As the seasons go by, you stay., Privata.

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view post Posted on 29/7/2022, 22:12
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Ebbe gli incubi su di lui, per un po’. Lo aveva immaginato stravolto dalla rabbia nei suoi confronti, lo aveva immaginato amareggiato e ferito. Aveva immaginato il suo odio e le tracce di quel tipo di malessere erano rimaste attaccate al suo corpo per giorni. Aveva immaginato Oliver piangere e di getto, non per empatia ma per amore, aveva pianto anche lei. Quando aveva lasciato l’Europa una parte del suo cuore si era frantumato ma andava bene, non le importava. No. Ciò che la distruggeva era la possibilità che anche il suo ex-caposcuola avesse sofferto. Lui non meritava nulla che non fosse perfezione, meritava molto di più di ciò che Mary potesse dargli. Perché Mary non era abbastanza per una persona così pura, così buona come Oliver Brior. Delle volte, nel buio e nel silenzio della notte, si era detta che se si fosse impegnata, che se avesse messo tutto ciò di cui disponeva, tutto l’amore, la pazienza, la gentilezza, l’empatia, forse si sarebbe sentita abbastanza per lui e forse con il tempo lo sarebbe diventata davvero.
«Non posso. Meriti di essere l'inizio, e non la fine. E io sono ancora impegnato, ho ancora una relazione da chiudere. Io...» Le parole di Oliver riecheggiavano ancora nella sua testa, la sua voce per la prima volta non perfettamente in equilibrio le provocava gli stessi brividi che aveva percepito quella sera. Che aveva percepito quella notte. Fu il silenzio con cui rispose al concasato che l’aveva tormentata ancora di più. Glielo avrebbe dovuto dire in quel momento, avrebbe dovuto trasformare le sue emozioni in parole e dirglielo. Dirglielo che era da quando lo aveva incontrato che si era innamorata di lui. Non della sua carica e non di ciò che mostrava agli altri. Non si era innamorata dell’Oliver che tutti avevano e che tutti potevano apprezzare, ma di quello che si concedeva solo a lei e per lei. Era innamorata di lui quando, dopo una partita di Quidditch, l’avvicinava per controllare se si fosse fatta male; era innamorata di lui quando le lasciava piccoli dolci nascosti in sala comune solo per lei che sapeva dove cercarli; era innamorata di lui quando, quelle poche volte ch’era in ritardo, si presentava con i suoi ricci bagnati ed un sorriso pieno di sensi di colpa; era innamorata di lui quando entrava da Madama Piediburro e le sorrideva con i piedi ancora sulla soglia della porta. Era innamorata di lui quando c’era e quando non c’era la mancanza che provava era impossibile da colmare.
Aveva scritto delle lettere per Oliver durante tutto l’anno a Zinder ma nessuna, eccetto una, era uscita dal cassetto del comodino. Una sola lettera, indirizzata ad Oliver Brior, aveva raggiunto il castello. Una singola, unica lettera firmata da Mary Grenger con scritto “mi manchi, Olly”. Se n’era pentita subito. Quella singola verità aveva fatto riaffiorare tutti i ricordi e le emozioni legate a lui. In un momento in cui voleva dimenticare tutto e tutti, fu per lei un errore.

Delle volte chiudeva gli occhi per ricordarsi la sua voce.

Voleva incontrarlo, pensò di essere pronta. Era tornata a Londra già da qualche tempo ma aveva mantenuto un profilo molto basso. Per un periodo, si era sentita un’estranea in casa propria. Si guardava intorno come se qualcuno, all’improvviso, le avesse potuto urlare contro di andare via, che aveva ferito troppe persone per tornare a Londra e far finta di nulla. E avrebbero avuto ragione.
Mary era una persona diversa, però. Non era più una persona fatta di piccoli pezzettini pronti a separarsi l’uno dall’altro. Non era più un puzzle da comporre, ma era un pezzo unico che nessuno poteva dividere. No, forse non era diversa ma semplicemente consapevole. Era una donna che aveva imparato dai propri errori e ch’era pronta a rimediare. Si era data dei piccoli compiti giornalieri per ritrovare l’armonia con l’ambiente e le persone che la circondavano. Aveva incontrato Jane, poi Katie e poi sarebbe andata da Alice, la sua sorellina. Tra tutte loro, Oliver. Stava preparando una torta al limone quando decise di scrivere all’ex-caposcuola. Per giorni si era tormentata su cosa scrivergli anche solo per convincerlo a vederla. Non sapeva come se la passasse Oliver, non sapeva cosa provasse per lei e non sapeva neanche se il suo cuore ormai appartenesse a qualcun altro. Il solo pensiero la scosse così tanto che maldestramente fece volare mezzo impasto sul pavimento. Con la farina sul viso ed entrambe le mani poggiate sul tavolo, tirò un lungo sospiro. «Non hai alcun diritto, capisci? Tu non puoi arrivare dopo un anno e dirgli che lo am-» sospirò di nuovo e con l’indice spostò una ciocca di capelli dal viso, la farina ad espandersi sul volto. «Cosa ti aspetti? Gli scrivi e lui corre da te come se nulla fosse cambiato? Forse lui è cambiato. E tu sei una cretina a pensare che sia anche solo, per assurdo, giusto dirglielo. Cosa succede se gli dici che lo am-» si fermò di nuovo, il respiro fermo e il corpo paralizzato. Gli occhi scattarono in direzione dei limoni appoggiati sul tavolo e la sua voce ridotta ad un sussurro. «Cosa succede se gli dici che lo ami e lui ti dice che per lui non è lo stesso?»

Madama Piediburro era il loro posto, lo era da sempre. Con molta probabilità avevano passato più tempo lì che in sala comune. Da quando Mary aveva iniziato a lavorarci, poi, le sembrò che Oliver venisse più spesso e lei, quando poteva, si concedeva dieci minuti per sedersi con lui e raccontargli la sua giornata. A lei non piaceva tanto parlare di sé ed erano poche le persone che la conoscevano intimamente, ma Oliver era sempre stato capace di concederle i suoi spazi, fornirle i suoi tempi, darle la fiducia necessaria per aprirsi. E Mary lo aveva fatto, poco alla volta.
Quando sapeva di avere un appuntamento con Oliver da Madama, di tanto in tanto le capitava di avviarsi dieci o venti minuti prima. Dal loro tavolo in fondo alla sala, vicino al grande finestrone che dava sulla strada, lo vedeva arrivare: amava osservarlo quando pensava che nessuno lo stesse guardando, amava come in inverno si sistemava la sciarpa e si scrollava la neve dai capelli e amava come, appena entrato, cercava il suo sguardo per sorriderle. Non aveva un pensiero preciso in mente, ma sotto lo sguardo di Oliver si sentiva istantaneamente irradiata di gioia. Prima non capiva cosa fosse ma la sua maturità attuale le permise di comprendere appieno che si trattava di amore.
E c’era qualcosa di così magico nell’amore che provava per Oliver, qualcosa di inspiegabile anche a chi la magia la praticava ogni giorno. Era il sottile e non così aspro profumo di limone che percepiva ogni volta che Oliver era nei paraggi, ogni volta che la sua figura raggiungeva la sua mente. L’aveva visto, Oliver, così tante volte nella sua testa. La Vista l’aveva portata vicino a lui molte più volte di quanto fosse giusto. L’aveva abbracciato e amato molte più volte di quanto fosse corretto esprimere.

Il sole batteva direttamente sul loro tavolo quel pomeriggio. Erano quasi le sette, eppure non accennava a nascondersi, a darle tregua. Le mani erano dolcemente incrociate sul legno, il mazzo di fiori appoggiato poco vicino. I capelli erano legati in una coda molto larga, il ciuffo di tanto in tanto le cadeva con delicatezza sull’occhio destro. La borsa a tracollo era sulla sua sedia, il contenuto ben nascosto all’interno era impossibile da notare. Il senso di pace che provava era rilassante e nessun posto era casa come Madama. Il suo volto era disteso mentre guardava con curiosità i passanti all’esterno del locale. Pochi ne erano entrati quel pomeriggio, c’era appena una coppietta nel lato opposto della sala che sussurrava e sorrideva ad intermittenza. Mary li colse a scambiarsi un timido bacio e le fu impossibile non sorridere con nostalgia. Nostalgia di qualcosa che non aveva ancora provato e che forse non sarebbe mai successo. Il suo sorriso divenne presto amaro e convenne che riportare lo sguardo verso l’esterno fosse più facile. I suoi pensieri erano come la pluffa in una partita di quidditch che volava da una parte all'altra, da uno scenario bello ad uno terribilmente orrendo. Non sapeva neanche se Oliver l’avrebbe davvero raggiunta, sapeva solo che la sua lettera era arrivata a destinazione, la sua dolce civetta Lusin se ne era occupata.

