Bloodstains

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view post Posted on 11/9/2022, 13:29
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Continua da: qui

Un Kevin diverso era uscito da Arlington House. Non si trattava della stessa persona che quella mattina aveva varcato la soglia del fatiscente edificio babbano, bensì un qualcuno di assai differente. Un essere ferito nello spirito prima che nella carne, poiché il sangue che impregnava la maglietta all’altezza della spalla era niente in confronto a quello che il ragazzo si era addossato sulla coscienza. Una macchia indelebile che lo avrebbe accompagnato per sempre e che, mai sazia, si sarebbe allargata su un cuore e uno spirito ormai stretti nella morsa dell’oscurità.
Uscito da quel luogo disgraziato, egli aveva scelto di non voltarsi. Lasciarsi tutto alle spalle sarebbe stato impossibile, ma non era sua intenzione concedere un ulteriore sguardo a quel palazzo costellato dalle crepe della trascuratezza, leso dalle storie di morte e disperazione dei propri inquilini alle quali si aggiungevano gli eventi di quel giorno; ferito anch’esso, con i suoi mattoni cremisi che parevano sanguinare sotto la luce del raro sole londinese.
Se ne era andato così, sulla scia della propria spossatezza, incurante degli sguardi dei passanti. Camdem Town era una cacofonia di colori ed il rosso del cruore proveniente dal suo corpo non sarebbe stata altro che una sfumatura passeggera.

Guardò in alto verso l’insegna consunta: “Purge and Dowse, LTD”.
Era giunto a destinazione. Si trattava di un magazzino in stato di abbandono costituito da mattoni ancora più usurati di quelli di Arlington House. Non aveva mai visitato il San Mungo prima di quel momento; le poche informazioni di cui disponeva sull’ospedale giungevano dai racconti di sua zia, che vi aveva lavorato per molti anni. Polvere e graffiti celavano la vera natura di quell’edificio, tenendo a debita distanza gli ignari babbani che si imbattevano in quell’angolo del quartiere di Bethnal Green.
Kevin si avvicinò claudicante ad una delle vetrine, rivolgendo la parola al vecchio manichino che riposava immobile dietro ad essa. Sussurrò il proprio nome e rimase in attesa, almeno fino a quando la sagoma inanimata non annuì in risposta, facendogli cenno di avvicinarsi. Il vetro cambiò conformazione, tramutandosi in una sottile barriera d’acqua che il ragazzo – dopo un ultimo sguardo alla strada deserta – attraversò.
Asciutto, si ritrovò catapultato in un ampio e affollato salone dai pavimenti in legno. Non si curò minimamente delle persone attorno a lui, facce sfocate che facevano da contorno. Si diresse invece verso quello che identificò come un banco di accettazione.
«Kevin Prince Confa. Ferita da oggetto babbano alla spalla.» Disse con tono inespressivo all'infermiere di turno, scoprendo solo in quel momento quanto dolore tuttora avvertisse per via della ferita. Il braccio era attraversato da un tremore leggero ma incontrastabile, le dita intorpidite e l'intero fisico debole per via del sangue perduto e del lungo tragitto. Madame Shelby aveva difeso la propria inutile vita fino alla fine. Il cimelio che le era stato sottratto si trovava adesso attorno al collo di Kevin, e lì sarebbe rimasto custodito in attesa di giungere nelle mani dell'Oscuro Signore.


Kevin P. Confa
PS: 176/193
PC: 124/131
PM: 149/149
Exp: 28

In attesa dell'arrivo di Emily.

