Pendulum Swings, privata

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view post Posted on 4/12/2022, 12:59
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Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts

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Torneo Crownspoon
Prima Giornata

Draven Enrik Shaw
III° anno • Prefetto Serpeverde



Aveva visto Megan e la cercatrice Grifondoro scendere in picchiata verso il terreno. Aveva trattenuto il respiro. Non aveva avuto nemmeno importanza, per quell’istante, che Megan riuscisse o meno a prendere il boccino d’oro. Gli occhi fissi a seguire il suo gioco. Non aveva mai chiuso le palpebre, nonostante l’istinto gli premesse di farlo, per evitare di vederla farsi male. E poi il boato si era levato tutt’intorno a lui, mentre la Corvonero si librava di nuovo in aria stringendo tra le dita la sua conquista. Talento e fortuna le avevano evitato di schiantarsi a terra nell’inseguimento della vittoria.
L’immediata boccata d’aria di sollievo, che Draven aveva preso ricominciando a respirare, gli bruciava ancora come magma nei polmoni.
Era sceso subito dagli spalti lasciandosi alle spalle tutto. Gradino dopo gradino aveva sentito scivolare via l’ansia provata durante quella partita per la sua incolumità, l’angoscia che lo aveva accompagnato tutto il giorno per non aver avuto modo di ringraziarla per la scopa, il vuoto nel petto che lo pressava da settimane per non essere riuscito a passare con lei abbastanza tempo da sentirsene soddisfatto. Tutto sparito quando rimase da solo, fuori dal campo.
Poteva ancora sentire le grida di gioia dei tifosi dei Westwings e, per quanto irrazionale, provò un moto di gelosia per il fatto che tutta quella gente stesse inneggiando all’azione conclusiva della sua Megan… Era felice per lei, lo era davvero ma, ora che la prima giornata del torneo era finita, aveva bisogno di averla tutta per sé. Se si fosse fermata a festeggiare con i suoi compagni di squadra lo avrebbe capito e accettato e l’avrebbe attesa anche per ore, non importava quanto. Ma poi sarebbero stati solo loro due.
Non c’era stato modo di parlarsi, di mettersi d’accordo; poteva solo contare su un non detto che andava avanti, ormai, da settimane.
Tra le lezioni, il lavoro e gli allenamenti di quidditch avevano finito col parlarsi e vedersi attraverso gli specchi comunicanti più di quanto non volesse e, quando finalmente le congiunzioni astrali si erano votate dalla loro parte, avevano avuto modo di uscire insieme e trovare dei posti che fossero solo loro. Aveva adocchiato un’aula vuota al terzo piano che sperava, prima o poi, avrebbe fatto al caso loro, ma per il momento gli stava bene poter condividere con lei altri spazi… meno intimi.
Considerando che fino a un paio di mesi prima non aveva creduto possibile nemmeno questo, aveva ben poco di cui lamentarsi. Aveva passato un anno e mezzo a correrle dietro, apparentemente senza mai progressi, e poi un giorno di fine estate, finalmente, Megan aveva accettato i suoi sentimenti. Non avrebbe sprecato la possibilità che gli stava concedendo solo perché fremeva ogni minuto della sua attuale esistenza a pensare a quanto volesse baciarla e toccarla di nuovo… Ci pensava comunque, non riusciva a impedirselo, ma perlomeno aveva imparato a mettersi un freno. Dopo aver testato le bolidate di allenamento di Vagnard e, soprattutto, con ancora addosso il livido provocato dal bolide della battitrice assassina, poteva constatare con assoluta certezza che bloccare i propri impulsi intorno a Megan era più doloroso del ricevere bolidi a tutta potenza e a distanza ravvicinata.
D’altronde, non aveva altra scelta se non quella di seguire il suo volere. Aveva sempre saputo che viaggiavano su due binari paralleli, ma a velocità diverse. E gli stava bene così, perché era comunque meglio di niente. Credeva che nel tempo sarebbe andata diversamente, si appigliava alle sensazioni che sentiva quando erano insieme e che, sperava, sentisse anche lei.
Raggiunta la grossa quercia secolare in prossimità della Foresta Proibita, si accese una sigaretta e prese a camminare in su e in giù per scaricare un po’ la tensione dell’attesa. Era andato lì anche dopo che le Bestiacce avevano vinto ed era rimasto ad aspettarla finché, a distanza, non aveva sentito il fischio dell’arbitro dare inizio alla sua partita.
Ogni volta che gli era stato possibile uscire insieme erano andati lì. Quindi, sarebbe arrivata. Prima o poi.
Non aveva fretta.