Caro Oliver,
Non so neanche come iniziare questa lettera. Scriverti, parlarti non è mai stato difficile per me. Mi hai sempre letto con una facilità sconosciuta agli altri.
Avrei dovuto iniziare scusandomi, probabilmente. Ma “scusa” è un sentimento che vorrei avere l’opportunità di esprimerti di persona. Forse non lo merito e se è questo ciò che stai pensando, hai ragione. Avresti ragione a pensarlo e non proverei nessun risentimento nei tuoi confronti se non volessi vedermi. Avresti ragione, Oliver.
Ma sono tornata e se ci fosse anche solo una possibilità piccola, minuscola, che tu voglia sentire le mie scuse, che tu voglia darmi la possibilità di spiegarti tutto, allora mi trovi venerdì alle 7pm al nostro tavolo.

Tua davvero, Mary.


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view post Posted on 2/8/2022, 23:07
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Amor, avrebbe voluto bisbigliare. Chiamando il suo nome, vivendo il suo nome – in quel momento, in quella sera, e per ogni altra occasione. [...]
Mary Grenger era lì, come un punto fisso nel tempo.


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Negli ultimi mesi, di notte, il dormiveglia lo guidava ad una tappa fissa: una porta verde, incastonata in un agrumeto che a lungo aveva soltanto sognato. Restava così, perduto al confine dei tempi – nella posizione scomposta cui costringeva il corpo, piegandosi sulle poltrone della Sala Comune sotto la vigile presenza del buio. Nell'insonnia disastrosa che condannava il sonno, Oliver non aveva pace: un turbamento, quello, che ricordava da lungo andare, che gli era fin troppo familiare. Il cuore, in gabbia, s'abbandonava irrimediabilmente – di tanto in tanto chiudeva appena gli occhi, il respiro cadenzava il battito greve di un animo ferito; lo avvolgeva un abbraccio che profumava di braci sempiterne, dai caminetti che i sortilegi di Godric tempestavano di vita. Altro non era, tuttavia, che una parvenza, il tepore di una sera che lo accompagnava indietro nel tempo: e si sentiva al sicuro, come non gli capitava da molto. La notte, tra quelle mura, cullava una melodia così simile ad una ninnananna – gli ultimi pedoni che trottavano sulla scacchiera, animati dalla magia di una partita appena conclusasi; il borbottio di cornici e ritratti, tutti alle pareti del pianoterra; il cicaleccio di confidenze di concasati, celati dalle scale a chiocciola che portavano ai dormitori superiori; tanto, tanto altro ancora dondolava il riposo che gli mancava. Capitava spesso, allora, di trovarlo sulle postazioni oramai vuote – il divanetto, il loro divanetto, era il suo luogo preferito. Memorie d'altri giorni offuscavano la nostalgia, anestetizzando dolcemente tutto quello che gli era stato negato... tutto quello che credeva in definitiva perduto. Sir Nicholas era l'ultimo a lasciare l'ingresso, e il saluto che scambiava con la Signora Grassa – oltre il ritratto – rappresentava per Oliver il déjà-vu d'ogni sera, d'ogni giorno. Non tornava in camerata da tanto, Penny era l'unico che talvolta scendeva al primo piano e restava con lui, in silenzio, stretti entrambi da una coperta colorata a mo' di mantello. Prima del risveglio dei concasati, i bagliori dell'alba dalla vetrata più vicina ponevano in allerta, così lui spariva subito. Capitava che fosse preda del cuore, di continuo – il prezzo di chi violava l'equilibrio del tempo sommava la malinconia peggiore, e lo sguardo allora tardava ad affievolirsi. Né stanchezza né rimedi vinti dalla magia, infatti, avevano saputo guarire qualcosa che sentiva fin nel profondo. La ragione dell'insonnia era versatile, ultimamente – l'aveva oramai accolto con consapevolezza – tinteggiava una porta verde. Ad occhi fissi nel vuoto, incerto se fosse un sogno o una memoria ancora da realizzarsi, viaggiava verso l'immagine che aveva di lei. Sentiva di affrettare il passo, lungo Craven Street. Il profilo di Westminster lo invitava a procedere oltre, sempre oltre: un momento che non aveva né inizio né fine, un momento in cui altro non desiderava che perdersi. Quando il numero dodici s'intrecciava all'attenzione, le mani cercavano il tronco fedele degli alberi – e la bocca gustava la delizia dei limoni, e del miele, e del suo profumo. Credeva d'essere di fronte la sua porta, un giorno, una notte, in ogni vita.
Amor, cantava. E pregava che la vernice verde si consumasse, sotto l'assalto di un cuore affranto. Superava la staccionata, correva sul vialetto – da te, diceva; soltanto da te, chiedeva. Ma la porta, impassibile, non accoglieva né grido né sussurro. Aveva pensato di spezzarne i cardini, reciderla con il fervore dei sortilegi che non aveva mai nominato; e invece, colto dall'assenza, lasciava scivolarsi lungo le radici del piccolo agrumeto – le foglie di smeraldo, all'essenza dei limoni, brillavano di promesse che beffeggiavano il presente. Nel sogno, nell'illusione, nel ricordo, lei non apriva la porta.

Non più, non una volta..


