The downside of a double life., Words of Magic

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view post Posted on 1/11/2021, 22:20
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Mike Tors Minotaus

Era quasi in ritardo, e lui odiava non essere puntuale.
Tutto aveva avuto inizio nel corso della serata precedente, con la festa organizzata da Sarah in un noto pub londinese per il suo pensionamento. Tra un bicchiere di vino e l’altro, la cena con i colleghi si era subito mostrata particolarmente frizzante e quando la lucidità aveva iniziato a lasciare il campo all’ebbrezza quasi tutti i presenti si erano cimentati in piccole scommesse, prove di abilità e grosse risate, facendo inevitabilmente prolungare la festa fino alle tre di notte. Una pessima idea per chi, come Mike, avrebbe poi dovuto coprire il turno mattutino.

Assonnato e con addosso una semplice vestaglia invernale, si era ritrovato senza rendersene conto in una traversa di Londra, non troppo distante dal vecchio magazzino di Purge & Dowse.
Un paio di minuti più tardi aveva fatto il suo ingresso nell’ampio salone trattenendo a stento uno sbadiglio e, dopo aver salutato al volo la collega dell’accettazione di cui ancora non ricordava il nome, notò che l’imponente quadro di Dilys Derwent lo stava osservando con aria contrariata: che fosse per la sua veste da camera, fin troppo moderna per la moda del 1700?
Raggiunto finalmente lo spogliatoio del terzo piano l’inglese ne avrebbe approfittato per lavarsi nuovamente il viso e per cercare di darsi un tono. Grazie alla compiacenza di alcune sue conoscenze era stato assunto da un paio di settimane al San Mungo come nuovo referente per gli avvelenamenti accidentali; il suo posto era ormai saldo, così come la sua raccomandazione, ma ci teneva comunque a ben figurare dinanzi a colleghi e pazienti.
Così, pochi minuti più tardi, perfettamente abbigliato con un nuovo camice verde lime e con tutti gli strumenti del caso, aveva pigramente iniziato a somministrare i primi antidoti della mattina. Sembrava un turno come tanti altri ma, all’improvviso, una allarmata Sophie lo raggiunse di corsa.
«Dottor Minotaus, abbiamo un’urgenza! Hanno appena portato una giovane ragazza nella stanza 3B. Immaginiamo abbia cercato di curarsi da sola, peggiorando la situazione… pare abbia anche una patologia congenita, una complessa cardiopatia, ed è giunta qui già priva di conoscenza!»
La stanchezza dovuta alle pochissime ore di riposo sembrò dissolversi nell’aria mentre si metteva in scia alla collega.
«Ci sembra abbia ingerito qualcosa di tossico, ipotizziamo una pozione riuscita male. La situazione è seria e mi sono già fatta mandare la sua scheda completa.»
Annuì a quella specifica, cercando subito di rammentare quale siero o antidoto gli sarebbe potuto tornare utile in quella situazione, anche se lì per lì non gli venne in mente nulla di particolarmente efficace.
Giusto qualche giorno prima, infatti, aveva prelevato dalla dispensa dell’ospedale un’ingente quantità di Sangue di Salamandra e di foglie di Artemisia visto che il suo referente gli aveva chiesto l’urgente preparazione di un siero in grado di “sciogliere la lingua” di una potenziale vittima, portandola a confessare tutti i suoi più intimi segreti.
Le nuove scorte non erano ancora arrivate ed ora Mike si trovava nella spinosa situazione di non saper bene come agire.
«Appena puoi, dovresti andare a chiamare anche la dottoressa Read per dirle di raggiungermi. Dovresti trovarla al piano di sotto.»
Il cuore dell’inglese stava iniziando a vivere di continui sussulti perché, al di là dell’apparente calma, sentimento solo di facciata, fino a quel momento non aveva mai affrontato una vera urgenza.
In quell’istante cercò di farsi forza e di restare lucido; pur avendo scelto di intraprendere la carriera del Medimago per prestigio e per assicurarsi una certa “libertà” in tutti i suoi esperimenti pozionistici, l’inglese era comunque conscio che, prima o poi, avrebbe dovuto confrontarsi anche con quelle difficili situazioni e non poteva permettersi fallimenti o scomode indagini interne dopo sole poche settimane di lavoro.

La notizia che la Read non era ancora arrivata al San Mungo lo colse di sorpresa e lo fece sentire completamente impreparato ad affrontare quell’urgenza da solo. Fin dal primo giorno aveva riconosciuto in lei un punto di riferimento competente ed affidabile; una collega dentro e fuori l’ospedale, sempre pronta a dargli fiducia e a condividere con lui esperienze e consigli.
Senza Jane, invece, Mike si era sentito improvvisamente smarrito e insicuro, specie in quel campo non propriamente di sua competenza. Come affrontare al meglio i rischi derivanti da una cardiopatia congenita? E come curare quell’avvelenamento senza l’ausilio di pozioni complesse, a base di Sangue di Salamandra o di foglie di Artemisia?
Distolse lo sguardo da Sophie e, sentendosi quell’enorme peso sulle spalle, iniziò subito a pensare ad un modo che gli potesse consentire di tamponare la situazione, almeno per il momento. I rischi di un intervento diretto erano molti perché tutti gli antidoti più potenti ed efficaci contenevano almeno uno dei due ingredienti mancanti o potevano dar luogo a complicanze in corpi debilitati da altre situazioni; anche il Venum Exsurgere poteva rivelarsi una pratica barbara e decisamente invasiva, almeno in quell’occasione. «Diamole un calmante e stabilizziamola con un solo sorso di Panacea, non di più. Poi vai a chiamare chi vuoi, ma deve essere in grado di gestire una complicanza cardiaca.»
Le parole furono pronunciate con appena un filo di voce, mentre l’incertezza del momento sembrava cingergli ogni singolo pensiero. Limitato dalla poca esperienza sul campo e dal timore che qualcuno potesse scoprire l’ammanco nella farmacia dell’ospedale, l’inglese stava iniziando a sentirsi oltremodo esposto ed aveva così finito per prendere tempo e per demandare ad altri eventuali responsabilità. Bacchetta in mano e completamente bardato, era già entrato all’interno della sala 3B per iniziare il lento processo di stabilizzazione: se tutto fosse andato come previsto avrebbe potuto guadagnare addirittura un’oretta, prima dell’inevitabile resa dei conti.
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→ attenzione: il seguente post contiene scene forti e a tratti crude che potrebbe urtare la sensibilità del lettore.
Jane Read
Era come avere degli spilli conficcati nelle tempie, uno per lato: se non fosse stato per il decotto che aveva bevuto prima di andare a letto qualche ora prima, probabilmente ci sarebbe stata anche la nausea a farle compagnia. Maledizione, Sarah! La collega la sera precedente aveva festeggiato il tanto agognato pensionamento e aveva invitato Jane e il resto dei medimaghi a quello che doveva essere un piccolo e semplice party che in realtà si era concluso alle tre di mattina con la strega che veniva caricata sul Nottetempo, collassata, dal marito visibilmente in imbarazzo. Un sorriso comparve sul volto pallido di Jane al ricordo, trasformandosi subito in una smorfia dolorosa per la tensione provocata alle tempie. Non sarebbe stata una giornata semplice, ne era certa. Con appena tre ore di sonno in corpo, visibili nelle linee violacee che si erano delineate sotto i suoi occhi, camminava a passo spedito tra le vie di Nocturn Alley, avvolta in un mantello nero, il cappuccio calato sul volto. Per lo meno sembrava essere troppo freddo e troppo presto per poter incontrare qualcuno, il cielo ancora buio nonostante fossero quasi le sette di mattina: il rumore ritmico dei suoi passi era stato preventivamente attutito da un Felpato castato appena smaterializzata, la bacchetta stretta nella mano celata dalla veste. Ogni metro più vicino al luogo d’incontro si trasformava in un metro più lontano dal sorriso con cui solitamente si avvicinava ai pazienti, dalla pazienza nell’ascoltarli, dalla gentilezza con cui si rapportava con loro e con i suoi colleghi. La Jane che tutti conoscevano rimaneva lontana, alle sue spalle, momentaneamente dimenticata anche da sé stessa. Il suo volto diventò piano piano neutro, senza espressione, quando riconobbe il vicolo alla sua destra, e lo imboccò senza esitazioni: contò nella sua mente i passi mentre seguiva con lo sguardo lo snodarsi del muro umido color grigio topo alla sua sinistra. Arrivata a venti, si fermò. Puntò la bacchetta contro la mano libera e con un movimento secco un taglio fece la sua comparsa sul palmo, alcune gocce di sangue pronte a cadere a terra: trattenendo una smorfia di disgusto, appoggiò la mano sul muro. Fu questione di attimi, e il disegno stilizzato di un serpente comparve dal selciato, strisciando lungo la parete e delineando il profilo di una porta d’ingresso composta da assi di legno marcio. La osservò per qualche istante, scettica, mentre con un altro gesto della bacchetta una maschera ben conosciuta prese posto sul suo volto, celandolo agli altri, prima di puntare l’elce contro il legno e far scattare la serratura. Ebbe a malapena il tempo di superare la porta nascosta nella parete sudicia e ammuffita prima di rendersi conto che, come aveva previsto, l’organizzazione non rientrava tra le loro qualità. Urla e lamenti si mescolavano nell’aria, tra le spirali di fumo di sigaretta e l’odore penetrante della paura che impregnava il corridoio stretto e buio pieno di figure incappucciate. Un grido spaventato la raggiunse all’ingresso, seguito poco dopo da un altro, e si chiese se la scelta di non insonorizzare le stanze fosse davvero stata così geniale come credeva chi l’aveva proposta.