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Edited by Draven. - 14/5/2023, 14:46
 
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view post Posted on 5/12/2022, 16:33
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Megan Milford-Haven
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La prima partita di quel Torneo si era conclusa. I Westwind si aggiudicavano la vittoria con ben cento punti di vantaggio; merito di una squadra coesa che non aveva permesso in alcun modo di cedere agli attacchi, a volte molto discutibili, degli Archenemies. A sancire la fine di quella lunga partita fu la presa del boccino, Megan l’aveva tenuto stretto tra le dita mentre, con una brusca virata verso l’alto - per evitare di schiantarsi contro il terreno - , era tornata a prendere quota. La mano destra tesa in direzione della curva con la sfera in mano e il boato che lasciava scoppiare il cuore per quella effimera gioia che la travolse in pieno, come un'improvvisa inondazione. Finalmente, dopo tutta la fatica, era riuscita a godersi il momento: lo sguardo fuggevole si era posato sugli avversari senza dare voce ai pensieri che in sequenza le avevano adombrato la mente, anche se per pochi attimi. Solo in quegli istanti si era resa conto come fosse riuscita a tagliare fuori qualsiasi relazione personale in quello scontro, nonostante alcune ferite bruciassero ancora nel petto. Dopotutto, era sempre stata brava a far finta di niente, a lasciare che le cose lentamente la distruggessero dall’interno covando rabbia e indifferenza.
Così, con fierezza, aveva percorso l’intero perimetro del campo festeggiando con i compagni di squadra fino a toccare terra e sparire sotto le alte torrette.

Si era spogliata della divisa e l’aveva lasciata cadere a terra. Ora, poggiava la schiena contro le fredde mattonelle mentre l’acqua scorreva sul corpo nudo accarezzandone ogni centimetro. Era esausta, le braccia indolenzite, i polsi segnati dai guanti troppi stretti e i lividi lungo cosce ed avambracci dati dalla troppa pressione esercitata in sella alla sua Firebolt.
Palpebre socchiuse, mento sollevato verso il soffitto e ogni pensiero veniva lavato via sotto scroscio incessante. Restò così, immobile, per circa venti minuti prima di chiudere il rubinetto e uscire da lì. Nel silenzio si era totalmente isolata dalle chiacchiere continue dei presenti e così era finita per essere tra le ultime a varcare la soglia d’uscita degli spogliatoi.
I capelli, ancora bagnati, legati da uno stretto chignon mentre addosso al posto della divisa, che aveva ripiegato all’interno della sacca, una semplice tuta bianca: pantaloni aderenti e una felpa a proteggerla dal vento d’ottobre.
Così, abbandonato il Campo da Quidditch, Megan aveva salutato Jean facendosi spazio lungo la via ma prima ancora di rientrare nel castello si era fermata nell’ampio giardino che la separava dalle mura ultramillenarie, afferrando lo specchietto per mettersi in contatto con Draven. Si chiese se avesse assistito alla partita ma più di ogni altra cosa sperava stesse bene dopo aver affrontato i T’assalto e conquistato la vittoria. Tuttavia, prima di aprire le estremità e stabilire un contatto, aveva deciso di tentare di raggiungere la grande quercia ai confini della Foresta Proibita; era lì che ultimamente avevano iniziato a vedersi. Non era certa di incontrarlo ma l’idea di poterlo cogliere di sorpresa la stuzzicava tanto da rendere quel pensiero tangibile. Ripose il piccolo oggetto nella tasca frontale della sacca e camminò a passo lento, borsa stretta tra le dita della mano destra lungo i fianchi e il cappuccio in testa per non rischiare di prendersi una polmonite. Giunta in prossimità dell’albero vide Draven di spalle e un sorriso spontaneo le colorò le guance. Preoccupata di non farsi scoprire avanzò quatta quatta, liberandosi del peso fino a raggiungere l’albero e a nascondersi dietro al suo ampio e robusto tronco.
Le mani posarono entrambe sulla pianta mentre con uno scattò si spinse in avanti lasciando uscire testa e spalle a lato destro di lui. Buh!
«Si può?» un tono limpido, acuto, accompagnato da un sorriso divertito che gli avrebbe rivolto in ogni caso. Sperava di spaventarlo almeno un po'.

