Children don't grow up
Our bodies get bigger
but our hearts get torn up.
C'è chi vuole convincersi che le Arti Mantiche mirino a sviluppare l'Occhio. Il supremo Terzo Occhio che volge al futuro, che rende onnipotenti e onnicoscienti.
Sono tutte stronzate. E non c'è nulla di buono in queste stronzate, nulla che possa giovare all'anima. Occhio o altro che sia, vorrei strapparmelo dalla fronte, dalla nuca, o da dove Diavolo dicono si collochi.
Tutto ciò che vedo è pura confusione, un aleph sottosopra che rivolta le figure dall'interno come vestiti usati. Se solo quei pazzi - fanatici dell'invisibile - smettessero di lasciarsi ammaliare dai cartomanti e dai chiromanti in trance per un po' di puzzo d'incenso, capirebbero che prima di poter davvero trarne beneficio diventeranno dei cadaveri.
Preferisco gli scienziati. Lo spirito d'osservazione, il metodo scientifico, la logica e le leggi di azione e reazione dicono molto più sui fatti, e in modo tanto asettico da permetterti di venire classificando ogni cosa. Questo dovrebbe essere il mio mondo. Non la continua angoscia del divenire cieco.
Se adesso mi concentro su chi sto osservando, se mi sforzo davvero di associare una semantica intrinseca ai gridi di diniego che sento, i dati raccolti confluiscono in un unico categorico punto: Nieve è una drogata e non c'è molto da fare per lei. Non ascolta, da di matto, non contiene la propria magia e sembra aver barattato ogni grammo di grasso che aveva in corpo per una dose.
Dovrei sbatterla fuori di casa. Chiamare il San Mungo o qualcuno che possa prendersi cura di lei e togliermi di mezzo perché non siamo in grado di comunicare. Altrettando dovrei fare per il povero Cristo schiantato nella perpendicolare. Non faccio altro che pensare a lui, il suo naso sporco di sangue invade l'immagine di ogni cosa che ho di fronte.
Ma se fosse stato così semplice in partenza non mi troverei qui a pensare. Resto immobile, sotto le sue urla, respirando affannosamente, e mi faccio attraversare dalla sua fioca essenza vitale in ribellione.
Alla stregua di un messaggio subliminale del mio cervello, a un tratto, fotogrammi di Sylvie si interpongono fra le mie sinapsi e Nieve. I discorsi nel sogno ad occhi aperti affiorano sulle mie labbra senza essere di nuovo pronunziati.
A cosa pensi? A cosa potrebbe mai pensare una bambola? Non pensi, non agisci, non vivi. Sei solo un gioco, che dura finché non ci si stanca, finché non ti rompi del tutto o ti usuri col passare del tempo. Non esisti più come persona in quel corpo. Sei solo un corpo che tenta di aggrapparsi alla vita per non essere seppellito.
Io penso che tu sia cambiata. Un tempo eri la mia fedele compagna di giochi. Ci sporcavamo di fango e combattevamo contro i mostri. Adesso... tu sei cambiata. E continui a cambiare. Hai detto addio a tutto quel che c'era di bello. Hai detto addio alla casata e agli amici, all'amore di cuori disinteressati, ai sorrisi, agli abbracci, agli scherzi e alle serate pizza. Ti celi dietro un vizio, ti armi di uno scudo pronta a difenderti prima ancora che attacchino. Per nasconderti dentro il corpo solido ma vuoto di una bambola, e ci urliamo contro perché lo sappiamo che siamo cambiate entrambe.
I tuoi capelli crescono. Lo fanno perché diventi donna e si sa che le donne dai capelli lunghi sono più appetibili e perché quando un corpo va in putrefazione la pelle si ritira e sembra che si allunghino. I miei si accorciano perché voglio solo punirmi per non avere un seno, recido ogni simbolo femmineo dal mio corpo per confondermi in un'armatura socialmente accettabile come maschile, o come lesbica-uomo. Perché, sotto sotto, mi sento meglio così, dentro un bunker portatile fatto dell'idea del mondo virile costruito a partire dalle notti passate d'infanzia in un decennio composto da figure femminili sottomesse a Dio e alle top model sulle riviste. Ho solo voluto andarmene, ho solo voluto non diventare un clone di cotanta scempiaggine. Godermi la mia maschilità, schiaffarla in faccia al prossimo, rendermi tagliente, cinica, asettica come i risultati di quelle scienze, perché così non sono feribile e sono sempre preparata al peggio. Ho preferito vivere in un buco e di stenti con un salario da mendicante. Non è poi così diverso dal Saint Vincent. Non avrei comunque potuto trovarmi un posto migliore. Sono indipendente, sono forte, sono... da sola, circondata dalla mia apparente forza. Uccido ogni germoglio prima che possa fiorire, punto la bacchetta contro le persone, le minaccio. Allontano chi vuole aiutarmi, come Alice sulla Torre che intendeva abbracciare ogni mio demone per trasformare il veleno delle loro fauci in medicina. Le dissi che non c'è rimedio, e sono tornata a casa d'estate, in questa casa che raccoglie in uno stanzino polveroso e mangiato dalle tarme tutta la mia forza. Ma questo posto pullula di cattivi pensieri e qui non c'è spazio per i bambini.