« Sei in ritardo. » c’erano tanti aspetti positivi nelle maschere che indossavano, ma anche molte pecche: non schermare gli odori era una di queste. L’olezzo rancido dell’alito di Matt colpì senza pietà le sue narici, tanto che dovette fare uno sforzo per trattenere nello stomaco il caffè che aveva bevuto prima di uscire. « A Lui non piacerà venire a saperlo. » l’uomo sghignazzò dopo quelle poche parole, il tono di voce soddisfatto. « Non gli piacerà nemmeno sapere chi è stato a far morire l’ultimo prigioniero, che dici? » il mago ammutolì improvvisamente, la bacchetta pronta ad essere alzata contro di lei, « Fossi in te lascerei perdere. » più veloce dell’altro, Jane stava già puntandogli la bacchetta alla gola, sotto il profilo della maschera, « Se vuoi che quella storia rimanga sul fondale del Tamigi insieme al prigioniero, ed evitare di finire a far loro compagnia, ti conviene farla finita fin da subito. Dov’è? » il disgusto che provava per il collega trasudava da ogni parola da lei pronunciata e l’impazienza di iniziare il suo lavoro nel frattempo aveva iniziato a scorrere nel sangue che pochi istanti prima le aveva dato accesso a quel tugurio. « Laggiù. » Un sorrisetto soddisfatto le piegò le labbra mentre abbassava la bacchetta, un ultimo sguardo disgustato verso il mago, ben celato dalla maschera, prima di avviarsi nella direzione che le stava indicando, in fondo al corridoio.