 
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view post Posted on 18/9/2022, 11:53
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Fiamme ardenti, invisibili, si muovevano sinuosamente sui palmi, investendo le braccia, issandosi verso il collo.
Ad ogni passo, una nuova fitta la costringeva all’arresto; Matthew aveva ripreso conoscenza e tentava, con ogni briciolo di innaturale forza, di pesare il meno possibile sul corpo stremato della sua piccola Rose.
Non un fiato, non un gemito, accompagnarono la straziante passeggiata verso l’accoglienza.
Matthew aveva visto? Avrebbe… Capito?
Era stata costretta a farlo, aveva dovuto farlo.
Emily strinse la mano intorno al fianco dell’anziano, issandolo su per uno scalino, le ustioni che si ribellavano allo sforzo come se il fuoco non avesse mai smesso di attingere all’ira della sua genitrice.
«Un ultimo sforzo, promesso…»
Sussurrò mentre si stringeva a lui, nella speranza che il terrore - visto negli occhi di Matthew, udito nei suoi urli strazianti - non li dividesse per sempre.
Il bianco dell’atrio le appannò la vista già provata e senza la minima consapevolezza di come vi fosse giunta, Emily si rese conto di trovarsi al San Mungo.
Le parole, allora, si colorarono di una nuova urgenza.
Lui doveva sapere, prima che venissero divisi.
« Io dovev—»
« Lo…so. »
E il cuore riprese a battere, piano, onde il rumore potesse scalfire il suono di quelle parole.
Fu come riprendere fiato, con l’aria a chetare i lapilli che, inavvertibili, rischiaravano il dolore incessante.
Lasciò Matthew su una delle poltroncine poste nell’ala destra della sala e si avviò verso lo scrittoio di legno, dietro il quale, un infermiere, avrebbe registrato il loro arrivo.
« …babbano alla spalla. »
« Necessito che vi prendiate urgentemente cura dell’uomo seduto lì… » e nell’alzare il braccio per indicarlo, chiuse gli occhi: le ustioni tiravano la pelle, aprendosi in piccoli tagli profondi. Le dita, annerite, avevano perso ogni sensibilità e, credendo di essere ancora in grado di muoverle, Emily non si rese conto che non rispondevano ai suoi comandi. La mano restò immobile nell’aere mentre il dolore la costringeva ad abbassare la spalla.
Non si curò di chi fosse già in fila, la sua priorità era Matthew, costringendosi a credere che sarebbe stato bene, che non fosse l’ennesima vittima di cui portare il fardello - almeno per quella notte.
Soltanto dopo, nell’incrociare lo sguardo del Tassino, Emily avrebbe - lentamente - realizzato la sua presenza. Provò la tentazione di chiudere nuovamente gli occhi, chiedendosi quanto surreale fosse quell’incontro, quanto fosse vero o prodotto dalla propria mente sopraffatta. Il leggero tremolio da cui era scosso il braccio del giovane catturò la sua attenzione; le iridi scivolarono lungo il suo corpo per poi risalire al volto.
Rimase in silenzio, incapace di dire una parola.
In fondo all’animo, però, sentì ch’erano, per l’ennesimo scherzo del Chaos, abbracciati dalla stessa, struggente, Sorte.


Emily C. Rose
ps. 228/306
pc. 268/284
pm. 274/287
Ustioni su braccia, polsi, mani e caviglie.
Contusioni alla schiena e alla parte retrostante della testa.
Dolore agli occhi provocato da incantesimo di luce e fumo.



Edited by Emily Rose. - 18/9/2022, 13:32
 
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view post Posted on 25/10/2022, 10:45
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The North remembers. ♥

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Jane Read
primum non nocere, secundum cavere, tertium sanare
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QgmasjO
3ip6Yok
Principio
Morsi multipli di Plimpi
Quando lesse la striscia di pergamena che aveva raggiunto la scrivania dell’ambulatorio, fluttuando in aria sotto forma di serpente - un omaggio ad Asclepio, per non dimenticare che in fondo quello non era il Ministero ma un ospedale - dovette sforzarsi per trattenere un sorriso. Il mago in questione, tale Thomas Dickinson, il cui nome si trovava appena sopra la diagnosi di accesso al San Mungo, era un allevatore di Plimpi con l’eccezionale record di cinquantasette accessi al nosocomio nell’anno in corso, e che appariva determinato ad infrangere il record del pozionista Wilson - ottantanove accessi nell’anno precedente. Era un mago dall’aspetto gentile e dall’animo buono, forse un po’ disincantato, e per questo tendeva spesso ad esagerare la realtà delle proprie condizioni di salute.
Uscì dalla stanza che quel giorno stava utilizzando per le visite, pronta a chiamare il paziente, quando questi la raggiunse in fretta anticipato dal rumore viscido degli stivali da lavoro contro le piastrelle bianche del pavimento.
« Dottoressa Read! Per fortuna oggi c’è lei! Tommy… si ricorda di Tommy, il Plimpi Ghiottone? » Il volto arrossato, la mano avvolta in un asciugamano azzurrino, il mago aveva iniziato a parlare ancora prima di darle il tempo di salutarlo. « L’ha fatto di nuovo! Stavo dando da mangiare a Sally e Bernie, e mi ha aggredito. Io non capisco, lo tratto come un figlio, perché deve sempre avere questi scatti di gelosia?! »
« Signor Dickinson, buongiorno! » La strega interruppe il flusso di coscienza dell’uomo, posando una mano sulla sua spalla con delicatezza. « Perché non mi racconta tutto nel dettaglio in ambulatorio? Venga con me, prego. » Con uno sguardo veloce, Jane attirò l’attenzione dell’infermiera Bones, pronta a seguirli all’interno della stanza per aiutarla.
« Prego, si sieda sul lettino. » Indicò al mago dove potersi sdraiare, e lo osservò raggiungere la seduta a passi incerti, lasciandosi una scia di fango alle spalle e senza smettere di reggere la mano sinistra avvolta nell’asciugamano con la controparte. « Mi faccia un po’ vedere cosa ha combinato Tommy questa volta. » Si avvicinò al mago con calma, infilandosi un paio di guanti, mentre l’infermiere Bones si avvicinava con un carrellino per le medicazioni. « Guardi, guardi cos’ha fatto! Dice che perderò il dito? Come farò con il mio lavoro, per Merlino, come… proprio ora, nel pieno della stagione! » Mentre l’allevatore di Plimpi continuava a lamentarsi tra un sospiro e l’altro, sdraiato sul lettino con gli occhi chiusi, Jane e l’infermiera Bones aprirono con attenzione il fagotto dentro cui era avvolta la mano del paziente. Non c’era alcuna traccia di sangue nel tessuto, e quando l’intera mano comparve alla luce asettica dell’ambulatorio, i morsi multipli si rivelarono… una piccola ferita superficiale, talmente leggera che anche utilizzare il semplice Decotto Liscio sarebbe apparsa un’esagerazione. Tuttavia, sia Jane che l’infermiera avevano imparato a conoscere bene il mago in questione, e senza nemmeno scambiarsi uno sguardo avevano iniziato a seguire la medesima procedura delle ultime cinquantasette volte. « Non si preoccupi signor Dickinson. » Lo rassicurò la medimaga, mentre alcune gocce di Decotto Liscio cadevano sulla ferita, prontamente fasciata con una quantità esagerata di bende dalla collega. « Tommy non ha combinato nulla di irreparabile. Si ricordi di cambiare le bende ogni giorno e vedrà che per la settimana prossima sarà tutto risolto. Ora lentamente proviamo a metterci in piedi, che dice? »

