Alone, Adeline Walker, Animagus principiante

« Older   Newer »
  Share  
view post Posted on 10/2/2023, 12:08
Avatar

Il Fato

Group:
Discepolo del Fato
Posts:
10,913

Status:


E così, Adeline, sei tornata nel mondo reale. Che poi, come hai avuto modo di constatare durante questo viaggio, il concetto di realtà è piuttosto relativo. Ma, insomma, ora sei di nuovo nel bosco di Hogsmade, il luogo da te scelto per compiere quel rituale nella più completa solitudine. E ora non ti rimane che provare la trasformazione, capire se è stato tutto vano o se realmente assumerai le fattezze del tuo alterego dopo questa profonda esperienza. L'incantesimo lo conosci, o meglio, conosci la formula, i requisiti per la sua riuscita, e probabilmente nella tua testa ti sei già immaginata la sua esecuzione più volte, per andare sul sicuro. Ma si sa, tra teoria e pratica c'è quasi sempre realmente di mezzo una montagna. L'immagine del puma è perfettamente chiara nella tua testa, sia quella dell'esemplare che ti ha effettivamente accompagnato nel viaggio sia quella che tu immagini possa avere la tua forma animale. Tieni conto di ogni dettaglio, ogni sfumatura di colore, ogni tua caratteristica fisica che dovrebbe rispiecchiarsi nel tuo animale guida. Non hai mancanze, in questo senso: ogni dettaglio è chiaro e definito. Ma l'emozione ancora fresca dell'avventura appena vissuta e il dettaglio estetico non sono condizione unica per la riuscita della trasformazione. E te ne accorgi in fretta. L'incanto parte dalla punta della tua testa. Una trasformazione ha inizio, ma si ferma troppo presto. La testa si rimpiccolisce appena, il tanto da assumere le grandezze del cranio di un puma. Il pelo dorato compare esattamente come l'hai pensato, così come i dettagli del muso: lunghe vibrisse, zanne aguzze, naso rosa al centro e scuro fuori, iridi bicrome contornate di nero, orecchie piccole e arrotondate. Ma finisce lì. Qualche pelucco lungo il collo e l'inizio del petto, ma nulla più.
Se rifletti attentamente, non ci metti molto a capire cos'è andato storto. Quando ci si approccia a un nuovo incantesimo, soprattutto di tale complessità e con un effetto così drastico come quello che stai provando a compiere, si deve prestare molta attenzione a ogni cosa. Devi essere sicura delle tue capacità, Adeline, ma anche avere la coscienza per capire che serve pratica per padroneggiare tale potenza. Forse, inoltre, concentrarsi solo sull'aspetto fisico da assumere non è sufficiente. Forse, se provassi a concentrarti sull'emozione, su ciò che rappresenta essere un puma... prova a pensare a come vorresti sentirti, o a come ti immagini che ti sentiresti, nei panni della tua nuova realtà. Focalizzati su di te, Adeline, sulla tua natura che hai riscoperto in lui. Cosa proveresti nel correre libera sulle tue possenti zampe, forte e sicura di te. Come ti sei sentita un "noi" nello scontro con i lupi, così devi provare a sentirti. Non è semplice concentrarsi su ogni cosa, lo sai bene, ma sai anche di esserne capace. Avere solo la testa trasformata potrebbe agitarti, forse, ma non devi. Resta calma. Sei forte. Lentamente il parziale effetto svanisce da solo e torni interamente te stessa. Non demordere, non avere paura, mai. Il Dio non è più con te fisicamente, ma ti ha lasciato parte di sé nella consapevolezza che ti ha aiutato ad acquisire. Una parte di lui, quella che senti nell'anima, sarà sempre con te.


L'incatesimo è riuscito solo parzialmente, e l'effetto svanisce da solo dopo alcuni secondi: non serve usare il controincantesimo. Ritenta! Mi trovi sempre qui per ogni dubbio.
 
Web  Top
view post Posted on 13/2/2023, 18:32
Avatar

Group:
Docente
Posts:
419

Status:


Nel complesso, qualcosa era accaduto.
Riconobbe il familiare lavorio del suo catalizzatore che andò ad incanalare magia sino a plasmarla a suo piacimento – o quasi.
A dirla tutta poi, non fu neanche una sensazione particolarmente gradevole, anzi.
Percepì i cambiamenti, la pelle, le ossa modellarsi sotto la pressione di un incantesimo che forzava in qualche modo la natura stessa.
Fu la questione di qualche secondo: non si accorse di avere gli occhi chiusi sino a che non li riaprì, l’incanto interrotto, la bacchetta svuotata.
Le dita – ancora tali – riuscirono appena a sfiorare del pelo soffice, un piccola orecchia arrotondata, la mente dorata di Adeline fu ancor meno in grado di prendere coscienza di un insieme infinito di sensazioni nuove e sconosciute che – il tempo di un respiro da un naso umido e rosa – tutto finì.
La mano in effetti era ancora in alto quando la testa riprese le sue dimensioni normali, il pelo scomparve, i lineamenti del viso tornarono quelli di sempre.
Non era stato abbastanza.
Non era stata abbastanza.
Londra prese un grande respiro profondo, frustrata, delusa da sé stessa, arrabbiata.
Era piantata lì, in mezzo a quella radura deserta, le braccia tese lungo i fianchi e le mani serrate in due pugni stretti.
Chiuse gli occhi, iniziando a contare il numero di volte in cui si era arrabbiata così tanto con sé stessa per calmarsi, come se quel metodo fosse stato un astruso e patologico sostituto delle pecorelle o dei numeri.
1, 2, 3..
Se si percepiva manchevole in qualche cosa, qualsiasi cosa, si arrabbiava sempre.
E non importava di chi fosse la colpa, se ci fossero state o meno altre opzioni, possibilità di azione o meno, lei si arrabbiava - si arrabbiava così tanto e se la prendeva unicamente con sé.
8, 9, 10..
Una rabbia che aveva il colore bianco dell’ira cieca, abbagliante.
24, 25, 26..
Il sapore ferroso del sangue.
38, 39, 40..
E la sgradevole sensazione del metallo gelido che intaglia muscoli e ossa ancora caldi.

PT. 1
”Non mi eri mancata, Adeline Walker. D’altronde, tu non manchi a nessuno.”
[-No, no, no.. Risacca, vattene via.-]



Londra riaprì gli occhi, ma era troppo tardi.
Gli artigli affilati di Risacca stavano affondando dolorosamente nella mente di Adeline che nella disperazione di quel ritorno indesiderato si aggrappò all’unica certezza, a quell’unico bagliore di sicurezza che le era rimasto, confortante nel suo tepore: i lineamenti del suo puma, ancora incredibilmente nitidi, intrappolati nelle sue iridi di bosco e di mare.
Bello, anche nella sua feroce quiete.

-Perché. Perché sei qui. Perché ora. Perché.-
”Vediamo.. ah. Questa mi piace particolarmente.”
[Adeline, una Adeline più giovane, da poco sedicenne, raccoglieva da terra dei libri, sparpagliati scompostamente sul pavimento di un’aula vuota. Era a scuola, anzi, era in punizione nell’aula di Pozioni dopo l’ora di lezione. Si era arrabbiata con sé stessa per essere lì, in quella classe, per come ci era finita, per le parole di rimprovero che le erano state rivolte dal Professore della materia che più amava. Si era arrabbiata con sé stessa per quella punizione meritata, sì, ad ogni modo la colpa era sua. Così in qualche secondo di accecante ed amara ira, aveva ribaltato un’intera piccola libreria. Poi, soffocando le ringhia, aveva respirato forte, si era asciugata un paio di brucianti lacrime sul volto e facendo finta di nulla – persino con sé stessa – aveva preso a sistemare tutto.]