Fu una passeggiata breve, pochi passi nella bolgia infernale che si era spostata dal sottosuolo a quell’edificio fatiscente di Nocturn Alley, ma poco distensiva: dai diversi gradi di grida, urla e implorazioni che poteva udire attraverso le porte marce che si stagliavano ai lati del corridoio, al momento ospitavano circa cinque prigionieri. La donna catturata meno di una settimana prima – moglie del prigioniero che ora si trovava sul fondale del Tamigi – piangeva disperata, come ogni giorno da quando era stata rinchiusa: il vecchio Spettrologo in pensione, sopravvissuto all’imboscata dal mese precedente, non aveva mai smesso per nemmeno un istante di battere con il bastone contro le assi della porta; dalla cella del suo assistente, proprio accanto a lui, uscivano lamenti agonizzanti da due giorni, probabilmente il risultato di qualche pozione sperimentata da uno degli altri medimaghi. La giovane Auror della cella numero quattro stava in silenzio, come sempre, il ticchettio ritmico delle catene con cui l’avevano legata sbattute contro la sedia in metallo unico segno della sua presenza. Infine, il pezzo grosso, il suo prossimo paziente: una figura incappucciata – una delle tante – stava in piedi davanti alla porta della cella, notte e giorno, la bacchetta levata in aria pronta a colpire. Era l’unico prigioniero ad essere sorvegliato ventiquattr’ore su ventiquattro, l’unico che riceveva tre pasti al giorno, l’unico che poteva venire interrogato solo da medimaghi. Quarant’anni, una brillante carriera all’Ufficio Misteri in corso, era caduto nella trappola sapientemente preparata per mesi da Jane e i suoi compagni: i sette membri della sua scorta erano morti come formiche sotto una lente d’ingrandimento, le loro ceneri già sparse al vento ancora prima che avessero il tempo di estrarre le bacchette. Era andato tutto liscio come l’olio, un successone: ogni volta che ci ripensava Jane non riusciva a trattenere un sorriso soddisfatto, l’odore di carne viva bruciata spazzata via dal Whisky Incendiario con cui poi avevano festeggiato. Poi però lo avevano rinchiuso tra quelle quattro mura sudicie, ed erano iniziati i problemi. Il Mangiamorte alla porta si fece da parte per lasciarla entrare: di nuovo, la bacchetta aprì il taglio sulla sua mano che ancora non si era perfettamente rimarginato, un altro pagamento rosso sangue pronto ad essere fatto per ottenere l’accesso alla cella. La porta si chiuse alle sue spalle con un rumore secco, facendo sobbalzare il prigioniero. « Buongiorno, Charlie. Non hai fame, oggi? » L’uomo sedeva con le spalle rivolte alla porta, legato ad una sedia di ferro arrugginita come il resto dei suoi prigionieri, le catene scintillanti alla luce delle uniche due candele che illuminavano l’ambiente. Davanti a lui un tavolino traballante, un vassoio posato sopra di esso con una tazza di tè fumante e una fetta di torta dall’aspetto delizioso. « Uh, oggi chi abbiamo qui? Mercy, sei tu? » Era ironico, si ritrovò a pensare: i prigionieri più importanti erano quelli nutriti meglio, ma al tempo stesso quelli con cui certi si prendevano la libertà di andarci più pesante negli interrogatori sperando di ottenere le informazioni migliori. Poi però si lasciavano prendere la mano e chiamavano gente come lei a rimediare: era così che si era guadagnata quel soprannome dal mago. Mercy, pietà. Se solo avesse saputo… « Sono allergico ai lamponi. » il mago riprese a parlare mentre lei si avvicinava, la punta della bacchetta illuminata per controllarlo meglio, « E i tuoi amichetti si sono casualmente dimenticati di lasciarmi almeno un dito nella mano destra per riuscire a mangiare. » Fu solo allora che le notò: cinque dita sanguinanti erano posate su un piattino di ceramica, i fiori azzurri sporchi di sangue rappreso. A giudicare dal loro aspetto, era sicuramente opera di Matt: sospirò, rassegnata. Quel Mangiamorte era davvero un deficiente. « Ci penso io. » avvicinò un’altra sedia arrugginita al mago, prendendovi posto. « La prossima volta potrebbero dimenticarsi anche di lasciarle qui però. » con gesti precisi iniziò a ricucire le dita alla mano del mago, una alla volta. L’uomo iniziò a lamentarsi, il sangue che iniziava a scorrere lungo i monconi ancora aperti. La strega alzò lo sguardo, scontrandosi con il volto contorto dal dolore di Charlie. Le orbite vuote, nere come la pece, sembravano osservarla imploranti. « Non ti è bastato perdere gli occhi? » Riprese a lavorare, concentrandosi sulle ferite. « Non me ne frega un caz- » un urlo interruppe il discorso: una delle dita oltre ad essere separata dalla mano era anche stata fratturata prima di essere tagliata, e non appena la magia ripristinò il collegamento tra le due sezioni di carne un nuovo dolore prese vita nel corpo del mago. « Dovrebbe, invece. » con un gesto secco della mano Jane fece rientrare la frattura lussata, poi con un colpo della bacchetta rinsaldò le ossa, « Perché prima o poi mi stuferò anche io di venirti a curare ogni volta che ti conciano così. E potrei iniziare invece ad aiutarli… » Un altro urlo sfuggì dalle labbra dell’uomo che non riuscivano a rimanere serrate mentre, ignorando ogni sua conoscenza in campo anestetico, dalla mano Jane passava ai tagli sul volto e sulle braccia, cauterizzandoli con la punta della bacchetta. Ci vollero dieci minuti abbondanti per completare il lavoro, e il risultato finale non era proprio perfetto: il massimo che poteva ottenere in poco tempo e alla luce fioca delle candele. « Non sto scherzando, Charlie. La prossima volta potresti non volermi più chiamare Mercy. » si alzò, avvicinando maggiormente il tavolino al mago, spostandolo con un piede. « Ora mangia, per favore. Hai bisogno di energie. » E ne avrebbe avuto davvero bisogno: mentre si chiudeva la porta della cella alle spalle in lontananza riconobbe la figura storta di Xavier che camminava in sua direzione: espulso dall’ordine dei medimaghi anni prima per esperimenti poco etici, aveva una conoscenza millimetrica dell’anatomia del corpo umano. Combinata alla passione per l'intreccio di più incantesimi, era il torturatore perfetto. « Concedigli cinque minuti per mangiare. » parlò decisa quando il Mangiamorte arrivò accanto a lei, la bacchetta già pronta ad essere usata, « E cerca di non fare le stesse schifezze di Matt. Sono stufa di sistemare i suoi maldestri tentativi di tortura. » Il mago scoppiò a ridere, una risata tetra, vuota, senza alcuna scintilla di vera gioia ad animarla. « Se va avanti così gli insegno io qualcosina. Ma tu, non dovresti essere altrove in questo momento? Nessun paziente da salvare con la tua gentilezza? Corri Read, corri! »
Il turno di mattina. Merda. Ringraziò che la maschera nascondesse la sua espressione preoccupata, e trattenendosi dal mandare a quel paese Xavier – meglio amico che nemico, era risaputo – si precipitò lungo il corridoio, ignorando le prese in giro di Matt ancora appostato all’ingresso. La porta di legno di stava ancora chiudendo cigolando mentre iniziava a svanire nella trama del muro grigio alle sue spalle, ma si era già tolta la maschera, facendola svanire con un colpo di bacchetta. Due passi, e si smaterializzò.

Il magazzino dismesso che lei e i suoi colleghi utilizzavano come punto di materializzazione per raggiungere il San Mungo era fortunatamente vuoto in quel momento – del resto, erano tutti puntuali a differenza sua – e stava infilando l’ultimo centimetro di stoffa dentro la borsa modificata da un incanto d’estensione quando uscì dall’edificio, la facciata del San Mungo pronta ad accoglierla con sguardo severo. « E anche oggi la dottoressa Read ci ha deliziati con la sua presenza. Buongiorno dolcezza, dormito bene? » Ora era ufficialmente una pessima giornata. Comodamente appoggiato al bancone d’ingresso, in mano la busta di dimissione di un paziente, il medimago Lancaster era pronto a godersi al cento percento il suo arrivo in ritardo. « Fatti gli affari tuoi, Richard. » Gli passò accanto camminando veloce, il cappotto già in mano pronto ad essere sostituito con il camice della divisa. Il mago scoppiò a ridere, urlandole alle spalle parole che sicuramente trovava d’incoraggiamento. « Non ti preoccupare, ci penso io ad avvisare il direttore del tuo ritardo! Sono sicuro che ne sarà felicissimo! »
Poteva ancora udire la soddisfazione nel suo tono di voce mentre entrava in spogliatoio, cambiandosi il più velocemente possibile: stetoscopio al collo, quaderno degli appunti in tasca. Era pronta. Uscendo dalla stanza si scontrò con l’infermiera Bones, il suo punto di riferimento fin dal primo giorno al San Mungo. « Jane! Finalmente sei arrivata! Come mai sei in ritardo? » la strega non ebbe nemmeno il tempo di rispondere, che la collega riprese a parlare senza attendere una giustificazione, « Non importa, me lo dirai dopo: ti aspettano al terzo piano, hanno chiesto di te per un consulto. Forza, dai! » le mise in mano un foglio con pochi dati sopra, spingendola verso le scale. « Grazie Marie! Poi ti spiego! » Iniziò a salire gli scalini a due a due, mentre la coscienza le rideva addosso: cosa mai poteva raccontare alla collega, che era in ritardo perché impegnata con i Mangiamorte?