Kevin P. Confa
Una sedia a rotelle cigolante si avvicinò in autonomia alle spalle di Kevin mentre pronunciava la causa del suo arrivo al San Mungo, colpendo timidamente il retro delle ginocchia un paio di volte prima che sopraggiungesse l’infermiera Bones ad aiutarla nel suo intento. « Forse è meglio sedersi, che dici? Ora ci prenderemo noi cura di te. » Poggiando con delicatezza una mano sulla spalla non lesa del giovane, l’infermiera vi applicò una leggera pressione cercando di guidarlo verso la seduta mentre la collega al bancone finiva di scrivere la diagnosi di accesso su un pezzo di pergamena. « Ferita da oggetto babbano alla spalla, Marie. Jane ora è libera? » L’infermiera rispose alla domanda annuendo, e dopo aver afferrato una cartella vuota dalla pila sulla scrivania dell’accettazione si avviò verso l’ambulatorio che era appena stato ripulito dalle impronte fangose del signor Dickinson, seguita dal cigolio di sottofondo della sedia a rotelle su cui Kevin praticamente era stato costretto a sedersi.
Jane attendeva la collega sulla soglia dell’ambulatorio, le braccia incrociate e la bacchetta stretta in mano: era ancora intenta a ripensare al signor Dickinson e ai suoi innumerevoli accessi al San Mungo quando il suo sguardo incrociò quello del ragazzo seduto sulla sedia, e non riuscì a trattenere il guizzo di sorpresa che attraversò il suo viso quando notò il sangue che impregnava il tessuto della maglia che indossava. L’infermiera Bones anticipò ogni sua domanda mentre varcavano insieme la porta della stanza. « Ferita da oggetto bobbano, almeno, questo è quello che ci ha detto il ragazzo. Se ti aiuto ce la fai ad arrivare al lettino per sederti? » Voltandosi verso Kevin, l’infermiera fece cenno alla sedia di avvicinarsi e se il ragazzo le avesse dato il permesso lo avrebbe aiutato a raggiungere il lettino dell’ambulatorio.
« Kevin Prince Confa, 17 anni. Studi ad Hogwarts, vero? » mentre la collega si occupava per i primi attimi del paziente, Jane si era avvicinata alla scrivania e stava appuntando sulla prima pagina della cartella i dati del paziente. Una volta terminato di scrivere le generalità, posò la piuma e fece con un gesto della bacchetta fece levitare un paio di guanti dal carrello delle medicazioni alle sue mani. « Allora, vediamo un po’ che cosa è successo qui. Posso? » Si avvicinò al giovane, ora con il torace coperto da un camice dell’ospedale mentre i resti della maglia insanguinata giacevano su una bacinella in fondo al lettino. Un sorriso gentile piegava le labbra della Medimaga mentre ispezionava con attenzione la ferita, ora pulita dai residui del liquido rosso cremisi grazie all’infermiera Bones che reggeva in mano un pacco di garze. « Dovrei chiederti che cosa è successo e quale oggetto bobbano nel dettaglio ti ha procurato questa ferita, lo sai vero? » Lo sguardo del giovane era apparentemente rimasto inespressivo fino a quel momento, e Jane non era mai stata il tipo di Medimago che prova ad estrarre con forza le storie dalle bocche dei propri pazienti. Preferiva attendere che fossero loro ad aprirsi, con le tempistiche a loro più gradite… sempre se avessero voluto farlo. « La ferita non è proprio superficiale, però non dovrebbe aver intaccato il muscolo. Adesso applicherò qualche goccia di Pozione Anestetica per controllare meglio e poi passerò alla sutura, in teoria sarà sufficiente la Bava di Gorgol. Se dovessi farti male, avvisami, d’accordo? »
Con gesti metodici e precisi, la medimaga afferrò la boccetta di pozione anestetica dalle mani dell’infermiera, e ne applicò alcune gocce all’interno delle varie lacerazioni che costituivano la ferita: attese qualche istante prima di procedere all’ispezione della lesione, e una volta confermato che non erano state intaccate le strutture sottostanti la cute e il sottocute procedette all’applicazione della Bava di Gorgol. Una benda si avvicinò fluttuando sinuosa in aria mentre la pozione sutura-tagli iniziava a fare effetto, e si avvolse intorno al braccio del ragazzo completando la medicazione.
« Abbiamo finito. Ti farò aspettare qualche ora nella stanza qui accanto in modo che tu possa riprenderti del tutto. Se hai bisogno di qualsiasi cosa fammi chiamare, arriverò subito, va bene? »
Il ragazzo venne fatto nuovamente accomodare sulla sedia a rotelle, e l’infermiera Bones lo accompagnò nella stanza accanto all’ambulatorio dove i pazienti al termine delle cure attendevano le dimissioni, facendolo stendere nuovamente su un lettino. Tra un paziente e l’altro tendine color verde menta garantivano la privacy: se Kevin avesse osservato meglio alla sua destra avrebbe notato che la tendina non copriva completamente la visuale sul suo vicino di postazione, rivelandogli di trovarsi accanto alla ragazza che era arrivata qualche istante dopo di lui, Emily.