***

Da quando erano iniziate le vacanze estive, Oliver soggiornava a Villa Glicine, ancora una volta. La gentilezza di Penny rappresentava un valore inestimabile e, per la seconda stagione consecutiva, la famiglia Laurence aveva fatto di tutto affinché lui non restasse al Castello di Hogwarts né gironzolasse per il paese. Non si sarebbe trattenuto a lungo, ad ogni modo – cercava la solitudine come la panacea d'ogni male. Nella stanzetta adibita per lui, come ospite, c'era lo stresso indispensabile: un armadio, un letto, un calendario e un grammofono – con la bacchetta, ogni mattina, tracciava una x rossa, di fuoco, a bruciare una nuova data appena cominciata; inneggiava allo scorrere delle lancette, nella speranza che l'incontro giungesse prima del solito. La sua lettera era un cimelio che portava perennemente con sé – talvolta nel taschino della giacca, nelle pieghe del pigiama, perfino sotto il cuscino a conciliarne la veglia vera e propria. Aveva riconosciuto la sua calligrafia ben prima che l'attenzione volgesse al nome del mittente, e nella semplicità di carta ed inchiostro – di luoghi così remoti, di cui nulla aveva saputo – gli appariva tutto come un tesoro. Il breve messaggio che mesi addietro gli era stato recapitato, in volo, lo aveva colto estremamente impreparato: da molto non aveva sue notizie, da molto l'assenza s'era macchiata del prezzo della fuga. Aveva pensato fosse dipeso da lui, forse per non aver saputo agire al momento opportuno, per aver taciuto i sentimenti sinceri nei riguardi dell'altra. Il rimorso, poi, aveva lasciato spazio al nervosismo, nelle fasi che propiziavano la reazione di un animo che non voleva perdonarsi. Aveva saputo da altri, di lei. Dov'era, com'era partita, cosa faceva – domande che aveva ricamato con l'immaginazione, e in ogni spiaggia, in ogni terra, in ogni deserto, foresta o sentiero battuto dalle intemperie, era dolce il pensiero d'essere con lei. Non aveva risposto. Mi manchi maledettamente, avrebbe voluto scrivere a sua volta. Ma la bocca s'era spenta nel sorriso che lei, tra molti, riusciva a regalargli. Ora che il tempo s'era eclissato, restava il dubbio – è stata colpa mia?
E alla fine, annebbiato dal dolore, aveva ridotto in cenere ogni sua parola. Nessun incantesimo aveva saputo ripristinare la pergamena, il pentimento era giunto l'istante successivo alla prima scintilla: impavido, triste e scosso com'era stato, aveva tentato invano di spegnerne il fuoco con le mani, e sul palmo della destra sfilava la cicatrice di una scottatura che non aveva mai voluto curare davvero. In quel segno, si diceva, c'era la sua testimonianza. Aveva voluto cercarla, aveva voluto investire il tempo d'ogni condanna fino a sventrarlo, come una bestia: eppure, intrappolato nel passato, non aveva saputo attingere al divenire in modo assoluto. Non aveva fatto lo stesso sbaglio, quando era arrivato l'invito all'incontro – il biglietto lo aveva raggiunto sotto una cascata purpurea, alle radici del glicine del cottage dell'amico. Non aveva mai pensato di rifiutarsi, di non andare: come avrebbe potuto, lui che l'aveva cercata oltre ogni confine? Aveva stretto la pergamena al petto, l'aveva stracciata, piegata e consumata come chi cerca l'impronta familiare.
La stessa lettera, ora, attendeva nella giacca di jeans che aveva indossato – una maglietta bianca, una camicia sulle tonalità del blu, si disperdeva come uno dei tanti giovani passanti al Villaggio di Hogsmeade. Il tratto distintivo s'esprimeva nel mazzolino di lavanda e di glicine, che spuntava visibilmente dal taschino superiore. Non vi avrebbe rinunciato neanche in un'occasione simile: forse, si diceva, lei avrebbe ricordato che quelli, tra tutti, fossero stati i loro ultimi, più preziosi fiori. L'odore della terra, degli agrumi, delle note del cioccolato e del caffè, allora, lo trascinarono avanti, avanti ancora. Sostava di fronte la porta di Madama Piediburro, lasciando che un cliente, e un altro, e un altro subito dopo lo superassero. Per la prima volta in tutta la sua vita, Oliver arrivava in ritardo – pur in anticipo com'era, attendeva infatti come in rapimento.
Non lasciarmi, chiedeva: a sé, a lei, al presente. Oltre la porta, alla fine, inseguì il tremito del cuore fino ad accostarsi al bancone principale. Sembrò che tutto si fosse fermato, in ogni tempo. E la vide, lei che era stato incanto fin dal primo incontro. E la vide, lei che aveva distrutto – in lui – ogni equilibrio. Mi manchi, mi manchi, mi manchi. Non comprendeva il suo cuore, non poteva più: sapeva con certezza, però, di aver sognato quel momento così a lungo.
Si avvicinò, gli occhi vitrei di chi non credeva d'essere sveglio – una maschera di cristallo, le gote diafane. Era lei, era proprio lei.
Gli sembrò un omaggio del tempo, la nota soffusa di un grammofono vicino: una sinfonia romantica, con l'inconfondibile voce di Celestina Warbeck. Nel ritrovo d'amanti e d'amicizia, tutto intorno, la canzone giungeva appena soffusa, e già si chiedeva – ora che le era davanti, in piedi – se anche lei l'avesse riconosciuta. Mentre il cuore si spegneva, e viveva, e tremava nuovamente, lui le porgeva soltanto una mano. La delicata richiesta di stringerla, com'era stato una volta.
Amor che hai stregato il cuore. Amor che tutto hai potuto.
You Charmed the Heart Right Out of Me, alla radio, passava per tutti inosservata. Non per lui, non per Oliver. La prima strofa vibrava promesse, nella memoria di quelle stesse parole tracciate in inchiostro su tasselli di un puzzle: ricordava anche lei? Oh, my poor heart, where has it gone? / It's left me for a spell / But I don't mind, 'cause with you I find / I'm always feeling well.
Stringimi la mano, non chiedeva altro. Oltre ogni tempo, oltre ogni esito. Comunque andrà tra noi, questa sera e per sempre.
«Balla con me, Mary Grenger.» Un'unica frase, una voce spezzata. L'incavo di una spalla che attendeva soltanto lei. In una saletta gremita, dove il tempo s'era appena fermato.
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view post Posted on 3/8/2022, 23:10
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Li faceva da sola i puzzle, lei.
Quando poteva, quando non aveva troppi compiti di storia della magia, quando non aveva un allenamento di Quidditch a cui partecipare, quando non doveva essere un’amica perfetta o una grifondoro coraggiosa e poi, quando da adulta, non aveva un lavoro da cercare. Si ritagliava un po’ di tempo per sé, giusto un paio d’ore; il calice di vino riempito a metà, la radio che dolcemente accompagnava i suoi movimenti. Seduta per terra nel soggiorno della sua casa, la schiena appoggiata al divano, scrupolosamente si impegnava ad analizzare pezzo per pezzo. Era un’abitudine che aveva preso verso i dodici anni, un’attività tranquilla per calmare il suo cervello allora troppo eccitato. Un’abitudine che da adulta le era rimasta. Un’attività soddisfacente e silenziosa, di solito. Il puzzle che le aveva regalato Oliver non era stato aperto subito, per un po’ era stato in cima ad una pila di libri. Quando aprì la scatola, fu un disastro. L’immagine da comporre era quella di un vermicolo in un giardino, di per sé abbastanza facile. Il problema era che la maggior parte dei pezzi del puzzle volava via, un paio sgattaiolavano via, uno addirittura le parve miagolare. Il suo gattino Drill aveva acchiappato un paio di pezzi tenendoli fermi al pavimento con la sua zampetta sinistra. Non aveva mai riso così tanto nel fare un puzzle, nonostante il vino sul tappeto nuovo, nonostante la sua vita non fosse perfetta. Quando mise l’ultimo pezzo, il vermicolo sembrò prendere vita e per un po’ si scambiò degli sguardi con il gattino. Fu quando andò ad appoggiare il puzzle nella cornice che lesse le parole della canzone.
La canticchiò per una settimana.
«Don't need no broom, I'm flying free, mh.» Mormorava. «I'm nothing without you…»

Lo vide. Lo notò prima ancora che arrivasse davanti alla porta, prima ancora che i suoi occhi potessero realizzare della sua presenza. Lo notò in un modo che non seppe spiegare – o forse sì, facendo attenzione ai segnali del suo corpo. Le mani le si congiunsero con ansia sul tavolo, il corpo scattò sulla sedia all’attenti. Lo vide temporeggiare e si domandò cosa stesse pensando. Si domandò se Oliver volesse scappare. *Sei ancora in tempo* pensò. E quello stesso pensiero distruggeva ogni briciolo di amor proprio che aveva.
Analizzò ciò che a quella distanza poteva: le parve più bello. Non solo la sua persona ma anche l’energia che percepiva arrivarle. Le sembrò più adulto. Era diventato un uomo, così come Alice ch’era la sua sorellina era diventata una donna.
Non si accorse del sospiro di sollievo che tirò quando lo vide finalmente entrare. Entrare nel luogo che era loro, nel luogo che nascondeva in ogni angolo l’amore che provava per lui. Quando Oliver posò il suo sguardo sulla ex-grifondoro, Mary sentì il suo corpo spingersi in su, si ritrovò in piedi senza capirne il motivo.
L’amore è difficile da spiegare. È una essenza che gode di vita propria, nasce e cresce nel tempo, si evolve e avanza, si disintegra e rinasce, invecchia e muore. L’amore ha una forma ed un’altra e poi un’altra ancora. È un colore, una stagione, una sensazione precisa sulla pelle.
— two, three, four! / You charmed the heart right out of me / Don't need no broom, I'm flying free / I think by now it's plain to see / I'm nothing without you.
L’amore è un cuore che batte troppo veloce o troppo piano, ti riempie lo stomaco o te lo svuota.
Mary l’amore sapeva bene cosa fosse, lo aveva provato. Eppure, guardando Oliver avvicinarsi a lei in quel momento, pensò che non sapesse ancora niente. L’amore per lui era una scoperta ancora in corso.
L’amore era violaceo come il colore della lavanda che sbucava dal taschino della giacca di jeans di Oliver, profumava di limoni come l’albero al numero 12 di Craven street. L’amore era caldo come la sala comune dei grifondoro e umido come l’erba al campo di Quidditch. L’amore era gentile, calmo, educato, rispettoso, come la voce del suo ex-caposcuola in quel momento. L’amore era un invito, come la mano aperta verso Mary.
E lei quell’invito lo accettò. Allungò la sua mano fino a sfiorare quella di lui. Non gliela strinse, ma continuò il percorso sul suo braccio fino ad arrivare alla guancia. Fece lo stesso anche con l’altra mano per poi portare entrambe alla nuca del ragazzo. L’amore era il battito calmo, composto, sicuro che Mary aveva in quel momento nello stare tra le braccia di Oliver. L’amore erano i suoi occhi quasi azzurri attenti e bagnati dalle lacrime che si concentravano meticolosamente su quelli verde smeraldo di lui, un po’ spenti, un po’ atipici. «My fragile heart is in your hand-» lo sussurrò appena, gli occhi che per un attimo si spostarono sulle labbra di lui. Le mani, incrociate dietro al suo collo, accarezzavano con delicatezza i ricci alla base della nuca. Quando riportò lo sguardo su quello dell’altro, percepì la lacrima bagnarle il volto, percepì la gola pizzicarle al pensiero del tempo perduto per colpa sua, della difficoltà che aveva avuto ad aprirsi con lui e con tutti gli altri per un anno e mezzo, della sua assenza. Il senso di colpa era leggibile nei suoi occhi e non lo avrebbe nascosto, non più. Non avrebbe nascosto più i suoi sentimenti. In mezzo alla sala di Madama Piediburro, in mezzo al posto che era loro, Mary si schiarì la voce. «Mi dispiace tantissimo, Oliver.»
And now, at last, I understand / The magic about you.

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view post Posted on 13/8/2022, 09:35
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Amor, avrebbe voluto bisbigliare. Chiamando il suo nome, vivendo il suo nome – in quel momento, in quella sera, e per ogni altra occasione. [...]
Mary Grenger era lì, come un punto fisso nel tempo.