I ricordi andavano e venivano, e Adeline a stento capiva.
Il viaggio nel suo mondo interiore – che poi, era quello? – con il Dio, sicuramente l’aveva provata ma - perché dannazione
-Risacca perché, come..-
”Perché, come e BLAH BLAH BLAH, Adeline cara, per essere una studiosa poni le domande sbagliate.
Uh bello anche questo, ti ricordi?”

[Una Londra appena undicenne camminava da sola per le vie di Diagon Alley. Aveva un ginocchio sbucciato e una mano gonfia, livida, le nocche perdevano piccole gocce di sangue.
Si era persa, come una stupida, si era persa inoltrandosi in una seconda parte del villaggio dove di certo bambine come lei non sarebbero dovute finire, tanto più se da sole. Che stupida, avrebbe dovuto saperlo, avrebbe dovuto capirlo anche se quello era stato il suo primo spostamento da sola. Avrebbe dovuto prevederlo. Si era arrabbiata così tanto che senza quasi rendersene conto la mancina si era scagliata contro il muro in mattoni più vicino, ferendosi. Aveva indietreggiato, inciampando, e si era sbucciata anche il ginocchio. Che stupida.]

Il respiro, appena percepibile, era rapido e leggero. Le iridi di bosco e di mare si aggrappavano ancora a quel felino, anche se Risacca, attraverso quegli stessi occhi, sfruttava – abusava – della mente di Adeline sondando e studiando quegli stessi tratti, soffermandosi sui muscoli potenti, i denti aguzzi, gli artigli.
-Vattene. Sono qui per un motivo. Tu non c’entri nulla. Perché sei qui?!-
”Gne-gne-gne. C’entro più di quanto la tua lucida, matematica e razionale testolina bacata possa comprendere. Ad ogni modo non arrivo mai da sola, dovresti saperlo. Mi aggrappo a qualcosa, a qualcuno.. Qualcosa mi ha chiamata dolce Adels. Tu mi hai chiamata.”
[Non si ricordava come, né con quale forza a lei chiaramente sconosciuta, ma qualcuno doveva aver per forza strappato tutte quelle tende dal salone del Manor. E lei attualmente come sempre era l’unica abitante dell’intero possedimento. Ma una bambina di cinque anni e mezzo poteva originare tanto caos?
Le tende strappate, ricadute disordinatamente a terra, le sedie gettate con la stessa furia non curanza, sul pavimento rimanevano i resti di quella che poco prima doveva essere stata una frugale colazione a base di pancake ai frutti rossi. Cattiva. Era stata cattiva per combinare quel disastro. E insufficiente nelle sue mansioni, che stupida, sarebbe bastato.. ]

Gli artigli, scavarono più a fondo. Le difese là sotto, erano alte.
Fecero male, un male quasi fisico.
”Sai, hai ragione.. non mi hai chiamata proprio tu. Mi ha chiamata lui.”
Le iridi di bosco e di mare si aggrappavano ancora ai lineamenti pacifici del puma mentre Risacca scoppiava a ridere – una risata amara e crudele, una risata che fece crollare ogni barriera ed ultima difesa di Adeline Walker – e si allontanava.
Quegli artigli non erano i suoi. Forse, non lo erano mai stati.
Quelli che sentiva, che scavavano più a fondo, che insistevano ancora.. erano gli artigli del suo puma.

PT. 2



C’era un perché. C’era un come, c’era un chi, c’era tutto un insieme di cose, c’era una storia, una parte di lei.. con cui Adeline doveva venire a patti.
Studiò per un attimo ancora quei lineamenti, lo sguardo del felino le appariva – o era lei a disegnarlo, in fondo, dove stava poi il confine? – più feroce, deciso, forte. Più di quanto lei si sarebbe mai creduta in grado. Più aggressivo. Un predatore, territoriale, che difende.
Perché?
[- Credi di poter spedire un bolide così, in faccia ad uno studente senza conseguenze?
McAlley è in Infermeria per colpa tua, adesso - tolgo 50 punti a Corvonero, un mese di punizione e sospensione dalle ore di approfondimento di Pozioni - no Walker -
Adeline non aveva mai visto il suo professore così arrabbiato.
-Non hai scusanti. La partita si era conclusa – avevamo pure vinto per la miseria - e tu vai a mirare dritto dritto alla faccia di uno spettatore?!-
Londra aveva serrato i pugni e sputato tra i denti -McAlley ha messo le mani addosso a Lyth la scorsa settimana. L’ha sbattuta per terra con uno spintone, l’ha insultata per la sua discendenza magica, ha usato una fattura Pungente solo per il gusto di farlo e a lui hanno a malapena tolto 20 punti – e non è neanche la prima volta e prima se ne stava lì, a ridere sugli spalti perché il secondo bolide stava per colpirla al braccio che ha già fasciato per colpa sua COSA AVREI..-
Ma il Professore si era limitato a zittirla con un gesto e a congedarla con un secondo. Ci teneva a Lyth. E ad ogni modo, quello stronzo non le avrebbe più fatto del male.]

Adeline ricordò quella ferocia nella sua voce, nei suoi gesti, ricordò la precisione millimetrica con cui aveva preso la mira per battere con tutta la forza che aveva in corpo, spedendo un bolide impazzito contro quella faccia da coglione di McAlley. Lo aveva preso in pieno, e mentre l’attimo seguente tornava a volare attorno alla sua squadra, vicino a Lyth, ne era stata ferocemente orgogliosa.
Aveva sepolto da tempo, quella sensazione.
Ma sebbene il puma – sentì, si sentì - ugualmente orgoglioso, ringhiò ancora, tirando fuori gli artigli, pretendendo di più, scavando più a fondo.
[-Bella streghetta, lei.-
Una sudicia megera l’aveva afferrata per il braccio, credendola sola – e azzeccandoci alla grande – trascinandola più rapida e silenziosa di un gatto via dalla strada principale.
- Cos’è, vai in giro tutta sola? Dove sono mamma e papà mh? –
- Sono qui vicino, sono –
- E i galeoni dove sono, mh? Te ne avranno dato qualcuno per gironzolare, sì?-
Il cuore della non-ancora Bronzo Blu aveva iniziato a battere veloce mentre il brusio della gente si affievoliva e i viottoli diventavano più bui e torbidi.
- Fammi vedere, fammi solo..AH!-
Ancora prima di possedere una bacchetta, Adeline come tutti i bambini non possedeva altro che sé stessa e quella magia che sottile le scorreva nelle vene, permeava ogni sua fibra, le riempiva i polmoni: quella magia che, senza alcun catalizzatore a focalizzarla, dal nulla poteva venirle in soccorso, feroce.
Una sorta di potente scarica elettrica doveva aver attraversato la pelle di Adeline che, liberandosi così dalla stretta della megera - per appena una manciata di secondi come folgorata, sotto shock elettrico - aveva colto al volo la possibilità datale, spingendo furiosamente la strega, graffiandola come poteva, accecata dall’ira l’aveva persino morsa con tutta la forza che era riuscita ad imprimere e.. solo alla fine era scappata lontano.]