Emily C. Rose
« Necessito che vi prendiate urgentemente cura dell’uomo seduto lì… »
Mentre Kevin finiva di dichiarare il motivo del suo ingresso al San Mungo, un’altra paziente si era avvicinata al bancone d’accettazione chiedendo aiuto. Grace Fitzgerald, collega e amica di Jane, aveva appena accompagnato verso l’uscita un’anziana strega che aveva appena finito di visitare, e notò immediatamente le condizioni della giovane e dell’uomo che stava indicando. « Ho bisogno di una mano! Martin, mi aiuti? » Attirò l’attenzione di un altro collega che si trovava poco distante da lei, indicando l’uomo seduto sulle poltrone della sala d’attesa, mentre si avvicinava alla studentessa. Il collega senza attendere un istante si avvicinò al paziente, seguito da un infermiere e da una lettiga sospesa a mezz’aria: l’uomo venne fatto sdraiare e in poco tempo sparì dietro le porte di un ambulatorio insieme al resto del personale.
Nel frattempo Grace aveva raggiunto Emily. « Ora si occuperanno loro di lui, non ti preoccupare. Che ne dici di stenderti? Come ti chiami? » Un’altra lettiga si era avvicinata alle loro spalle, e se Emily avesse acconsentito Grace l’avrebbe fatta stendere a sua volta prima di accompagnarla in ambulatorio seguita da un’infermiera pronta ad aiutare.
« Adesso dovrei controllare le tue ferite. Cerca di chiudere gli occhi, per qualsiasi cosa non devi fare altro che chiedere. » Preoccupata dalle dita annerite e dalle ustioni che sembravano ricoprire interamente le braccia della giovane, Grace e l’infermiera avevano già iniziato ad eliminare i residui di tessuto dalla pelle della studentessa, esponendo alla luce asettica dell’ambulatorio una situazione meno lieve di quanto appariva a prima vista. Le due sanitarie di scambiarono uno sguardo veloce ma carico di significato, e mentre l’infermiera con un gesto della bacchetta faceva uscire dall’armadietto delle pozioni due boccette e un recipiente di vetro, Grace tornò a parlare ad Emily. « Posso chiederti com’è successo? Una pozione traboccata dal calderone? Un incantesimo finito male? » In attesa di una risposta, aveva iniziato a mescolare tra di loro la pozione Blandofuoco e la Rigenerante Uncarica all’interno del recipiente in vetro, prestando attenzione a dosare le giuste quantità. « Ora ti medicheremo le ferite sulle braccia, sulle mani… e sulle caviglie. » aggiunse dopo un secondo di esitazione, dopo che l’infermiera le ebbe fatto notare altre ustioni presenti sul corpo della giovane. « Non dovresti sentire nulla se non un po’ di sollievo. In caso contrario, sono qui. »
Le medicazioni delle ustioni necessitarono di più tempo del previsto, soprattutto quelle a livello delle mani che preoccupavano maggiormente Grace: non era certa delle tempistiche di guarigione delle bruciature a livello delle dita, ma avrebbe atteso le dimissioni per avvisare Emily che probabilmente sarebbero stati necessari quasi due mesi affinché la cute tornasse del solito colorito roseo. Una volta medicata e bendata ogni ferita, Grace avrebbe preparato un calice di pozione del Sonno senza Sogni mentre l’infermiera finiva di eliminare ogni traccia di fumo dal volto della studentessa.
« Non appena avremo notizie dell’uomo che è arrivato insieme a te non esiterò ad informarti, ma nel frattempo vorrei che bevessi questo: è pozione del sonno senza sogni, ti aiuterà a riposare e a riprenderti. » Le porse il calice, aiutandola a bere nel caso avesse acconsentito. « Ora ti accompagnerò in una stanza qui vicino dove potrai riposare senza essere disturbata. Per qualsiasi cosa, chiamami e sarò da te, intesi? »