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C'erano stati giorni in cui ogni luogo catturava l'assenza peggiore – il divanetto della Sala Comune, il Campo di Quidditch, la Torre d'Astronomia, una sequenza che attingeva all'abbandono, avvolgendo il ricordo in una patina spenta. A lungo aveva evitato di percorrere l'impronta che Mary aveva lasciato, negando una sconfitta che mancava di affrontare coraggiosamente. Così cambiava un corridoio con un altro, imboccava la strada più lunga pur di evitare la memoria, di loro, che le stesse pareti custodivano ancora. E quando le scale spezzavano l'equilibrio, sulla scia del sortilegio bizzarro cui tutti gli studenti oramai erano abituati, lui sospirava con una gratitudine che agli occhi dei concasati non aveva motivo d'esistere. Come avrebbe mai potuto spiegare loro, d'altronde, l'inseguimento disastroso che ogni dettaglio trascinava in pensiero? C'erano stati momenti in cui aveva immaginato d'essere perseguitato – da lei, dallo spettro ch'era stata, dall'illusione che potesse essere tuttora vicina. Capitava di trovarlo in solitudine, con la schiena poggiata ad un'armatura di passaggio. Il cuore arginava la nostalgia, si rendeva a sua volta ferro, invano. Come un'ombra, privo d'ogni flebile fiammella, rientrava così in dormitorio senza mai essere visto da nessuno. Aveva affrontato le fasi del dolore in modo sbagliato, Penny lo aveva chiarito costantemente: la negazione, alla scoperta della partenza di Mary, s'era trasformata rapidamente nella convinzione che fosse uno scherzo, un viaggio di poco conto; aveva cercato così spesso la sua figura nei ricordi da credere che fosse dietro l'angolo e che, di conseguenza, fosse soltanto colpa sua l'incapacità di trovarla davvero. Nel trascorrere dei mesi, tuttavia, il disincanto lo aveva pedinato come un cacciatore, e di lei non era rimasto altro. La rabbia lo aveva colto impreparato, stravolto com'era al punto da spegnersi lentamente – s'era fermato lì, incostante pure nell'elaborazione di quanto accaduto. Non procedeva oltre, non ne aveva modo. Forse, a ripensarci, non aveva mai provato.
Il suo, diceva Penny, era un pianto silenzioso. Nel diniego della lacrime cui si era maldestramente ancorato, allora, il corpo aveva risposto in un gemito costante sì da crogiolarsi nell'apice del disturbo del sonno. Una familiarità, quella, dalla quale mai era riuscito a svezzare la coscienza e che, tornando, lo aveva destabilizzato come soltanto un'altra volta gli era accaduto. Come poteva dirle, ora che rimirava il suo volto, che tutto di lei gli fosse terribilmente mancato? E come poteva nasconderle il segno di un cuore mai cicatrizzatosi? Mary era stata condanna e salvezza, per lui. Non aveva bisogno di indugiare nei ricordi per averne assoluta certezza. Sentiva, ora, il risveglio dei sensi – il profumo degli agrumi frizzanti, le note zuccherine del cielo estivo, l'infinita dolcezza delle notti d'occidente. Mi dispiace, sentiva la voce, la sua voce, per la prima volta dopo giorni che aveva smesso di contare. E tremò all'idea che fossero quelle le prime parole che lui, soltanto lui, aveva spinto l'altra a pronunciare – viveva la colpa di chi restava, il pegno d'amore di chi aveva disprezzato il tempo. Forse, forse, forse...
«Tu mi hai stregato il cuore.» Sfumò in sussurro, accostandosi alla voce di Celestina Warbeck proprio nelle battute finali. Quello era un ritornello che aveva canticchiato nei momenti più belli, un brano che aveva amato follemente – una poesia in versi che portava da lei, ovunque nel tempo. Per mesi ne aveva rifiutato l'ascolto.
And now you've torn it quite apart / I'll thank you to give me back my heart – sentirla così vicino gli spezzò il cuore, una, due, infinite volte. E quel gesto, una mano a guidare l'altra sulle sue guance, lo riportò lontano, nell'infinito incanto che lei aveva sempre rappresentato.
Desiderava cristallizzare il tempo – restare con lei fino alla fine dei giorni. Neanche l'Occhio aveva saputo prevedere la tensione lungo la schiena, il brivido asfissiante del petto. Il respiro tratteneva l'incauta, irrazionale paura che tutto potesse sparire, così com'era apparso. Non riuscì a guardarla, non subito. Volgendo il capo di lato, realizzava l'abbraccio di due corpi a lungo distanti – ne carezzava il privilegio come fosse stato un sogno. Voleva che il canto non concludesse mai e che loro, da molto respinti, girassero in una giostra continua. La sua bocca, il suo calore, il suo profumo, ogni dettaglio imperversava tra memorie affatto dimentiche.
Congiunse allora le loro mani, le proprie sollevate a coprire dolcemente quelle di Mary. Nell'abbraccio che si era formato, ne cullò ad occhi chiusi un ballo che sembrava non essere mai concluso. Resta con me, le comunicava indirettamente. Resta con me, Mary.
Il tempo, in attesa, non ne poté più e s'impose fino a spezzarne gli antichi cardini – si chiedeva se anche lei, stretta al proprio petto, potesse vivere l'invito all'abbandono. Era un tramonto, quello che brillò d'ardesia sotto le palpebre – l'incastro di una scaglia di fuoco, una fiamma che ardeva in un cielo d'altri luoghi. La visione gli parve quanto più simile ad un déjà-vu, qualcosa che aveva vissuto così tante volte: alberi di limone attecchirono fertilmente, come ombre d'essenza estiva, e portarono con sé il profilo della porta smeraldo, e le cornici di palazzi – come giganti – ad entrambi i lati. In alto, sempre più in alto, l'Occhio individuava infine il piano superiore di uno degli edifici, focalizzandosi tra le ombre di un appartamento illuminato da lampade soffuse. Oltre la finestra, come un dipinto, danzava il tempo – figure indistinte si cercavano ripetutamente, avvolgendosi e respingendosi, ritrovandosi eternamente. Pur nell'assenza della musica in sottofondo, si perpetuava in quel modo il sortilegio romantico di chi girava, e rideva, e gioiva della vita intera. Ballerini lunga una strada d'asfalto, il miraggio dell'infinita armonia racchiusa nel cuore pulsante della città.
E lui, che tutto seguiva, pensò tuttora che fosse il sogno cui s'era sottratto. Di sera calante, danzava a sua volta, spettro segreto di mantelli e stregamenti – ti porto in dono un tramonto, voleva dirle. E tanto, tanto altro ancora avrebbe voluto aggiungere. Stringerla a sé, lasciarsi andare al bacio che a lungo aveva creduto proibito, e spegnere il turbamento che invece percepiva costantemente. Quando il grammofono passò oltre, al canto di chi non aveva più importanza, lui indietreggiò d'un passo, soltanto uno. Gli apparve come il vuoto che anticipa una materializzazione e per un attimo ebbe timore che fosse proprio così, che potesse essere lui, quella volta, a sparire involontariamente. Cercò la sedia più vicina, il contatto passeggero di una mano che necessitava un punto fermo, uno concreto.
«È sempre bello vederti» sussurrò. Il peso d'una rivelazione, sull'ultima parola – vederti oltre i confini del tempo, vederti ora, domani, ieri. Il volto si ammorbidì in un primo sorriso.
Indicò il tavolino, il loro tavolino, a chiederle di sedersi e di... restare, soltanto quello. Non s'era accorto, tuttavia, di non aver sciolto l'abbraccio dalla mano sinistra.
«Dove sei stata, Mary?» Perché, voleva chiederle davvero. L'ultima domanda suonò dolce, nel dolore di cui s'era resa famelica.
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view post Posted on 26/8/2022, 15:26
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Il corpo di Oliver era caldo, o forse era lei. Forse era il connubio di loro due insieme, due grifondoro a contatto dopo tanto, troppo tempo distanti. Percepiva sul suo corpo le fiamme del camino nella sala comune, era vittima del suo incantesimo di fuoco preferito, ardeva come legna e bruciava come foglie al sole forte. «Tu mi hai stregato il cuore.» Un sussurro e l’incertezza dell’aver immaginato delle parole che tanto aveva cercato di rincorrere. Percepì il suo cuore traballare nel momento stesso in cui registrò con certezza quelle parole. Non comprese appieno la gioia che provò nello scoprire che le prime parole di Oliver per lei non erano colme di rabbia, ma di qualcos’altro. Di qualcosa che aveva paura di definire perché aveva paura di ferire sé stessa. Perché era convinta, e voleva e doveva esserlo, che solo una persona amava l’altra. Si spinse sulle punte dei piedi per chiudere quella poca distanza rimasta che avrebbe portato il suo corpo a stringersi a quello dell’ex-concasato. Strinse gli occhi più forte possibile e dietro le sue palpebre percepiva soltanto i tenui colori di Madama Piediburro. La paura di un rifiuto, l’insicurezza e finalmente la realizzazione che forse non stava andando così male, che forse Oliver l’avrebbe perdonata, tutto fu racchiuso nel sospiro di sollievo che Mary lasciò scappare dalle sue labbra socchiuse appena cinse il collo di Oliver. Non si era resa conto di aver smesso di respirare, non aveva davvero ragionato sul perché le fosse mancata l’aria. «Non vado da nessuna parte.» sentì la sua voce chiaramente ma non registrò il momento in cui il suo cervello aveva dato l’ok a quell’azione. Dal petto la sensazione di dover rassicurare Oliver – e sé stessa – che quella volta era lì, che era per sempre. Un piccolo spostamento della testa e si ritrovò con il naso sulla stoffa della camicia del ragazzo. Inspirò il profumo d’estate, di limoni, di fiori. Inspirò il profumo di casa e si aggrappò a quella sensazione come se la sua vita dipendesse da quello.
Non si accorse del cambio della canzone, non si accorse del tramonto o delle persone intorno a loro. Sentirsi al sicuro era una sensazione così rara per lei che le braccia di Oliver le avevano fatto dimenticare di dover tenere i piedi per terra, di doversi guardare intorno. Non pensò che staccare il suo corpo da quello dell’altro potesse risultare così difficile, che potesse procurarle dei brividi di freddo. Ma fu così e lo accettò. Tirò su col naso con discrezione e si asciugò velocemente la lacrima dal viso. Si schiarì la voce. Prese posto di fronte ad Oliver, al loro tavolo. Al tavolo delle confidenze, delle risate, della genuina spensieratezza. «Dove sei stata, Mary?» come poteva rispondere a quella domanda senza parlare di Olivia? Come poteva rispondere a quella domanda senza ferire i sentimenti della persona di fronte a sé? Era una persona consapevole ora, matura, poteva farcela. Si morse il labbro inferiore mentre con la mano spingeva verso Oliver i fiori ch’erano sul tavolo. «In Niger, in Africa.» pensò che partire con piccole dosi di informazioni fosse la soluzione migliore, per lei e lui. «Io…ti ho portato una cosa.» si girò ad infilare una mano nella borsa. «So che hai molte domande Oliver e io ho molte risposte da darti.» Il pacchetto raggiunse il tavolo, stretto tra le mani sicure di Mary. «Ma la prima cosa che voglio dirti è questa.» Prese un respiro profondo, le sue spalle si mossero di conseguenza. «Non sono andata via per colpa tua o per colpa di altri.» cercò gli occhi del ragazzo, lo guardò con intenzione, con sincerità. «Sono andata via perché- io» abbassò la testa e nel contenuto del pacchetto trovò la forza di continuare. «Perché ho perso una persona e tutto mi ricordava di lei. Tutti i luoghi, Oliver. Il castello, Diagon Alley, Londra. Tutto portava con sé la sua presenza, eccetto Madama Piediburro. Questo è sempre stato il luogo che mi ha protetto dai ricordi bui, dalla tristezza.» Con attenzione riportò lo sguardo sull’amico. «Perché in questo luogo io mantengo solo i ricordi di noi, che sono felici e sono preziosi, Oliver. Sono tutto ciò che conta per me, ora.» In silenzio spinse il pacchetto verso il grifondoro. Gli sorrise e guardando il pacco gli fece cenno di aprirlo. Con le mani congiunte sulle gambe, aspettò che questo lo avesse aperto per tornare a parlare. Voleva raccontargli tutto, è vero ma aveva bisogno di tempo e non voleva inondare Oliver di informazioni. «Ti ricordi quando per il ballo di Halloween ci travestimmo da famiglia Addams?» era uno dei ricordi che portava nel cuore con più gelosia. Era una delle sere migliori della sua vita: la preparazione in camera con le sue amiche più care, la gioia e la felicità di passare una serata spensierata, la presenza di Oliver saldamente al suo fianco. «Ecco. Ti ricordi quando ballammo insieme? Mi dicesti che avevi sempre voluto una ricordella. È una cosa strana, se ci pensi. Tu ricordi sempre tutto. Ricordi i particolari che agli altri sfuggono.» Aveva sempre invidiato quella particolare abilità di Oliver e, allo stesso tempo, era uno dei tratti che lo rendeva unico e che lei amava di più. «Ma se anche ci fosse una sola cosa che hai dimenticato beh, ora non hai più scuse.»


