hiamo il tuo nome. Oltre ogni epoca, oggi come allora, è un grido che va affievolendosi. Il modo in cui tu pronunciavi il mio, la voce soffusa come la fiammella di una candela... forse è questo che mi manca più di tutto, è questo che mi blocca il respiro. Ricordo le notti di luna piena, il tepore delle nostre mani giovani, tanto impaurite nell'intreccio in cui ci ritrovavamo. A lungo è stato un nascondino, quello che ha guidato il mio passo sulla tua strada – ti attendevo dietro ogni statua, le armature sotterranee come superstiti spettatori di un incontro che tardava a compiersi; ti ammiravo da lontano, troppo lontano, colto dall'estasi del proibito. Il chiarore delle stelle ti vestiva d'armonia, scivolava tra boccoli color del miele – tu che eri creatura d'oltremondo, allora, come hai potuto ignorare lo spettro famelico che ti si aggirava intorno?
Avrei voluto immortalare il primo istante, relegarti all'eternità del mio tremito; avrei voluto stringerti fino a perdermi in te, sentire il tuo corpo così vicino: in nuove forme, tutte quelle che non ho mai saputo comprendere. Ho accolto l'inverno, il soffio gelido di un vento meschino. Respingendo te, ho sferzato in me il privilegio dell'affetto sincero. Questa è la mia colpa, una delle tante. La pioggia, stanotte, esonda ogni memoria che ho di te. Nel suono che s'amalgama al battito spento del cuore, infine, si percepisce il tuo grido distorto. Di cosa hai paura, mi ripetevi. Ed io, infedele, tacevo. Avevo paura di essere in gabbia.
Anche l'ultimo bottone si stacca di netto, oramai il troll di stoffa è strappato completamente – vittima innocente, è stato per me quello che io non ho mai avuto il coraggio di essere. Come pegno d'affetto, vederlo capitombolare sotto la marcia pesante dei cavalieri di bronzo mi spezza l'anima. D'altronde, mi dico, cosa ho fatto io per fermare tutto? La nostra storia è un simulacro ridotto in frantumi, stasera ne raccoglierò di nuovo i resti – è questa, temo, la mia punizione. Nel tumulto della battaglia si cela a stento il mio singhiozzo, si infrange tra il calpestio del ferro e il clangore delle spade incrociate. Non c'è indulgenza, per voi. Vorrei credere che sia tutto finito, soprattutto per me. Ma è colpa mia, è sempre mia: la codardia mi invita ad agire soltanto ora, ora che è troppo tardi; e spingervi via, fermarvi, arrivare a ferire, pur di non lasciarvi passare. Forse è un moto di misericordia, l'avvisaglia e l'invito per desistere in definitiva. Oltre il corridoio, com'è già stato, il tempo non si è rimarginato – vi attende un prezzo peggiore. Vedervi combattere, io che inseguo il vostro ardimento, è un esempio anche per me; è facile perire all'assalto congiunto, abbandonarsi all'idea che non vi sia soluzione: né l'uno né l'altro, per sempre. Invece, in questo mondo, tutto è scelta: le armature cadono sotto la spinta dei vostri sortilegi, il pavimento è immediatamente scivoloso – la pietra palpita, il bronzo si fonde in una macchia indistinta: schermaglie d'oro e di ferro, tinte di mare, la pattuglia di cavalieri si incastra convulsamente ad un nugolo di folletti. C'è sintonia, tra voi: forse è prematuro accorgersene, ma è questa che vi ha appena salvato. I soldati inciampano, maldestri, verso le retrovie; le lance, le spade, le arme incoccate si infilzano di conseguenza in schiene ramate. Pur nell'apatia del dolore, privi d'umana carne, i cavalieri tentennano gli uni sugli altri, la magia che anima tutti loro è compromessa. I Folletti della Cornovaglia che sono stati abbattuti, per giunta, non si rialzano: è un volo che si spegne, onde di un cielo offuscato. Perché, potreste chiedervi. C'è un ronzio che accompagna altre creature sospese a mezz'aria, è qualcosa di atipico perfino per loro: altri continuano a mordervi, graffiarvi e ledere l'incolumità cui avete audacemente rinunciato, gocce vermiglie bagnano la pelle (
-8 PS -5 PC). L'istinto di proteggervi il volto vi porta indirettamente a cacciare alcune fate, così udite lo scatto di una molla simile ad una trottola: tra le armature in ripresa, allora, le creature rivelano essere immobili, come giocattolini privi di spinta.