medimago - 20 anni - Bloodstains


E' stata dura, ma infine ce l'abbiamo fatta! Mi scuso ancora per l'infinita attesa e vi ringrazio di cuore per la pazienza (spero che un ritardo del genere non debba accadere mai più!) 🌸

Kevin: in base alle condizioni del tuo PG, Kevin rimarrà nella stanza d'attesa per un totale di 17 ore per un recupero completo.

Emily: il tuo PG in seguito alle ferite riportate dovrebbe rimanere al San Mungo per circa 28 ore; nel caso voleste proseguire la vostra role, puoi considerare che Emily sia rimasta nella stanza d'attesa accanto a Kevin per almeno metà giornata.

Vorrei dire che spererei di non ritrovare presto i vostri PG tra queste mura ma viste le avventure in cui si cimentano penso sarà difficile :secret:

Alla prossima, e scusate ancora :flower:

 
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view post Posted on 19/12/2022, 17:03
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Fiamme. Il destino che meritava. Condanna e accettazione della sofferenza. Attraverso di esse, espiazione delle proprie colpe. Quasi fosse un’anticipazione di quel fato nefasto, la ferita alla spalla bruciava al pari di un tizzone ardente conficcato nella carne. Un dolore continuo e solo apparentemente silenzioso, capace di estendersi al resto del corpo e forse oltre, sfiorando l’intimo della mente. Eppure, era un tormento che rappresentava il nulla se paragonato agli atti indicibili dei quali si era macchiato. Dei quali si sarebbe continuato a macchiare, nel proseguo della torbida strada intrapresa. Il sangue imbrattava il corpo e le vesti, e minacciava di imbrattare la strada stessa.
Fiamme. L’inconfondibile chioma vermiglia apparve dal nulla, come una visione improvvisa prima dello svenimento. Si trattava di un’immagine reale, ma verso cui la mente del ragazzo provò un’incertezza istintiva. Perché lei si trovava in quel luogo? Era ferita? Rappresentava salvezza o ulteriore condanna? L’inconscio sembrò optare per la prima, giacché le iridi etero-cromatiche si aggrapparono con vigore a quel fuoco inaspettato. Forse non era ancora perduto. Forse non era ancora un mostro.
Fiamme. Ne portava i segni il delicato corpo di lei, imbattutosi in chissà quale evento nefasto. I palmi delle mani erano visibilmente ustionati, il braccio esile venne innalzato a stento e lasciato nuovamente andare lungo il fianco stremato. Sembrava a pezzi come non l’aveva mai vista, eppure reggeva sulle spalle il peso di un uomo grande almeno il doppio di lei, dimostrando il vero significato del termine Forza. Volontà indomabile, quella della ragazza; pareva infatti che avesse attraversato l’inferno per giungere in quel luogo: il gravare del peso umano rappresentava forse il minore dei problemi che era stata costretta ad affrontare quel giorno.
Fiamme. L’essenza di Emily Rose.