Quando arrivò al piano dedicato agli avvelenamenti, trovò un’altra infermiera ad attenderla impaziente fuori dalle doppie porte d’ingresso: camminava su e giù, agitata, lo sguardo preoccupato. Quando notò la strega avvicinarsi, iniziò a parlare in preda all’agitazione. « Dottoressa Read? E’ lei? Finalmente, mi segua! » le fece strada, aprendo con un gesto della bacchetta la porta, « L’abbiamo chiamata più di quaranta minuti fa! Il dottor Minotaus ha chiesto di lei, è arrivata una giovane ragazza con sospetto avvelenamento da pozione: la sta già visitando nella stanza 3B, da questa parte, venga. » Le porse un sovracamice e un paio di guanti, che Jane indossò senza fare domande: la ringraziò con un cenno, poi entrò nella stanza.
« Mike? Scusa il ritardo, eccomi. » si avvicinò al collega, intento a controllare la paziente. Il dottor Minotaus aveva iniziato a lavorare al San Mungo da relativamente poco tempo, ma fin dai primi giorni aveva mostrato di essere un medimago capace e affidabile: Jane aveva trovato in lui un valido collega e sapeva che aveva tutte le carte in regola per una brillante carriera tra quelle mura, se avesse voluto. Era davvero uno dei migliori esperti di pozioni e veleni che l’ospedale aveva assunto negli ultimi anni e le collaborazioni nei casi più disparati in quelle poche settimane di conoscenza avevano confermato la sua idea. « Che succede? »
words of magic | universi paralleli, n° 3
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Mike Tors Minotaus

Entrato all’interno dell’ampia e spoglia sala adibita alle emergenze, come da protocollo si era subito attivato per monitorare tutti i parametri vitali della giovane paziente. Alcuni di questi, tra i quali la frequenza cardiaca e quella respiratoria, avevano fatto nascere nell’inglese i primi sospetti; quegli occhietti ormai deboli e socchiusi gli avevano dato l’impressione di nascondere le enormi e continue battaglie alle quali era costretta, giorno dopo giorno, contro un nemico subdolo e pericoloso.
Le aveva poi somministrato i primi test e anche quegli esiti sembrarono confermare le sue ipotesi: l’intruglio ingerito, un ricostituente preparato in tutta fretta, non era stato realizzato con la dovuta cura e attenzione. Un errore grave, pericoloso, potenzialmente letale per un fisico già visibilmente debilitato dalla malattia.
«Che ne dici di riposare un po’, piccola principessa?» Le sfiorò dolcemente il viso con la mano prima di somministrarle una piccola dose di sonnifero. Nell’utilizzare ampolle e fialette i movimenti di Mike erano precisi e netti, e solo in quei brevi istanti riusciva a dissimulare l’enorme preoccupazione che sembrava legarlo al destino della ragazza.
Anche il tracciato cardiaco che avevano appena eseguito descriveva l’avvisaglia di una situazione oltremodo delicata; in quel contesto gli sarebbe sembrato da irresponsabili agire sull’avvelenamento con il solo ausilio dei mezzi magici tradizionali, senza tener conto di tutti i rischi legati al quadro generale della paziente.
Nonostante avesse già avuto modo di far valere le sue doti da pozionista, Mike non era così perfetto e infallibile come si poteva essere portati a credere. Peccava ancora di inesperienza e proprio da quella consapevolezza era nata l’esigenza di un confronto con colleghi più esperti, decisamente più preparati e competenti nel prendere le giuste decisioni anche in situazioni di forte stress.
Sarah, l’esperta dottoressa ormai in pensione, come avrebbe agito in mezzo a quella violenta bufera dettata dall’incertezza? E Jane, la collega con la quale si era ritrovato a collaborare sia dentro che fuori i vari reparti, cos’avrebbe fatto al suo posto? Pensieri e dubbi iniziavano ad affollare la sua mente, anche i più maligni, mentre svuotava l’ultimo residuo di una fialetta di Panacea all’interno di una piccola siringa. Voleva guadagnare dell’altro tempo, valido alleato ma allo stesso tempo insidioso nemico, prima dell’inevitabile. Ormai non poteva aspettare ancora a lungo…
Lì, in attesa di un vero e proprio miracolo, Mike poteva ben comprendere lo sconforto e il pessimismo che sembrava aleggiare nell’animo della paziente. La cardiopatia pareva in continuo peggioramento e, verosimilmente, anche lo sforzo apparentemente più semplice era in grado di affaticare il suo esile corpicino, lasciandola priva di energie. Non poteva giocare, correre, saltare e divertirsi come i suoi coetanei: un orribile destino per una ragazza così giovane!

Aveva appena controllato un’ultima volta l’orologio fissato alla parete bianca della sala quando gli sembrò di percepire una voce piuttosto familiare. Si girò di scatto verso la porta e… Finalmente!
«Dottoressa Read!» Mike non era mai stato così felice di vederla al suo fianco. Jane, infatti, si era sempre distinta tra le corsie del San Mungo ed aveva maturato un’invidiabile capacità diagnostica e di analisi. Chi meglio di lei l’avrebbe potuto aiutare in quel difficile contesto? Il tempo di un veloce saluto ed erano già alle prese con le prime spiegazioni:
«La ragazza ha avuto uno svenimento subito dopo l’assunzione di un ricostituente non preparato correttamente. Ci ha avvisati il fratello… Da quel che ho potuto vedere la Pozione Rivitalizzante che ha assunto presentava tracce di radici di Aconito. Il veleno ha subito agito sul sistema nervoso periferico, oltre a rallentare ulteriormente il battito cardiaco. Ipotizzo che gli strumenti utilizzati per la realizzazione del preparato ne fossero sporchi; gli altri ingredienti, poi, non si sono ben mischiati tra loro dando origine ad un veleno composto.
Al momento sono riuscito ad inibire provvisoriamente l’ulteriore assorbimento della tossina dallo stomaco, ma dovremo intervenire presto per evitare un aggravio delle condizioni generali.
Questo, infatti, non è l’unico problema: guardi qui…»

Le mostrò la lunga serie di test che aveva fatto svolgere e, per qualche istante, Mike sarebbe rimasto in silenzio ad osservarne lo sguardo attento: per essere appena arrivata in reparto la Read si stava muovendo con la consueta disinvoltura lungo tutte le analisi e gli appunti che aveva riportato sulla cartella clinica.
«Non sono sicuro sia un bene intervenire sul principio di avvelenamento in maniera netta e decisa, trascurando la situazione generale. Ora la paziente è stata addormentata ed è tenuta stabile da una piccola dose di Panacea, ma ci restano ancora una manciata di minuti prima di dover intervenire, in un modo o nell’altro. Ma come minimizzare la possibilità di errore?»
Dopo una lunga serie di osservazioni e di pareri i due dottori sembravano aver raggiunto un accordo di massima sul trattamento e sulla terapia da seguire, anche se l’insidia era sempre dietro l’angolo.
Mike teneva la bacchetta stretta con la destra e nella sinistra stringeva già una piccola bacinella con all’interno delle garze bianche. Poco distanti, un paio di antidoti erano pronti per essere utilizzati, al bisogno.
Poi, l’ulteriore imprevisto: qualcuno bussò alla porta prima di entrare, trafelato, all’interno della stanza. L’inglese, visibilmente nervoso e agitato per la delicatezza del momento, era già pronto ad esplodere e a sbottare qualche insulto ma riconobbe in quella figura il volto di Sophie, la sua assistente.
«Dottor Minotaus! Il padre della ragazza si è presentato in accettazione e, ehm… è abbastanza contrariato sul fatto che sua figlia sia qui.
Dice di trovare eccessivo un suo ricovero nel reparto avvelenamenti per un semplice svenimento; noi abbiamo provato ad insistere ma lui è stato irremovibile. Vorrebbe riportarla subito a casa e curarla da sé, con un nuovo Rivitalizzante…»