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view post Posted on 6/12/2022, 00:22
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Draven Enrik Shaw
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Il tempo sembrava scorrere sempre troppo lentamente quando si attendeva qualcosa o, come in quel caso, qualcuno. Non ci aveva mai badato; anzi, per anni aveva odiato controllare l’ora e osservare l’inesorabile scorrere della decadenza. Il ticchettio degli orologi era inquietante. Eppure, erano bastate poche uscite con Megan per rendere l’orologio che portava al polso destro, e che aveva tenuto fino a quel momento solo per le ronde notturne, un fidato alleato. Lo controllava costantemente, quando sapeva indicasse il tempo che mancava prima che potesse rivederla.
Aveva letto da qualche parte che per assimilare un’abitudine basta ripetere un’azione per tre volte di seguito, tre ore, tre giorni e subito diventa parte integrante della quotidianità. La facilità con cui l’essere umano impara a crogiolarsi nelle abitudini è sorprendente, quasi assurda, ma lo aveva testato sulla propria pelle ed era proprio così che funzionava. Tre sorrisi, tre abbracci, tre uscite… Poi aveva smesso di contare e si era ritrovato semplicemente a volere che fosse sempre così.
Spense la sigaretta e sospirò. Lo sguardo sull’erba appena calpestata dalle suole delle scarpe. Poteva riconoscere i piccoli punti di terreno che aveva bruciacchiato nel corso degli ultimi mesi per colpa di quel vizio. Non gli era mai nemmeno piaciuto fumare e odiava l’idea di essere dipendente da un qualcosa su cui non poteva avere il totale controllo… Ma ormai la sua vita era così. Un’incognita perenne in autogestione.
Non che si potesse dire che prima di conoscere Megan avesse avuto ben tese le redini della propria esistenza, tutt’altro, ma era stata una vita più facile, senza aspettative. Per il discorso affettivo, perlomeno. Non si era mai concesso il lusso di sperare di essere amato.
Per quanto ci avesse provato, per quante volte si fosse ripetuto di vivere quel rapporto con lei senza speranze o prospettive, in realtà non era mai riuscito a essere razionale. Dal momento in cui aveva avuto un piccolo assaggio di felicità non aveva fatto altro che agognarne ancora e ancora. Sempre di più. Non c’era mai stato niente di così bello nella sua vita, prima di lei, e a un certo punto era diventata tutto il suo mondo. Non aveva potuto fare nulla per impedirlo e, in piena onestà, sapeva di non averci voluto nemmeno provare.
Si ritrovava a rimuginare su discorsi come quello ogni volta in cui la sola compagnia che aveva era il caos nella propria testa. I pensieri vorticavano in un moto perpetuo che si fondeva, senza troppe difficoltà, alle pessime sensazioni che avevano guidato il suo essere per tutta la sua vita. Un’ombra, fatta di insicurezze, malumore e pessimismo, che lo controllava come un burattinaio con la sua marionetta.
L’essersi lasciato indietro, sugli spalti, sensi di colpa e mancanze era stata pura illusione.
Sospirò, di nuovo; o almeno ci provò per istinto. Il cuore aveva preso a battergli così forte nel petto da mozzargli il respiro.
Magari Megan aveva di meglio da fare che andare a incontrare lui dopo aver preso il suo primo boccino d’oro ufficiale. Il che spiegava anche perché non avesse avuto interesse a vederlo dopo la sua di partita. Aveva senso. Aveva una vita sociale e lui non era nessuno. Per ora, almeno. Ci stava lavorando su questo fronte, ma sempre a piccoli passi.
Si chinò sui talloni. Sfiorò l’erba già secca dai primi freddi autunnali… Non era poi messa tanto meglio rispetto a quella bruciata e calpestata da lui.
Si rialzò in piedi. La testa che girava al ritmo dei suoi pensieri caotici. Si piazzò immobile, quasi a volerci mettere radici anche lui in quel terreno. La quercia alle sue spalle. E il silenzio, improvvisamente spezzato dalla voce di Megan.
Si volse di scatto verso di lei. Non appena incrociò il suo sguardo, sentì un immediato sollievo. Gli angoli delle labbra si sollevarono istantaneamente in un sorriso tenero, che mise in mostra le fossette sulle guance. Era diversa; diversa dal solito a cui era abituato, almeno. Non aveva trucco in viso, i capelli erano umidi e più scuri sotto il cappuccio della felpa. Si chiese se fosse questo l’aspetto che aveva appena sveglia… Magari, un giorno, lo avrebbe constatato.