Sentì una parte di lei, ringhiare piano, soddisfatta anche se non ancora del tutto.
O era il puma a ringhiare piano?
Lui ringhiava piano e lei sentiva la ferocia, e l’orgoglio, la forza.
O forse era lei ad aver ringhiato, per la ferocia, e l’orgoglio e la forza di lui?
Adeline iniziava a confondersi – a fondersi - perchè il puma intrappolato nella sua mente, il pelo dorato ancora riflesso nelle iridi chiare, i lineamenti felini, i movimenti scattanti - sembrava in realtà il mero opaco riflesso di un primo, reale come non mai, non tanto nella sua mente ma piuttosto più in basso, tra il costato di Londra, vicino al muscolo cardiaco, accoccolato nella parte più profonda dell’animo della strega.
Adeline finalmente vedeva, sì, ma qualcosa che in realtà non era di fronte a lei..era dentro. Era lei. E quella consapevolezza insita che aveva acquisito durante il suo viaggio, ora finalmente iniziava a farsi limpida, comprensibile non più solo negli abissi del suo io, ma anche più superficialmente, a parole, tra i pensieri, una realtà che stava davvero prendendo tra le sue mani.
Quel lui alla fine, esisteva solo perché per lei fosse più semplice riconoscere, capire e accettare quella che era solo una stessa parte di lei, solo più profonda, tenuta nascosta, reclusa per anni. Ma era una lei che aveva vissuto. E aveva provato, e aveva agito, e aveva difeso e aveva attaccato. Lei c’era e aveva il diritto di essere riconosciuta, lei c’era e non era Risacca, non era un lui estraneo, un lui al di fuori di lei – per quanto le fattezze di puma le calzassero assolutamente a pennello - lei c’era ed era Adeline Walker.

Ancora.
[Si era allontanata dal party della zia perché sinceramente stanca. Era troppo piccola, non distingueva ancora la stanchezza fisica da quella mentale. Gli invitati di zia Ada erano chiassosi, ubriachi, maneschi.
Il salone principale era occupato da un centinaio di brutti ceffi ben vestiti, che alla prima occasione cercavano di metterle le mani addosso per tirarla a sé, come una bambolina da esposizione, inondandola con un alito pestilenziale che le faceva salire i conati.
Sorrideva cordiale comunque, ringraziava per i complimenti e si allontanava appena possibile, cercando di non fare caso al fastidio delle suole che rimanevano incollate al pavimento per l’alcool versato.
Se ne stava tornando in camera, l’unico e solo suo porto sicuro. Nell’ala ovest del Manor, gli ospiti si diradavano in piccoli campanelli, sino quasi a sparire.
In fondo, nella stanza più vicina al grande giardino..era piccola, aveva ancora difficoltà ad aprire da sola le enormi porte in legno massiccio e decori preziosi.
Lì per lì non se ne rese conto, ringraziò quasi la porta già semi socchiusa.
Strano, perché se la chiudeva sempre dietro.
Da quel momento in avanti fu un succedersi di eventi talmente veloce, ma al tempo stesso così incredibilmente lento da straziare.
..Qualcuno era entrato nella sua cameretta.
Qualcuno aveva macchiato di liquore i suoi bei tappeti, spargendo abiti ovunque.
Non erano tuttavia suoi gli abiti.
Qualcuno si rotolava tra le sue lenzuola, gemendo, dicendo volgarità. Qualcuno obbligava, forzava, qualcuno piagnucolava, subendo.
Qualcuno osservava rapito la scena, in piedi, comunque svestito, qualcuno rideva roco.
Qualcuno giaceva svenuto.
Gli occhioni sgranati dall’orrore si riempivano di quelle immagini volendosene in realtà solo svuotare.
Nessuno si accorse di lei per un tempo immemore.
Nessuno fece nulla, nè per lei, né per la giovane strega che ad un certo punto aveva semplicemente smesso di combattere.
Nessuno si rese conto che Adeline, apparentemente incapace di respirare per svariati minuti, ad un tratto incrociò lo sguardo della ragazza stesa sul suo letto. Aveva gli occhi di un blu stupendo, anche se adesso apparivano spenti, come svuotati.
Nessuno si accorse che in quel preciso momento, la piccola Adels aveva preso un grosso, grosso respiro.
Urlò: così forte, così acuta nella sua voce di bambina, e la sua magia esplose insieme a lei.
In effetti era una delle prime.
Le alte vetrate delle finestre andarono in frantumi, scagliando schegge di vetro ovunque.
Continuò a urlare, portando le manine alle orecchie mentre lo sguardo non riusciva a distogliersi da quello della strega.
Ci fu caos, ci furono urla, ci furono ferite e ci fu sangue, ma Adeline aveva iniziato ad urlare e adesso non riusciva più a smettere.
Esplosero i mobili, i vecchi pupazzi, il letto a baldacchino si ripiegò su sé stesso.
Voleva solo che se ne andassero, voleva che uscissero dalla sua cameretta, voleva cancellare quelle immagini impresse a fuoco nelle sue iridi di bosco e di mare cacciandoli via, cacciandoli via tutti.
Una volta recuperati i propri vestiti ed averi, le bacchette riprese in mano, iniziarono le smaterializzazioni.
Adeline smise di urlare solo quando la strega dagli occhi blu le si avvicinò, ancora nuda, ferita, e le mise una mano sulla bocca, intimandola alla calma sebbene sembrasse più spaventata lei di Londra.
Puzzava di alcool, ma sotto si poteva sentire un vago profumo di ciliegie: Adeline batté una volta le palpebre annuendo piano, poi si girò e se ne andò via.
L'indomani mattina si sarebbe preparata dei pancake. Magari ai frutti rossi. Le erano sempre piaciuti i frutti rossi.]

C’era una parte di lei, quella parte di lei, che adesso faceva le fusa soddisfatta e feroce.
Meglio: soddisfatta perché le era stato dato il giusto riconoscimento, soddisfatta perché finalmente era stata sentita, vista davvero, perché dopo tutta la fatica, gli anni di grida non ascoltate.. lei c’era ed era una parte importante tanto quanto quella che rendeva Adeline tanto gentile, o altruista, o iperattiva.
Soddisfatta e feroce, comunque, perché non le era bastato.
Tutto quello, non era stato abbastanza, altre parti di Londra l’avevano limitata e placata, avevano lasciato McAlley in pace dopo il suo ritorno dall’infermeria – anche se delle adeguate occhiate taglienti non erano mai mancate – avevano lasciato la megera per terra facendola allontanare, avevano lasciato sopravvissuti in quella cameretta - anzi, avevano fatto desiderare alla Adeline bambina che se ne andassero, che si allontanassero..quando, se fosse stato unicamente per lei, tutti quei qualcuno, da quella camera, non sarebbero affatto usciti – vivi.
Ma in fondo, per il momento le bastava il riconoscimento.
Lei esisteva, aveva vissuto, anzi d’ora in avanti sarebbe stata anche vissuta com’era giusto che fosse, dal principio.
Magari il solo avere una valvola di sfogo, una possibilità reale di movimento, l’avrebbe acquietata un po'. O forse no. In fondo, neanche le importava.

PT. 3



Era stanca.
Non sapeva quanto tempo fosse passato, non sapeva niente eppure, sapeva molto, molto di più di quanto non avesse mai potuto osare sperare sino al giorno prima.
Aveva scavato così a fondo..
Prima il viaggio, il Dio, il puma, e aveva capito ma forse senza provare davvero, o magari tutto il contrario, aveva provato ma senza capire davvero.
Poi la realtà – quale delle tante? – il fallimento, la rabbia, e dalla rabbia, da quell’unica, profonda emozione.. Risacca. Che era stata Risacca ma non fino in fondo, era stata ma solo per grattare appena in superficie, era stata la goccia che aveva fatto traboccare un vaso già spezzato e ricomposto più e più volte, e riempito, e svuotato, e riempito ancora.
Quindi Risacca non era più stata. Era stato il puma.
No: era stata lei, era stata Adeline. Il puma era lei e lei era il puma.
Aveva scavato, scavato a fondo, ed era tornata a ricordare: si era sentita forte, si era sentita feroce, si era sentita orgogliosa, territoriale, si era sentita predatore persino in una tana in cui ad occhi umani sarebbe apparsa lei come preda.
Perché Adeline era capace di agire, capace di difendere, di ferire ed attaccare se necessario, Adeline era ed era sempre stata e sarebbe sempre stata, avrebbe difeso, avrebbe attaccato, avrebbe morso e graffiato, avrebbe ferito sino a vedere scorrere il sangue e ne avrebbe saggiato l’odore nell’aria, e ne sarebbe stata tanto soddisfatta da fare sommessa le fusa.