La Serpeverde aveva richiesto cure immediate per la persona che l’accompagnava, senza preoccuparsi di se stessa né di tutto ciò che la circondasse. E Kevin era rimasto a guardarla, immobile come il tempo attorno a loro, respirando il dolore della ragazza. Non il semplice dolore fisico, bensì quello che rendeva le vite più profonde e i momenti più significativi; quello che forniva una risonanza più fertile ad una parola, ad uno sguardo. Sapeva – o meglio, sentiva – che la loro sofferenza era simile. Storie diverse ma legate alla medesima sorte, appese alla più instabile delle bilance: quella oscillante tra la vita e la morte.
«Emily...» Riuscì a dirle in un sussurro, senza poi essere in grado di proseguire. Avrebbe voluto rivederla in circostanze diverse, senza ombre nello sguardo a tratti vacuo. La pausa fu incalzata dalla sedia a rotelle avvicinatasi autonomamente alle sue spalle. La pressione sul retro delle ginocchia e l’arrivo improvviso dell’infermiera lo costrinsero a sedersi. Poi, il ripetersi di nomi a lui indifferenti e il brusco spostamento verso una sala diversa. Fu in grado di cercare lo sguardo di Emily un’ultima volta, prima di lasciarsi andare allo spostamento forzato.
Jane, la seconda infermiera che lo accolse, aveva un che di familiare, sebbene Kevin non riuscisse a contestualizzare quel presentimento. La osservò mentre la collega enunciava la diagnosi e si offriva di aiutarlo ad accomodarsi sul lettino dell’ambulatorio. Il ragazzo cercò invano di rifiutare l’eccessiva assistenza. Rispose alla domanda sulla scuola limitandosi ad annuire: in quel momento, Hogwarts gli sembrava il posto più lontano del mondo. Spogliandosi della maglia inzuppata del suo stesso sangue, lasciò dunque che Jane facesse il suo dovere: le cure e, come si aspettava, le domande. Ella fu però discreta, optando per un approccio indiretto che il Tassorosso quantomeno sopportò. «Dovrei chiederti che cosa è successo e quale oggetto babbano nel dettaglio ti ha procurato questa ferita, lo sai vero?» Lo sapeva, suo malgrado. Ricordava nitidamente il momento in cui il pettine affilato aveva attraversato la carne, e tutto ciò che era accaduto dopo. Un brivido lungo la schiena. Non rispose all’infermiera, preferendo opprimere dentro di sé ogni sensazione. Si lasciò curare, consapevole che niente poteva invece essere fatto per le ferite invisibili che laceravano la sua anima incrinata.

Nuove fiamme lo destarono dalla trance nella quale era caduto. Non ricordava esattamente tutto ciò che era accaduto, ma sapeva di trovarsi in una stanza differente. Le iridi etero-cromatiche cercano il fuoco e lo trovarono al di là delle tendine color menta: nel letto alla sua destra trovò Emily Rose, rassegnata alla medesima sorte. In altre circostanze avrebbe riso di quella coincidenza.
«Di certo esistevano posti migliori in cui rincontrarsi.» Constatò il ragazzo tirandosi su, in modo da sedersi e volgersi verso di lei. Il tono beffardo si mitigò all’istante, però, lasciando spazio ad un’improvvisa serietà «Spero che tu stia...» Iniziò, ma l’incertezza ebbe il sopravvento. “Bene?” Che domanda stupida, capace di banalizzare gli intenti della sua sincera preoccupazione. Si morse la lingua, prendendosi un secondo per soppesare le parole successive. «Io ci sono, come sempre.» Le disse con rinnovata decisione. L’autenticità era ciò che più di rassicurante avesse da offrirle, ed era anche l’ultima ed unica ancora di salvezza alla quale egli stesso poteva aggrapparsi. Stava offrendo il medesimo lusso alla Serpeverde, senza chiedere nulla in cambio.
Le lasciò dunque il suo spazio, restando in silenzio. Nel caso in cui avesse voluto parlargli, lui l’avrebbe ascoltata. Ed in quel modo sarebbero passate le lunghe ore di degenza.

Giunse il mattino seguente, e con esso il momento di congedarsi. Il peso della collana sul petto del giovane gravava come un fardello, ricordandogli un dettaglio non di poco conto: doveva tornare alla Villa per fare rapporto. Doveva tornare da Lui.
Ormai sicuro sulle proprie gambe, si avvicinò al letto di Emily per salutarla. La osservò un’ultima volta, perdendosi nella costellazione di efelidi che le aggraziava il volto. «Vorrei tanto restare, ma non posso. Ti chiedo scusa.» Abbassò appena lo sguardo, cercando di nascondere il rammarico. Era sicuro che, in qualche modo, la ragazza avrebbe capito che gli dispiaceva davvero. Non l’avrebbe però abbandonata. «Se tutto va bene, sarò al Paiolo stasera.» Buttò lì senza troppi giri di parole. «Non molto sobrio, suppongo.» Lasciò che la sua consueta ironia accarezzasse l’ambiente, quasi a ricordargli silenziosamente di non perdere se stesso. Era tutto ciò che aveva da offrirle in quel momento e, forse, faceva già ridere così.
«Devo...» Lo sguardo si fece d’un tratto più assente. Una frazione di silenzio accompagnò il momento; una pausa che ovviamente non sarebbe sfuggita agli occhi attenti della ragazza. La dilaniante incertezza che stringeva come un nodo alla gola. «…devo andare.»
La testa si chinò istintivamente e, nel tentativo di nascondere ogni debolezza, non fece altro che confermarla. Una fragilità che detestava, ma che era parte di lui. La fronte sfiorò appena spalla di lei, quasi a voler percepire la presenza di un appiglio capace di salvarlo dall’oblio. I capelli biondo cenere andarono ad accarezzare la pelle nivea sul collo di Emily. Nel mentre, Kevin sprofondava. Andava incontro alla sua sorte, scoprendosi più debole del previsto. O forse più autentico.
«Spero di rivederti stasera.» Le sussurrò infine, aggrappandosi a quella speranza prima di tornare a riemergere. Un’ultimo sguardo, l’accenno di un sorriso che faceva fatica ad estendersi alle iridi etero-cromatiche. E l’uscita dalla stanza, l’abbandono del confortevole profumo della ragazza.
Sulla scia di un inaspettato vigore, si sentiva pronto ad affrontare la sua strada a testa alta. Avrebbe venduto cara la pelle ai demoni del suo passato, presente e futuro. Fragile forse, ma ancora integro. Villa Malfoy lo attendeva in silenzio, lontana e comunque ineluttabile.