Aspettavo te. – le rispose, accentuando il sorriso, prima di avvicinarsi a lei e tirarle in basso il cappuccio della felpa, in un gesto scherzoso che avrebbe dovuto portarla a piegare la nuca in avanti. Nella frazione di secondo che l’istinto motorio avrebbe impiegato a farle rialzare la testa, si sarebbe ritrovata il viso di Draven a un centimetro dal suo.

Sei stata bravissima. – disse, annullando poi la breve distanza per posare un bacio sulla sua fronte. Infilò entrambe le mani nelle tasche dei jeans, per impedirsi di toccarla più di quanto avesse potuto volere, e arricciò le labbra nell’ennesimo sorriso. Nonostante ciò, qualcosa nei propri occhi tradiva il filo dei pensieri avuti prima del suo arrivo.

Non ti fa bene tenere i capelli bagnati con questo freddo… Ti avrei aspettata comunque, anche se ti ci fosse voluto di più. - commentò, appoggiandosi con una spalla al tronco dell'albero, ma in modo da restarle di fronte e vicino.

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Edited by Draven. - 14/5/2023, 14:47
 
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view post Posted on 7/12/2022, 14:13
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Sorpresa fallita.
Megan uscì del tutto allo scoperto incrociando le braccia. «Ah sì?» rispose, fingendosi delusa dalle aspettative mentre involontariamente piegava la testa in avanti trascinata dall’azione di Draven. Tornò dritta e nel fugace attimo di una distanza labile, fu certa di non essere riuscita a nascondere l’imbarazzo. Lui le stampó un bacio sulla fronte, nello stesso momento Megan arricciò il naso e accolse quel gesto che per esigui istanti le aveva scaldato il cuore.
La presenza del ragazzo la lasciava camminare su un filo così sottile ormai da temere e desiderare, al contempo, che venisse reciso. Da quando avevano iniziato a frequentarsi non c’era stato un singolo secondo in cui avesse pensato di fare un passo indietro. Il modo in cui si prendeva cura di ogni minima cosa quando era con lei - una carezza, un bacio - la lasciava così spiazzata da non riuscire a frenare le emozioni che sulla pelle attraversavano indisturbate tramutandosi in piccoli e piacevoli brividi, così come il cuore che ad ogni gesto inaspettato accelerava i suoi battiti. Ogni singola pulsione provata in sua presenza la lasciava senza fiato e non sapeva dirsi quanto ancora potesse provare a sfuggirvi.
«Grazie» disse con lieve incertezza, cercando di nascondersi dietro un apparente controllo. Guardò Draven appoggiarsi all’albero e lei fece lo stesso ma con entrambe le spalle, rivolgendogli il profilo. Abbassò la testa, guardando un punto indefinito tra le foglie che tappezzavano l’erba con cromie calde e avvolgenti. Inspirò ed espirò in silenzio mentre con un piede disegnava un semicerchio, come un bambino con un bastone sulla sabbia.
«Non preoccuparti, ho affrontato cose peggiori: una Wispmother, la Scuola di Atene, un salto da una scogliera e soprattutto attraversato le vie di Londra senza guardare per evitare di essere investita!» L’ironia che trapelava dalle note di quelle parole era decisamente individuabile, Megan su quell’ultima frase aveva lanciato un occhiata divertita a Draven in ricordo di quella serata estiva.
«Ho fatto il tifo per voi, siete stati molto bravi e credo che la Ashton sappia il fatto suo» si ritrovò ad ammettere con un velo di tensione.
«Piuttosto tu… Tu come stai? Ti ho visto cadere giù dopo il bolide e» girò del tutto il viso verso la sua direzione, «mi hai…» mi hai fatta preoccupare. Non distolse lo sguardo ma le parole rimasero in sospeso. Attimo di quiete senza dare vita a l’intenzione di continuare quel che aveva da aggiungere. Gli occhi di lui, lo sguardo che posava sul suo corpo, era come osservare un paesaggio cui verde riempiva a chiazze un terreno troppo arido per far nascere qualcosa. Era tristezza quella che lasciava vedere? Era forzato quel sorriso che le stava rivolgendo? Così quel pensiero non trovo voce rimase incastrato tra le labbra appena schiuse.
L’ennesimo respiro, l’aria entrò sotto il cappuccio e s’irrigidì. Probabilmente Draven aveva ragione e l’indomani l’infermeria sarebbe stata la sua prima tappa mattutina: mal di testa, naso tappato e chissà cos’altro. Protese il corpo verso di lui e poggiò la singola spalla sinistra sul possente tronco lasciandosi sfuggire un’espressione fugace di dolore, dato lo sforzo fisico di quella partita. Le braccia, che erano tornate lungo i fianchi, si strinsero lungo l’addome. «Se dici bugie sarò costretta ad usare maniere forti, ti avviso» aggiunse alzando un sopracciglio e regalandogli una smorfia dispettosa.

