N
ote autunnali, di terra e di pioggia, di bosco e di resina – tutto poté trasportarlo lontano, in ricordi che il cuore aveva catturato in modo nostalgico. Gli sembrò d'essere in vacanza, zaino in spalla, tenda all'occorrenza: lui, la sua famiglia, tutti pronti all'avventura com'era stato negli anni più felici. Ovunque s'espandeva l'essenza aromatizzata di foglie, radici e petali di mandragora, e per un attimo avrebbe giurato d'essere chissà dove, perduto in un déjà-vu letteralmente ad occhi aperti. Un rettangolo di prato in fiore, il bagliore di una notte traboccante di stelle, tutto lo guidò via – quasi cullando l'ombra famelica, tuttora nel petto. Nel sospiro che infranse la percezione in atto, sentì il gusto del miele mescolarsi a quello pastoso, ben più intenso delle piantine intorno. Sfumò dolcemente, il frammento di una visione che forse visione non era – il tempo amava prendersi gioco di lui, lo sapeva. Sovrappensiero, si lasciò scivolare lo zainetto di stoffa lungo la schiena, adattando le bretelle con pochi movimenti; forse più incuriosito di quanto non fosse già stato fino a quel momento, l'Asticello spuntò maggiormente dal taschino della giacca: occhietti vivaci, colorati come gocce d'inchiostro, scrutavano in lungo e in largo. La testolina – appena una foglia – soffiava delicatamente, seguendo i movimenti più scattanti della creaturina. Oliver inspirò profondamente, indugiando piacevolmente nelle tinte di tronco e d'erba che l'Asticello gli risvegliava.
Il tavolo imbandito, di fronte, rafforzava l'incantesimo del passato: era facile immaginare i cupcake deliziosi come quelli cucinati da zia Adele, così come collegare subito le caraffe di tè al bricco di latte e miele che sua madre non smetteva mai di zuccherare fino al tramonto. Si era ripromesso di non cadere preda della malinconia, non di nuovo. Aver lasciato Penny in dormitorio, affatto insistendo affinché potessero partecipare insieme all'incontro extra-scolastico, si svelò come l'errore sciocco che aveva volontariamente compiuto. La voce di Camille, immediata, gli giunse come un vero e proprio soccorso – poté riconoscerla ancor prima di vederla, girandosi in fretta. Scintille d'argento, di stelle e di biancospino, dipinsero la memoria dell'ultimo incontro tra loro, e gli sembrò di tornare indietro alle radici di una quercia tessuta di segreti, sogni e promesse. Il racconto di una notte indimenticabile, d'un tratto, sfavillò di nuovo, concretizzandosi nel tremito del petto e delle braccia, infine nel sorrisetto più gioviale dei tempi recenti. Era felice di ritrovare Camille, lo era davvero.
«Tu.» Accompagnò il saluto bizzarro con l'indice della mano, imitato da una radice sottile dell'Asticello. Formavano una coppia piuttosto curiosa, in effetti.
«Hai scritto un articolo sensazionale, questa volta ti sei perfino superata.» Oh sì, aveva custodito il commento fin dal giorno in cui il saggio sulla mandragora era stato mandato in stampa. Nel corso degli anni aveva preso l'abitudine di ritagliare e conservare le pagine più interessanti e vivide del giornale, inserendole a mo' di raccolta in taccuini e diari vari. Quello di Camille, ancora una volta, lo aveva catturato fin nel profondo. Lo aveva riposto proprio come segnalibro, nel tomo di Erbologia che utilizzavano per i corsi scolastici – un po' come ad averlo sempre con sé. Sapeva di aver accantonato momentaneamente la domanda dell'altra, ma aveva atteso l'occasione di complimentarsi da giorni. Recuperò in fretta, porgendo il bicchiere vuoto verso l'amica e ringraziandola, in un rapido cenno del capo, per l'offerta del tè freddo.
«Le vacanze sono andate bene, anche se ammetto di non aver fatto molto. Sono stato ospite di Penny.» Sistemò lo zainetto, stringendo una bretella.