Perché anche io sono una bambola in disuso, ecco perché. Perché preferisco un mondo vuoto piuttosto che raccogliervi dentro qualcosa con la paura di farlo morire. Quindi attacco, ferisco, mi arrabbio ed esplodo, come con l'uomo che giace ora nella perpendicolare. Ognuno cresce come può, Nieve, e io non potevo fare di meglio. Da sola. Tu ti sei solo scelta un buco e hai scavato più in profondità. Lo hai semplicemente voluto, e sei costretta ogni giorno ad uscire dal corpo adesso, a diventare un simulacro di carne che chiunque può usare per gioco. E io ho fatto altrettanto, con la sola differenza che la mia droga è l'ira e la uso per ostacolare la paura di diventare quella bambola con cui nessuno più gioca perché non rispetta i suoi canoni, e resta per sempre seduta in un armadio sotto il ciarpame dimenticato e la polvere.
Non avrei mai voluto diventare una bambola.
«Ok. Basta.»
Abbasso le braccia e di conseguenza la bacchetta. Ho calmato il respiro dopo l'ultimo "no" di Nieve. Ho allentato la tensione della mascella e allargato lo spazio fra le palpebre.
La guardo per una decina di secondi, poi l'immagine dell'uomo schiantato mi torna in mente e faccio un passo indietro. Un altro, un altro ancora. Mi volto e raggiungo il comodino, apro il cassetto e ci chiudo dentro la bacchetta.
«Basta.» Mi giro e la guardo con i palmi aperti all'altezza del viso per farle vedere che ho smesso. Ho smesso, davvero, ho smesso di fare tutto.
Alice mi ha detto che sono troppo severa. Pretendo troppo, da me e dagli altri. Se gli altri sgarrano la mia punizione incombe su loro, e sono parole che tagliano, ira che ferisce come una mazza chiodata. Nieve non ha bisogno di questo. Io sì - mi viene difficile concepire una giustificazione per quel Bombarda - ma è Nieve, dietro quei "no", che ha bisogno di leggerezza. La leggerezza della tenerezza.
"No" è l'unica parola che ha saputo dire di fronte ai miei tentativi di regolare la situazione e di manipolarla per la mia calma.
"No" è tutto, è puro rifiuto. Per ciò che probabilmente l'ha spinta a dimenticare ogni cosa con una pasticca, per ciò che io stessa le ho fatto vivere là fuori.
"No" è il rifiuto del rifiuto.
Le mie difese crollano di fronte a questo "no", perché questo fottuto Terzo Occhio vedrà sprazzi del futuro ma il caos che crea mi fa aprire gli occhi sul presente e su tutto ciò che potrebbe causare gli orribili destini che ci siamo scelte.
Mi avvicino a lei, e combatto con me stessa per convincermi che un Bombarda non basta ad uccidere un uomo e che si trattava di legittima difesa.
«Basta.»
Mi avvicino, tanto, e i miei occhi e le mie sopracciglia si piegano con dolore mentre reprimono i pensieri e convincono le mie barriere a frantumarsi.
Ricominciamo da dove abbiamo lasciato, prima che ci mordessimo a vicenda. Prima che le emozioni prendessero il sopravvento e la paura ci soffocasse.
«Tu sei qui.»
Tento di abbracciarla. Spero me lo permetta, perché ho abbandonato ogni forza nel cassetto del comodino e non ho la capacità di controbattere ancora.
La circondo e la stringo leggermente, poggiando il mento sulla sua spalla sinistra.
Tutto quel che prova Nieve ora è estremo, tutto quel che le dico suona come una cacofonia raccapricciante. E tutto quel che io sento mi uccide.
La leggerezza di cui lei ha bisogno non può tradursi in una droga. Che si tratti della gioia di una redenzione, della liberazione da un tormento, dell'affetto di un amico, io la trasmuto in tenerezza.
«E' finita addesso.»
E probabilmente anche io ne ho bisogno di una dose.