Nel complesso, qualcosa era accaduto.
Riconobbe il familiare lavorio del suo catalizzatore che andò ad incanalare magia sino a plasmarla a suo piacimento – o quasi.
A dirla tutta poi, non fu neanche una sensazione particolarmente gradevole,
anzi.
Percepì i cambiamenti, la pelle, le ossa modellarsi sotto la pressione di un incantesimo che forzava in qualche modo la natura stessa.
Fu la questione di qualche secondo: non si accorse di avere gli occhi chiusi sino a che non li riaprì, l’incanto interrotto, la bacchetta svuotata.
Le dita – ancora tali – riuscirono appena a sfiorare del pelo soffice, un piccola orecchia arrotondata, la mente dorata di Adeline fu ancor meno in grado di prendere coscienza di un insieme infinito di sensazioni nuove e sconosciute che – il tempo di un respiro da un naso umido e rosa – tutto finì.
La mano in effetti era ancora in alto quando la testa riprese le sue dimensioni normali, il pelo scomparve, i lineamenti del viso tornarono quelli di sempre.
Non era stato abbastanza.
Non era
stata abbastanza.
Londra prese un grande respiro profondo, frustrata, delusa da sé stessa,
arrabbiata.
Era piantata lì, in mezzo a quella radura deserta, le braccia tese lungo i fianchi e le mani serrate in due pugni stretti.
Chiuse gli occhi, iniziando a contare il numero di volte in cui si era arrabbiata così tanto con sé stessa per calmarsi, come se quel metodo fosse stato un astruso
e patologico sostituto delle pecorelle o dei numeri.
1, 2, 3..Se si percepiva manchevole in qualche cosa, qualsiasi cosa, si arrabbiava sempre.
E non importava di chi fosse la colpa, se ci fossero state o meno altre opzioni, possibilità di azione o meno, lei si arrabbiava -
si arrabbiava così tanto e se la prendeva unicamente con sé.
8, 9, 10..Una rabbia che aveva il colore bianco dell’ira cieca, abbagliante.
24, 25, 26..Il sapore ferroso del sangue.
38, 39, 40..E la sgradevole sensazione del metallo gelido che intaglia muscoli e ossa ancora caldi.
PT. 1
”Non mi eri mancata, Adeline Walker. D’altronde, tu non manchi a nessuno.”
[-No, no, no.. Risacca, vattene via.-]
Londra riaprì gli occhi, ma era troppo tardi.
Gli artigli affilati di Risacca stavano affondando dolorosamente nella mente di Adeline che nella disperazione di quel ritorno indesiderato si aggrappò all’unica certezza, a quell’unico bagliore di sicurezza che le era rimasto, confortante nel suo tepore: i lineamenti del suo puma, ancora incredibilmente nitidi, intrappolati nelle sue iridi di bosco e di mare.
Bello, anche nella sua feroce quiete.
-Perché. Perché sei qui. Perché ora. Perché.-”Vediamo.. ah. Questa mi piace particolarmente.”[Adeline, una Adeline più giovane, da poco sedicenne, raccoglieva da terra dei libri, sparpagliati scompostamente sul pavimento di un’aula vuota. Era a scuola, anzi, era in punizione nell’aula di Pozioni dopo l’ora di lezione. Si era arrabbiata con sé stessa per essere lì, in quella classe, per come ci era finita, per le parole di rimprovero che le erano state rivolte dal Professore della materia che più amava. Si era arrabbiata con sé stessa per quella punizione meritata, sì, ad ogni modo la colpa era sua. Così in qualche secondo di accecante ed amara ira, aveva ribaltato un’intera piccola libreria. Poi, soffocando le ringhia, aveva respirato forte, si era asciugata un paio di brucianti lacrime sul volto e facendo finta di nulla – persino con sé stessa – aveva preso a sistemare tutto.]
I ricordi andavano e venivano, e Adeline a stento capiva.
Il viaggio nel suo mondo interiore – che poi, era quello? – con il Dio, sicuramente l’aveva provata ma -
perché dannazione-Risacca perché, come..-”Perché, come e BLAH BLAH BLAH, Adeline cara, per essere una studiosa poni le domande sbagliate.
Uh bello anche questo, ti ricordi?”[Una Londra appena undicenne camminava da sola per le vie di Diagon Alley. Aveva un ginocchio sbucciato e una mano gonfia, livida, le nocche perdevano piccole gocce di sangue.