Forse, come un cerchio che si chiude, aveva capito alla fine cosa aveva sbagliato.
Non era stato sufficiente immaginare il puma, rivederlo in ogni suo più piccolo dettaglio davanti ai suoi occhi.
Così come lo aveva trovato nel suo viaggio, avrebbe dovuto ritrovarlo ancora, e avrebbe dovuto ritrovarlo dentro sé stessa.
Avrebbe dovuto risentirlo, e non ricordandone semplicemente la morbidezza del pelo contro i movimenti agili, lo sguardo sicuro, gli artigli pronti - avrebbe dovuto risentirlo, risentirsi, riconoscersi in quella morbidezza e in quei movimenti e in quello sguardo e in quegli artigli.
E così aveva fatto.
Era sempre stata lei, nel corso degli anni, morbida al tatto, in superficie, ma assolutamente con tutta la forza necessaria per ben altro, con i suoi movimenti veloci e forti quando aveva battuto quel bolide in faccia allo studente – e ancora prima, ancora più a fondo – quando aveva reagito e aveva spinto e graffiato e morso – e ancora prima, ancora più a fondo – quando era stato talmente troppo, da farla attaccare alla cieca e basta, furiosa, territoriale, predatrice in mezzo – e non le importava, perché comunque avrebbe attaccato e difeso e agito ad ogni costo - a predatori.

Quindi eccola.
Nella sua completezza.
Le pulsava la testa, ma non le importava.
Strinse il catalizzatore nella mancina per riprendere meglio coscienza del suo corpo, dondolandosi un po' sui talloni in un gesto tanto abitudinario e talmente suo che le venne da ridere, e la sua risata rimbalzò cristallina tra le fronde degli alberi e l’aria fresca, fondendosi con i suoni del bosco.
Respirò a fondo e tornò concentrata.
Era un incanto difficile e lo sapeva. Poteva solo tentare di riuscire, ma questo non significava che non avrebbe provato sino allo stremo, focalizzando su quel solo e unico obbiettivo ogni fibra del suo essere.
Tornò a visualizzare il suo puma – ed era un puma perché altro alla fine non sarebbe mai potuto essere: rivide gli stessi occhi bicromi cerchiati di nero, lo stesso naso rosa e umido, le vibrisse, i denti, il muso dorato e le piccole orecchie arrotondate.
Rivide e percepì ancora sotto le dita il pelo soffice, la lunga coda, l’odore di selvatico nell’aria.
Ora sapeva però, che a quell’immagine in tridimensione, mancava comunque ancora qualcosa.
Per il semplice fatto che era solo un'immagine in tridimensione e non era lei.
Adeline allora, fece quel che aveva fatto sino a quel momento: scavò più a fondo.
Cosa muoveva quel puma? Cosa muoveva lei?
Risentì la ferocia di quella notte, nella sua cameretta.
Aveva fatto esplodere vetri, mobilio, tappezzeria. Con gli artigli li avrebbe lacerati, ogni zampata avrebbe ferito qualcosa e qualcuno.
Sotto la pelle i muscoli delle zampe erano forti e agili, pronti all’azione.
Adeline chiuse gli occhi, percependo quel genere di libertà di azione che da tempo immemore cercava di precludersi. Questo in realtà la spazientiva, e la coda si muoveva a scatti, nervosa.
Sotto il petto, dal pelo bianco, avrebbe sentito dei polmoni ed un cuore potenti – quei polmoni e quel cuore che le avevano permesso di urlare e ferire quegli schifosi in casa sua, di reagire, attaccare e poi correre veloce con la megera, di riempire di ossigeno e sangue i muscoli quando alla fine di un’intera partita aveva comunque trovato la forza di colpire con precisione quello studente.
Ma Adeline sapeva, comunque, che non era solo questo: lei non era solo questo anche se era stata la rabbia e situazioni estreme sino ad allora a portarla a risposte altrettanto estreme - ma questo solo perchè non aveva mai avuto e trovato altro modo, altre vie di fuga, aiuti, spiegazioni, confini rassicuranti e difese. Erano state necessarie delle vere e proprie esplosioni per salvarla - o salvare qualcuno vicino al suo cuoricino - e questa ferocia aveva fatto odiare ad Adeline.. Adeline stessa.
[Ma Adeline sapeva, comunque, che non era solo questo: lei non era solo questo] perchè lì, in mezzo a quel posto pacifico, il naso avrebbe annusato lieto l’aria fresca e le piccole orecchie si sarebbero spostate seguendo i suoni nascosti della radura.
Magari si sarebbe accucciata sul terreno, assaporando il manto di foglie sotto di lei, il pelo dorato a fasciarla in un tepore mite e le dita a giocherellare con il terriccio.
Il punto era – percepì Adeline quieta – che non importava quali fattezze avesse. Adeline umana, Adeline puma, erano confini leggeri – anzi – malleabili, il punto era che indipendentemente dalla forma assunta, il contenuto, l’animo non sarebbero cambiati: Adeline era e sarebbe sempre stata Adeline.
Prima aveva dovuto "solo" capirlo e accettare quelle parti di sé che da tempo rifiutava persino di vedere, figurarsi riconoscere.
Nel complesso, nel suo tutto, nel suo caos, poteva avere braccia e gambe oppure zampe ed artigli?
Tanto meglio. Poco cambiava in fondo.
Poco cambiava. Era lei in ogni caso.

Alzò la mancina ancora stretta sulla bacchetta, portandola nuovamente puntata al centro della sua testolina dorata - in ogni caso.
La destra era stretta in un pallido pugno di decisione e forza, un’invisibile coda spazzava l’aria con altrettanta decisione e forza.
Avrebbe potuto benissimo appiattire le orecchie nello sforzo di concentrarsi o strizzare gli occhi.
Prese un respiro d’aria pulita dal naso umido o meno che fosse:
-Mutas Puma Concolor.-


[ Nel complesso, qualcosa era accaduto.]




Ok, mi scuso per la lunghezza del post - non è stato premeditato è solo .. terrificantemente uscito così :flower: :hedgehog:
 
Top
view post Posted on 16/2/2023, 09:42
Avatar

Il Fato

Group:
Discepolo del Fato
Posts:
10,913

Status:


