Essere a Hogwarts significava avere la possibilità di costruirsi un futuro fuori dagli schemi, di sognare in grande e imparare così tanto da poter diventare qualcuno. Era sempre stato grato al destino per avergli riservato un simile trattamento; era un'incredibile opportunità e, tutti i giorni, da anni, si svegliava con grande entusiasmo per andare alle lezioni, perché bastava solo pensare a quanta conoscenza avrebbe acquisito per mandarlo su di giri. Ma non quel giorno, no. A dirla tutta, aveva passato tutta la settimana precedente così. Con livelli critici di scarsa concentrazione. La testa altrove; ogni volta che chiudeva le palpebre anche solo per una frazione di secondo, rivedeva nella quiete dei propri occhi chiusi ciò che era successo alla festa, o meglio, ciò che era successo dopo la festa. Era distratto e non lo sopportava. Era di pessimo umore, ormai, da allora, ma al contempo non riusciva a imporsi di andare oltre, di smettere di pensarci per fare anche altro nella vita, tipo, magari, riprendere a studiare. Il pensiero fisso lì era frustrante e rassicurante allo stesso tempo. Nonostante fosse sicuro che Megan stesse cercando in ogni modo di evitarlo, così come anche Casey, si era reso conto di aver iniziato anche lui stesso a prendere iniziative per non incrociarle. Ad esempio, aveva preso l'abitudine di andare in Sala Grande solo quando tutti gli altri studenti sembravano aver finito il loro pasto. I primi giorni era stato difficile coordinarsi con i tempi degli elfi e, spesso, era capitato che entrasse in Sala Grande dopo l'uscita di tutti gli studenti, ritrovandosi a bocca asciutta a osservare le lunghe tavolate già perfettamente ordinate e pulite e senza più cibo per lui. A un certo punto si era ritrovato così disperato da chiedere agli unici due Serpeverde del suo corso che non odiasse a morte di portargli dei panini tra una lezione e l'altra. Stava ancora cercando di capire bene gli orari dei pasti e ancora capitava che, arrivando in Sala Grande, non trovasse più niente, ma li aveva pressoché memorizzati e, sperimentando con la fine delle lezioni, stava iniziando a prenderci la mano.
Ad esempio, le lezioni di Incantesimi erano imprevedibili. A volte, le esercitazioni portavano via così tanto tempo da arrivare a ridosso della lezione seguente; altre volte, finivano con largo anticipo, lasciando ampio margine di scelta su come muoversi in quel lasso di tempo. Draven guardò l'orologio che teneva intorno al polso destro; non gli erano mai piaciuti gli orologi, né l'idea di dover osservare la vita che ti scorre davanti agli occhi, minuto dopo minuto. Era atroce. Ma era dovuto venire a patti con se stesso quando era stato nominato Prefetto, solo pochi giorni prima. Doveva ancora prendere la mano con tutte le regole che andavano rispettate e fatte rispettare, ma gli orari erano fondamentali, soprattutto durante le ronde dopo il coprifuoco. Mancavano pochi minuti all'inizio della pausa pranzo, dunque circa una mezz'ora prima che potesse tentare di andare a trafugare del cibo. Non aveva granché fame; sentiva la bocca dello stomaco ancora contorta dalla frustrazione per non essere riuscito a eseguire correttamente un incanto. Si impose, però, di mantenersi quantomeno vivo e, quindi, di non dover saltare i pasti.
Sapeva di doversi riprendere, di dover fare qualcosa per riacquisire un briciolo di concentrazione su se stesso, quantomeno per non deperire. O per non essere bocciato! Avrebbe rialzato la media in un momento più felice. Tanto, da anni, per un motivo o per un altro, passava da voti altissimi a voti bassissimi dipendentemente da ciò che gli capitava intorno... Per quanto si dicesse essere indifferente a tutto e tutti, c'era sempre qualcuno o qualcosa in grado di mettergli i bastoni tra le ruote. E se, di solito, superava quei periodi di difficoltà ripetendosi che non doveva permettere a niente e nessuno di ostacolare le sue ambizioni accademiche, riuscendo infine a convincersi al punto da riprendersi e tornare a essere la versione migliore e più concentrata di se stesso, stavolta si era accorto subito di quanto fosse diverso. Non voleva andare oltre il pensiero fisso di Megan. A confronto, la carriera era totalmente irrilevante.
Era messo malissimo.
Con un sospiro profondo, si diresse lungo una delle scalinate che lo avrebbero portato ai piani inferiori. Pur di perdere tempo, aveva imparato anche il modo in cui le scale cambiavano la loro disposizione; mentre gli studenti intorno a lui se ne lamentavano costantemente, lui arrivava lì, in procinto di salire o scendere quei gradini, speranzoso di essere trascinato contro il proprio volere da una parte all'altra del castello, solo per avere una scusa plausibile per i propri ritardi.
Era. messo. malissimo.
Si passò le mani a sfregare il viso, stropicciandosi gli occhi stanchi per una mente più iperattiva del consueto. Quando riaprì le palpebre, fece giusto in tempo a fermarsi prima di travolgere un ragazzino. Fece un passo indietro, per riequilibrare quello sbilanciamento involontario, e la prima cosa che misero a fuoco i propri occhi furono due manine protese verso di lui che reggevano una pergamena piegata in due. Alzò lo sguardo e incrociò quello dell'indisponente moccioso Corvonero. Si interrogò un istante per provare a ricordare come si chiamasse, ma non fu nemmeno certo di averglielo mai chiesto.
Ti sei dato alle imboscate? - esordì, corrucciando lo sguardo in una smorfia di fastidio. Non riuscì a capire, dalla sua espressione, se fosse più arrabbiato o offeso; era difficile interpretare le emozioni dei bambini e, comunque, non poteva fregargliene di meno. Avendo del tempo da perdere, però, sentì un lieve senso di gratitudine... molto, molto, molto lieve.
Riportando lo sguardo sulla pergamena, gliela prese dalle mani e l'aprì per poterla leggere.