Il sorriso, che Lilien gli aveva imposto, era come ghiaccio sul viso di Draven. Gli occhi tradivano l’immenso disgusto provato per lo scambio di lecchinaggi tra la donna e il principino. Il risultato? L’espressione facciale di chi faceva finta di niente, ma aveva appena ingoiato un pacchetto intero di api frizzole e gli era rimasto incastrato in gola.
Il Serpeverde non aveva mai messo in dubbio l’erudizione di sua nonna, né quanto le sue pubblicazioni e le sue ricerche avessero fornito e continuassero a fornire patrimonio culturale per il mondo magico, anzi ammirava tutto questo e ascoltava o leggeva sempre con piacere ciò che aveva da dire sui suoi studi; il problema era il contorno. Quei fronzoli, quell’eleganza, la falsità dell’evento che era pari solo al doppiogiochismo di quella classe elitaria. Già di per sé tendeva ad avere ansia e ribrezzo nei confronti delle persone, verso di quelle… beh, la sua misantropia saliva alle stelle. Più che avere ansia, però, in mezzo a quella gente sentiva rabbia cieca: gli montava dentro ogni volta che il suo sguardo, distrattamente, si posava su uno di quegli stupidi nobili, utili alla società solo per lo sporco denaro accumulato sulle spalle di chi era stato meno fortunato di loro.
Ma Lilien era il suo tutore legale. Era l’unico motivo per cui sua madre non era rimasta a marcire in un carcere babbano e lui in un orfanotrofio. Se aveva una vita, se poteva viverla a Hogwarts, se poteva ambire a un futuro… Lo doveva solo a lei. E ricambiare la sua magnanimità, con la stessa falsità di cui erano fatte le anime marce della sua cerchia, non faceva altro che alimentare un odio verso se stesso che solo lei era in grado di riportare a galla dai meandri più profondi del proprio inconscio.
Socchiuse gli occhi per un istante. Prese un respiro profondo, strizzando le palpebre tra due dita, poi si infuse di coraggio e pazienza; forse, sarebbe riuscito a sopravvivere a quella serata facendo appello alla rigida educazione che aveva ricevuto da ragazzino, unica compagna utile in situazioni come quella. Parole forbite, un paio di sorrisi e qualche stretta di mano per generare il vociare intorno allo splendido nipote della Dottoressa Shaw, per renderla fiera di quel suo trofeo, e poi avrebbe potuto nascondersi da qualche parte in attesa di essere congedato a fine evento.
Lo aveva già fatto più volte di quante volesse ricordare. Poteva farcela anche stavolta.
Quando, al fianco del principino, si lasciò alle spalle Lilien, l’espressione schifata sul viso si allentò un po’, forse dando l’impressione che il sorriso potesse essere quasi vero. E nonostante la voce di Edward Newgate gli arrivò nelle orecchie come un irritante stridio.
Mano sinistra nella tasca dei pantaloni, nella posa più antistress che potesse concedersi in quel contesto, e la destra lasciata, invece, lungo il fianco, pronta a riempirsi di germi altolocati tra un eventuale saluto e l’altro, seguì il principino verso la prima fila di sedute. Tenne la testa alta e lo sguardo fiero, fisso davanti a sé. Chinò appena il capo solo per un istante, in segno di reverenza quando incrociò di sfuggita l’occhiataccia adirata dell’esimio Bran Newgate e si avvicinò poi a stringere la mano dell’ambasciatore che, a differenza del re di sto cazzo, gli rivolse un ampio sorriso. Probabilmente quell’uomo non sapeva a chi associare il viso di Draven, ma nel dubbio, forse riconoscendone i tratti come quelli di qualcuno che sentiva di dover salutare per rispetto alla sua famiglia, qualunque essa fosse, si era sporto per rivolgergli un gesto cordiale e fine a se stesso. Tanto per non far torto a nessuna delle importantissime famiglie lì presenti.
Sfruttando l’arte del non farsi notare, che aveva appreso magistralmente nel corso degli anni di crescita, si pulì il palmo della mano contro i pantaloni, sfruttando il movimento quando si voltò verso Edward Newgate e quella povera donna inutile che era sua madre. Il cui nome gli sfuggiva. Forse non lo aveva mai nemmeno memorizzato per totale disinteresse.