Si era persa, come una stupida, si era persa inoltrandosi in una seconda parte del villaggio dove di certo bambine come lei non sarebbero dovute finire, tanto più se da sole. Che stupida, avrebbe dovuto saperlo, avrebbe dovuto capirlo anche se quello era stato il suo primo spostamento da sola. Avrebbe dovuto prevederlo. Si era arrabbiata così tanto che senza quasi rendersene conto la mancina si era scagliata contro il muro in mattoni più vicino, ferendosi. Aveva indietreggiato, inciampando, e si era sbucciata anche il ginocchio. Che stupida.]
Il respiro, appena percepibile, era rapido e leggero. Le iridi di bosco e di mare si aggrappavano ancora a quel felino, anche se Risacca, attraverso quegli stessi occhi, sfruttava – abusava – della mente di Adeline sondando e studiando quegli stessi tratti, soffermandosi sui muscoli potenti, i denti aguzzi, gli artigli.
-Vattene. Sono qui per un motivo. Tu non c’entri nulla. Perché sei qui?!-”Gne-gne-gne. C’entro più di quanto la tua lucida, matematica e razionale testolina bacata possa comprendere. Ad ogni modo non arrivo mai da sola, dovresti saperlo. Mi aggrappo a qualcosa, a qualcuno.. Qualcosa mi ha chiamata dolce Adels. Tu mi hai chiamata.”[Non si ricordava come, né con quale forza a lei chiaramente sconosciuta, ma
qualcuno doveva aver per forza strappato tutte quelle tende dal salone del Manor. E lei attualmente
come sempre era l’unica abitante dell’intero possedimento. Ma una bambina di cinque anni e mezzo poteva originare tanto caos?
Le tende strappate, ricadute disordinatamente a terra, le sedie gettate con la stessa
furia non curanza, sul pavimento rimanevano i resti di quella che poco prima doveva essere stata una frugale colazione a base di pancake ai frutti rossi. Cattiva. Era stata cattiva per combinare quel disastro. E insufficiente nelle sue mansioni, che stupida, sarebbe bastato.. ]
Gli artigli, scavarono più a fondo. Le difese là sotto, erano alte.
Fecero male, un male quasi fisico.
”Sai, hai ragione.. non mi hai chiamata proprio tu. Mi ha chiamata lui.”Le iridi di bosco e di mare si aggrappavano ancora ai lineamenti pacifici del puma mentre Risacca scoppiava a ridere – una risata amara e crudele, una risata che fece crollare ogni barriera ed ultima difesa di Adeline Walker – e si allontanava.
Quegli artigli non erano i suoi. Forse, non lo erano mai stati.
Quelli che sentiva, che scavavano più a fondo, che insistevano ancora.. erano gli artigli del suo puma.
PT. 2
C’era un perché. C’era un come, c’era un chi, c’era tutto un insieme di cose, c’era una storia, una parte di lei.. con cui Adeline doveva venire a patti.
Studiò per un attimo ancora quei lineamenti, lo sguardo del felino le appariva – o era lei a disegnarlo, in fondo, dove stava poi il confine? – più feroce, deciso, forte. Più di quanto lei si sarebbe mai creduta in grado. Più aggressivo. Un predatore, territoriale, che
difende.
Perché?[- Credi di poter spedire un bolide così, in faccia ad uno studente senza conseguenze?
McAlley è in Infermeria per colpa tua, adesso - tolgo 50 punti a Corvonero, un mese di punizione e sospensione dalle ore di approfondimento di Pozioni -
no Walker -
Adeline non aveva mai visto il suo professore così arrabbiato.
-Non hai scusanti. La partita si era conclusa – avevamo pure vinto
per la miseria - e tu vai a mirare dritto dritto alla faccia di uno
spettatore?!-
Londra aveva serrato i pugni e sputato tra i denti -McAlley ha messo le mani addosso a Lyth la scorsa settimana. L’ha sbattuta per terra con uno spintone, l’ha insultata per la sua discendenza magica, ha usato una fattura Pungente solo per il gusto di farlo e a lui hanno a malapena tolto 20 punti –
e non è neanche la prima volta e prima se ne stava lì, a ridere sugli spalti perché il secondo bolide stava per colpirla al braccio che ha
già fasciato per colpa sua COSA AVREI..-
Ma il Professore si era limitato a zittirla con un gesto e a congedarla con un secondo. Ci teneva a Lyth. E ad ogni modo, quello stronzo non le avrebbe più fatto del male.]