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view post Posted on 8/12/2022, 17:13
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Nonostante la felpa e la giacca imbottita riusciva a sentire l’umidità del tronco d’albero quando ci si appoggiò con una spalla. Un intenso brivido gli attraversò la spina dorsale. O, forse, era solo scaturito per la vicinanza con Megan. L’effetto che aveva su di lui era incontrollabile, eppure, in qualche modo, riusciva a tenere a freno a tutte le sensazioni che gli provocava. Comunque la paura di vederla scappare via, pentita di avergli dato una possibilità, era talmente pressante da tenerlo a bada. Con i pensieri era diverso, perché i suoi occhi erano sempre stati in grado di farlo proprio smettere di ragionare. Nonostante avesse iniziato ad abituarsi a passare del tempo con lei, fino a non riuscire a farne più a meno, quella sua capacità di mandarlo totalmente in tilt si poteva dire che fosse migliorata nel corso delle ultime settimane, ma comunque l’effetto continuava a esserci. Se da una parte gli infondeva immenso sollievo smettere di pensare a tutti i pro e i contro del modo in cui affrontava la vita, impedendogli di arrovellarsi su cose di cui non poteva avere il minimo controllo, che non dipendevano nemmeno da lui, ma di cui si preoccupava costantemente, d’altra parte era anche disagevole… Perché sembrava scemo. Gli richiedeva un incredibile sforzo mentale riuscire a dire la cosa giusta, quando il proprio cervello si rifiutava di svolgere le sue normali funzioni cognitive. Era come se Megan lo smagnetizzasse temporaneamente. Andava in errore, come un vecchio sistema operativo che non accoglieva più di buon grado gli aggiornamenti… Un’analogia poco consona al contesto in cui si trovavano, ma che comunque rendeva bene l’idea. Poteva dire di aver fatto enormi passi avanti dalla prima volta in cui le aveva rivolto la parola, però non era ancora abbastanza. Aveva tante cose da dirle che faticava a dire e non perché gli mancasse il coraggio o l’intento, tutt’altro; era uno che parlava poco, ma che sapeva usare le parole nel modo giusto. Deciso, diretto e schietto, perché girare intorno alle cose non era nel suo carattere. Però, se con chiunque altro non si poneva il problema del ‘come’ dire ciò che pensava, con lei sì; e quando il cervello non vuole collaborare, è difficile riuscire nell’impresa di esprimersi a dovere. Era terribilmente frustrante. E, comunque, non la peggiore delle frustrazioni…
Tenne gli occhi fissi nei suoi, proprio per non pensarci. Ogni cosa sarebbe venuta da sé, a suo tempo.
Doveva crederci o rischiava l’esaurimento nervoso. Per quanto non riuscisse a togliersi di dosso la sensazione di non essere abbastanza per lei.

Appunto. Pensa quanto sarebbe buffo se fosse il freddo scozzese ad arrestarti. – commentò divertito, frenando l’immediato impulso di abbracciarla e riscaldarla. Se non fosse che dentro quella scuola anche i muri ascoltavano e vedevano sempre tutto e che nessuno sapeva farsi i cazzi suoi, le avrebbe proposto di entrare nel castello e andare a parlare in un luogo più caldo… Doveva assolutamente affrettarsi a trovare un posto appartato, lontano da occhi e orecchie indiscreti, che non rischiasse di farla congelare di freddo solo per vedersi con lui. Un breve istante per riflettere sulla questione, prima di sentirla parlare di nuovo.

