aggiorna sul numero di nuovi pazienti, su quante perdite ci sono state, su eventuali circolari nuove emanate dal Ministero. I numeri hanno ormai perso il loro significato, si è costretta a dimenticare che dietro di essi ci sono volti, storie, famiglie, tragedie… persone vere. Concluso il breve briefing indossa il camice scuro, un tessuto incantato che teoricamente dovrebbe proteggerli dai morsi – ma che in pratica non sanno se funziona, e inizia la sua passeggiata giornaliera nell’Inferno che si è stabilito tra le mura del San Mungo. Accoglie i nuovi pazienti, cerca di rassicurarli nonostante la consapevolezza che non ci sia più nulla da fare, abbraccia familiari disperati mentre i loro parenti vengono separati da loro – per sempre, si assicura che le famiglie infettate possano stare nella medesima stanza nonostante ormai non sappiano più dove smistare le persone. Poi inizia il giro visite nel settore che le viene assegnato, controlla lo stato dei pazienti uno ad uno: i primi tempi prima di entrare in una stanza le servivano un paio di minuti per dimenticare gli orrori di quella precedente, ora entra ed esce come un automa, senza pensieri, senza paura. Perché non c’è più spazio, non c’è più tempo per provare qualcosa. Per ultimi, rimangono da visitare i pazienti più gravi, quelli che sono arrivati alla fine del loro percorso: somministra loro la pozione del Sonno senza Sogni, un ultimo atto di pietas secondo i suoi colleghi ma che per lei si tratta di pura viltà. Infine, la parte peggiore della giornata: i morti, coloro che ancora non si sono trasformati ma che potrebbero diventare Senzienti se non fermati prima.
Il Ministero, in collaborazione con l’Ufficio Misteri, ha iniziato da qualche mese a redigere i criteri con cui scegliere i pazienti da inserire nel protocollo di cure sperimentali di Paul Dwight e quali invece lasciare al loro destino. Anche se sulla carta sembra tutto così semplice, se per i Ministeriali basta seguire attentamente le loro linee guida per avere la coscienza a posto, la realtà è peggiore di quanto si possa immaginare. Per lei è diventato quasi insopportabile. Nell’ultimo anno si è costretta a lasciarsi alle spalle la preoccupazione per i suoi familiari e amici per non essere sul punto di crollare ogni volta che qualcuno accende la radio per aggiornarsi sul resto della comunità magica, ha imparato a nascondere le sue emozioni di fronte al dolore altrui, ha accettato di convivere con la sofferenza permettendo che questa le strappasse via ogni briciola di umanità e le regalasse una maschera di impassibilità da apporre ogni giorno sul suo volto. Ha rinunciato alla speranza di riposare durante la notte, ha accolto nei suoi incubi i volti dei pazienti che vede morire giorno dopo giorno per poi lasciarli scivolare via. E’ diventata un’ombra del Medimago che ha varcato la soglia dell’ospedale quasi due anni prima. Ogni volta però che si trova davanti a quella scelta, il rischio dell’Ufficio Misteri o l’oblio, sente la scintilla della ribellione riempirle la testa, un sasso pesante posarsi sul suo petto e impedirle di respirare: si accorge di essere ancora viva e la sofferenza la travolge come un fiume in piena.

Chi le ha dato quel potere? Chi ha deciso che lei e i suoi colleghi possano scegliere senza essere sottoposti al giudizio delle loro coscienze?

Un nuovo fremito la scuote, improvviso, e stringe le mani sui bordi della sedia su cui è seduta, animata da una rabbia che sa che l’abbandonerà a breve lasciandola ancora più esausta. Si stupisce di essere ancora in grado di provare qualcosa, il vuoto ormai ha soffocato ogni reazione, ogni sensazione, ha riempito tutti gli spazi liberi nel suo animo. Alza lo sguardo verso l’orologio che sa essere appeso nella parete di fronte, e si accorge che le lancette sono ferme e indicano l’orario sbagliato. Come il resto del mondo, anche il Tempo sembra essere caduto in uno stato comatoso, incapace di riprendere a scorrere, infettato da quel virus che ha fatto tremare la terra e crollare tutte le certezze dell’umanità. La speranza è una parola innominabile e un sorriso le piega le labbra, cinico, quando prova ad immaginare un ritorno alla normalità: come si può pensare di tornare ad un prima quando il dopo non sembra nemmeno esistere?

« Dottoressa Read? » una voce la libera dall’intreccio di riflessioni che sembrano averla legata alla sedia, presa alla sprovvista sobbalza e si volta verso l’infermiera che l’ha chiamata. Non chiede cosa stia succedendo, attende, la resa nello sguardo ancora prima di udire la richiesta. « I pazienti della stanza 17… sono… » la voce della donna si spezza, e Jane ha compreso cosa sia successo ancora prima che l’infermiera riesca a pronunciare quelle parole ad alta voce. « Bisogna iniziare il protocollo. »

Chiude gli occhi per un attimo prima di alzarsi: prova a cercare la forza di lasciare quella sedia e di andare a svolgere il suo dovere ma per un momento, solo un breve istante, si trova a desiderare di essere al piano inferiore, al posto di Richard. Lui non deve più scegliere, non deve più lottare per tenere il dolore lontano: la sua anima non c’è più, ma Jane non è tanto sicura che la sua sia rimasta con lei ed è naturale chiedersi se in quel momento siano così diversi come sembra agli occhi degli altri. Sarebbe questione di pochi gesti per essere in tutto e per tutto uguale a lui, una semplice boccetta di vetro…

« …dottoressa? »

Non c’è più spazio per l’egoismo al San Mungo, non c’è il tempo per pensare solo a sé stessi. Apre gli occhi, sospirando, e finalmente si alza.
« Arrivo. » Cerca la bacchetta nella tasca del camice mente segue la donna che le fa strada, e passo dopo passo lascia alle sue spalle i pensieri, la rabbia, la paura. Sulla sedia rimane seduta quella parte di sé che la rende umana, viva, e varcando la soglia della stanza una sola domanda le riempie la testa. Riuscirà mai a ritrovarla, quando tutto sarà finito?

Universi alternativi - il vaso di pandora
 
Top
0 replies since 31/7/2021, 14:36   61 views
  Share