Adeline ricordò quella ferocia nella sua voce, nei suoi gesti, ricordò la precisione millimetrica con cui aveva preso la mira per battere con tutta la forza che aveva in corpo, spedendo un bolide impazzito contro quella faccia da coglione di McAlley. Lo aveva preso in pieno, e mentre l’attimo seguente tornava a volare attorno alla sua squadra, vicino a Lyth, ne era stata ferocemente orgogliosa.
Aveva sepolto da tempo, quella sensazione.
Ma sebbene il puma – sentì,
si sentì - ugualmente orgoglioso, ringhiò ancora, tirando fuori gli artigli, pretendendo di più, scavando più a fondo.
[-Bella streghetta, lei.-
Una sudicia megera l’aveva afferrata per il braccio, credendola sola – e azzeccandoci alla grande – trascinandola più rapida e silenziosa di un gatto via dalla strada principale.
- Cos’è, vai in giro tutta sola? Dove sono mamma e papà mh? –
- Sono qui vicino, sono –
- E i galeoni dove sono, mh? Te ne avranno dato qualcuno per gironzolare, sì?-
Il cuore della non-ancora Bronzo Blu aveva iniziato a battere veloce mentre il brusio della gente si affievoliva e i viottoli diventavano più bui e torbidi.
- Fammi vedere, fammi solo..
AH!-
Ancora prima di possedere una bacchetta, Adeline come tutti i bambini non possedeva altro che sé stessa e quella magia che sottile le scorreva nelle vene, permeava ogni sua fibra, le riempiva i polmoni: quella magia che, senza alcun catalizzatore a focalizzarla, dal nulla poteva venirle in soccorso, feroce.
Una sorta di potente scarica elettrica doveva aver attraversato la pelle di Adeline che, liberandosi così dalla stretta della megera - per appena una manciata di secondi come folgorata, sotto shock elettrico - aveva colto al volo la possibilità datale, spingendo furiosamente la strega, graffiandola come poteva, accecata dall’ira l’aveva persino morsa con tutta la forza che era riuscita ad imprimere e.. solo alla fine era scappata lontano.]
Sentì una parte di lei, ringhiare piano, soddisfatta anche se non ancora del tutto.
O era il puma a ringhiare piano?
Lui ringhiava piano e lei sentiva la ferocia, e l’orgoglio, la forza.
O forse era lei ad aver ringhiato, per la ferocia, e l’orgoglio e la forza di lui?
Adeline iniziava a confondersi – a
fondersi - perchè il puma intrappolato nella sua mente, il pelo dorato ancora riflesso nelle iridi chiare, i lineamenti felini, i movimenti scattanti - sembrava in realtà il mero opaco riflesso di un primo, reale come non mai, non tanto nella sua mente ma piuttosto più in basso, tra il costato di Londra, vicino al muscolo cardiaco, accoccolato nella parte più profonda dell’animo della strega.
Adeline finalmente vedeva, sì, ma qualcosa che in realtà non era di fronte a lei..era dentro. Era
lei. E quella consapevolezza insita che aveva acquisito durante il suo viaggio, ora finalmente iniziava a farsi limpida, comprensibile non più solo negli abissi del suo io, ma anche più superficialmente, a parole, tra i pensieri, una realtà che stava davvero prendendo tra le sue mani.
Quel
lui alla fine, esisteva solo perché per
lei fosse più semplice riconoscere, capire e accettare quella che era solo una stessa parte di
lei, solo più profonda, tenuta nascosta, reclusa per anni. Ma era una lei che aveva vissuto. E aveva provato, e aveva agito, e aveva difeso e aveva attaccato. Lei c’era e aveva il diritto di essere riconosciuta, lei
c’era e non era Risacca, non era un lui estraneo, un lui al di fuori di lei – per quanto le fattezze di puma le calzassero assolutamente a pennello -
lei c’era ed era Adeline Walker.
Ancora.
[Si era allontanata dal party della zia perché sinceramente stanca. Era troppo piccola, non distingueva ancora la stanchezza fisica da quella mentale. Gli invitati di zia Ada erano chiassosi, ubriachi, maneschi.