Ad ogni parola dell’infermiera la rabbia del ragazzo continuava ad aumentare. Ne era certo, se si fosse trovato dinanzi a quell’uomo, in quel momento, i suoi colleghi avrebbero dovuto allestire anche un nuovo letto al quarto piano, all’interno del reparto che si occupa di chi è stato colpito da fatture ineliminabili.
L’intervento, in ogni caso, non poteva assolutamente essere rimandato.
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Jane Read
Preciso, attento e accurato: era certa che il medimago Minotaus avesse svolto al meglio delle sue capacità il suo lavoro fino a quell’istante e che l’avesse chiamata solo per un consulto aggiuntivo. Nonostante i quasi dieci anni di lavoro al San Mungo, Jane era consapevole di avere ancora molto da imparare, e anche se non era più la timida medimaga che non credeva nelle proprie capacità aveva fatto suoi molti suggerimenti dei colleghi più anziani, uno su tutti: dubita sempre delle soluzioni che pensi di aver trovato. Per lei quindi era stata una sorpresa quando Mike l’aveva chiamata per la prima volta per un consulto, qualche giorno dopo la sua assunzione ed era così che aveva scoperto che anche lui era un collega da cui imparare molto, costruendo quindi un rapporto fiduciario da ambo le parti.
Abbassò lo sguardo sulla paziente, stesa nel letto e addormentata: pallida come un cadavere, il respiro leggero e superficiale, affaticato. Mentre Mike la aggiornava circa i fatti che l’avevano condotta al San Mungo, allungò la mano per tastare il polso della giovane. Debole, lento, aritmico: la paziente non si era ancora arresa ma il corpo ormai sembrava essere veramente stanco di lottare. « Aconito, eh? Ottimo lavoro, almeno sappiamo la causa… anche se la sfortuna sa sempre dove guardare, insomma. » Esistevano alcuni veleni potentissimi senza antidoto nel Mondo Magico, e tra questi alcuni non avevano trovato una soluzione nemmeno nel tecnologico mondo Babbano: l’Aconito rientrava tra quelli, e il fatto che né maghi né babbani fossero riusciti a trovare un farmaco specifico da usare contro di esso era il chiaro segnale di quanto fosse pericolosa la situazione che la giovane paziente stava vivendo. Come se non bastasse, la strega soffriva anche di una cardiopatia congenita: Jane non riuscì a trattenere un sospiro preoccupato non appena si immerse nei risultati degli esami che il suo collega aveva diligentemente richiesto all’ingresso della paziente. I livelli di ossigeno erano molto bassi e quelli di anidride carbonica ai limiti: già in deficit per la sua condizione congenita, la ragazza non riusciva a respirare in maniera adeguata anche a causa dell’Aconito che stava iniziando a rallentare l’attività muscolare. Mike aveva ragione: se non avessero preso una decisione in fretta non era detto che la giovane sarebbe sopravvissuta.

« Decisione perfetta non intervenire subito sul veleno. L’Aconito spaventa anche il più esperto dei medimaghi, ma tu hai colto subito la realtà della situazione. » doveva riconoscerlo, il dottor Minotaus era davvero un mago brillante e sentiva di dover esprimere ad alta voce l’ammirazione per il suo occhio clinico. « Cerchiamo di aiutare il cuore e la pressione con della Belladonna: prendiamo 1 grammo di foglie essiccate e tritate e infondiamone un quarto ora e il prossimo tra due minuti, e aspettiamo di vedere se migliora un po’. » attese un cenno del collega prima di voltarsi verso l’infermiera e proseguire con le indicazioni, « Nel frattempo se possibile dovresti prendere un’altra vena e iniziare a fornire liquidi, vorrei evitare che vada in shock: non possiamo affaticare troppo il suo cuore debole, quindi assicurati di aggiungere anche cinque gocce di estratto puro di dente di leone. Ma prima di tutti questi liquidi, » con un gesto della bacchetta due bottiglie di vetro trasparente ripiene di liquido chiaro si avvicinarono al lettino della paziente, seguite da un recipiente ripieno di garze e da un tubicino di plastica, « Dottor Minotaus, hai mai eseguito una lavanda gastrica? Non è l’esperienza più piacevole del mondo, ma se siamo celeri sono sicura che la nostra paziente rimarrà addormentata. Di sicuro non possiamo aggiungere altro sonnifero, non sono nemmeno certa che lo assorbirebbe. » Non sarebbe stato particolarmente piacevole nemmeno per loro eseguire la procedura e assistere, ma sapeva che Mike aveva avuto modo di prendere parte a protocolli ben più particolari e che non avrebbe battuto ciglio davanti al liquido che avrebbe a breve riempito la bacinella. Erano pronti per iniziare, il carbone attivo che lentamente stava facendo virare sul nero pece la soluzione che avrebbero utilizzato, quando l’assistente del dottor Minotaus fece nuovamente il suo ingresso nella stanza, aggiungendo l’ennesimo problema pronto a far crollare quella situazione così delicata. Alzò lo sguardo per controllare la reazione del collega, che come lei non sembrava aver gradito particolarmente quell’interruzione, e cercò di mitigare la situazione. « Informi il signore che ora il dottor Minotaus è impegnato a salvare la vita della figlia. » il tono di voce le era sfuggito più tagliente del previsto, e se ne rammaricò: la strega non aveva alcuna colpa se il padre della paziente era stato così insistente e di certo non mancava di professionalità. Provò ad utilizzare un tono più gentile, scusandosi. « Ti chiedo scusa. Potresti avvisarlo che appena avremo modo di allontanarci dalla ragazza lo raggiungeremo per aggiornarlo sulla situazione, per favore? Grazie. »

Non si assicurò nemmeno che la giovane infermiera avesse annuito e capito le sue istruzioni, perché un rantolo preoccupante uscì dalle labbra della paziente, segno che la situazione ormai era diventata più grave del previsto. Il tempo per pensare era ufficialmente scaduto. « Ok, niente panico. » se lo stesse dicendo solo a Mike o a sé stessa era difficile da capire, « Mike, prendi la sonda e inizia. La siringa con la Belladonna? » se la fece passare dall’altra infermiera, iniettando il quantitativo concordato poco prima con precisione, « Ti accorgi subito quando sei nello stomaco. Teniamola girata di lato, così non si soffoca. Ecco, così. » Spostò la bacinella proprio sotto le labbra della ragazza, pronta ad aiutare il collega. Mezz’ora dopo un quantitativo impressionante di liquido scuro aveva riempito il recipiente di metallo posato di lato, il battito cardiaco e il respiro della giovane si erano stabilizzati e la paziente dormiva serenamente, un leggero rossore che faceva capolino sulle gote e che leniva come un balsamo magico l’ansia che aveva stretto lo stomaco di Jane negli ultimi trenta minuti. Era stabile, per il momento, e il pericolo sembrava passato. « Ottimo lavoro Mike, davvero. Teniamola in osservazione stretta fino a domani mattina, poi vedremo se il dottor Fry è tornato da quel congresso di cardiomagia per un consulto. Andiamo dal padre ad informarlo, che dici? »

