Jolene White22 anni | infermiera | animagus | outfitDiagon Alley, popolata da un incessante flusso di Maghi, Streghe e Creature ad ogni ora di qualsiasi giorno, era in quel weekend perfino più affollata del solito. La Londra magica sembrava intenzionata ad approfittare dei pochi giorni di bel tempo concessile prima che tutti, guardando fuori dalle finestre delle proprie case, pensassero inevitabilmente: è arrivato l'inverno, inglese, grigio e piovoso.
Uno scalpiccio incessante trasportava la folla tra i vecchi negozi; a guardarli dall'alto di quel cielo che per una volta prometteva di reggere bene per tutta la giornata, i passanti sarebbero apparsi come tante formiche, altrettanto numerosi e indaffarati in intenti imperscrutabili. Jolene poteva immaginarli, visti attraverso lo sguardo della rondine, e poteva addirittura tracciare il proprio percorso: un basco color crema che ora avanzava, ora si accostava alle vetrine, si allungava per sbirciarvi dentro, e talvolta approfittava di una porta aperta per infilarsi dentro prima che il campanello avesse finito di tintinnare.
È una bella giornata e non c'è nessun motivo di essere agitati, si ripeteva, e per la maggior parte del tempo riusciva addirittura a credersi. Pensarsi al di sopra di tutta quella gente la aiutava a mantenere un certo distacco, e così i suoi occhi incontravano i volti di chi le stava intorno, ma nella sua mente esistevano solo le sommità delle loro teste. Non si sarebbe fatta rovinare una giornata come quella, soleggiata e piena di allegria, l'ideale per dimenticare per un po' che al mondo esistessero doveri e preoccupazioni. Si era vestita con cura, scegliendo toni chiari perché facessero giustizia alla luminosità del cielo, e perché parlassero al mondo del buon umore che era decisa a preservare. Quei vestiti erano un sorriso perenne che aveva deciso di imprimere sulla propria figura, un po' come il bagliore bianco dei denti dell'enorme pupazzo che torreggiava sopra ai Tiri Vispi.
Jolene non riusciva mai a passarvi sotto senza alzare lo sguardo, accogliendo l'ormai familiare sensazione di vertigine che le solleticava lo stomaco a vedersi sovrastare da un così gaio gigante. Avrebbe fatto lo stesso anche quel giorno, se non fosse stato per la confusione che attirò la sua attenzione ai piedi del palazzo, proprio davanti alle vetrine.
Qualcuno aveva montato una bancarella sbilenca, fatta di assi inchiodate le une alle altre senza nessuna considerazione degli angoli retti. Qualcuna era scura come il mogano, altre sembravano fatte di compensato scadente, un paio erano state staccate da cassette della frutta, a giudicare dalle scritte sbiadite che vi erano impresse. Arance della Sicilia, si leggeva con un certo senso di irrealtà, perché alzando lo sguardo si vedeva il ripiano piegato sotto ad ogni tipo di cianfrusaglie - cappelli cenciosi e carillon stonati, libri dagli angoli rosicchiati, un ammasso indistinto di ferraglia che potevano essere ugualmente anelli o bulloni, ma di arance o altra frutta non c'era nemmeno l'ombra.
Davanti a una simile postazione, un duo altrettanto curioso strepitava a gran voce per attirare i passanti. Un uomo e una donna, entrambi dovevano aver superato da tempo la cinquantina; lui aveva un viso abbronzato, tirato in un sorriso che vi tracciava solchi strani, che lo facevano sembrare una maschera di cuoio un po' troppo esaltata. Lei scintillava in un costume di paillettes che aveva visto giorni migliori, e agitava in aria un bastone dal manico ricurvo.
«Accorrete, signore e signori, non volete perdervi le meraviglie degli Weez-Lee!»
«Io sono Weez!» Jolene spostò lo sguardo sull'uomo, che prese la parola abbagliandola con il suo sorriso inquietantemente ampio. Inconsapevolmente rallentò, al pari di altri passanti, arrivando a fermarsi a qualche passo dai due.
«E io sono Lee! Scherzi di prima mano, originalità e divertimento garantiti con il marchio più innovativo del settore! Venite, venite, non volete essere i primi a provare le nostre invenzioni? Certo che lo volete! Lei, signorina!» Jolene si rese conto con un senso di gelo che indicavano lei. «Lei, con la chioma rossa! Si avvicini, non sia timida. Ha mai provato il Glitter Smaterializzante Weez-Lee? Non è una normale polvere volante, non serve un camino per spostarsi all'istante, e con che effetto scenico!»
Senza avere la prontezza per protestare, Jolene venne afferrata per un braccio da un sorridente signor Weez, che la tirò fino a posizionarla di fronte alla bancarella. Come l'assistente di uno show – o come una vittima sacrificale. Poi toccò a Lee avvicinarsele, tenendo alta sopra alla testa una piccola pallina colorata.
«Avete mai voluto sorprendere i vostri interlocutori con un'uscita di scena da togliere il fiato? Ebbene, con il nostro Glitter Smaterializzante gli applausi sono garantiti! Rimanga lì, signorina. Uno...»
No, un attimo, cosa stava succedendo? Jolene se ne stava immobilizzata come un cerbiatto abbagliato da un Lumos, facendo correre sulla folla uno sguardo disperato.
«Due...»
Perché le gambe non sembravano funzionarle? Almeno che dicesse qualcosa, per Merlino, doveva interrompere quella pagliacciata. Aprì la bocca per protestare.
«Tre!»
Lee lanciò la sfera sopra alla testa di Jolene. Arrivato all'apice della sua parabola, l'oggetto esplose e una nube di glitter rosa shocking avvolse Jolene interamente. Chiuse gli occhi e la bocca, un po' troppo tardi per evitare di mangiarsi qualche minuscolo e fastidioso glitter. Quando ritornò a guardare, il mondo stava riapparendo attraverso una cortina sempre più rara di brillanti rosa. Lei si trovava nello stesso identico luogo di prima, non si era spostata di un millimetro.
Weez e Lee si scambiarono uno sguardo un po' preoccupato. Poi il primo spalancò le braccia come ad inglobarvi Jolene dentro ad una cornice. La poveretta era ricoperta di brillantini da capo a piedi, qualcuno le offuscava la vista ogni volta che sbatteva le ciglia, e all'improvviso aveva una sgradevole sensazione di prurito sulla schiena. «Ta-dan! Effetto scenico!»
Voleva piangere.