Il salone principale era occupato da un centinaio di brutti ceffi ben vestiti, che alla prima occasione cercavano di metterle le mani addosso per tirarla a sé, come una bambolina da esposizione, inondandola con un alito pestilenziale che le faceva salire i conati.
Sorrideva cordiale comunque, ringraziava per i complimenti e si allontanava appena possibile, cercando di non fare caso al fastidio delle suole che rimanevano incollate al pavimento per l’alcool versato.
Se ne stava tornando in camera, l’unico e solo suo porto sicuro. Nell’ala ovest del Manor, gli ospiti si diradavano in piccoli campanelli, sino quasi a sparire.
In fondo, nella stanza più vicina al grande giardino..era piccola, aveva ancora difficoltà ad aprire da sola le enormi porte in legno massiccio e decori preziosi.
Lì per lì non se ne rese conto, ringraziò quasi la porta già semi socchiusa.
Strano, perché se la chiudeva sempre dietro.
Da quel momento in avanti fu un succedersi di eventi talmente veloce, ma al tempo stesso così incredibilmente lento da straziare.
..Qualcuno era entrato nella
sua cameretta.
Qualcuno aveva macchiato di liquore i suoi bei tappeti, spargendo abiti ovunque.
Non erano tuttavia
suoi gli abiti.
Qualcuno si rotolava tra le
sue lenzuola, gemendo, dicendo volgarità. Qualcuno obbligava, forzava, qualcuno piagnucolava, subendo.
Qualcuno osservava rapito la scena, in piedi, comunque svestito, qualcuno rideva roco.
Qualcuno giaceva svenuto.
Gli occhioni sgranati dall’orrore si riempivano di quelle immagini volendosene in realtà solo svuotare.
Nessuno si accorse di lei per un tempo immemore.
Nessuno fece nulla, nè per lei, né per la giovane strega che ad un certo punto aveva semplicemente smesso di combattere.
Nessuno si rese conto che Adeline, apparentemente incapace di respirare per svariati minuti, ad un tratto incrociò lo sguardo della ragazza stesa sul suo letto. Aveva gli occhi di un blu stupendo, anche se adesso apparivano spenti, come svuotati.
Nessuno si accorse che in quel preciso momento, la piccola Adels aveva preso un grosso, grosso respiro.
Urlò: così forte, così acuta nella sua voce di bambina, e la sua magia esplose insieme a lei.
In effetti era una delle prime.
Le alte vetrate delle finestre andarono in frantumi, scagliando schegge di vetro ovunque.
Continuò a urlare, portando le manine alle orecchie mentre lo sguardo non riusciva a distogliersi da quello della strega.
Ci fu caos, ci furono urla, ci furono ferite e ci fu sangue, ma Adeline aveva iniziato ad urlare e adesso non riusciva più a smettere.
Esplosero i mobili, i vecchi pupazzi, il letto a baldacchino si ripiegò su sé stesso.
Voleva solo che se ne andassero, voleva che uscissero dalla sua cameretta, voleva cancellare quelle immagini impresse a fuoco nelle sue iridi di bosco e di mare cacciandoli via, cacciandoli via tutti.
Una volta recuperati i propri vestiti ed averi, le bacchette riprese in mano, iniziarono le smaterializzazioni.
Adeline smise di urlare solo quando la strega dagli occhi blu le si avvicinò, ancora nuda, ferita, e le mise una mano sulla bocca, intimandola alla calma sebbene sembrasse più spaventata lei di Londra.
Puzzava di alcool, ma sotto si poteva sentire un vago profumo di ciliegie: Adeline batté una volta le palpebre annuendo piano, poi si girò e se ne andò via.
L'indomani mattina si sarebbe preparata dei pancake. Magari ai frutti rossi. Le erano sempre piaciuti i frutti rossi.]
C’era una parte di lei,
quella parte di lei, che adesso faceva le fusa soddisfatta e feroce.
Meglio: soddisfatta perché le era stato dato il giusto riconoscimento, soddisfatta perché finalmente era stata sentita, vista
davvero, perché dopo tutta la fatica, gli anni di grida non ascoltate..
sì lei c’era ed era una parte importante tanto quanto quella che rendeva Adeline tanto gentile, o altruista, o iperattiva.
Soddisfatta
e feroce, comunque, perché
non le era bastato.