Uscirono dalla stanza insieme, uno accanto all’altro, e non avevano ancora finito di togliersi i guanti che un inglese robusto di mezz’età, il volto paonazzo e gli occhi strabuzzati, li aggredì ad alta voce. « E’ una vergogna! Vi denuncerò al Ministero! Voi cos- cosa le avete fatto? Che cosa le avete dato? Stava bene, stava bene, chissà come l’avete ridotta! Siete tutti venduti, vergognatevi! Ci fate stare male per darvi lavoro, altrimenti come potreste guadagnare tutti quei Galeoni? Siete dei criminali! » Jane attese che finisse fiato e voce, imperturbabile anche davanti ai termini poco educati con cui l’uomo aveva iniziato a definire lei e il suo collega. Non appena il mago finì di urlare, ansimante, prese parola, il tono di voce tranquillo e misurato. « Signore, sono la dottoressa Read. Questo è il mio collega, il dottor Minotaus, specialista in avvelenamenti accidentali. » l’uomo provò a riprendere a parlare, ma anticipò ogni sua mossa con un gesto deciso della mano. « Sua figlia ora sta bene, è in stanza che riposa. Tra dieci minuti potrà vederla. Il dottor Minotaus ha riconosciuto subito la causa delle sue condizioni e siamo riusciti ad evitare il peggio nonostante la malattia congenita di cui è affetta. Ora… » si interruppe momentaneamente, l’attenzione catturata da una figura comparsa alle spalle del padre della paziente, « Il mio collega le spiegherà nel dettaglio cosa abbiamo fatto e qual è l’iter che seguiremo nei prossimi giorni. Se vorrà parlare nuovamente con me mi troverà al piano terra, chieda in accettazione. Mike, quando hai finito qui avrei bisogno di te di sotto per favore, ci sono delle ampolle di pozione ricostituente alla Mandragora che vorrei controllassi. Arrivederci, signore. » Salutò l’uomo, stringendogli la mano, poi lanciò un’ultima occhiata a Mike prima di scendere lungo le scale, dove la figura che aveva attirato il suo interesse qualche istante prima la stava attendendo. Il dottor Minotaus avrebbe capito?

« La prossima volta portati anche un cartello, così sei sicuro di farti notare per bene. » rimproverò sottovoce l’infermiere che camminava accanto a lei prima che potesse dire la benché minima parola, « Sai perfettamente come funziona. Sarei passata in ufficio giusto ora e l’avrei saputo subito. » L’uomo a quelle parole sbuffò, scocciato. « Non c’è tutto questo tempo stavolta… anzi, non sono nemmeno certo che sarai ancora utile tra cinque minuti. » Camminavano svelti, a testa alta: giunti al piano terra Jane recuperò da un tavolo un plico di cartelle vuote, pronte per essere compilate, e ne diede un paio anche all’infermiere. Pregando che nessuno dei suoi colleghi notasse che era tornata dal consulto, si immerse nella folla della sala d’attesa, promettendo con un sorriso gentile che avrebbe visitato a breve chi l’avvicinava chiedendo aiuto. Le scale dei sotterranei l’accolsero con un abbraccio gelido, e giunta in fondo ad esse lasciò che il mago la precedesse nel corridoio debolmente illuminato: il mago si fermò davanti ad un vecchio armadio di metallo arrugginito, aprendone le ante con un colpo della bacchetta. « Dopo di lei, dottoressa. » Jane gli lanciò un’occhiata che se avesse potuto l’avrebbe incenerito sul momento: come si permetteva di fare ironia nei suoi confronti? Era immischiato in quello schifo tanto quanto lei. L’armadio celava una stanza insonorizzata, una vecchia sala settoria utilizzata fino al secolo precedente per le autopsie. Su due vecchie barelle al centro erano sdraiati due uomini avvolti in mantelli neri, la maschera ancora sul volto. Imprecò sottovoce: avrebbero mai imparato? « Togli loro la maschera, David. » fece un cenno all’infermiere che si stava chiudendo le ante dell’armadio alle spalle, per poi avvicinarsi ai due pazienti. « Abbiamo fatto un bell’incontro con quelli dell’Ufficio Misteri, eh? Per fortuna Mike sta arrivando. » una ferita profonda e sanguinante squarciava a metà l’addome della strega alla sua sinistra, mentre il volto dell’uomo alla sua destra rivelò, non appena la maschera da Mangiamorte sparì, un intricato disegno di pustole pulsanti e nere. Ci sarebbe stato molto da lavorare, ne era certa.
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view post Posted on 4/11/2021, 00:02
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Mike Tors Minotaus

Con il volto completamente coperto dalla mascherina che portava sul viso, Mike avrebbe cercato di ringraziare la collega con un forte e deciso sguardo, mostrandole tutta la sua stima per aver saputo gestire con lucidità e freddezza l’interruzione della sua assistente. Era innegabile; lavorare a stretto contatto con la Read stava diventando una vera e propria benedizione.
Ora che avevano messo a punto una valida strategia, il Medimago si sentiva decisamente più tranquillo e sicuro nel gestire tutta l’emergenza; anche l’improvviso intoppo dovuto al rapido peggioramento della frequenza respiratoria della ragazza era stato tamponato con semplici e tempestive manovre.
Ristabilita la normalità, Mike si era poi attivato per cogliere il suggerimento della collega; quella che stava mettendo in atto era una metodologia di intervento semplice, rozza e nota anche ai babbani, ma non potendo agire tramite una combinazione di pozioni, lo svuotamento forzato dello stomaco restava l’unica via in grado di assicurare la salvezza della strega.
La manovra appena ultimata stava portando come prima conseguenza al completo riempimento della bacinella che l’inglese stava tenendo in mano ma, allo stesso tempo, il corpo della giovane sembrava rispondere efficacemente alla terapia. Mike non perse tempo e dopo aver eseguito un Tergeo, iniziò a sua volta a congratularsi con l’intero staff; tutti si erano mossi diligentemente, attenendosi al protocollo e contribuendo all’ottimo lavoro di squadra; il risultato, ora, era sotto gli occhi di tutti.
Tuttavia, ora che l’adrenalina stava iniziando a diminuire e la stanchezza ne stava prendendo il posto, anche il dottore iniziava a sentirsi meno vigile e attivo rispetto a solo qualche istante prima. Dunque, perché non invitare la Read a prendere un caffè? L’aveva appena raggiunta fuori dalla stanza quando un energumeno ben piazzato si pose di fronte a loro, ricordandogli che quella giornata era ancora ben lontana dal considerarsi conclusa.
Incapace di trattenere la stizza per quelle immeritate ingiurie rivolte a lui e alla ragazza, Mike si sarebbe tolto la mascherina con gesti meccanici e freddi prima di invitare l’uomo a proseguire la conversazione nel suo ufficio, posto in quello stesso piano. Il suo sguardo era glaciale perché non aveva mai tollerato le urla, le scenate e gli schiamazzi in generale, men che meno nel suo reparto.
Ne era certo, in un modo (pacifico) o nell’altro (decisamente meno…), l’uomo sarebbe uscito da lì come una persona migliore, decisamente più pacata e mite, o non sarebbe uscito affatto.