Non esiste un modo universale di gestire il fallimento. Non esiste nemmeno un metro di giudizio univoco su cosa sia il fallimento. A volte è un dato oggettivo, altre - la maggior parte - è solo un giudizio troppo severo con cui ci affliggiamo da soli. Sai bene che il rito, il processo, l'incantesimo che hai deciso di imparare è tutt'altro che semplice, che non riuscire a eseguirlo al primo, al secondo o al terzo colpo non è indice di carenze. Che non è un fallimento. Ma anche se lo sai, sei fatta così. Non ti perdoni niente. Pensi di non essere stata abbastanza, ma la realtà è che sei semplicemente abbastanza umana da avere gli stessi limiti di chiunque altro.
La tua mente dorata non perdona, ormai lo sai. Ti conosci bene. Anzi, ti conosci ancora meglio adesso. Quello che tu consideri un fallimento ti fa montare la rabbia, una rabbia che hai già sperimentato. Prepotenti, i ricordi prendono spazio nell'oro del tuo cervello. Ricordi che raffigurano vari modi in cui hai manifestato la tua personalità, quella che hai approfondito in questo viaggio, quella che hai ritrovato nel puma. Chissà, Adeline, come avresti vissuto quegli episodi se fossi stata puma. Se avessi già capito di essere puma. Hai ringhiato, hai graffiato, hai morso. Una predatrice che però non ha mai affondato completamente le zanne nella sua preda. Ti sei accontentata del "riconoscimento". Ma se avessi saputo, se avessi avuto la consapevolezza che hai ora, avresti reagito allo stesso modo? Avresti affondato le zanne? O al contrario, avresti avuto una valvola di sfogo e ti saresti arrabbiata di meno? Difficile dirlo, ormai.
La tua parte più razionale ha preso il controllo, e riesci a comprendere cosa non ha funzionato. Immaginare il puma non è stato sufficiente. Hai capito che la strada verso il successo è solo una: arrendersi. Abbracciare la tua natura, ammettere a te stessa senza giudizio che puma lo sei sempre stata. C'è differenza tra riconoscersi in qualcuno o qualcosa e accettare di essere legati indissolubilmente a questo qualcuno, o qualcosa. Pian piano ci sei arrivata. Il legame emotivo tra te e il puma è netto, evidente, chiaro come la luce che vi ha avvolto pochi minuti - o svariate ere - prima. Ancora una volta, la trasformazione inizia dalla testa. Accade allo stesso modo, con il medesimo risultato. Ma questa volta prosegue. Dal collo, al petto, al busto, fino a ogni singolo arto. Un calore intenso percorre ogni centimetro della tua pelle, e dentro, tra i muscoli, fino alle ossa. Riesci a percepire ogni frammento di corpo che cambia, che muta, si stravolge fino ad assumere il completo aspetto del puma. Esattamente come lo hai immaginato, esattamente come sei tu. Non hai uno specchio per vederti, ma senti la terra con le tue possenti zampe, odori lontani che non avresti mai potuto scorgere in forma umana, vibrazioni remote che solo i felini sono in grado di cogliere. Ci sei, Adeline. Sei puma. Sei tu.
Eppure, qualcosa ancora non va. Un fortissimo peso quasi ti incolla al terreno. Non riesci a muovere un singolo muscolo che ti consenta di spostarti da lì. Si muove solo la testa, ma con movenze limitate. Cosa sta succedendo? Non ti è di immediata comprensione, questa volta. Hai fatto tutto giusto, la tua connessione con l'animale è potente, salda, e l'incantesimo è andato in porto. Cosa manca, allora, ti chiederai. Sei intelligente, Adeline, e dopo un po' di riflessione non fatichi a immaginare la causa della tua immobilità. Se il legame emotivo con il puma è ormai indiscutibile, lo stesso non si può dire di quello fisico. Una vita intera sotto forma umana, venti secondi in forma animale. Una forma pesante, diversa in ogni suo aspetto, nuova. Devi lottare, Adeline. Lotta per assumere il controllo di questo corpo, che per quanto nuovo è comunque tuo. Abbi pazienza, respira. Cerca di abituarti ai tuoi sensi estremamente più sviluppati. Al contatto con la terra più puro che abbia mai sperimentato. Rilassa i muscoli e adatta la loro forza al nuovo peso che devono sostenere. Lotta, ma con calma e razionalità. Assumi il controllo di te stessa, una volta per tutte.


 
Web  Top
view post Posted on 4/3/2023, 20:55
Avatar

Group:
Docente
Posts:
419

Status:


Adeline non era mai stata tanto cosciente e consapevole del suo corpo sino a quel momento.
D’altronde, non era quasi un clichè?
Non ti rendi conto di cosa possiedi sino a che non sei lì lì per perderlo.
Adeline non si era resa conto di avere e fruire quotidianamente di così tanti muscoli, ossa, tendini e articolazioni, sino a quel momento – momento in cui, di fatto, in qualche modo li stava perdendo.
Li stava trasformando, si stava trasformando.
La sua parte più analitica, curiosa, avrebbe voluto avere a disposizione uno specchio – ma forse questo avrebbe tolto tutto il bello in fondo.
Come vivere un evento attraverso la lente di una macchina fotografica, immortalando magari qualche istante per sempre - ma perdendo di fatto quell’attimo, quell’emozione precisa, quella sensazione unica.
E di sensazioni uniche Adeline ne avrebbe avute da vendere in quei momenti.
Il suo sistema nervoso doveva star dando scintille: la testa rimpicciolì una seconda volta, le orecchie rosa lasciarono il posto ad un paio più alte, arrotondate e dorate, grandi.
Il naso diritto si appiattì, allargandosi, inumidendosi, gli occhi si distanziarono leggermente, rotondi e come truccati dal pelo corto e morbido che in pochi secondi comparve su tutto il viso – anzi, muso.
Le sembrò di cadere sulle ginocchia, ma la realtà fu che si piegò effettivamente in avanti ma delle forti zampe anteriori le impedirono di finire con il muso per terra mentre quelle posteriori – Adeline ebbe la sgradevole sensazione di avere invertite le ginocchia – ammortizzavano il colpo – e là dove sapeva esserci l’osso sacro un lungo e sinuoso peso prese vita, centimetro dopo centimetro.. la coda.

Nel complesso, in tutta onestà, quel tutto prese in proporzione così poco tempo che la ex Bronzo Blu riuscì appena a razionalizzare tutti quei cambiamenti: bombardata da così tante informazioni e cambiamenti e calore – un calore così intenso, familiare nel profondo ma dannazione, così tanto - la Medimag percepì tutto e percepì nulla.
Un attimo prima era Adeline Walker, un attimo dopo.. era Adeline Walker. Era sempre lei, lo sapeva, si sentiva, ogni atomo gridava la sua essenza.
Ma accidenti, da fuori nessuno l’avrebbe decisamente riconosciuta.
Ferma, immobile in mezzo a quella radura, la strega avrebbe riso – e in effetti l’impulso nervoso dal cervello ai muscoli addetti sicuramente partì ma – posto che la potente mandibola che aveva preso posto ai tratti solitamente più fini, e sicuramente meno pelosi, avrebbe potuto tante cose ma non una risata - Adeline percepì uno pseudo movimento della bocca, irrigidita, che forse si aprì appena ma sicuramente nulla più.
Ebbe la sensazione che le orecchie si appiattissero un poco dalla frustrazione o paura, senza sapere neanche il come – o forse era nuovamente solo un’idea, un impulso nervoso che ancora partiva dal cervello abituato a reagire d’istinto, tendendo dei muscoli che però..
Qualcosa non andava.
Si era trasformata, lo sapeva, ne era consapevole, lei lo sentiva, lei..
Ecco, questo non era vero.
Lei sapeva, sicuramente, ma non sentiva.
Anzi. Peggio ancora.
L’unica cosa che sentiva adesso, se si concentrava, era un peso enorme, inimmaginabile, il peso di un corpo che – per quanto suo - prima di quel momento non aveva mai sperimentato davvero, mai sperimentato così.
Intrappolata.
Intrappolata in un corpo estraneo e – cosa ancor peggiore – il fatto che comunque quel corpo fosse effettivamente il suo per cui si supponeva potesse muoverlo a piacimento – ecco, questo che peggiorava davvero le cose.