Tutto quello, non era stato abbastanza, altre parti di Londra l’avevano limitata e placata, avevano lasciato McAlley in pace dopo il suo ritorno dall’infermeria – anche se delle adeguate occhiate taglienti non erano mai mancate – avevano lasciato la megera per terra facendola allontanare, avevano lasciato sopravvissuti in quella cameretta - anzi, avevano fatto desiderare alla Adeline bambina che se ne andassero, che si allontanassero..quando, se fosse stato unicamente per lei, tutti quei
qualcuno, da quella camera, non sarebbero affatto usciti –
vivi.
Ma in fondo, per il momento le bastava il riconoscimento.
Lei esisteva, aveva vissuto,
anzi d’ora in avanti
sarebbe stata anche vissuta com’era giusto che fosse, dal principio.
Magari il solo avere una valvola di sfogo, una possibilità reale di movimento, l’avrebbe acquietata un po'. O forse no. In fondo, neanche le importava.
PT. 3
Era stanca.
Non sapeva quanto tempo fosse passato, non sapeva
niente eppure, sapeva molto,
molto di più di quanto non avesse mai potuto osare sperare sino al giorno prima.
Aveva scavato così a fondo..
Prima il viaggio, il Dio, il puma, e aveva capito ma forse senza provare davvero, o magari tutto il contrario, aveva provato ma senza capire davvero.
Poi la realtà – quale delle tante? – il fallimento, la rabbia, e dalla rabbia, da quell’unica, profonda emozione.. Risacca. Che era stata Risacca ma non fino in fondo,
era stata ma solo per grattare appena in superficie, era stata la goccia che aveva fatto traboccare un vaso già spezzato e ricomposto più e più volte, e riempito, e svuotato, e riempito ancora.
Quindi Risacca non era più stata. Era stato il puma.
No: era stata lei, era stata Adeline. Il puma era lei e lei era il puma.
Aveva scavato, scavato a fondo, ed era tornata a ricordare: si era sentita forte, si era sentita feroce, si era sentita orgogliosa, territoriale, si era sentita predatore persino in una tana in cui ad occhi umani sarebbe apparsa lei come preda.
Perché Adeline era capace di agire, capace di difendere, di ferire ed attaccare se necessario, Adeline
era ed
era sempre stata e
sarebbe sempre stata, avrebbe difeso, avrebbe attaccato, avrebbe morso e graffiato, avrebbe ferito sino a vedere scorrere il sangue e ne avrebbe saggiato l’odore nell’aria, e ne sarebbe stata tanto soddisfatta da fare sommessa le fusa.
Forse, come un cerchio che si chiude, aveva capito alla fine cosa aveva sbagliato.
Non era stato sufficiente immaginare il puma, rivederlo in ogni suo più piccolo dettaglio davanti ai suoi occhi.
Così come lo aveva trovato nel suo viaggio, avrebbe dovuto ritrovarlo ancora, e avrebbe dovuto ritrovarlo dentro sé stessa.
Avrebbe dovuto risentirlo, e non ricordandone semplicemente la morbidezza del pelo contro i movimenti agili, lo sguardo sicuro, gli artigli pronti - avrebbe dovuto risentirlo, risentirsi,
riconoscersi in quella morbidezza e in quei movimenti e in quello sguardo e in quegli artigli.
E così aveva fatto.
Era sempre stata lei, nel corso degli anni, morbida al tatto, in superficie, ma assolutamente con tutta la forza necessaria per ben altro, con i suoi movimenti veloci e forti quando aveva battuto quel bolide in faccia allo studente – e ancora prima, ancora più a fondo – quando aveva reagito e aveva spinto e graffiato e morso – e ancora prima, ancora più a fondo – quando era stato talmente troppo, da farla attaccare alla cieca e basta, furiosa, territoriale, predatrice in mezzo – e non le importava, perché comunque avrebbe attaccato e difeso e agito ad ogni costo - a predatori.
Quindi eccola.
Nella sua completezza.
Le pulsava la testa, ma non le importava.
Strinse il catalizzatore nella mancina per riprendere meglio coscienza del suo corpo, dondolandosi un po' sui talloni in un gesto tanto abitudinario e talmente
suo che le venne da ridere, e la sua risata rimbalzò cristallina tra le fronde degli alberi e l’aria fresca, fondendosi con i suoni del bosco.
