| Draven Enrik Shaw III° anno • Prefetto Serpeverde Era facile immaginare come chiunque altro stesse occupando quel tempo alla fine della prima giornata del torneo. Vincitori e vinti, tra baldorie e lacrime da leccarsi via. Soddisfazione e delusione, per qualcuno a cui fregava qualcosa, non potevano essere evitate. Aveva sorriso, tra sé, quando aveva realizzato che i Tassi sarebbero tornati nei dormitori carichi di acido livore e aveva sorriso, poi, vedendo Megan prendere il boccino. Il resto era superfluo. Una giornata come tante altre, in cui il pensiero fisso era stato… Lei. Era sempre lei, dopotutto. Gli veniva naturale come respirare. Qualsiasi cosa facesse, ovunque si trovasse, pensava sempre a Megan. Nemmeno ricordava più con quali pensieri avesse tenuto impegnata la propria mente iperattiva prima di conoscerla. A un certo punto, si era impossessata di tutta la sua voglia di vivere. Doveva essersene accorto quando, stando lontano da lei, si era sentito vuoto. Ironico, per qualcuno che era stato solo per quasi tutta la vita ritrovarsi, di punto in bianco, a non sopportarlo più. Con lei, stava bene. Senza di lei, stava male. Era semplice. Era l’amore. Anche se era solo un bambino bisognoso d’affetto; stupido, infantile, sdolcinato che fosse… Era la realtà dei fatti. Tenuto in gabbia da pulsioni che non aveva mai sentito prima, conosciute con lei. Impossibili da ignorare, difficili da gestire. Aveva ceduto. Per egoismo non aveva fatto altro che spingersi sempre più avanti. Più vicino al baratro, con le vertigini che minacciavano di fargli perdere il contatto con la realtà. Perché non si era mai permesso di sperare. Si era accontentato delle piccole cose, convinto che la ragazza avesse di meglio da fare - per i mille motivi che ossessionavano la parte più fragile del suo essere - piuttosto che stare dietro a uno dei tanti ragazzi presi da lei; era normale pensarlo quando lui la vedeva così eterea e irraggiungibile. Si era preso ciò che lei gli concedeva, perché era meglio di niente. Aveva stretto i denti e i pugni, nutrendosi delle briciole, perché erano meglio che morire di fame. E si era detto che gli andava bene così, anche se la frustrazione gli toccava ogni fibra del corpo da mesi. Purché lei stesse bene. Gliel’aveva promesso. Ma aveva ceduto. E sentì le mani fermare le carezze sulle sue guance. Per un lungo istante, rimase a fissarla. Perso nei suoi occhi, nel quasi totale silenzio che li circondava. La dualità dei propri pensieri che lo portarono a non deviare lo sguardo da lei, per evitare di essere travolto dalla negatività che guidava, pressoché da sempre, ogni momento della sua vita e, al contempo, l’esigenza di evitare di guardarla per poter provare a essere lucido e prepararsi psicologicamente a un suo rifiuto. Un modus operandi che portava avanti praticamente da quando le aveva confessato i propri sentimenti e che trovava difficile dimenticare, nonostante le splendide abitudini acquisite con lei nell’ultimo periodo. Dopo un tempo che gli parve infinito, la vide sorridere e si concesse un sospiro di sollievo; forse, la perdita di pazienza era stata interpretata come audacia. In ogni caso, gli era andata più che bene e bastò quella reazione a tranquillizzarlo. Riprese a scorrere delicatamente le dita sulla sua pelle. Sentì il calore delle sue guance, l’evidenza del suo imbarazzo, sotto i polpastrelli. Di tutti i misteri che avvolgevano quella ragazza, probabilmente l’unico che non sarebbe mai riuscito a capire nemmeno con il tempo era proprio questo. Ma nessuno conosceva quella parte di Megan; era riservata solo a lui e l’avrebbe custodita gelosamente finché glielo avesse concesso. L’abbracciò più stretta. Le mani, a fare eco delle sue, si posarono dietro la sua schiena e la spinse a sé, ad annullare una distanza pressoché già nulla. Le labbra si schiusero a ricambiare il suo bacio senza alcuna esitazione e gli angoli si sollevarono in un sorriso. Aveva sminuito il modo in cui gli fosse mancata quella sensazione. Gli sembrò di aver ripreso finalmente a respirare in quel frangente in cui dimenticò di farlo. Il cuore che batteva veloce, come spesso gli accadeva, con la differenza che stavolta era per qualcosa di bello. Si protrasse istintivamente verso di lei con l’intento di baciarla di nuovo, baciarla ancora, magari per sempre, quando la sentì staccarsi e non riuscì a trattenere un sospiro. Si rese conto di aver tenuto gli occhi aperti tutto il tempo solo quando incrociò il suo sguardo e si trovò a sbattere le palpebre in un riflesso incondizionato. Come appena svegliato da un sogno. Seguì la direzione delle sue mani e andò a posarvi le proprie, accarezzandole il dorso. Non riusciva a stare fermo, a impedirsi di toccarla e condividere con lei ogni millimetro avessero a disposizione.