«Perdonatemi per il ritardo, ma con l’energumeno c’è voluto più tempo del previsto». Imboccato il consueto passaggio segreto che conduceva alla vecchia sala autoptica posta nei sotterranei, Mike aveva finalmente raggiunto la Read e alcuni suoi vecchi conoscenti. Riconobbe in David l’uomo che gli aveva spianato la strada al ruolo di specialista in avvelenamenti e lo salutò subito con un cenno rispettoso del capo.
In quelle situazioni non c’era mai tempo da perdere e, tenendosi ben lontano da eventuali faide o provocazioni, il Medimago stava già cercando di analizzare la situazione clinica dei due pazienti posti sulle barelle di fortuna.
In un modo o nell’altro se la sarebbero cavata, ne era certo, ma la farmacia dell’ospedale era ancora priva di alcuni ingredienti e curarli entrambi non sarebbe stato per nulla semplice.
«Beh, che dire; ringrazio Salazar di non aver mai avuto di questi problemi. Ma come ve li siete procurati?» Abbandonata la formalità dettata dalla sua veste ufficiale, Mike si sarebbe avvicinato in maniera sbrigativa e decisa alla donna per cercare di tamponarne la profonda ferita con un paio di garze sterili. Il suo camice si stava macchiando del cruore della paziente ma la cosa non sembrava impressionarlo più di tanto visto che, in quell’istante, si stava facendo un’idea più precisa sulla cura da intraprendere.
«Ah, scordatevi entrambi la Corroborante. Abbiamo finito le scorte di Salamandra e immagino voi conosciate il motivo meglio di me. Al tal proposito, mi piacerebbe scoprire a che vi serve tutto il Veritaserum che vi ho fornito!»
Alla domanda sarebbero seguiti dei semplici mugolii visto che la cosa non avrebbe dovuto riguardarlo più di tanto; l’attenzione dell’inglese si spostò così verso una sporca credenza posta in un angolo della sala che fungeva da collegamento diretto con le sue scorte personali. Era stata una genialata attivare quella sorta di portale visto che, pur trovandosi nei sotterranei, da quel mobile poteva tranquillamente attingere ad una vasta gamma di pozioni.
La questione, in ogni caso, non era così semplice; una volta tornato alle sue consuete vesti avrebbe dovuto dare una parvenza di giustificazione a tutte quelle misteriose sparizioni, non precedentemente trascritte sul registro dei farmaci.
Così, se da un lato riteneva corretto e doveroso assecondare ed aiutare coloro che gli avevano fatto ottenere senza fatica quel prestigioso ruolo in ospedale, dall’altro lato Mike cercava sempre di agire con estrema prudenza per non dar adito a sospetti o ad indagini interne. Nessuno, a parte i presenti in quella sala, doveva venire a conoscenza del suo piccolo segreto.
Pochi istanti dopo aveva terminato di riempire un vecchio e cigolante carrello con alcune indispensabili ampolle rigeneranti e con diverse garze, opportunamente sterilizzate. Lì, accanto, invece, su un tavolino, si trovava tutta la strumentazione necessaria a suturare la parete interna della paziente.
Con buone probabilità i ministeriali non erano in grado di ricorrere a magie oscure e questo semplificava di molto tutto il processo curativo.
«Oh, beh… questo è quello che passa il convento; cerchiamo di non fare gli schizzinosi, intesi?» L’anestesia, infatti, non sarebbe stata fatta con della pozione anestetizzante ma con un preparato del tutto naturale (?) mentre, nei punti più semplici e accessibili, filo, ago, garza e pinza avrebbero sostituito la Satura-Tagli e il Decotto al Dittamo.
Con la coda dell’occhio gli era sembrato di notare che, in quegli stessi istanti, la Read si stesse attivando per prendersi cura dell’uomo. Non era certo di aver individuato la causa di tutte quelle pustole ma, passandole accanto e scacciando dalla mente la terribile ipotesi di una forma acuta di Spruzzolosi, le avrebbe lasciato sulla scaffalatura vicina una boccetta di Decotto Liscio. Quello era il massimo dell’aiuto che le avrebbe potuto fornire, almeno in quel frangente.
Di tanto in tanto la stanza veniva riempita dalle imprecazioni dei pazienti, soprattutto quando Mike abbandonava il ricorso alle pozioni curative in favore delle procedure chirurgiche babbane di base; eppure, aveva sempre creduto di cavarsela abbastanza bene con ago e filo.
«Che ne dici Jane, potrei avere un futuro come competitor di Mr Elegant?»

Era incredibile come la Read fosse stata in grado di immischiarlo in quella vicenda, ancora una volta, con il semplice potere della sua figura e del suo magnetico sorriso. Ora che i due individui erano stati stabilizzati e non gli avrebbero più dovuti visitare sino a sera, al covo, l’inglese ne avrebbe subito approfittato per cercare di strappare alla collega un appuntamento per il pranzo, con l’arma dell’ironia.
«Dottoressa Read, le ho mai confidato che lei è in grado di stupirmi ogni giorno di più? Non ricordo dove e come si sia conclusa la nostra chiacchierata di ieri sera, ma i suoi modi erano così sobri ed eleganti… »
I riferimenti alla festa di Sarah non erano del tutto casuali. «E mi sorprenderebbe ancor di più nell’accettare il mio invito a pranzo. Ho saputo che un locale qui vicino prepara il miglior bacon di tutta Londra.»
Anche se si sentiva stanco, logoro e assonnato, per lei avrebbe rinunciato ben volentieri ad un preziosissimo sonnellino ristoratore.