Adeline Walker non era abituata alla paura.
Non era stata creata per quel genere di emozione.
Rabbia, gioia, talvolta tristezza. Gli unici episodi legati a quello specifico stato d’animo risalivano alla sua infanzia, ma ad ogni modo potevano essere contati sulle dita di una mano.
Così, quando quella terrificante sensazione di immobilità forzata e indesiderata portò con sé l’altrettanto orribile consapevolezza della trappola, della mancata libertà..
Merlino.
Lei che nella libertà di azione e movimento era nata e cresciuta – era abituata a livelli tali di assenza di confini che era arrivata talvolta a odiarla, altre volte a proteggerla con forza ma mai mai come in quel momento, si era ritrovata in quell’assurda situazione in cui ogni più piccolo gesto le era negato, precluso, lei.. lei chiuse gli occhi.
Se la paura biologicamente ti porta all’attacco, alla fuga o al congelamento – la trasformazione l’avrebbe anche forzatamente congelata – ma Adeline Walker era decisamente un tipo da attacco.
Si rese conto che aveva smetto di respirare, andando in apnea come tante volte le capitava quando particolarmente sotto stress.
Era lei. Era sempre lei.
In forme diverse all’esterno, sicuramente, ma era sempre e comunque lei, quella Adeline Walker che dal nulla poteva scoppiare a ridere per dettagli catturati solo dalla sua mente, che se frustrata tendeva le orecchie e la mandibola, che chiudeva gli occhi per concentrarsi, che andava in apnea quando dissociata.
Era lei in qualunque forma ed erano anche questi dettagli così profondamente suoi ad urlare al mondo che sì, in superficie ora sarà anche apparsa diversamente..ma era lei.
Sarebbe partita da questo.
Sarebbe partita da quel legame interno e da quella consapevolezza profonda, per poi scavare – scavare, sì, come forzatamente una vita prima quel verbo l’aveva condotta dalle superfici razionali e brillanti della sua mente dorata alle zone più buie e nere del suo animo, l’aveva condotta lì, dalla stasi del suo corpo al profondo dinamismo del suo io per potersi trasformare, cambiare, muovere.. così, con quella stessa idea, verbo, azione, avrebbe lottato per invertire la rotta: sarebbe partita là dove era arrivata, dal suo interno, dal suo profondo, per poi scavare e risalire e tornare in superficie, ricontattando tutte quelle parti di sé che erano comunque parti di sé anche se di forma diversa.
[Prima dalla stasi del corpo al dinamismo dell’Io per un ancoraggio dell’Io ed il movimento del corpo.. E ora dalla stasi dell’Io, adesso àncora certa, porto sicuro, al dinamismo del corpo – ma sì, anche se con significato diverso, sempre con alla base un ancoraggio dell’Io e per il movimento del corpo.
E quel corpo e quell’Io e quegli ancoraggi e stasi e dinamismi.. erano lei.
Era lei.]

Doveva imparare a conoscere quel corpo, prima di saperlo gestire.
Iniziò concentrandosi proprio sul respiro.
Era andata in apnea perché non avrebbe letteralmente saputo fare altro in un momento simile, anche se per qualche astruso motivo si fosse ritrovata nelle vesti di una teiera a fiori azzurri.
Conosceva bene il suo respiro. Leggero, veloce, silenzioso. Normalmente avrebbe anche potuto affermare con una certa sicurezza di conoscere i propri polmoni, con una capienza nella media ed una forza non eccellente – da sportiva agonista – ma piuttosto buona in effetti.
Quelli però non erano i suoi soliti polmoni.
Non sapeva - dal peso che ancora la sentiva immobilizzare, incastonare ogni suo singolo atomo – se riuscisse a farlo, ma nello sforzo della concentrazione avrebbe strizzato ancora di più gli occhi – sicuramente il cervello inviò i comandi ad ogni modo.
Voleva concentrarsi su quel respiro tanto conosciuto quanto su quei polmoni tanto nuovi.
Erano molto più grandi, molto più capienti, più forti.
Azzardò un piccolo respiro che fuoriuscì dal naso umido – e inspirò subito dopo, riempiendo quei polmoni, cercando di familiarizzare con quella portata polmonare tanto diversa.. la concentrazione si spostò senza quasi volerlo, sul primo che reagì – con battiti salvifici e forti – a quelle boccate di ossigeno: il cuore.
Il suo cuore da umana, lo sapeva, batteva spesso rapido tanto quanto lo era il respiro che lo nutriva – quel cuore però.. quel cuore era più forte, potente tanto quanto i polmoni, ora lento, il suono attutito.
Quello era un cuore adatto alla lotta, alla caccia: poteva rallentare in momenti di stasi come quelli ma poteva anche dargli quella scarica di forza e vigore al primo mezzo accenno di pericolo o di preda nelle vicinanze.
La mente limpida di Adeline scivolò giù, verso il basso.
I polmoni respiravano attenti, il cuore batteva, ma tutto quel sangue in circolo – la Medimag queste parti le conosceva bene – non girava mica a vuoto.
Il sistema circolatorio e l’apparato respiratorio di un puma sarebbero potuti essere diversi da quelli umani per tanti aspetti – ma per altri.. la Walker conosceva la teoria, quello sempre, ma fece saltellare la propria consapevolezza lungo il proprio corpo per saggiarne la pratica, la realtà.
Quello d’altronde era il suo corpo.
E non avrebbe ceduto di mezzo passo, lo avrebbe studiato, annusato, scoperto e stanato, era suo e come tale si sarebbe mosso e avrebbe reagito perché lei si muoveva, lei reagiva.
Il sangue pompato dal muscolo cardiaco irrorava l’intero sistema muscolo-scheletrico, dal costato al ventre, alle zampe possenti.
Fu strano focalizzarsi su quelle. Istintivamente sentì come l’impulso di irrigidirsi e rilassarsi al contempo: sotto i polpastrelli, la terra morbida, il fogliame.. Adeline si concentrò su quelle sensazioni, su quegli artigli nascosti che – sapeva – avrebbero potuto scavare quel terreno con la facilità con cui un coltello affonda nel burro sciolto – figurarsi affondare sotto il pelo morbido di una piccola preda.
I muscoli erano scattanti, tesi per quell’immobilità forzata, ma la strega cercò di respirare ancora, lentamente, facendo riverberare quell’ossigeno attraverso lo sterno e l’intera muscolatura.
Le zampe dietro – la coscienza scivolò ancora – inizialmente le avevano dato una sensazione strana, ma continuò nella sua imperterrita e silenziosa battaglia per la quiete saggiando la nuova posizione di femore, tibia e tarso, risalendo poi verso quella – merlino sì – assurda nuova presenza.. la coda – realizzò – seppur immobile come il resto del corpo, sembrava avere questo grande potere di stabilizzatore e Adeline lo sapeva, sarebbe risultata fondamentale in ogni suo singolo movimento, per equilibrio, velocità – per non parlare della comunicazione.
Sapeva, Adeline ne era certa, che per il solo fatto che era lei, che era la sua coda, che alla prima mezza occasione di frustrazione, rabbia, nervosismo, quel lungo e sinuoso peso si sarebbe mosso a scatti, fendendo l’aria, esplicitando forse ancor meglio delle sue espressioni facciali da umana, il suo stato d’animo interno.
L’avrebbe anche aiutata nella gestione del suo peso, disperso in maniera così diversa ora – e la mente di Adeline saltellò ancora di muscolo in muscolo, da arto in arto, avvolse il ventre snello, peloso e caldo, corse lungo la colonna vertebrale e si accovacciò concentrata sul muso.
Aveva ancora gli occhi chiusi – e c’era ancora così tanto da scoprire.
La sensazione di poter muovere solo limitatamente il capo non le impedì di provarci: cercò di schioccare piano la lingua, in mezzo a quei denti talmente affilati che i suoi canini da umana avrebbero solo che ridicolizzato la scena.
Mosse appena il naso umido, o almeno ancora una volta fu quello il tentativo, mentre tornava a concentrarsi sul respiro focalizzandosi però, questa volta, su ciò che con sé quello portava: i sensi dei felini infatti, erano ben diversi da quelli degli umani.
La radura attorno a lei, all’improvviso, si era fatta più piena, presente, reale.
L’odore del bosco..no. Londra sentiva l’odore del terreno umido e delle foglie, sì. Sentiva il vento tra i rami, sentiva la traccia del fuoco, sentiva le tracce, di animali presenti e vagamente passati, sentiva l’odore di casa sua, impresso a fuoco nel tessuto della borsa che giaceva a qualche passo da lei, là dove aveva portato il materiale per quel pomeriggio, quel tessuto che aveva stretto tra le sue braccia da umana e che prima ancora aveva poggiato tra i morbidi cuscini del suo divano.
Sentiva in lontananza, odori altri, e – la sua mente cristallina saltellò entusiasta – sentì di nuovo ma questa volta con quelle piccole ma poderose orecchie dorate: qualche lucertola doveva essersi mossa tra il fogliame. Tra i rami il cinguettio di uccelli che avrebbe potuto ascoltare anche da umana, sì, ma non così.. e quello di altri ancora troppo lontani perché il suo limitato udito umano potesse raggiungerli. Più lontano ancora poi, che animale era? Annusò l’aria, il vento a favore, ma anche se una traccia le riempì i polmoni, furono i mancati vissuti da felino a limitarla, dato che non riuscì a identificare la fonte di quei suoni e di quell’odore, selvatico sì, ma ancora sconosciuto.
Come chiedere ad un felino di distinguere un succo di zucca da uno sfornato. Di certo le differenze le avrebbe avvertite, ma di lì a identificarne la natura ed il nome..
Londra avrebbe riso di nuovo se avesse potuto.
Le veniva così naturale che istintivamente arricciò il naso – e forse questo seppur le sue movenze limitate accadde davvero – di certo avverti comunque quella sensazione strana per cui – se da umana avrebbe riso – da puma si sentì solleticare il naso e la base delle vibrisse, muovendo appena, di scatto, il muso, come preda di un piccolo starnuto.
Alla fine, riaprì gli occhi.
Come gli altri sensi, in particolar modo l’udito, anche la vista da felino era parecchio più potenziata – affilata.
Adeline fu bombardata da una miriade di informazioni, di nuovo, ma si costrinse alla quiete e respirò ancora, calma, pacifica.
Fu con una fitta al cuore che – come prima cosa – prese atto del quantitativo di colori in meno che riusciva a cogliere.
Il range visivo in compenso..era decisamente ampliato.
Fu strano perché quei dettagli che normalmente avrebbe catturato solo concentrandosi volontariamente – o quantomeno girando almeno il capo – adesso le arrivavano alla corteccia visiva senza nessun particolare sforzo.
Concentrandosi invece, la Walker avrebbe scommesso una mano – o una zampa – che la sua visione poteva coprire abbondantemente un chilometro e passa di territorio, probabilmente anche di più senza tutti quegli alberi e cespugli attorno.
Sarebbe stato interessante mettere alla prova quei sensi al buio, o in una zona più scoperta.
No sarebbe stato interessante letteralmente qualsiasi cosa in quelle sembianze.
Abbassò lo sguardo, tornando a concentrarsi su tutto quell’insieme di cose, di parti di sé, che la sua scintillante coscienza aveva studiato e annusato curiosa, stupita: le sarebbe bastato anche solo un piccolo movimento per iniziare.
Uno solo.
Piccolo piccolo.
Era il suo corpo, la sua mente, il suo animo e la sua volontà.
Il punto non era forzarsi nel muovere artificiosamente un gruppo specifico di muscoli, ossa e tendini – anzi, realizzò improvvisamente Londra – il punto era proprio il contrario: d’altronde, quando aveva sete, stava poi a pensare quali fibre muscolari tendere e quali rilassare per poter allungare il braccio e piegare in un preciso modo il polso, razionalizzava su come fare una specifica pressione sulle dita e quindi afferrare il bicchiere?
Aveva poi tutta questa coscienza dei dodici muscoli differenti che si muovevano quando socchiudeva appena le labbra per bere?
E questo valeva persino per gli infanti – accidenti – non avevano di certo tutta questa consapevolezza di sé – anzi - quando tentavano le loro prime prese con le manine paffute, i loro primi passi. Al massimo tentavano, volendolo solo, cadevano.. per poi riprovarci. E anche così scoprivano il loro corpo, ancora meglio, in un circolo virtuoso di scoperta, tentativi, fallimenti e nuove scoperte e nuovi tentativi e nuove conoscenze e - Ecco.
Adeline Walker avrebbe fatto proprio come i bambini appena nati – bambini con un cuore ed una volontà ferree per alcuni versi, tenere per altri, inseriti in un corpo che ancora devono imparare a conoscere e a gestire - forte comunque di un livello di coscienza e sapere adulti che, a dispetto degli infanti, aveva e avrebbe sfruttato come possibile.
Avrebbe teso la mano per bere, senza pensare al resto, perché il resto, essendo suo, sarebbe venuto da sé.
Sarebbe caduta come i bambini durante i loro primi passi?
Può essere, anzi, molto probabile.
Ma non le importava. Si sarebbe mossa, perché poteva muoversi, perché era lei, era lei e basta.
Riascoltò ancora una volta il suo corpo, riascoltò sé stessa e, “banalmente”, scelse solo di agire, di volere.
La sua zampa destra si sarebbe mossa in avanti, di appena una manciata di centimetri.
Probabilmente la schiena si sarebbe allungata leggermente, tendendo appena il collo, la coda le sarebbe servita per tenersi in equilibrio – ma comunque quella zampa si sarebbe mossa, perché era quello che lei voleva, perché era quello che semplicemente avrebbe fatto.
Punto.
Magari sarebbe caduta.
Magari avrebbe strisciato la zampa sul terreno, non alzandola come si deve, magari si sarebbe incasinata tanto da cadere graziosamente con il culo per terra, le zampe posteriori storte e la coda schiacciata - ahi quello sì che avrebbe fatto male -.
Ma.. si sarebbe mossa.
Ora.
 