«Forse lo ricorderai, è il concasato che è spesso con me. Solite cose: disinfestazione degli gnomi da giardino, qualche partita a scacchi... Però siamo stati in campeggio alla brughiera di Bodmin, al Nord della Cornovaglia. È un luogo incantevole, alcuni la chiamano la Città di Granito, ha statue così particolari che ricordano delle creature magiche, come dei giganti. Ed è popolata da tantissimi folletti. Forse è stato questo breve viaggio a spingermi a correre al Serraglio e a conoscere lui.»Con il volto illuminato dall'espressione gioiosa, lo sguardo indicò proprio l'Asticello nel taschino: un rametto, un altro, una cascata sottile di foglioline, la creaturina si arrampicò oltre il tessuto, quasi come a porgere i suoi omaggi – o forse semplicemente per curiosità – nei riguardi di Camille. Era buffo, tutto sommato, ma in sé mostrava uno stile pacato, molto elegante, che aveva conquistato Oliver in un battito di ciglia. Spiegò che si trattasse di un dono natalizio da parte di una concasata cui voleva bene, il cui patentino aveva atteso invece giorni migliori. Camille era forse una delle pochissime persone a conoscere quasi tutte le creature che vivevano con Oliver – magari, si disse, non avrebbe dovuto calcare la mano sul discorso, c'era un certo regolamento...
«Proprio così, è un Asticello.» Ormai già alla rincorsa lungo la divisa, la creaturina risaliva velocemente con l'aggancio di un bottone dopo l'altro. Quando arrivò sulla spalla di Oliver, allungò tentacoli smeraldini verso Camille, quasi a chiederle di avvicinarsi. Era pronto per spiccare un saltello.
«Oh ecco, credo abbia un debole per te. Vuoi...»Oliver. Il tempo s'infranse, incastrando frammenti confusi sotto le ciglia – il comando di una voce, il suono di una familiarità che non avrebbe mai,
mai potuto dimenticare. Gli sembrò di perdere consistenza, di affievolire il contatto presente. Per un attimo, prima di voltarsi, si convinse d'essere già lontano, in un tuffo al passato che aveva soltanto sognato. Nel sospiro trattenuto, nel battito folle del cuore, percepiva l'emozione colorarsi d'immagini – una serra, un ufficio, un divanetto scarlatto, e un leone di stoffa, un pugno di funghi dormienti, un bagliore di occhietti d'elfi. Ricordi, quelli, che credeva impalliditi, alle intemperie degli anni trascorsi. Ricordi così belli che aveva temuto, talvolta, fossero stati soltanto frutto d'illusione vera e propria. Invece,
invece...
«Per Merlino ballerino!» Gli uscì tutto d'un fiato, le gote già colte nelle fossette così familiari in lui. Quell'espressione, quella frase che aveva sentito così tante volte pronunciare, era diventata parte anche di lui – l'eterna testimonianza di qualcuno che lo aveva reso migliore. La mente strideva nel timore di un errore, ma il cuore... il cuore già sapeva. Come avrebbe mai potuto dimenticarla?
«Aquileia Goodheart.» Desiderò chiamare il suo nome per intero, esprimerle fin da subito il rispetto, la vicinanza e l'assoluta conferma che
lei, tra tutti, fosse memoria inattaccabile in lui. Ora che poté vederla vicina, per bene, ebbe l'impressione che il tempo potesse riscriversi. Era felice, lo era profondamente.
«Non ci credo, non ci credo.» Cercò l'abbraccio dell'altra, d'istinto. Intimamente sperò che il momento potesse durare per sempre.
«Il tempo è un incantesimo, per te. Sei sempre meravigliosa.» Lo pensava davvero, gli appariva come se nulla fosse cambiato. Si affrettò a fare le presentazioni, raccogliendo volontariamente l'onore del momento.
«È la storia di Hogwarts, questa strega. Docente di Erbologia, Vice-Preside, Capocasa Grifondoro... tassello importante per tutti noi.» Era certo di poter parlare per lungo andare, la sola presenza della strega con loro gli rievocava numerosi giorni felici, di certo traboccanti di una spensieratezza che a malincuore sapeva di aver perduto. Nuovi volti, nel frattempo, si avvicendavano in lungo e in largo, a riprova dell'inizio oramai scandito dell'incontro accademico. Con un cupcake in una mano, un bicchiere colmo di tè ghiacciato tuttora da provare, Oliver adocchiò alcuni concasati nei dintorni e rivolse loro cenni di saluto – Emma, tra tutti, gli parve non troppo distante e cercò di sorriderle, tra una figura e l'altra in avvicinamento. L'arrivo di Phoebe collimò con l'allegria più sincera del momento, e si domandò quando fosse stata l'ultima volta ad aver provato una tranquillità come quella.
«Ciao, Phoebe. È bello ritrovarti qui.» Conosceva la studentessa, come probabilmente tutti al Castello di Hogwarts: in parte per la spilla che l'altra aveva meritato nel tempo, in parte ancor più per le riunioni del Comitato del C.r.e.p.a. A proposito del quale già annuiva al commento della Corvonero.