Chi è Ashton? – rispose, chiedendo di getto, e corrucciò appena lo sguardo con un cenno di confusione e necessità di chiarimento, per quanto fu immediatamente disinteressato dall’avere una risposta a quella sua stessa domanda. Era stato istintivo chiedersi di chi stesse parlando, visto che non conosceva i nomi di tutti i suoi compagni di squadra, ma non gli importava minimamente, per cui fece passare la cosa in secondo piano. Si scostò appena dal tronco e avanzò di un paio di passi di fronte a lei. Avrebbe potuto facilmente bloccarla lì, di schiena contro l’albero. Mani intorno alla sua vita, una frazione di secondo per annullare quell’esigua distanza…
No. Mani in tasca.
Inclinò la testa da un lato e si soffermò a osservarla. Le labbra si arricciarono in un sorrisino strafottente, mentre la sua mente provò a elaborare il resto della sua frase. Era sicuro di aver pensato, nel bel mezzo della partita, che quella bolidata gli sarebbe tornata comoda per far preoccupare Megan, ma non fu totalmente sicuro che fosse questo ciò che aveva appena provato a dirgli. Nonostante il moto di negatività che gli aveva fatto compagnia nella breve attesa prima del suo arrivo, perlomeno non pensò che potesse essersi sentita delusa del disarcionamento, visto che era stata lei a regalargli la scopa; già solo questo, segnava un enorme passo in avanti rispetto alla solita mentalità di Draven.

Poteva andarmi peggio. Ho solo qualche livido e graffio. – decise poi di risponderle, indicandosi istintivamente il costato. Nonostante la prima cosa che pensò fu che se il bolide lo avesse colpito in faccia non ne sarebbe rimasto altrettanto divertito. Insomma, meglio una costola incrinata che un dente mancante; perlomeno della costola non se ne sarebbe accorto nessuno, ecco.
Avanzò di un altro passo verso di lei. La punta delle Vans rosso bordeaux a toccare la punta delle sue scarpe. Abbassò lo sguardo. Ogni volta che erano stati insieme da quando era ricominciata la scuola era sempre la stessa storia: lui che si avvicinava d’istinto, ma si imponeva di stare fermo; parlavano e lui l’ascoltava con piacere, anche se parlava ancora molto poco con lui e lui non era proprio portato per lunghe conversazioni, parlare con lei era quantomeno spontaneo e bello; però, poi tornava in dormitorio frustratissimo. E anche quando era capitato di aver passato ore insieme a lei, finiva sempre col sentirne la mancanza non appena la lasciava.
Strinse le dita, prontamente nascoste di nuovo.
Fermo. Respira.
Anche ammesso che fosse riuscito a trovare il modo di avere più intimità con lei e più tempo libero da passare insieme, la scuola gli impediva di starle appiccicato ventiquattro ore su ventiquattro, purtroppo. Come se tenere in considerazione le sue necessità da persona indipendente e con una vita a sé stante non rientrasse nel quadro. Non quando si ritrovava insieme a lei, perlomeno, e non riusciva a impedirsi di pensare a tutto quello che potevano dirsi e farsi se solo non esistesse tutto un mondo intorno a loro del quale lei si interessava e di cui faceva parte…
Mani in tasca, continuò a imporsi.
Ma le sue parole seguenti furono la stoccata finale.

Non dico mai bugie, però se volessi usare lo stesso le maniere forti non me ne lamenterei. – si ritrovò a ribattere di getto, con un sorriso arrogante sulle labbra e lo sguardo fisso a terra. In altri tempi, le avrebbe chiesto scusa per l’uscita infelice, per la battuta troppo schietta e maliziosa e, per quanto una parte di sé sentì l’esigenza di mettere le mani avanti e scusarsi, nel caso in cui l’avesse offesa, forse per via dei pensieri scatenati in quei brevi istanti lì con lei si ritrovò, invece, semplicemente a ridere.