 
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view post Posted on 29/12/2022, 01:30
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Fiamme. Il destino che ha abbracciato. Le avverte ancora, fameliche, arrancare lungo le braccia, spegnersi sulla punta delle dita e poi bruciare ancora. Stringe i pugni, poggiandosi al banco dinanzi a lei, piegando la schiena indietro, provando a reggersi sulle ginocchia. Cerca di ripercorre gli eventi ma il fuoco le annebbia la vista, alimenta il senso di colpa. Cerca Matthew e, quando vede l’infermiere avvicinarsi, chiude gli occhi, appena sollevata. Piegato il capo, ha già distolto lo sguardo da Kevin: la sua mente provata continua a sussurrarle che il Tassorosso non è lì, è solo frutto della tua immaginazione. Perché lui, però?
« Emily… »
È la sua voce. Distinto, il sussurro le provoca un brivido lungo il busto ricurvo. Stringe gli occhi, incapace di voltarsi, terrorizzata che non sia realmente lì.
« Ora si occuperanno loro di lui, non ti preoccupare. Che ne dici di stenderti? Come ti chiami? »
« Emily… » , si sente rispondere, eco della voce che ha appena udito e si volta, in tempo per trovare lo sguardo di Kevin costretto ad allontanarsi. È lì e la sinistra si abbandona al tremolio che aveva visto turbare il ragazzo poco prima.
Era reale.
« Emily Rose » aggiunge mettendosi in piedi, facendosi forza sulle gambe e scuotendo appena il capo dinanzi all’invito di stendersi: non vuole desistere, non ancora. Si aggrappa all’ardente lapillo di lucidità e speranza che le rimane per Matthew.
Grace sembra capire e non aspetta tempo a rincuorarla: si occuperanno loro dell’uomo, non deve preoccuparsi. Sorride appena ma ciò che si staglia sul viso è una distorta smorfia di gratitudine prima di lasciarsi portare in ambulatorio, gli occhi che vedono sparire Matt oltre la sala opposta.

La luce le offusca presto lo sguardo, brucia le iridi chiare e la riporta tra le fiamme roventi. Il corpo, ora disteso, è scosso da leggeri sussulti. Si allontana dalla Dimora, cerca di concentrarsi sui rumori della sala in cui si trova. Il trafficare delle provette, la pelle che viene tirata via dalle ustioni, la sedia che stride sul pavimento… « Posso chiederti com’è successo? » la voce del Medimago è dolce, accarezza i pensieri, fa sì che si concentri sull’istante e, man mano che le ferite trovano sollievo, sembra quasi di tornare a respirare.
Tossisce e prova ad alzare il busto come se ciò basti a far cessare il dolore che avverte al petto; il fumo che ha respirato è ancora attecchito ai polmoni e l’odore di bruciato è così forte che ne sente persino il sapore quando la lingua sfiora il palato.
Agita ancora una volta il capo in risposta alla domanda approfittando del fiato corto per far capire che non è in grado di parlare. È abile nel mentire ai medici, lo fa da quando ha varcato per la prima volta l’infermeria di Hogwarts ma nessuna bugia potrebbe reggere dinanzi a quanto successo.
Capisce che la cosa migliore da fare è bere la pozione che, al termine delle cure necessarie, Grace le porge: è l’unico modo per evitare di rispondere ad altre domande, l’unico per restare calmi in attesa di notizie riguardanti Matthew.
« Lui ce la farà » mormora con voce roca prima di provare a prendere il calice tra i palmi. Non è una domanda ma un dato di fatto.