Top
view post Posted on 9/3/2023, 15:47
Avatar

Il Fato

Group:
Discepolo del Fato
Posts:
10,913

Status:


Durante tutto il percorso che ti ha portata fino a qui, hai mostrato una dote particolare, Adeline. Una qualità che il Dio stesso ha riconosciuto e premiato, e che continua a premiarti. Davanti a ogni circostanza ti sei affidata al tuo istinto in modo così naturale da sembrare, al contrario, che le tue scelte siano state a lungo ponderate. Si può dire, forse, che sia stata l'esperienza di una vita ad averti portato a conoscerti così bene da possedere un istinto razionale. Solo tu puoi saperlo con certezza. Anche di fronte a quest'ultimo ostacolo non hai esitato, hai seguito un flusso di emozioni e pensieri che ti ha condotto a un risultato. Non appena ti trasformi, provi paura. Una paura più che giustificata, ma a te estranea. Fai l'unica cosa che ti è possibile in quel momento, respirare. Inspiri, espiri, dapprima in modo frenetico, poi riesci a renderti conto che quella paura non ti porterà a niente e che per quanto ti senta bloccata, la verità è che a bloccarti sei tu. Ed è proprio questa consapevolezza, che maturi sempre più di attimo in attimo, a guidarti nella giusta direzione. Riconosci il respiro come tuo, i polmoni come una versione potenziata di quelli che ormai hai imparato a conoscere. Lentamente, ma con costanza, inizi a prendere familiarità con gli elementi che compongono questo tuo nuovo corpo. Senti che il cuore pompa in modo diverso, più potente. Prendi confidenza con le possenti zampe che ti ancorano al terreno, con gli artigli che sai di avere ma che ancora non riesci a tirare fuori. Il muso che risponde in modo così diverso agli stimoli più comuni, come una risata. E poi la coda: non fatichi a riconoscerne l'importanza, per la coordinazione, per la velocità, ma anche - e forse soprattutto - per la gestione dell'emotività del tuo io-puma. Non passa molto prima che ti renda conto di quanto accentuato sia ogni senso. Percepisci odori, suoni e vibrazioni di cui normalmente non ti renderesti nemmeno conto. La tua vista è così acuta da rischiare di stordirti, ma di fatto questo non accade, perché non è nulla di strano per un puma.
Ma il tuo istinto, ancora una volta, ti dà la risposta giusta. Comprendi in fretta che, per quanto necessaria, la conoscenza di ogni singolo osso o muscolo del tuo nuovo corpo non è sufficiente a farti ottenere ciò che vuoi. Ciò che devi fare è chiaro: devi solamente prendere coscienza di te e del fatto che puoi solo provare a muoverti. Esattamente come un bambino. Il respiro calmo, la paura placata, la consapevolezza di non dover davvero lottare con quel corpo ma abbracciarlo, abbandonartici e fare esperienza con esso, ti fanno riuscire nel tuo intento. Probabilmente non ti sorprende nemmeno constatare che la tua zampa effettivamente si muove, fa un leggero movimento in avanti per poi affondare nuovamente nel terreno. Dopo quello, riesci a portare avanti le altre zampe, fino a compiere un vero e proprio passo. Ti stai muovendo. Non è ancora il movimento più naturale possibile, ma per quello ci vuole tempo, Adeline, ed è fondamentale che tu lo capisca. Servirà esperienza per interpretare davvero il puma in ogni suo aspetto, ma puma tu già lo sei. Lo sei sempre stata. Devi solo continuare a esplorare il tuo mondo.