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Nel pacchetto Oliver troverà questo regalo. Una ricordella di dimensioni più piccole, con la stessa funzionalità ma che può essere appesa al collo come una collana. Ricordo di aver fatto questo acquisto - in gran segreto e con l'aiuto di Alice - appena dopo il ballo. Era un regalo di natale che non sono mai riuscita a darti, fino ad ora.
 
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Amor, avrebbe voluto bisbigliare. Chiamando il suo nome, vivendo il suo nome – in quel momento, in quella sera, e per ogni altra occasione. [...]
Mary Grenger era lì, come un punto fisso nel tempo.


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Sentiva il mondo capitombolare sotto il peso del cuore. Principio e fine di tutte le cose, gli sembrava di cadere, cadere di continuo – un precipizio grande come una voragine, l'illusione d'ombra di un animo oramai in condanna. Avrebbe voluto fermarsi, prendere un respiro profondo, chiudere gli occhi sul presente. Avrebbe voluto allentare la morsa del petto, comprenderne il dolore e relegarlo altrove, così lontano da sigillarne ogni spinta. Com'era ingenuo credere d'averne occasione, pur semplice e minuta che fosse. Non c'era rabbia, in lui. O forse sì, celata nel profondo, e tuttavia offuscata da sensazioni più grandi di sempre, più grandi perfino di lui: l'affetto, il rimpianto, la malinconia. Vestali di un passato cui non s'era sottratto – e come avrebbe potuto, lui che tutto viveva costantemente? La vicinanza di Mary, a malincuore, sfidava l'equilibrio che a stento aveva trattenuto. Era un limite che aveva dovuto imporsi, in modo consapevole: l'assenza, il distacco, la mancanza, tutto sfumava nell'incomprensione di chi aveva amato così a lungo, così profondamente. Avrebbe potuto riconoscere il suo profilo in ogni momento, in ogni folla. Corpi che attingevano alla memoria, corpi in contatto dopo troppo tempo. Percepiva il tremito della pelle, il vivido tentennamento che ottenebrava la ragione.
Chi sono io, si chiedeva. Chi sono io, Mary, senza di te.
Non voleva lasciarla, non di nuovo. Il timore che potesse perderla definitivamente, allora, pose i sensi in allerta, più di quanto non fosse già accaduto. Desiderò trasfigurare tutto, di sé, in un'ombra, e in un rapace. Desiderò artigliarla, avvinghiarsi alla schiena, stringerla a lui con una violenza che trovava ragione soltanto nell'abbandono. Ma lui, Oliver, non era mai stato quel tipo di ragazzo. Il volto, appena reclinato, s'incastrava come un tassello di puzzle nell'incavo della spalla dell'altra – di nuovo, per sempre. Voleva ripetersi, ripetersi fino alla fine dei giorni. Voleva ripristinare l'impronta di quel ch'erano stati, insieme, in un tempo che non aveva dimenticato. La tenne stretta a sé, come a proteggerla. Così sciocco, d'altronde, da non comprenderne invece il pericolo della vicinanza.
«Mi manchi.» In poche parole, già pronunciate, scandiva l'anomalia del momento. Mi manchi, sussurrava. Nel presente, adesso – a dispetto dell'inatteso ritrovo, non poté abbandonare la sensazione d'essere preda di un miraggio. Abitava la percezione tuttora vaga d'essere intrappolato in un sogno ad occhi aperti. Mi manchi, Mary.
«Sei stata in Africa.» La voce cadenzava il sospiro leggero, accogliendo l'invito a sedersi. Il tavolino, un tempo teatro d'incontri romantici, gli apparve invece come un ostacolo intramontabile. Né il ricamo addolcito dall'avorio e dalle tinte rosate, né i fiori impreziositi di colore gli offrirono sollievo. Era felice, non poteva negarlo. Aveva sognato di rivedere Mary così tante volte, però, da viverne ora un'eclissi perpetua – di sensazioni, rapide, che gli sfuggivano.
Cominciò un'opera d'assimilazione, si pose all'ascolto. Intimamente, però, credeva d'essere in difetto: Mary non aveva bisogno di spiegarsi, non necessitava giustificazioni. Nel trascorrere dei giorni s'era convinto che l'altra avesse avuto le sue ragioni, e lui... lui non avrebbe mai paventato un interrogatorio. Quello che gli aveva spezzato il cuore, invece, riguardava la scoperta che lei fosse partita senza un avviso. La scoperta che lei fosse andata via... senza di lui.
Niger. Poté infine collegare un nome al luogo che aveva fomentato ogni ricerca, ogni supposizione. Aveva interrogato carte di mondi e di stelle, aveva pedinato il tempo futuro – di lei, purtroppo, non c'era stata traccia. Era stato sferzante, talvolta dolce, figurarsi Mary in uno e più posti. Vederla lungo spiagge di sabbia luminosa e di mare cristallino; vederla lungo foreste libere, all'avventura e all'esplorazione; vederla perfino con qualcuno accanto, al tepore di un caminetto dalle fiamme brillanti di gelosia. Niger, ora, metteva un punto d'arresto ad una ricerca che lui non aveva mai veramente concluso. Non aveva idea di dove fosse, ma tutto – in lui – scopriva il piacere della sua voce. Come se non fosse cambiato nulla.
Ho perso una persona e tutto mi ricordava di lei.
Una breccia sinistra, in tempesta, gli annebbiò ogni altro pensiero. S'inasprì d'una patina imprevedibile, un manto di tenebra lungo il battito di palpebre; l'ombra del sorriso nostalgico, allora, si congelò terribilmente nel dolore che una, una sola frase aveva potuto esprimere. Sentì d'essere altrove, avvinto all'asfissia del momento. Il volto di Loras, il volo sgraziato di crisalidi nascenti, il grido sulla bocca del bambino ch'era stato. Non abbassò gli occhi, non una volta. Immobile, perduto, partecipe dell'orrida manifestazione che la vita, meschina, firmava continuamente.
Cercò la mano di Mary, di riflesso. Oltre i fiori, oltre il pacchetto che presto si ritrovò a ricevere, offriva soltanto la sua mano, e tutto quello che poteva significare. Non avrebbe chiesto come o perché fosse accaduto. Non avrebbe chiesto nulla del genere, non lui.
«Mi dispiace moltissimo.» Banale, banale, banale. Sentiva il respiro tornare piano, il battito del cuore tuttora violento. Se Mary avesse accolto la sua mano, non l'avrebbe lasciata – una carezza delicata.
«Come si chiamava, Mary?» Quella sarebbe stata l'unica domanda, il modo di rispettare la memoria di qualcuno – chiunque fosse stato – che aveva rappresentato così tanto per Mary. Il modo di omaggiare anche lei, nella sincerità che coinvolse Oliver.
