Avevo sempre diffidato dai cambiamenti. Mi piaceva circondarmi di abitudini consolidate, scavarmi la mia piccola nicchia nel disordine del mondo per adattarla giorno dopo giorno ai miei contorni, fino a quando non fosse diventata perfettamente comoda. Quando un elemento di disturbo si intrometteva nell'equilibrio così accuratamente creato, la mia prima reazione era di ansia: non potevo mai sapere che mostri avrebbe generato. Sentivo di perdere, assieme al controllo sulla mia quotidianità, una parte fondamentale di me stessa. Va da sé, quindi, che di rado sconvolgevo volontariamente la mia vita.
Non era semplice, con queste premesse, spiegare che cosa mi avesse spinta a fare domanda di docenza. Certo, se anche avessi ottenuto la cattedra, avrei continuato a vivere e lavorare a Hogwarts, che ormai conoscevo come i palmi delle mie mani. Avrei continuato a frequentare le stesse persone, a consumare i pasti al tavolo del personale scolastico; le mie mansioni, tuttavia, sarebbero state radicalmente diverse. Il mio rapporto con gli studenti, soprattutto, sarebbe cambiato: per loro io sarei diventata un'altra persona, totalmente sconosciuta nelle nuovi vesti; lo stesso sarebbe accaduto a loro, che da pazienti sarebbero diventati
alunni, in una pienezza di significato di tale parola che prima non avevo considerato. Avevo paura. A dirla tutta, ero letteralmente terrorizzata. Eppure, non mi sarei bruciata quella possibilità per niente al mondo.
Avevo maturato la mia convinzione lentamente, settimana dopo settimana, trasformando pensieri sporadici e privi di peso in una risoluzione da portare fino in fondo. Una volta superati i dubbi di natura personale, il quesito importante riguardava la direzione scolastica: mi avrebbero concesso quella possibilità? Ero giovane, e i pochi anni che avevo trascorso a lavorare li avevo dedicati alle mansioni mediche. Per molti versi, il cambiamento sarebbe stato radicale.
Scoprii con gioia che mi era stata accordata abbastanza fiducia da fissarmi un colloquio. Il gufo mi arrivava direttamente dalla Segreteria Scolastica: come era accaduto a Lucien ormai diverso tempo addietro, prevedevo che anche la mia assunzione sarebbe dipesa dalla vecchia segretaria.
Presi la mancanza di indicazioni come un segno positivo: mi si riconosceva il mio ruolo all'interno del castello, la mia familiarità con esso era così consolidata da non richiedere grosse spiegazioni. Mi sentii trattata, letteralmente, come una persona di casa.
Ciò, ad ogni modo, non mi impedì di prendere le mie precauzioni. La Segreteria non era come il secondo piano, che conoscevo a menadito per la collocazione dell'infermeria: per lo più non avevo niente a che fare con quel posto. Così, la sera prima avevo percorso i corridoi di cui serbavo un ricordo sbiadito, per passare, come per caso, davanti alla porta della Segreteria. Non mi ero fermata, lanciando appena un'occhiata per sincerarmi che la targhetta fosse quella giusta, prima di proseguire con l'aria di chi ha una meta ben precisa. Dunque era lì che si sarebbero giudicate la mia persona e le mie competenze. L'agitazione che mi aveva invasa era per lo più piacevole.
Il giorno stabilito, quindi, potei imprimere ai miei passi una sicurezza abbastanza convincente. Mi fece bene camminare spedita, sentire il ritmo vivace dei miei tacchi che risuonava sotto ai soffitti altissimi. Le braccia mi dondolavano ai fianchi, sfiorando la gonna morbida. Scendeva quasi fino in terra ed era di un tessuto un po' pesante per le temperature ancora miti, ma l'avevo ritenuta il capo più adatto a darmi il tono che desideravo, di persona matura e sicura di sé. Per sentire meno il caldo avevo sollevato fino ai gomiti le maniche della camicia, e mi sembrava che ciò aggiungesse un tocco di dinamicità alla mia figura, come se puntassi sulla comodità così da potermi mettere in azione da un momento all'altro.
Avevo calcolato il tempo così da arrivare alle nove in punto, precisa come l'orologio dell'infermeria. Mi presi solo il tempo di un profondo respiro, così da rilassare le spalle e non dare l'impressione di essere tesa come un baffo di Kneazle.
Toc toc toc, tre colpi in rapida successione annunciarono il mio arrivo.
Non sapevo bene che cosa mi aspettasse al di là della porta. Le possibilità si dipanavano e intrecciavano senza che la mia immaginazione sapesse districarle; avrebbero potuto essere forme mostruose o meravigliose, e non mancava molto prima che lo scoprissi.