Era affamato, fin troppo affamato. E in Sala Grande stava già terminando il consueto pranzo.
In un momento pieno di speranza si vide seduto comodo al tavolo della sua casata, pronto a riempirsi lo stomaco con la zuppa del giorno e con l’ormai famoso stufato di carne. Se si fosse concentrato a sufficienza avrebbe potuto persino immaginare il tipico odore di buono farsi largo tra le sue narici… prima di tornare alla brusca realtà!
In quel momento Mike stava percorrendo a lunghi passi la prima rampa di scale del castello, quella che invece di portarlo in Sala Grande l’avrebbe condotto dritto dritto al corridoio principale del piano terra. Quel luogo, solitamente caldo soleggiato e accogliente, era anche sede della famosa “Segreteria Scolastica”, un luogo che per gli studenti poteva definirsi ostile quasi quanto il più noto “Ufficio del Custode”.
Odiava quel lato burocratico del suo essere Caposcuola, ma quando Thalia il giorno prima l’aveva supplicato, o per lo meno, così l’aveva intesa lui, di passare di lì per consegnare ed archiviare gli ultimi rapporti della settimana, cos’altro avrebbe potuto fare?
Insomma, una mano lava l’altra, e con tutt’e due si fa una pozione.
Quel giorno indossava una felpa scura sopra ad una camicia bianca, e aveva con sé la consueta borsa a tracolla che, per l’occasione, era piena di resoconti sulle ultime ronde notturne e di rapporti di dubbia utilità su qualche primino particolarmente indisciplinato.
Una noia mortale e, per archiviarle tutte, ci avrebbe impiegato una buona mezz’ora. Forse anche di più, vista la sua insofferenza verso quel tipo di attività.
Seppur controvoglia, aveva ormai raggiunto il suo obiettivo; una porta non troppo grande, ma di legno curato, con affissa l’inconfondibile targhetta della Segreteria. Si fermò per un istante fuori dall’ingresso, giusto il tempo per sorridere tra sé perché, insomma, non tutti i guai dovevano venir per nuocere. Aveva dovuto dire addio alla sua zuppa, al suo stufato, e probabilmente anche ad una generosa fetta della sua torta ai mirtilli preferita, ma se non altro avrebbe trovato quell’ufficio completamente vuoto.
In tempi normali, infatti, Lucille Darmont, una mitologica donnina di cinquant’anni alta un metro e un boccino, presidiava quel luogo con fare severo e rigoroso. In quel momento provava invidia addirittura per lei, per quella figura soprannominata un po’ malignamente come l’incrocio tra un Goblin, per le sue ovvie caratteristiche fisiche, e una Sfinge, per la natura velatamente violenta sempre pronta a distruggere l’autostima altrui a suon di giochetti psicologici. Anche la Darmont, per quanto potesse sembrargli strano, doveva pur nutrire sentimenti e bisogni umani quali il richiamo del cibo.
Lasciandosi andare ad un ultimo sospiro, aveva già aperto la porta senza preannunciarsi, per poi lasciar cadere la borsa sulla prima sedia che aveva trovato libera.
Aveva perfino sbadigliato sonoramente, visto che non aveva assolutamente voglia di mettersi ad archiviare scartoffie inutili; ma in quella stanza sembrava esserci qualcosa di strano rispetto al solito. In tutte quelle rare volte che c’era stato, Mike aveva sempre trovato le finestre spalancate, con il sole intento a baciare con energia tutti gli angoli di quella stanza. In quell’occasione, invece, gli scuri erano semichiusi e la penombra faceva assomigliare quel luogo all’aula di pozioni, vista rigorosamente dopo l’inizio del coprifuoco.
Immaginate dunque la reazione dell’inglese quando, nel voltarsi verso l’intera stanza con l’intento di dirigersi verso l’enorme cattedra, si ritrovò a intravedere la figura di una strega. Per un istante gli sembrò di immaginare il vecchio stile di quei biondi capelli ricci, prima che la realtà lo riportasse alla ragione. Insomma, forse aveva avuto un momento di debolezza dettato da una mancanza di energie, ma a scrutarlo con curiosità c’era comunque un viso noto, decisamente più familiare.
«Oh, ciao Emma! Posso chiederti cosa ti spinge fin qui?»