Mi batte forte il cuore. – commentò, sbuffando divertito, prima di abbracciarla nuovamente a sé. Mentre un braccio tornò a cingerle la vita, l’altra mano si posò dietro la sua nuca e si chinò a posarle un tenero bacio sulla testa. Maledì, per un istante, la fretta che doveva averle scaturito, seppur involontariamente, portandola a uscire dagli spogliatoi per raggiungerlo con ancora i capelli bagnati, perché quel cappuccio tirato su iniziava a essere d’impiccio per le coccole. Lo scostò indietro di poco per lasciarle un altro bacio, tra i capelli, poi glielo riabbassò con un altro sbuffo divertito. Nemmeno ci provò a chiedersi con quanta frustrazione fisica sarebbe tornato in dormitorio, considerando che già a stare lì con lei fermo in quel modo richiedeva un incredibile impegno psicofisico… Ma era tutto perfetto, comunque. Semplice e naturale come aveva pensato dovesse essere dal principio. Gli ci era voluto un po’ per arrivarci e, mentre si perse a chiedersi se, allora, da quel momento in poi potesse concedersi di sentirsi in qualche modo importante per lei o almeno preso in considerazione come il suo ragazzo, si ritrovò a incrociare di nuovo il suo sguardo. Non l’aveva mai vista con occhi così chiari e, al contempo, carichi di pensieri e preoccupazioni. Il cuore capitolò e inciampò sui suoi stessi battiti. Il proprio sguardo si corrucciò di preoccupata curiosità, l’accenno del sorriso ancora sulle labbra ad addolcire l’espressione del viso; inclinò appena la testa da un lato, protraendosi verso di lei, come a volerle chiedere silenziosamente cosa le stesse passando per la testa. Non le aveva mai fatto una domanda simile; l'esigenza, il bisogno o la voglia di parlare doveva arrivare solo da lei. Sapeva che l'avrebbe sempre ascoltata. Cercò di ripetersi che se lo aveva baciato non poteva essere sul punto di dirgli qualcosa di brutto, di rifiutarlo, almeno. E attese. Come fossero arrivati a un simile incrocio, da che il discorso era iniziato per il quidditch e il massimo della preoccupazione di Draven era stato come ringraziarla per la Firebolt, non ne aveva proprio idea. Ma l’ascoltò, in silenzio. Mise in fermo le funzioni vitali, come se la loro attività dipendesse direttamente dall’esito di quel discorso e da dove volesse andare a parare. Era sempre forbita nell’esprimersi; anche con poche e semplici parole era in grado di esprimere ciò che pensava, nel modo giusto e appropriato. A malapena riuscì a notare la voce tremante e l’insicurezza. Avrebbe voluto possedere anche lui quella dote, perlomeno con lei. Perché non importava quanti libri lui leggesse, le parole non attecchivano. Svanivano nel momento in cui girava pagina e gli restava impressa solo una qualche frase che si era trovato distrattamente a evidenziare. Non sapeva esprimersi come lei, o come nei libri. Non poteva far altro che restare lì a guardarla. E più lei parlava, più lui si innamorava. Stava succedendo davvero. La mente si attivò frenetica in cerca di qualcosa da dire. No, non ‘qualcosa’, ma la cosa giusta. A capire quale fosse… Sentì ogni terminazione nervosa nel suo corpo entrare in tilt. Strinse le dita tra le sue, all’altezza del suo petto. Anche il suo cuore batteva forte e batteva per lui. Incredibile, ma vero. Lo sguardo si alternò per un paio di volte tra le loro mani e i suoi occhi, poi lasciò che fosse l’istinto a guidarlo. Forse per prendere tempo e continuare a pensare o, forse, per sugellare il significato delle sue parole. Si ritrovò a baciarla di nuovo, assaporando le sue labbra con dolcezza e desiderio al contempo.
Il resto possiamo conoscerlo insieme. – sussurrò, pressando le dita ancora tra le sue, all'altezza del suo cuore.
Mi prenderò sempre cura di te. Di questo. – aggiunse poi, affondando il viso nell’incavo del suo collo, seppur coperto da quella benedetta felpa. Inspirò piano il suo profumo e la strinse forte tra le braccia.
Ma... questo... significa che possiamo vederci tutti tutti i giorni? E stare sempre insieme? Magari potrei accompagnarti alla torre dopo cena? O venire a darti la buonanotte? Il buongiorno, anche…? Non ricordo l'indirizzo di casa tua, ma vorrei stare con te anche quando saremo a Londra per Natale...
@esse
Edited by Draven. - 14/5/2023, 14:51
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