Lasciò all'altra ogni prosieguo. Le mani, allora, si posarono sulla superficie del pacchetto. Pensò subito potesse trattarsi di un souvenir dalle terre d'Oriente, l'immagine di manufatti antichi, tradizionali e colorati d'un tratto vivide. Il richiamo alla festa di Halloween, ai loro costumi, riuscì a sorprenderlo. Si trattava di qualcosa di ben più lontano nel tempo, qualcosa di ben più... personale. Ne ebbe certezza ancor prima che l'altra continuasse, ancor prima di scartarne l'involucro. Sul palmo della mano destra, poco dopo, scivolò una sfera di vetro che gli ricordò subito una gemella, di cristallo. Somigliava ad una biglia, così preziosa già ad un primo sguardo. L'aveva riconosciuta, avvolto da un tepore improvviso.
«È una Ricordella» commentò, portando con sé la nota d'entusiasmo più sincera. Passò l'oggetto tra una mano e l'altra, ammirandone – quasi assorto – il caotico espandersi delle nubi bianche, color del latte. Brillò di scatto, tingendosi d'una goccia scarlatta: il vortice di un fumo che da limpido si colorava di rosso, il sortilegio ad un tratto animatosi al solo contatto.
A quanto pareva, Oliver sembrava aver dimenticato qualcosa.
«Ne ho sempre desiderata una, non posso credere che tu l'abbia... ricordato.» Lasciò scappare un sorrisetto, forse il primo più spensierato da quando si erano ritrovati. Portò la catena al collo, velocemente; come una collana, la biglia scivolò sulla camicia e tornò bianca. C'era qualcosa, nel manufatto, che contrastava il tempo in divenire dell'identità di Oliver – aveva già dimenticato oppure avrebbe dimenticato? Il dubbio, passeggero, soffiò via anche per lui.
«Ti ringrazio, Mary. Mi ha sempre incuriosito l'idea che un oggetto come questo possa in qualche modo fermare il tempo, un po' come uno scrigno dei ricordi... già accaduti o dimenticati.» C'era altro, molto altro: la Ricordella, per molti versi, lo affascinava davvero. Quando vi giocherellò di nuovo, sfiorandola appena, la nube zampillò rossastra per la seconda volta. S'affrettò a nasconderla sotto la camicia. La mano destra sfiorò il petto, grato.
«Raccontami del viaggio, mi piacerebbe sentirti.»
Mi piacerebbe sentirti. Per un'ora, per un giorno, per sempre.
Che tutto sia immutato, sottintendeva. Almeno per oggi.
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view post Posted on 21/12/2022, 12:09
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«Mi manchi.»
Era il suo punto di partenza e il suo punto di arrivo.
Oliver, lo era. Era più di quanto potesse chiedere, più di quanto meritasse.
Aveva realizzato subito lo sbaglio commesso l’istante stesso in cui aveva scelto di fuggire. Lo aveva visto, predetto, sofferto e compiuto lo stesso. Era emotivamente autolesionista, alcuni le avevano detto. Lei aveva ribattuto che il dolore era uno dei pochi sentimenti che conosceva bene, su cui aveva qualche forma di controllo. Era abituata al dolore, erano gli altri sentimenti che scombussolavano la sua testa e il suo cuore.
Oliver, in quel momento, lì rappresentava tutti eppure era un punto fermo non solo nella sua giornata, ma nella vita.
«Come si chiamava, Mary?»
Fa paura amare qualcuno così tanto. E fa paura sapere che quell’amore non ti potrà mai più raggiungere.
Fa paura quando ti rendi conto, lentamente e gradualmente, con silenziosa attenzione, che ami qualcun altro. Aveva registrato in ritardo la mano di Oliver sulla sua che quella si era già allontanata. Le sue dita si mossero subito, si spinsero leggermente in avanti: sentiva già la mancanza di quel breve contatto, la necessità di avere Oliver tatuato su ogni parte del corpo.
Era un bisogno così viscerale, preoccupante, ma nulla a cui poteva resistere.
Abbassò la testa, congiunse le mani sul tavolo giocando con l’anello che aveva al dito. «Olivia.» rispose sospirando, anche solo il suo nome sembrava portare con sé un peso a cui Mary soccombeva ogni volta. Non era più così tanto difficile parlarne, non come all’inizio. L’esperienza al di fuori del continente aveva aiutato la sua testa a compartimentalizzare ogni emozione legata alla donna amata.
Con la testa ancora china, il sospiro si confuse con una leggera e silenziosa risata. Come poteva parlare all’uomo che amava della donna che aveva amato? Bastò guardare l’altro in viso che ogni lineamento di Mary apparve più rilassato, aperto. Qualsiasi emozione, pensiero avrebbe condiviso con l’altro, sarebbe stato accettato senza giudizio alcuno. «Non sono abituata ad amare qualcuno.» iniziò, lo sguardo che assorbiva i lineamenti dell’altro, l’attenzione di chi non voleva perdersi neanche una smorfia, un sospiro diverso dal solito. Di Oliver voleva registrare tutto e portarlo per sempre nella sua mente. «Mh no, è strano, sai…» lo sguardò si spostò su di un punto indistinto della sala, la musica ormai sconosciuta scandiva il ritmo dei suoi pensieri. «Saper amare. È strano.» pensò che da lì a poco sarebbe partito un flusso di coscienza e, nel realizzarlo, riportò l’attenzione su Oliver. Basta girarci intorno, doveva raccogliere e pesare ogni parola. «Ho sempre pensato di non esserne pienamente in grado, che forse lo faccio nel modo meno corretto possibile.» le mani si strinsero tra loro, le nascose di nuovo al sicuro sul suo grembo, il corpo restò immutato nella sua posizione. Immobile nel tempo e nello spazio, poteva sentire il suo cuore battere non troppo in fretta, non troppo lentamente. «Con Olivia ho commesso tanti errori, il primo è stato la mia costante assenza.»
L’intenzione, poi, venne espressa dall’inclinazione del suo corpo: si spinse avanti con il busto, la sensazione che stesse per confessare all’altro un segreto. Ma non lo era, non più. Non lo era per Mary e voleva che non lo fosse neanche per Oliver.
«Non sono più quella persona, ora. Non voglio più commettere gli stessi errori.»
Avrebbe capito, si convinse. E se non fosse stato così, avrebbe ribadito il concetto semplicemente essendo presente. Non voleva essere per Oliver un ricordo cristallizzato nel tempo: Mary era il presente e, si disse, doveva essere il futuro.
Il busto tornò indietro, la sedia produsse un leggero stridio che sembrò riportarla sulla terra. Nascose il sospiro nella testa abbassata, al di là dei capelli che con un gesto della mano riportò al loro posto, la ciocca sinistra dietro l’orecchio, la destra protagonista sul suo volto.
Assaporò ogni attimo dell’apertura del regalo con la sensazione nello stomaco che presagiva una vittoria. Il suono della sua discreta risata si confuse con quello di Oliver e acchiappò nei suoi occhi quel barlume di entusiasmo che si replicò nel suo stesso sguardo. Non fece cenno allo zampillare di fumo rossastro che comparve nella ricordella e seguì con lo sguardo quando questa svanì sotto la camicia dell’altro.
«Raccontami del viaggio, mi piacerebbe sentirti.»
«No.» rispose di getto, l’urgenza nella sua voce. «No, Oliver. Voglio sapere di te, prima.»
Voglio sapere tutto. Voglio saperti felice. Voglio saperci insieme.
«Come stai?»