«Di certo esistevano posti migliori in cui rincontrarsi.»
Le parole destano il riposo in cui stava quasi per cadere. É piegata su un fianco, rivolta verso sinistra, verso Kevin.
Prova a mettere a fuoco la stanza ma gli occhi sono come macigni. S’immagina sorridere, riconosce il fare beffardo.
« Spero che tu stia… »
Spero che tu stia… Qui con me, crede di aver risposto. Le mani si stringono al collo, le lenzuola sono troppo calde, vorrebbe provare a scostarle ma, per quanto ci provi, non riesce a liberarsene - non si muove nemmeno, in realtà.
« Io ci sono, come sempre. »
Quanto vorrebbe che fosse vero. Sarebbe mai riuscita a lasciarsi andare a quel conforto?
Aggrotta appena la fronte come se avesse avuto da ridire e le labbra si schiudono appena. Kevin è instancabile; non importa quante volte lei scherzi sulla forza di quell’affermazione, lui non risulta mai offeso dal suo tentativo di sottovalutare un impegno tanto grande, mai frustrato dal doversi ripetere. Sembra, anzi, che ad ogni rinnovo di tale promessa, provi ad essere sempre più serio, più convincente. Emily non mette in discussione la sua autenticità, però, è soltanto consapevole del fatto che nulla può obbligare qualcuno a restare - nemmeno se il Tassino fosse realmente suo amico, nemmeno la costrizione che potrebbe derivare dall’aver dato la propria parola.
L’aveva detto anche Lui..
« … E poi è andato via. »
Mormora. Piega il capo verso le mani ora distese sul letto - perché così fanno meno male. Per quanto non voglia arrendersi alle parole di Kevin, Emily si abbandona al sonno indotto dalla pozione che Grace le ha somministrato con la sicurezza che, almeno per quel breve momento, resterà lì e che lo troverà al proprio risveglio.

Quando riapre gli occhi, riconosce l’alba dalla finestra oltre la propria tenda, alle sue spalle.
Grace è passata per dirle che Matthew sta bene e sta dormendo; le suggerisce di tornare a riposare.
I flebili raggi del primo sole fanno teneramente luce nella sala, restii a disturbare il sonno dei più fragili. Questa volta Emily non fa fatica alcuna a centrare la stanza spoglia e non ha più dubbi sul fatto che il Tassino sia realmente lì con lei. È la prima cosa che vede, in realtà: lui disteso sul letto, ripulito in buona parte del sangue che aveva perso.
L’uscio si richiude con dolcezza, porta istintivamente la destra sotto al volto, aggiustando il capo sul cuscino cedevole al più lieve dei pesi, ma si rende immediatamente conto dell’errore quando una fitta la costringe ad allontanare le dita bendate.
Rimane a fissare la figura del ragazzo per un istante che pare interminabile; scandisce il tempo cercando di concentrarsi sull’intensità della luce che si allarga sul pavimento lucido, tessendo trame morbide sulle coperte che avvolgono il ragazzo. Le iridi risalgono lungo le dune candide, increspate dal respiro calmo e di tanto in tanto sente di voler chiudere gli occhi, scivolando nuovamente nel sonno. Si costringe a restare sveglia però, non vuole che Kevin vada via senza che lei possa salutarlo. Ha ricordi vaghi della notte appena passata ma permane la sensazione di tranquillità che in qualche modo avverte essere causa sua.
È proprio quella calma in cui è nuovamente scivola a farle riaprire gli occhi quando lui, in piedi davanti al suo letto, le chiede scusa. Non si sforza di nascondere il rammarico e quando abbassa lo sguardo, Emily chiude gli occhi e fa cenno col capo di non preoccuparsi. Capisce, come sempre e, ottenuta la conferma alle sue paure, è già pronta a dargli le spalle quando lui la rassicura che no, non può restare in quel preciso istante ma che non la sta abbandonando, anzi.
« Non molto sobrio, suppongo »
« Non ne dubito » risponde con l’ombra di un sorriso a rincarare l’ironia che s’addice loro. La smorfia si spegne nel silenzio che viene poi, così breve e, al contempo, così intessuto di tacite spiegazioni.
« …devo andare. » , l’incertezza che bagna le sue labbra è talmente familiare che gli occhi si stringono, e il cuore con loro.
« Vorrei venire con te »
Non sta mentendo ma ha compreso. Non può.
Si china e lei l’accoglie, facendo peso sulla spalla destra, offrendogli spazio e calore; quello stesso calore che, dalla sera prima, non l’ha abbandonata ma che sta ora trovandosi un angolino in cui riposare, ancora indomato.
Piega appena la testa quando la fronte sfiora la spalla e i capelli solleticano la pelle nuda. Attende d’accogliere il peso di tutta quell'incantevole fragilità ma questa tarda ad arrivare. Forse anche lui teme di lasciarsi andare per quanto, odia ammetterlo, gli riesce meglio di quanto possa forse mai fare lei.
« Se mi darai buca, so dove venirti a cercare » mormora di rimando e più che una minaccia, è una promessa, una di quelle che lei tanto odia. Metterà a ferro e fuoco Villa Malfoy, dovesse servire a ritrovarlo.
La carezza l’abbandona e la nebbia nei suoi occhi avvolge lo sguardo del ragazzo prima di osservare la sua schiena varcare la porta.
Era già stata , lungo la strada su cui lui si stava incamminando e avrebbe venduto la sua anima per la possibilità di trascinare, entrambi, via da lì.
Villa Malfoy, tuttavia, appariva ancora come l’inizio di una strada senza ritorno.

 
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