Comunque, oggi è stato più deprimente degli altri giorni perché ti ho vista senza poterti vedere… È stata una lunga giornata. - si affrettò a dire subito dopo, tentando di cambiare argomento. Il tono di voce basso, ma cristallino e l’espressione del viso ancora un po’ maliziosa per via del sorrisino strafottente. Avrebbe voluto guardarla negli occhi, istigarle una reazione, leggerle l’imbarazzo in viso, ma la testa rimase china, lo sguardo basso. E le mani in tasca.

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Edited by Draven. - 14/5/2023, 14:48
 
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Strinse le spalle proteggendosi dall’ennesimo sbuffo d’aria che l’avvolse lasciandola rabbrividire. Si chiese se fosse lei l’artefice di quel movimento, se il nervosismo e l’imbarazzo guidassero l’elemento spingendola a sentire con maggiore incisività quegli istanti in sua presenza. S’impose resistenza; irrigidì le gambe stringendole tra loro e le mani si aggrapparono ai fianchi, pizzicando la pelle. Sentire dolore sembrava più sopportabile di quel pungente vento autunnale, adesso. Lo stesso che nella corsa al boccino aveva l’aveva abbracciata, spingendola verso l’obiettivo. Chiuse gli occhi per qualche secondo. Cercare di fissare quella condizione come a convincersi che da lì in avanti non avrebbe sentito più freddo le sembrò più difficile del previsto. Che fosse l’aria, il tempo scozzese e i capelli bagnati a farle vivere quelle sensazioni era chiaro; tuttavia, anche che non fosse solo quel lungo elenco di situazioni occasionali. Draven, la sua presenza e il desiderio di rispondere agli impulsi che febbrili, ormai, non la portavano più a fare un singolo passo indietro. Le sembrava assurdo sentirsi così, un nugolo di emozioni che non trovava pace; quella quiete che lei stessa si ritrovò a desiderare di non voler in alcun modo provare, non con lui.
«Chissà magari nei prossimi giorni ci vediamo in infermeria» rispose prontamente, alzando le spalle e sposando quella stessa ironia che aveva colto nel tono di Draven. Poi, aveva sorriso e scosso la testa. In primo momento pensò che stesse scherzando quando lui le chiese chi fosse la Ashton. Eppure, l’espressione le stillò il dubbio e si ritrovò a rispondere un chiaro e secco: «Sei sicuro che non ti abbia colpito in testa? Mh?» Era davvero divertente prenderlo in giro.
Da quella posizione, stabile nell’incertezza di una rigidità che sarebbe potuta crollare da un momento all’altro, lo osservava e dovette ammettere a se stessa che l’insicurezza di Draven in ogni passo nei suoi confronti la lasciasse sciogliere come un ghiacciolo sotto il sole cocente. Sì era avvicinato, testa china e l’istinto trattenuto tra i pugni stretti nelle tasche dei pantaloni. Sorrise e fu lieta che lui non avesse colto l’ennesima vampata di calore che le colorò le gote di quel rosso acceso sulla pelle diafana. Quel sorriso strafottente e poi le parole successive a spegnere quello che lui temé essere un comportamento forse troppo azzardato. Gli occhi blu, illuminati dal cielo schermato dalle nuvole si soffermarono sui colori che pitturavano il terreno. Sbuffò. Il cuore aveva ripreso a battere irregolare; un controllo ancora possibile che la portò a staccarsi dall'imponente quercia secolare, lasciando che la distanza venisse meno senza fare alcun passo indietro.
«Posso vedere?» chinò appena la testa, cercando il suo sguardo. Forse Draven non le aveva detto una bugia ma voleva in qualche modo sincerarsi che stesse bene. Si liberò dalla stretta e lasciò scivolare le braccia lungo i fianchi. Se lui avesse voluto accogliere quella richiesta Megan avrebbe condotto la mano sinistra a ridosso della felpa con incertezza ma sollevando infine il cannolè e scoprendo lentamente il fianco. Quel gesto così familiare avrebbe visto le dita tremare e condotto lo sguardo su di lui per un solo ma intenso attimo. I ricordi l’avrebbero colpita come un’onda contro gli scogli al passaggio di una nave. Un respiro silenzioso a riempire i polmoni come stesse per andare in apnea; poi, la sensazione di voler ripetere quella sequenza di gesti che riaffiorarono nella mente.
Attrazione.
Assenza.
Desiderio.
Il tempo di placare i sensi tornando a buttare fuori l’aria trattenuta e gli occhi si sarebbero soffermati sulla macchia livida all’altezza delle costole.
«Non va bene, Drav… Dovresti chiedere qualcosa alla signorina White» gli avrebbe detto. Aiutandosi con l’altra mano a sorreggere il tessuto avrebbe condotto le dita a sfiorare la pelle lesa, sentendo il gonfiore sotto i polpastrelli. Un tocco delicato, quasi impercettibile.
«È molto gonfio, sei sicuro che stai bene? Per favore non farmi preoccupare»