Sono finti. Un articolo recente di giornale sui vostri comodini può essere un lampo fugace, una giustifica – avrebbe poi valore, ora che l'acqua si appresta a sommergervi?
La sentinella dorata più vicina è piegata a terra, distesa come in un gioco che non riesce a terminare. Allunga un braccio, poi un altro, le mani di ferro catturano soltanto l'aria. Impiegano tempo per rialzarsi insieme e, se il pericolo non fosse imminente, all'apparenza sarebbe una scena bizzarra. Gli ultimi folletti paventano l'orrore in arrivo, si spegne la scintilla d'anima – una marea invisibile ne cristallizza il volo, così cadono come burattini oramai privi di fila. In lontananza, il grido che avete già percepito:
aiuto. Un battito ora sempre più costante. Il pavimento, sotto di voi, trema imperterrito – Alice, è opera tua? Potresti aver violato le fondamenta del Castello di Hogwarts, divelto la patina stregata che da secoli protegge tutti voi. Si spalanca una voragine, al centro delle armature – è una fossa impossibile, di piastrelle e di calce.
«Cosa avete fatto» vi interroga una voce preoccupata. Non siete sole, non lo siete mai state: il ritratto di un nobiluomo con pipa vi osserva con occhi ingigantiti dallo spavento. Così com'è giunto in cornice, scompare in uno sbuffo di fumo. Vorrei allungare la mia mano, chiedervi di stringerla finché tutto non sarà finito. La pietra è il regno del mio cuore, questo non dipende da voi –
siete in trappola.
La buca gorgoglia in modo sinistro, torna lo sciabordio dell'acqua: il grido di chi in pericolo si è spento, il cigolio delle armature e il ronzio dei folletti pure. Tutto è in attesa, è presagio crudele. L'elmo di un cavaliere è spaccato a metà, una fata vi è incastrata e oramai immobile, recisa nel momento di una fuga. Vi è stata data l'occasione di scappare, e voi – coraggiose, meravigliose anime – avete rifiutato. Ora è vano, il tentativo di salvezza: è un muro intangibile, potente sortilegio, a bloccare ogni avanzata. Potrete attingere ad ogni strategia, tutto sarà inutile. Né avanti né indietro, pareti eteree vi stringono in una morsa costante. Un rivolo d'acqua emerge dalla fossa, comincia a scivolare lungo il perimetro magico che vi è stato appena tracciato intorno: lo scoprite presto, perché in modi inusuali l'onda straripa fino a salire, salire di livello. Non va oltre un quadrato di pochi metri, il corridoio è una scogliera. Non siete più sotto attacco, eppure non è questa una fine più triste? L'acqua vi arriva ora alle ginocchia, è torbida e scura. Riflette contrasti di luce e d'ombra, sommergendo le armature e le fate. La fossa crea un vortice,
vi tira giù. E per te, Alice, è il brivido di una condanna familiare. La mente si annebbia, trema il tuo corpo – il tuo volto spegne l'eterna bellezza che forse non hai mai saputo d'avere. Com'è già stato, il lago ti avvolge, ti circonda – le ciocche bianche brillano di più, ora che sei sul punto di annegare (
-10 PM). Vi arriva oramai al torace, nessun grido vi porterà altrove: c'è uno spettro, che si aggira tra voi. Lo adocchiate immerso sotto la superficie, è un'ombra dalle fattezze umane. Sfiora le tue caviglie in una carezza agghiacciante, Camille. Si tuffa, prima che possa avvinghiarsi e spingerti in basso. Ma è un suono di catene, quello che emerge lentamente. Un ticchettio profondo, inseguito dal grido di una bocca di perfidia ridente. Sale, sale dall'acqua, finché oramai le vostre teste non sfiorano il soffitto – qualsiasi cosa sia, l'ombra sta salendo. Un volto pallido, infine, spunta a poca distanza. Ha i capelli lunghi, come steppa bagnata: il profilo di una donna che forse un tempo vestiva d'incanto, ora reca i segni della sofferenza. Le gote scavate, l'incarnato diafano e spento, ha occhi vitrei che si allungano verso di te, Camille. E tremi, preda della memoria d'oltre (
-10 PM). Si estingue l'armonia del tuo viso, tu che sei amabile grazia in un mondo d'ombra. La figura avanza, avanza, avanza. E con lei il suono delle catene.
Volge il sorriso tirato verso di te, eppure... è Alice, che cerca di raggiungere.
«La ucciderò di fronte a te.» La voce è rauca.
Cristine Herondale non ammette pietà.
Oltre il lago, oltre la prigionia,
vi attende l'incubo della mia storia.