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view post Posted on 19/3/2023, 19:11
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Amor, avrebbe voluto bisbigliare. Chiamando il suo nome, vivendo il suo nome – in quel momento, in quella sera, e per ogni altra occasione. [...]
Mary Grenger era lì, come un punto fisso nel tempo.


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Vedere il volto di Mary, dopo tempo, continuò ad apparirgli come un miraggio. Combatteva contro di sé, in modo beffardo e bizzarro insieme – evitava di battere più volte le palpebre, mancava d'ogni altra distrazione d'insieme. Temeva, scioccamente, di perderla di nuovo per la colpa di un misero, rapido errore. Sciocco com'era, non s'accorgeva di cadere nella stessa trappola, di confondere mente e cuore al suono della voce dell'altra, dell'intreccio dei loro occhi, del modo in cui s'ancorava alla sua presenza. In segreto, così infantile, celava appena le braccia sotto il tavolino, e lì vi pizzicava la pelle a conferma d'essere reale, d'essere tutto concreto come aveva desiderato da lungo andare. Confondeva il battito del petto con l'assalto d'ogni prossima visione, al limbo tra l'infatuazione e l'orrore d'eclissarsi in definitiva. Arrivò a pregare l'Oltre – nell'appello di un nome dopo l'altro – d'arrestare il passo, di fermarsi. Per un'ora, per un giorno, per una notte – il tempo, con Mary, non era mai abbastanza. Ascoltò ogni voce, di lei. Immaginò terre segrete, già mature del desiderio che non aveva mai dimenticato. Immaginò il cambiamento, in lei. Il modo in cui parlava, il modo in cui le mani scivolavano, il modo in cui portava i capelli dietro l'orecchio... Mary, si diceva, gli appariva in perpetuo. Parte di lui s'avvinghiava alle orme che avevano inseguito insieme, di comune accordo, e altre invece indagavano la novità del rientro.
Cos'aveva fatto, in Africa? E perché, perché, aveva scelto una tappa tanto lontana? Punse il cuore d'egoismo, all'idea di voler tornare sull'argomento, di voler spezzare la delicatezza – pur malinconica – del loro ritrovo. L'idea probabilmente sbagliata d'essere stato parte della decisione – una parte negativa, di colpa e di rimorso – gli scorticò la mente, mentre il nome di Olivia rafforzava la morsa in petto, perfino in lui. Pianse il dolore, tacitamente, di non aver mai sentito parlare di Olivia prima d'allora. Pianse la solitudine – di Mary, che aveva perduto un affetto prezioso; e... di sé stesso, diventando egoista, alla consapevolezza di non aver mai conosciuto né saputo di una presenza tanto vivida nella vita dell'altra. Tu l'hai fatto, Oliver?
«Ha un nome bellissimo.» Non poté fermarsi, e parlò prima d'averne certezza. La frase scivolò leggera, quasi un sussurro tra le note dell'altra. Apprezzò solo, intimamente, di aver utilizzato un tempo presente. Olivia ha un nome bellissimo, aveva detto. In cuor proprio vi rivide una promessa fatta a sé, al richiamo di mancanze che appartenevano anche a lui. Si accorse in seguito di aver portato una mano al petto, carezzando la Ricordella sotto la camicia.
Che forse lo faccio nel modo meno corretto – tra tutte, forse, gli risultò come frase più disarmante. Il peso dell'assenza costante, il rammarico della separazione: talvolta voluta, talvolta... necessaria. Comprendeva. Comprendeva davvero. Aveva fatto lo stesso, ancor più nei riguardi di Mary. L'affetto che provava per lei, d'altronde, germogliava tuttora in modi che neanche lui avrebbe saputo definire. Si era tirato indietro, per il dolore che la vita gli aveva riservato. E lei... lei gli era apparsa come la perdita peggiore. Lasciò scivolare le mani in avanti, sul tavolo. Intrecciò le dita, le une alle altre – una barriera, forse una rassicurazione. Sollevò gli occhi verso Mary, vi mostrò – per la prima volta – un velo d'ombra.
«C'è forse un modo giusto per amare?» O unico, pensò. Stemperò le parole con un cenno di sorriso, sentendo un nodo alla gola. Pensò, per un attimo, di non voler più nascondersi. Non con lei.
«Mi dispiace per tutto quello che tu abbia dovuto vivere.» Banale, si accusò. Banale, così banale. «Mi dispiace, perché un dolore simile non va via. E mi dispiace, perché dovrei capire. Ma c'è una parte di me che odia l'idea di esserti stato lontano, di non aver potuto rendere anche mio... tutto, tutto questo.» Oliver non aveva mai fatto fatica a comunicare, mai. Sentì il cruccio della lingua, l'atipica scoperta di una lotta intima. Prese un respiro.
Sciolse le mani, entrambi i palmi d'un tratto aperti. Vi si scorgevano linee rosee, venature e tagli. Vi guidò lo sguardo involontariamente, tornando infine al porto sicuro ch'era l'altra.
«Io non sto bene, Mary.» Gli suonò come una confessione, un segreto sinistro. In sottofondo, in contrasto, Celestina deliziava i pochi clienti del locale... la vita era una giostra.
«Ho conosciuto la morte, l'ho accolta e respinta. Ero anch'io, alla tragedia di Hogsmeade. Ho vissuto un incubo che è durato tanto, troppo tempo: per mesi sono stato solo, per mesi ho perduto anche me stesso. E, ti prego.» Non fermarti, Oliver.
Guardò Mary, oltre il tempo. Vide una finestra, un tetto, un tramonto.
«Ti prego, non credere che abbia smesso di cercarti.»

Le mani, alla fine, tremano.
Si allungano in lingue di pelle, di fuoco, di macerie.
Le mani, alla fine, ti cercano.
«Perché sei andata via da me?» ripete.

Oliver, ora, ha paura.

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view post Posted on 5/4/2023, 09:57
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«Ha un nome bellissimo.»
Le labbra si aprirono in un leggero sorriso. All’ironia, pensò, di essersi innamorata di due persone che condividevano il nome. A due persone che condividevano la tortura e l’agonia di avere nella loro vita una persona come Mary, una persona che non era mai riuscita a concedersi come avrebbe voluto.
Dal passato, però, si impara. Ragionare su Olivia ed Oliver come un flusso continuo d’amore era impresa ancor troppo matura per lei, non aveva ancora le capacità emotive per spingersi fin lì. Riconoscere di amarli entrambi, infinitamente, per sempre, era qualcosa su cui poteva aggrapparsi più facilmente.
«C'è forse un modo giusto per amare?» Sorrise ancora una volta, i suoi occhi a raggiungere le labbra di Oliver, vederle amaramente aprirsi ad emulare le sue. Fece un cenno della testa veloce, quasi impercettibile. No, non c’è, esiste solo il mio amore per te, che spero sia giusto. Per noi. I suoi occhi caddero sulle mani dell’uomo e sentì la necessità di prenderle, di intrecciarle con le sue. Amare, delle volte, appare così infantile. Aveva sempre pensato, da piccina, che gli adulti avessero un modo di amarsi completamente sbagliato. Ai suoi occhi, non facevano altro che comprarsi regali, andare fuori per cena, guardarsi e guardarsi e guardarsi. Abbracciala! Avrebbe voluto urlare con la sua vocina. Per Mary l’amore era fisico: era abbracci, mani che si toccano fino ad intrecciarsi, piedi che giocano sotto le stesse coperte. Voleva spingersi avanti ma percepì d’un tratto di essere bloccata. A sua volta, allora, lasciò che le mani si incrociassero sul tavolo e attese scrutando l’altro, cercando di leggere al di là delle sue parole.
«No, no.» si affrettò a sussurrare, la percezione che il cuore nel suo petto potesse saltar fuori a sua volta, correre sul tavolo con le sue gambette fino a lanciarsi a prendere il volto di Oliver tra le sue manine piccine e continuare a dirgli di no. No Oliver, come osi odiarti per i miei sbagli? Avrebbe detto il cuoricino. Come osi odiarti per i suoi? «No.» ripeté allora con convinzione. Le sue mani, prima ancora che il suo cuore tornasse in petto, avevano già raggiunto quelle aperte del grifondoro. Le sue mani scivolarono velocemente verso quelle dell’altro, fino a che i palmi non si scontrarono con gentilezza. Quando le punte delle dita percepirono qualcosa di ruvido al contatto, Mary scrutò con sguardo curioso seguendo la linea che nel frattempo Oliver aveva tracciato nell’aria.
«Io non sto bene, Mary.» Risulta difficile mettere su carta una sensazione così devastante come il dolore che stava provando in quel momento l’ex-grifondoro. I suoi occhi, che ora portavano con loro il peso delle lacrime, si alzarono in direzione di Oliver. L’indice della mano destra raggiunse il polso del ragazzo e, inconsciamente, vi aveva iniziato a disegnare sopra dei cerchi nel tentativo di calmarlo. Nel tentativo di calmarsi. Deglutì nella speranza di buttar giù tutto ciò che stava provando per donare la sua totale attenzione all’altro. Buttar giù il senso di colpa, buttar giù la voglia di prendersi a schiaffi. La tragedia di Hogsmeade era diventata anche la tragedia della vita di Oliver e, per estensione, la sua. Ne aveva parlato con Ariel, si era informata poi.
Quando realizzò, le sue mani aggrapparono con troppa forza quelle di Oliver. Quaranta vittime e Oliver avrebbe potuto essere tra di loro. «Oliver, io…» strinse con vigore gli occhi sperando che l’oscurità le desse la lucidità necessaria per finire quella frase o almeno per formare un pensiero compiuto. Invece, pianse.
Si diceva di dover essere forte per il dolore dell’altro e invece, pianse. «Mi dispiace, Oliver.» eventualmente, riempendo i polmoni d’aria per evitare di singhiozzare. «Mi dispiace per quello che hai dovuto vivere, io-» avrei voluto essere con te.
«No, no. Non era compito tuo cercarmi, Oliver. Non hai nessuna colpa, è tutta mia. Te lo giuro, Oliver. È mia.» continuò con vigore, ora. La sua voce, tremolante, si imponeva con forza nel silenzio di un Madame Piediburro che non produceva più nessun suono. O forse sì, ma non per lei, non per loro ch’erano troppo assorti l’un l’altro.