Nell’eseguire quella manovra, allontanandosi di conseguenza dal campo visivo di Newgate Senior, si ritrovò direttamente faccia a faccia con la donna. Quasi provò pena per lei… Quasi.
Signora Newgate. – pronunciò, il tono di voce basso e calmo, mentre chinò di nuovo il capo in segno di reverenza e le prese la mano sinistra nella propria destra per porgerle un rispetto che non meritava, in un baciamano educato, come l’alta società di cui faceva parte pretendeva.
Oltre che inutile, doveva essere anche stupida, pensò Draven quando la sentì parlare; perché si erano già conosciuti, lo aveva praticamente visto crescere negli ultimi cinque anni o giù di lì.
Oh. – esclamò, al suono di quell’informazione, con sincera sorpresa. Poteva solo immaginare che parole dolci potesse aver riservato Edward Newgate nel parlare di lui alla madre… Ma qualsiasi cosa le avesse detto, la donna gli sembrò sinceramente sollevata, addirittura felice della loro “amicizia”.
È più un dovere che un piacere, Signora. – commentò, associando alle parole un ampio sorriso per addolcire il peso negativo di quelle parole che, ne era certo, la donna non avrebbe comunque colto. Con un gesto naturale, si sistemò i lembi della giacca in modo che si potesse notare la spilla da Prefetto appuntata al petto, sulla camicia.
Se permette, andremmo a fare un giro esplorativo. Siamo appena arrivati. – disse poi, aspettando un qualsiasi suo cenno di consenso a congedarsi da lei, prima di posare una mano sulla schiena di Edward e spronarlo, delicatamente, ad allontanarsi da lì. Nuova direzione: buffet.
Che cazzo hai detto a tua madre, principino? – esordì in un sibilo tra i denti, rivolto al giovane Corvonero, ma senza rivolgergli lo sguardo. La propria attenzione, nonostante la curiosità fosse per la sua risposta, era invece rivolta a guardare intorno all’area addetta al ristoro per assicurarsi che non ci fossero adulti nelle vicinanze.
Indipendentemente dalla risposta del nobilbimbo, Draven lo avrebbe costretto a fermarsi davanti al tavolo del buffet.
Rufur, se puoi sentirmi, portami una bottiglia di whisky incendiario. – sussurrò nel nulla, non curandosi del ragazzino al suo fianco.
Signorino Ven, i-io non posso… Non posso.
Una voce, un bisbiglio a malapena udibile dai due, provenne da sotto il tavolo. Se uno dei due ragazzi si fosse chinato, ci avrebbe trovato un vecchio elfo domestico dall’aria simpatica, ma nell’eventualità che a Edward potesse venire in mente di farlo e mettere a rischio sia loro due che l’elfo, Draven strinse una mano intorno al collo del ragazzino, da dietro le spalle, in un gesto che dall’esterno sarebbe potuto apparire amichevole.
Per favore, Ruf. Non lo dirò a nessuno. E nemmeno lui. – rispose, sempre sussurrando, lanciando un’occhiata minacciosa verso Edward.
Ma non ricevette nessuna risposta immediata dall’elfo.
Con un sospiro nervoso, lasciò andare la mano dal collo del Corvonero e si distanziò dal tavolo del buffet con l’intenzione di andarsene, quando sentì un improvviso peso apparire nella tasca interna della giacca. Una mano andò a tastare, d’istinto, quella bottiglia appena apparsa, magicamente, e il primo – forse unico – sorriso sincero di quella serata gli illuminò il viso.
Grazie, amico. – bisbigliò, sicuro che il vecchio elfo lo potesse sentire.
Era partito con quell’intento prima ancora di lasciarsi la scuola alle spalle, perché non c’era verso che potesse sopravvivere da solo per tre o quattro ore in compagnia di Edward Newgate in mezzo a quella gente... Sobrio.
Con lo sguardo, cercò di vedere se ci fosse Alec nei paraggi per condividere un brindisi con lui, ma nel frattempo…
Vuoi assaggiarla la bevanda degli Dèi? – chiese, rivolto verso Edward, indicandogli con un cenno del capo una porta dietro il tavolo del buffet.
Il sorriso genuino degli istanti precedenti che tramutò, gradualmente, in un ghigno divertito.