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→ attenzione: il seguente post potrebbe contenere scene forti e a tratti crude che potrebbe urtare la sensibilità del lettore.
Jane Read
Mike ci mise più tempo del previsto ad arrivare, ma era certa che in fondo avesse fatto del suo meglio per calmare il padre esagitato della paziente di cui si erano occupati fino a qualche istante prima: sul come, non avrebbe sicuramente indagato. Ogni medimago aveva il proprio modo di approcciarsi ai genitori dei pazienti ed era capitato più di una volta che le bacchette venissero puntate e che parenti e medimaghi finissero a far compagnia al paziente appena curato. Voci di corridoio giravano spesso su quello che succedeva dietro le porte di alcuni uffici, ma era certa che fossero semplici dicerie: accadeva ben altro tra le mura del San Mungo, ma fortunatamente nessuno sembrava essersene accorto… fino a quel momento. « Non mi farebbe schifo una mano, eh. » si voltò spazientita verso David, che dopo aver fatto sparire le maschere dai volti dei colleghi aveva pigramente riposto la bacchetta. « A meno che tu non voglia prenderti la responsabilità delle loro morti. » A quella parola, la donna emise un gemito preoccupato, che Jane ignorò: i Mangiamorte non si facevano problemi a ridere della dipartita altrui, ma appena la loro fine rischiava di avvicinarsi troppo si trasformavano in timidi conigli, come la maggior parte degli esseri umani. Lanciò un pacco di bende all’infermiere, indicando con un cenno secco l’addome della donna mentre nel frattempo un preoccupante plop accompagnato da un grido dolorante annunciava che le bolle sul volto dell’uomo stavano iniziando a scoppiare. « Che dire, ringraziamo Morgana che almeno qui abbiamo insonorizzato tutto, altrimenti sai che spettacolo per quelli al piano di sopra? » Senza tante cerimonie, andò ad arrestare la fuoriuscita di liquido nero dalla pustola appena esplosa: era più forte di lei. Non riusciva a trattare i Mangiamorte che curava con la stessa pazienza e delicatezza con cui si rapportava con i pazienti di solito, anche perché sapeva perfettamente che tutti i problemi che presentavano se li erano andati a cercare con molta, molta attenzione. Aveva sempre pensato che svolgere determinate missioni rendesse più inclini alla cura dei dettagli, ma giorno dopo giorno – e ferita dopo ferita – aveva scoperto che la mente della maggior parte degli adepti del Signore Oscuro era davvero semplice. Stava ancora rimuginando tra sé e sé i vari improperi del caso quando finalmente il dottor Minotaus fece il suo ingresso nella sala settoria. « Qualcuno è andato a giocare all’Ufficio Misteri oggi e si è preso una bella batosta. » Rispose ironicamente alla domanda del mago mentre questi si avvicinava per controllare la situazione: l’aggiornamento sulle mancanze nelle scorte per le pozioni non la sorprese più di tanto, visto quello che aveva avuto modo di appurare a Nocturn Alley all’inizio di quella giornata. « Sarei curiosa di saperlo anch’io, sai? » Una seconda pustola esplose, e Jane avvicinò con un gesto della bacchetta un altro pacco di garze: ne mise alcune in bocca all’uomo, in modo che potesse sfogare tutto il suo dolore senza perforare i timpani al resto dei presenti. « Doveva renderci il lavoro più facile, eppure stamattina mi sono ritrovata a ricucire una ad una le dita della mano del nostro prigioniero numero cinque. Mi chiedo se non abbiano iniziato ad utilizzarla per farsi rivelare dal proprietario della Testa di Porco dove nasconde il suo rhum migliore… Ho capito, va bene! » L’ennesimo lamento implorante dell’uomo interruppe il suo discorso cinico, e le fece capire che non potevano aspettare tutto il giorno che le pustole esplodessero una dopo l’altra. Sospettando di aver riconosciuto la sostanza corrosiva che era la causa di quella orribile reazione dermatologica, attirò a sé un bisturi dal tavolino dove Mike aveva appena disposto il necessario per le suture. Come il collega, si ritrovò a dover utilizzare delle alternative alla classica anestesia, ma si assicurò che l’uomo avesse abbastanza garze da stringere in bocca per attutire i propri lamenti. « Non sarà per niente piacevole… ma questo già lo sapevi, vero? »

Lamenti più o meno intensi furono il sottofondo nei minuti successivi: mentre Mike dedicava le sue attenzioni al taglio profondo sull’addome della donna, Jane aveva iniziato a drenare con il bisturi le pustole nere e pulsanti sul volto dell’uomo. Il liquido scuro usciva copioso, e ad un certo punto dovette rinunciare alle garze perché erano sul punto di finire e passò ad un più rapido Tergeo per farlo scomparire: successivamente, dovette suturare a mano le lesioni più grandi dato che erano a corto di Sutura-Tagli, ma l’unico filo che avevano a disposizione non era propriamente il più adatto ai tagli sul viso. « Stasera se riesco provo a procurarmi il filo più adatto e ti sistemo questi punti. » informò il mago mentre con gesti precisi dava gli ultimi due punti, proprio sulla fronte, « Nel caso, mi pare che Xavier conosca un tizio a Nocturn Alley che sistema anche le cicatrici peggiori… lavorava qui un tempo, tu lo conosci per caso, David? » Si voltò per vedere se l’infermiere la stava ascoltando, ma per tutta risposta ricevette un’alzata di spalle. Trattenendosi dal reagire all’ennesima dimostrazione di disinteresse del mago – sapeva essere davvero fastidioso nella sua indolenza – spostò la sua attenzione su Mike e la sua opera di fili e nodi. « Niente male dottor Minotaus, davvero. Attento a non farlo notare al piano di sopra o puoi salutare veleni e antidoti, in pronto soccorso cercano sempre persone da coinvolgere quando finisce la Sutura-Tagli. » Gli sorrise di sfuggita, per poi tornare al suo paziente e concludere il lavoro: qualche goccia sparsa del Decotto Liscio che il collega le aveva gentilmente fornito, poi coprì le ferite peggiori con dei cerotti appositi. « Beh, direi che abbiamo finito. Stasera magari passiamo a darvi un’occhiata, ora andate a riposarvi… voi che potete. David, qui ci pensi tu? »

I due medimaghi fecero sparire con un gesto della bacchetta ogni goccia di fluido corporeo che aveva macchiato i loro camici, perfettamente puliti una volta che si furono incamminati lungo le scale che li avrebbero riportati al piano terreno. Jane si lasciò sfuggire un sospiro: era davvero stanca. Se già normalmente reggere quei ritmi di lavoro – e la doppia vita, con doppi incarichi – non era semplice, le poche ore di sonno quel giorno contribuivano a rendere più difficile affrontare la giornata che non era iniziata sicuramente nel migliore dei modi. A riprova della sua stanchezza, Mike rievocò la serata precedente, strappandole un sorriso leggermente imbarazzato, un leggero rossore che prendeva spazio sulle sue guance. Sobrio ed elegante non erano due aggettivi che potevano dirsi adatti a descrivere lei e il resto dei suoi colleghi durante la festa di pensionamento di Sarah. « Se ben ricordo hai perso ben due partite di fila a scacchi alcolici contro di me, o sbaglio? Entrambe con notevole decoro e dignità, non posso negarlo. » restituì la piccola frecciatina con un sorriso innocente, sicura che il mago non si sarebbe offeso. La sorprese invece con quell’invito a pranzo, totalmente inaspettato. Si fermò davanti all’accettazione, il punto dove si sarebbero dovuti separare per raggiungere ognuno i rispettivi ambulatori. « Sono curiosa però di conoscere però gli schemi vincenti di cui parlavi ieri sera. » Lanciò un’occhiata veloce all’orologio che portava al polso, controllando l’ora. « Ho un paio di documenti che attendono di essere firmati in ufficio. Ci troviamo tra un quarto d’ora all’ingresso? Se non mi vedi arrivare passa pure a bussare, è la porta in fondo al corridoio. Non vorrei mai perdermi questo famoso bacon, sai? » Un cenno di saluto, il sorriso ancora presente sul volto, e si incamminò in direzione delle cartelle che la attendevano. La pausa pranzo sarebbe riuscita a migliorare quella tetra giornata?
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