«Ci puoi giurare, a breve riprendiamo alla grande.» C'erano tanti progetti, traguardi e impegni da ripristinare, iniziare e portare a termine, anche lui non vedeva l'ora. Con un rapido cenno verso Aquileia, indicò entrambe le studentesse e concluse subito, il tono divertito ma sincero.
«Prefetto Tassorosso e Corvonero per te, un rientro con il botto.» Lasciò che fossero le altre a proseguire con eventuali presentazioni, si ripromise in ogni caso di non perdere completamente d'occhio Aquileia – una parte di sé sperava che tutti loro, lì presenti, potessero ritrovarsi alle postazioni vicine, all'interno delle Serre di Erbologia. In effetti, i partecipanti cominciavano ad avviarsi, superando l'ingresso che per lui – come studente – era tanto familiare. Ne approfittò per un sorso di tè, assaporando il gusto originale che la Professoressa Fiachran aveva descritto poco prima. Mostrandosi pronto a procedere a sua volta in fila, cercò la conferma delle altre – non avrebbe perso di vista neanche l'Asticello, naturalmente. Lo slancio energetico della bevanda assecondò l'emozione in crescendo del momento, seguendo la folla verso la saletta. Scoprì fin da subito l'impronta magica: le Serre, in effetti, apparivano molto più grandi, estese e curate di quanto non fossero di solito. Da sempre, per Oliver, quello rappresentava un luogo del cuore – in parte per la passione d'erbologia, in parte per ricordi strettamente soggettivi. Si lasciò affascinare dalle piantine, dal tavolo e dai dettagli circostanti.
«Compagni di banco?» Sarebbe stata una domanda volta un po' a tutti, seguita da un occhiolino vivace. Gli piaceva l'idea che potessero essere accanto: il tavolo permetteva di sedere anche di fronte, gli sembrava una disposizione ottima per una lezione come quella. In ogni caso, avrebbe lasciato loro la scelta e, alla postazione finale, avrebbe potuto così sistemare dolcetto e bicchiere in un angolino vicino. Di lì a breve la voce della Professoressa Fiachran poté guidare tutti loro nella tematica che gli era tanto a cuore, non avrebbe perso neanche una parola. Con un cenno verso Camille, però, non dimenticò di ripristinare la conversazione di prima.
«Spero che le tue vacanze siano state belle.» Cercando l'Asticello, lasciò che inseguisse da sé le foglioline sporgenti delle piantine nel terriccio di fronte, sulla superficie proprio del tavolo. Il fazzoletto naturale, d'altronde, sarebbe stato un campo da giochi perfetto per la creaturina; da parte propria, Oliver si preparò invece all'ascolto. Si appuntò alcune informazioni che la Professoressa Fiachran snocciolò magistralmente, promettendosi di trascriverle poco dopo. Conosceva la mandragora, ricordava piuttosto bene la lezione obbligatoria del percorso scolastico e come il travaso fosse stato tanto dinamico quanto...
avventuroso, a suo tempo, per lui e altri concasati. Gli bastò ascoltare poche frasi, tuttavia, per convincersi dell'infinito mondo tuttora ignoto della mandragora. Le riproduzioni in pergamena conciliarono la spiegazione così avvincente, catturandolo in un incantesimo senza tempo. Origini, sviluppi, interessi della pianta, da epoche remote a moderne, tutto poté affascinarlo. Se Camille fosse stata accanto, le avrebbe sussurrato soltanto una frase al volo.
«Mehregiah, prova a ripeterlo velocemente cinque volte di fila.»Ammiccando, prima di addentare il cupcake: il gusto pastoso, addolcito dai petali, rendeva tutto delizioso. Si interessò moltissimo alla specie non magica, ignaro (o forse dimentico) dell'esistenza della stessa. Nei richiami di carta stregata, nei dintorni, la lezione gli risultò di gran lunga dinamica, e non una volta scoprì d'essere distratto. Complice il tono conciliante, la Professoressa Fiachran illustrò tanti aspetti degni di nota: le fasciature con foglie di mandragora trattate in modo alcolico, ad esempio, lo conquistarono ancor più del previsto. I richiami all'ambito culinario e ancor più terapeutico, poi, gli offrirono numerosi collegamenti: già pensava a come provarli, così l'offerta dei prodotti cosmetici verso la fine gli sembrò un vero e proprio colpo di scena. Bottigliette, creme, ogni cosa lo trasportò in un sorrisetto partecipe.
«Da domani il Bagno dei Prefetti sarà pieno di sapone alla mandragora.» Era meraviglioso. In cuor proprio, già assaporava il momento di un bagno caldo e profumato dagli estratti di mandragora,
perché no.