Respirò a fondo e tornò concentrata.
Era un incanto difficile e lo sapeva. Poteva solo tentare di riuscire, ma questo non significava che non avrebbe provato sino allo stremo, focalizzando su quel solo e unico obbiettivo ogni fibra del suo essere.
Tornò a visualizzare il suo puma – ed era un puma perché altro alla fine non sarebbe mai potuto essere: rivide gli stessi occhi bicromi cerchiati di nero, lo stesso naso rosa e umido, le vibrisse, i denti, il muso dorato e le piccole orecchie arrotondate.
Rivide e percepì ancora sotto le dita il pelo soffice, la lunga coda, l’odore di selvatico nell’aria.
Ora sapeva però, che a quell’immagine in tridimensione, mancava comunque ancora qualcosa.
Per il semplice fatto che era solo un'immagine in tridimensione e
non era lei.
Adeline allora, fece quel che aveva fatto sino a quel momento: scavò più a fondo.
Cosa muoveva quel puma? Cosa muoveva
lei?
Risentì la ferocia di quella notte, nella sua cameretta.
Aveva fatto esplodere vetri, mobilio, tappezzeria. Con gli artigli li avrebbe lacerati, ogni zampata avrebbe ferito qualcosa e qualcuno.
Sotto la pelle i muscoli delle zampe erano forti e agili, pronti all’azione.
Adeline chiuse gli occhi, percependo quel genere di libertà di azione che da tempo immemore cercava di precludersi. Questo in realtà la spazientiva, e la coda si muoveva a scatti, nervosa.
Sotto il petto, dal pelo bianco, avrebbe sentito dei polmoni ed un cuore potenti – quei polmoni e quel cuore che le avevano permesso di urlare e ferire quegli schifosi in casa sua, di reagire, attaccare e poi correre veloce con la megera, di riempire di ossigeno e sangue i muscoli quando alla fine di un’intera partita aveva comunque trovato la forza di colpire con precisione quello studente.
Ma Adeline sapeva, comunque, che non era solo questo: lei
non era solo questo anche se era stata la rabbia e situazioni estreme sino ad allora a portarla a risposte altrettanto estreme - ma questo solo perchè non aveva mai avuto e trovato altro modo, altre vie di fuga, aiuti, spiegazioni, confini rassicuranti e difese. Erano state necessarie delle vere e proprie esplosioni per salvarla - o salvare qualcuno vicino al suo cuoricino - e questa ferocia aveva fatto odiare ad Adeline.. Adeline stessa.
[Ma Adeline sapeva, comunque, che non era solo questo: lei
non era solo questo] perchè lì, in mezzo a quel posto pacifico, il naso avrebbe annusato lieto l’aria fresca e le piccole orecchie si sarebbero spostate seguendo i suoni nascosti della radura.
Magari si sarebbe accucciata sul terreno, assaporando il manto di foglie sotto di lei, il pelo dorato a fasciarla in un tepore mite e le dita a giocherellare con il terriccio.
Il punto era – percepì Adeline quieta – che non importava quali fattezze avesse. Adeline umana, Adeline puma, erano confini leggeri – anzi –
malleabili, il punto era che indipendentemente dalla forma assunta, il contenuto, l’animo non sarebbero cambiati: Adeline era e sarebbe sempre stata Adeline.
Prima aveva dovuto "solo" capirlo e accettare quelle parti di sé che da tempo rifiutava persino di vedere, figurarsi riconoscere.
Nel complesso, nel suo tutto, nel suo caos, poteva avere braccia e gambe oppure zampe ed artigli?
Tanto meglio. Poco cambiava in fondo.
Poco cambiava. Era lei in ogni caso.Alzò la mancina ancora stretta sulla bacchetta, portandola nuovamente puntata al centro della sua testolina dorata -
in ogni caso.
La destra era stretta in un pallido pugno di decisione e forza, un’invisibile coda spazzava l’aria con altrettanta decisione e forza.
Avrebbe potuto benissimo appiattire le orecchie nello sforzo di concentrarsi o strizzare gli occhi.
Prese un respiro d’aria pulita dal naso umido o meno che fosse:
-Mutas Puma Concolor.-[
Nel complesso, qualcosa era accaduto.]
Ok, mi scuso per la lunghezza del post - non è stato premeditato è solo ..
terrificantemente uscito così