EDWARD NEWGATE
CORVONERO - I ANNO
Tu non hai idea di un bel niente – esordì la Bell, con la mascella serrata e gli occhi fissi su di lui, con un atteggiamento tipico di chi vuole dominare la conversazione, istillando timore reverenziale nella propria controparte – Tu osi avvicinarti a me per convincermi a insegnarti cose che non saresti in grado di padroneggiare . Lo indicava, con quella sigaretta sempre in mano che si consumava piano piano. Lo so per certo. Si capisce. Non saresti così sicuro di saperla lunga se il tuo cervellino fosse in grado di comprendere davvero cosa è accaduto su quella pedana – le parole fluivano feroci dalla bocca del suo accompagnatore. Sembrava un animale ferino che si stava scagliando contro il suo aggressore per difendere il proprio terreno, eppure, allo stesso tempo, sembrava un animale ferito che reagiva e scagliava il proprio dolore contro tutti. Tutti incapaci di comprenderlo. Nessuno che si curasse veramente di lui e dell’agonia che provava. E se qualcosa aveva imparato dai libri, era che di un animale ferito non ci si può fare affidamento. Il comportamento di lei sarebbe stato troppo imprevedibile. Così, istintivamente, si ritrasse, facendo qualche passo indietro. La mano, ormai rigida dal freddo, scattò nella sua tasca, dalla sua fidata bacchetta. Non che avesse intenzione di estrarla. Altra cosa che aveva imparato dai suoi libri era che, ad un animale ferito, non si deve mai mostrare ostilità. Ma sentirla nella mano gli dava forza, lo rassicurava. Il vento improvvisamente cominciò a tirare forte, le parole di lei si mischiavano al suo ululato lontano.
Ti serve davvero che qualcuno ti insegni, sempre che tu sia in grado di imparare – il tono era diventato calmo, ma sempre severo e autoritario - Tutti possono imparare tutto. Non ti serve niente per questo, Edward, se hai un po' di sale in zucca e sai leggere le istruzioni dei libri. Non tutti però possono essere consapevoli. Consapevolezza. Interessante – pensò il Corvonero, allentando la guardia. Quella parola lo aveva colpito. Come se avesse avuto un’epifania: la conoscenza era nulla senza consapevolezza. Il Caposcuola aveva ragione. Un pensiero che sino a quel momento non era, stranamente, venuto in mente ad Edward, durante i suoi anni di studi. Finora la fame di conoscenza era tanta da oscurare qualsiasi altro pensiero. Lo scopo che si era dato, ovvero quello di apprendere nozioni per colmare la propria ignoranza, sembrava ora fine a se stesso. Si era fatto soggiogare dal gusto dell’assimilazione. Quel nettare dolce, che fluiva dai libri alla sua mente, lo aveva distratto a tal punto da rendere effimero l’intento che giustificava tutte quelle ore passate in biblioteca. Non che si fosse pentito. Quello no. Ma ora riusciva a vedere la questione sotto una luce diversa.
E tu lo saresti? - chiese incalzante il suo accompagnatore - Cos'è che vuoi realmente imparare, Edward? Sii sincero. "Tutto" è niente. Vuoi essere il migliore? Vuoi che ti insegni a dar fuoco alla gente? Ambisci a sentirti vincitore? Per cosa? Perché? Te lo sei mai chiesto "perché"?
Aveva sciolinato un numero di quesiti non indifferente, e per alcuni di essi non aveva ancora la risposta. Abbassò lo sguardo e cominciò a guardarsi la punta dei piedi. Come uno scolaretto preso in castagna dalla professoressa il giorno in cui aveva deciso di non studiare. Una sensazione che lo infastidiva parecchio. Non si era mai sentito impreparato, almeno non su domande riguardo cosa volesse fare e come farlo. La sua sicurezza si sbriciolò davanti a quei quesiti, mostrando come alla fine rimaneva pur sempre un bambino di undici anni, seppur sveglio. Essere il migliore? – pensò Edward. No, non era quello. Una persona può ritenersi il migliore solo se si mette in competizione. E ti metti in competizione solo se sei insicuro sulla tua superiorità. Quindi, quello era da escludere. Dare fuoco alla gente? – continuò a pensare. Non era un cavernicolo, che motivo aveva di dar fuoco a qualcuno? Anche se poteva essere un ottimo deterrente per tenere lontani gli scocciatori. Con la Bell sembrava funzionare. Quasi tutti la evitavano da quando aveva sciolto la faccia del professore di pozioni. Sentirsi vincitore? – finì il suo pensiero. Non di certo. Era un fine troppo misero per essere perseguito da una persona come lui. Non cercava i riflettori, non voleva la gloria, non si sforzava per le adulazioni. Non lui.
Il vento aveva preso a soffiare forte e, con la neve che era cominciata a fioccare, poteva ben vedere con i suoi occhi il bianco che regnava onnipresente nella sua mente. Per cosa? Perché tutto questo? – più i suoi pensieri pressavano per avere risposte, più sentiva rimbombarli nel vuoto della sua testa. Il cuore pulsava, lo percepiva. Il respiro affannato iniziava a velocizzarsi. Un attacco di panico? – un’altra domanda a cui non riusciva a dare risposte sensate. Chiuse gli occhi. Il freddo penetrava sotto il suo cappotto, sospinto dal vento. Lo sentiva scivolare come serpenti che risalivano dal basso.
E poi eccolo lì. Un lucido momento di autodeterminazione. Un respiro profondo per rallentare il tempo. Il rilassarsi dei muscoli che venivano nuovamente riscaldati dal sangue che fluiva placido nelle arterie. Riaprì gli occhi, con una nuova consapevolezza. Quella parola, che tanto lo aveva messo in crisi, ora sembrava così rassicurante e familiare. Lui sapeva di non sapere. Sapeva che voleva colmare il suo peccato originale, causato dall’ignoranza umana, e sapeva che il perdono poteva avvenire solo tramite la conoscenza. Questo è ciò che sapeva. Questo è ciò che ricercava con tutte le sue forze. Il suo punto di partenza per la ricerca di quella consapevolezza che non aveva. Quella consapevolezza non era null’altro che qualcosa di nuovo da imparare. Con l’esperienza o con l’insegnamento di un mentore, non importava, ma andava appresa. Ed ecco la Bell, davanti a lui che, con i suoi modi di fare forse un po’ troppo bruschi e nevrotici, lo aveva guidato verso il primo passo di quel percorso. Tutto sommato, si stava già dimostrando utile. No – rispose Edward, con un sussurro appena percettibile – non sono ancora consapevole di come usare la conoscenza che voglio apprendere – le sue parole si perdevano nel soffio del vento – proprio per questo ho bisogno di te.
Era difficile per lui ammettere di aver bisogno di qualcuno. Certamente di uno come il suo accompagnatore, che sembrava un’anima tormentata dai suoi fantasmi piuttosto che un saggio mentore. E fu lì che, quasi distrattamente, chiese – cosa ha significato per te quel duello?
Ion; ©harrypotter.fc.net