«Perché sei andata via da me?» era arrabbiata ora, con sé stessa. Con le scelte sbagliate della sua vita e con quelle giuste. Era arrabbiata per essere scappata, per essere egoista. «Guardami, Oliver. Ti supplico.» ripeteva il suo nome come una preghiera per assolvere dai suoi peccati. «Non lo so, non lo so.» allontanò le sue mani da quello dell’altro, entrambe a riposare sul tavolo.
Dal passato s’impara.
Dagli errori s’impara
.
«Ma sono qui ora.» con lo sguardo basso, la voce graduata per essere percepita da Oliver.
«Sono qui ora.» a sé stessa, mentre le mani sul volto scacciavano velocemente le lacrime fino a diventar umide. Lo sguardo, poi, le divenne convinto e con serietà agì. Non ricordò di averlo pensato, non ricordò di aver ragionato sulla giustezza di quelle scelte, ma agì. La mano sinistra si andò a posare con un tonfo leggero tra le due di Oliver. Il perno che le diede modo di spingersi all’in piedi. Il suo corpo si inclinò sul tavolo, la mano destra raggiunse la guancia di Oliver. Poi, la sua fronte andò a raggiungere quella dell’altro. Gli occhi le si chiusero di colpo, il respiro tremò attraverso le sue parole. «Sono qui, ora, sono qui. Sono qui.»
Si fermò, poi. Non doveva essere lei a decidere se spingersi o meno in avanti.
C’era molto da domandare su Hogsmeade, molto da piangere, molto da confessare. C’era molto che voleva ancora da Oliver, che pretendeva da lui. Ma, in quel momento, era lei che doveva dare. Conforto, amore incondizionato, tutto ciò che da lei Oliver voleva trarre.


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view post Posted on 6/6/2023, 09:26
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Amor, avrebbe voluto bisbigliare. Chiamando il suo nome, vivendo il suo nome – in quel momento, in quella sera, e per ogni altra occasione. [...]
Mary Grenger era lì, come un punto fisso nel tempo.


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In cuor proprio, in origine, aveva creduto fortemente d'essere assueffato all'assenza: di certo a causa della solitudine, del peso atipico verso una vita beffarda, poiché malauguratamente giovane; aveva maledetto il tempo con ogni parte di sé, nel profondo.
Rinnegare il presente, fuggirvi, rintanarsi. A dispetto d'ogni resistenza, era stato in trappola – l'infermeria, il letto d'ospedale, le tele asfissianti di lenzuola e di disinfettante. Le palpebre, tuttora, s'imprimevano di pura sciagura. Combatteva costantemente la sensazione di tornare indietro, di capitombolare verso una cornice che avrebbe desiderato dimenticare per davvero – né sortilegi né soluzioni d'altro genere, tuttavia, avrebbero mai potuto rendergli grazia. Si tingeva, in effetti, di codardia, la presenza demoniaca più infida al mondo. Ne aveva sentore giorno dopo giorno, negli aspetti velati di cautela, di un'abitudine che gli stava stretta: non riusciva più a dormire al buio, completamente al buio, necessitando di una candela accesa o, perlomeno, di un riflesso di luce d'ogni genere; non riusciva a passeggiare per la High Street, al Villaggio di Hogsmeade, senza trattenere il respiro per almeno un istante di troppo; non riusciva a distaccarsi dal necrologio delle vittime – corpi tumefatti dall'orrore degli Artigiani, che lui aveva conosciuto e vissuto in prima persona. Era... in sospeso, in modi che non avrebbe facilmente risolto.
«Non è compito mio cercarti.» Gli sembrò d'aver parlato in sussurro, una nota vertiginosa – malinconia, tristezza, ma nessuna rabbia. Non c'era perfidia, nella sua voce. Forse tradiva rimpianto.
«Ma sarà sempre il mio desiderio più profondo.» Io voglio cercarti. Aveva mai smesso per davvero? Nella lontananza che aveva pedinato gli ultimi mesi, lui aveva sviscerato le trame del tempo, si era spinto oltre ogni confine: il Cristallo, le Rune, il Fuoco e le Ceneri, perfino l'Occhio. Aveva torturato il futuro come poche altre volte gli era mai capitato di fare, inseguendo l'impronta astratta che Mary aveva lasciato. Sulla bocca, tuttora, s'adagiava il gusto del miele, del sale e del mare, della sabbia e di legno in corteccia – che fosse vero o immaginario, aveva cullato l'attesa stessa. Scorgere Mary dissiparsi, in precedenza e in momento, gli risultò la condanna peggiore; mai, mai, avrebbe voluto vederla attenuarsi sotto i suoi occhi, mai avrebbe voluto ferirla, renderla triste. D'un tratto, famelico, il tempo gli si ritorceva contro, e privava l'incontro della dolcezza – benché malinconica – del ritrovo voluto. Notò, d'istinto, di aver mozzato il respiro, di aver perduto di conseguenza ogni parola. Le mani, di nuovo, tremavano all'idea di aver valicato le ombre, di aver spinto Mary – Mary – al pianto. Non ebbe bisogno di attendere l'altra, il modo in cui tentò di avvicinarsi, il modo in cui provò a consolare anche lui; il mondo – in grido – gli si sciolse in frammenti, di memorie confuse. Eppure, c'era lei. Ovunque, in ogni tempo, come porto sicuro. Parve allontanarsi, per un istante: oltre la sedia, via dal tavolino, in piedi. E poi, di scatto, le si accostò, l'istinto famelico – viscerale, così intimo – di starle accanto, di toccare la sua pelle, di stringerla, stringerla a sé. Non lasciarla andare, non più. Non gli importò, curiosamente, di eventuali occhiate indiscrete in locale.
Sono qui ora, ripeteva Mary. Per la prima volta da molto lo erano entrambi. Si accorse di sorridere nonostante la situazione, mentre una lacrima – dapprima in solitaria – addolciva perfino le sue guance.
«Sono qui, Mary. Siamo qui ora.» Per un attimo, per una sera, per tutto il tempo che avrebbe voluto. Il passo futuro, per loro, non sarebbe stato affatto compassionevole, e avrebbero danzato, danzato in continuo – un incontro, un altro, un déjà-vu. Non avrebbe saputo dire fino a quando, il futuro – per Mary, per lui – gli si celava, come in promessa. E forse... forse rendeva la stessa aspettativa più vivida. Non c'era conta per i giorni con lei, non c'era mai stata. Che fossero all'esordio o alla fine, Mary Grenger restava. Chiederle di andare via insieme, di perdersi alle tinte del tramonto, e di restare fermi, seduti da soli su una panchina senza mai lasciarsi.

Stretti per paura di sparire,
e ritrovarsi, ritrovarsi sempre.
Mary, resta con me.
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Sei sempre parte del mio cuore.
Grazie ♥
 
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