Adeline, eccoci qua: abbiamo terminato il nostro percorso. Ora sei ufficialmente un Animagus Principiante:

CITAZIONE
Abilità conosciuta solo da pochi maghi, richiede infatti molto impegno e ricerche per essere raggiunta. Allo stadio di "principiante" ci si potrà trasformare, ma la trasformazione potrebbe essere instabile (portando a ritornare umani senza volerlo o a non riuscire a diventare animali) e non può in nessun caso durare più di 5 post/azioni.

Ci tengo anche a farti i complimenti per quest'ultimo post: hai colto ogni aspetto fisico ed emotivo della tua immobilità, non era scontato né semplice. Se vorrai, potrai fare un post conclusivo in cui Adeline potrà muovere i primi passi in veste di puma, ma tieni a mente che la trasformazione durerà poco e non è stabile, essendo ancora principiante. Inoltre, se vuoi, puoi registrarti al Ministero cliccando qui.
Se e quando vorrai passare allo step successivo, ovvero lo sblocco dell'Animagus esperto, potrai postare l'apertura direttamente in questo topic. Ti ricordo che hai già l'EXP necessaria. Ti rimando comunque al topic con la descrizione delle abilità, per ogni dubbio.

Grazie di aver condiviso con me questa esperienza, è stato molto bello - e intenso - masterarti e venire a conoscenza di così tanti particolari di Adeline. Alla prossima!
 
Web  Top
view post Posted on 12/3/2023, 16:14
Avatar

Group:
Docente
Posts:
419

Status:


Fu il gesto più semplice e naturale di questo mondo.
Adeline mosse la zampa in avanti e quando il terreno tornò a solleticarle i polpastrelli ebbe la curiosa voglia di piangere e ridere allo stesso tempo.
Difficile persino a dirsi se in effetti sarebbe riuscita in entrambe le azioni sotto forma di puma, anche se prese separatamente.
Improvvisamente leggera, rise – anzi, ancora una volta ebbe quella strana sensazione per cui partirono degli impulsi dal cervello ma, trasformati, il risultato effettivo fu un formicolio all’altezza delle vibrisse, le labbra leggermente arricciate scoprendo appena i denti affilati ed una sorta di piccolo starnuto che le scosse rapidamente il capo.
Battè le palpebre, confusa.
Troppi input e reazioni nuove, una – o forse più? – realtà intera da scoprire.
Fece un altro piccolo passo.
La coda si mosse per stabilizzare il movimento, ma era ancora decisamente troppo scoordinata e più che stabilizzarla, Adeline rischiò di perdere l’equilibrio.
Le quattro zampe quantomeno aiutavano ma per puro senso di sicurezza Londra allargò quelle anteriori.
Il felino predatore, pronto alla caccia, elegante, silenzioso, sinuoso.
SEH.
Ad Adeline venne di nuovo da ridere per quell’immagine di sé, e ancora il capo fu scosso da quella sorta di piccolo starnuto, e le venne ancora più da ridere e sembrò starnutire ancora e ancora e ancora.
Quando quella sorta di eccesso di risatine ebbe fine, Adeline si sedette.
Poi si rialzò – incerta, ma la muscolatura fu dalla sua.
Voleva correre – anzi no, voleva annusare e seguire una traccia - anzi no voleva mettere alla prova tutti i suoi sensi – o anzi no voleva provare ad arrampicarsi, voleva mettere alla prova quei muscoli e quelle articolazioni, quei polmoni – nono, voleva correre – ok, deciso.
Strizzò le palpebre, concentrandosi.
Ignoriamo pure completamente il fatto che a malapena riesci a fare due passi di fila piccola Ad.
Stiracchiò le zampe anteriori, ammortizzando il peso sulle posteriori e arcuando la colonna vertebrale, come a prendere una piccola rincorsa.
Non sapeva ancora come muovere la coda – nel dubbio cercò di dondolarla piano da una parte all’altra, in ogni caso senza farla strisciare sul terreno.
Ok.
Non si diede nemmeno il tempo di pensarci troppo, alla fine, troppo presa da tutto, dall’entusiasmo, curiosità, meraviglia, voglia di scoperta – per non parlare di quelle apparentemente infinite informazioni e stimoli che la bombardavano, sia dal suo mondo interno che da quello esterno.
Sentì le zampe posteriori spingere con forza verso il basso il terreno, alzandola conseguentemente verso l’alto, sentì l’addome contrarsi e poi la schiena allungarsi, le zampe anteriori alzarsi dal terreno puntando ferocemente in avanti.
Sentì così tante cose che, di fatto.. quando sbattè con davvero poca grazia la faccia sul terreno, appena si rese conto di essere tornata umana.
Aggrottò la fronte, arricciando il naso in una smorfia di dolore mentre, sdraiata scompostamente sul terreno cosparso di foglie, il polso destro sopra la quale era caduta le inviava piccole fitte dolorose.
Rotolò su sé stessa, sdraiandosi sulla schiena, le iridi bicrome a spaziare tra le fronde degli alberi ed il cielo sempre più scuro.
Era così profondamente stanca, nella mente e nel corpo, che sarebbe potuta rimanere sdraiata lì, in mezzo a quella radura, probabilmente per sempre.
Ma era anche così profondamente eccitata, meravigliata, entusiasta che avrebbe potuto iniziare a correre e saltare – e poco importava se in forma umana o animale.
Optò per una via di mezzo, saltando in piedi e scrollandosi i rimasugli di foglie e terriccio dai vestiti.
Doveva tornare a casa e scovare ogni singola informazione esistente al mondo inerente i puma, doveva registrarsi al Ministero, doveva fare una marea di cose e doveva metabolizzarne ancora così tante.
Si guardò attorno, rapida, ancora a metà tra l’adrenalina e la stanchezza, la confusione, lo stupore.
Raccolse ciò che era rimasto per terra, mettendo tutto dentro la sua borsa in tela.
Il fuoco si era spento.
Decise di lasciare i ciottoli così come li aveva sistemati una vita intera prima.
Lo sguardo di mare e di bosco sondò ancora una volta quel luogo, inspirando a fondo l’aria boschiva – consapevole quanto ad ogni modo si perdesse nel range più limitato dei suoi sensi da umana.
Voleva restare ma doveva andare.
O forse no.
Quel luogo e quel tempo le avevano dato ciò che potevano dargli, ciò che aveva cercato.
Strinse la bacchetta nella mancina, inspirò ed espirò profondamente ancora una volta e.. *pop*





Grazie! :occhioni: E' stato impegnativo ma bellissimo, grazie ancora :<31:
 
Top
20 replies since 21/11/2022, 18:56   717 views
  Share