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view post Posted on 11/12/2022, 16:40
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Draven Enrik Shaw
III° anno • Prefetto Serpeverde



Il soffio del vento autunnale era l’unico rumore a coprire i loro silenzi; muoveva le foglie rade di quella quercia che svettava su di loro, unica spettatrice di un momento di tranquillità che Draven aveva agognato nelle ultime settimane. Era stato così difficile trovare il tempo e il modo di stare da solo con lei senza doversi preoccupare di allenamenti, compiti e lavoro, che gli faceva ancora un po’ strano. Pur avendola davanti a sé. Una boccata d’aria fresca. Di nuovo l’ossigeno aveva il suo profumo.
Aveva passato un sacco di tempo ad amarla in silenzio, quasi di nascosto, con la consapevolezza di non conoscerla, che fosse più grande, troppo bella per lui, con qualcosa di così speciale dentro che non poteva essere raggiungibile da un comune mortale e non si era mai concesso il lusso di sperare di averla. Qualcosa li aveva fatti avvicinare, però. Forse era stato il dolore che le aveva letto negli occhi, la prima volta che i loro sguardi si erano incrociati sulla torre di astronomia, che gli aveva fatto credere di avere qualcosa che li unisse, qualcosa che lui avrebbe potuto toglierle di dosso perché ne riconosceva gli effetti, provati e attecchiti sulla propria pelle; forse, se n’era accorta anche lei. Di conseguenza, ma inconsapevolmente, aveva basato ogni singola interazione con lei sulla spensieratezza; non le aveva mai chiesto del suo passato o del suo futuro. Si era concentrato sul suo presente. L’aveva ascoltata dire ciò che aveva voglia di dire e l’aveva assecondata a fare ciò che aveva voglia di fare, perché non aveva mai voluto per lei che fosse il dolore a guidarla nelle sue scelte, ma la ricerca della felicità… in un certo senso. Non aveva ancora capito come fare per renderla propriamente felice, era un concetto di cui lui stesso stava ancora scoprendo il significato, ma sapeva di stare male quando non ci provava. Ed era ciò che era successo in quelle ultime settimane.
Si disse di aver già compensato un po’ di quelle mancanze quando la sentì scherzare e la vide sorridere; un sospiro di sollievo gli sfuggì, silenzioso, tra le narici e le labbra si distesero in un sorriso tenero. Ma sentiva che non era ancora abbastanza. Non fu per la malizia di un istante, che tentò di celare, che si espresse in quel modo, ma per il bisogno che aveva di sentirla... Evidentemente, gli veniva più facile esprimersi con ironia. Mantenersi in equilibrio tra gli impulsi fisici e quelli mentali era un’abilità degna di un funambolo professionista. Lo aveva fatto per tutta la vita, trovando nel mezzo la soddisfazione ai propri desideri, ma con lei era tutto più enfatizzato e, di conseguenza, più difficile da gestire.
Ogni volta che lo guardava, da sotto il velo di imbarazzo che le schiariva gli occhi e colorava le guance. Ogni volta che accettava i suoi abbracci, i suoi baci e le sue carezze, quando stringeva le dita di una mano tra le sue. Ogni volta che riuscivano a vedersi anche in mezzo al caos dei corridoi della scuola e si scambiavano sguardi e sorrisi. Le piccole cose, di cui si era nutrito in quell’ultimo paio di mesi e che aveva sognato di avere da quando l’aveva conosciuta. Era tanto, era bellissimo, ma di centimetro in centimetro spingeva il suo autocontrollo verso un baratro senza fondo.
“Il segreto della felicità non è di fare ciò che si vuole, ma di volere sempre ciò che si fa”, racchiudeva in un certo senso il perché di tanto impegno a frenarsi.
Li separavano solo pochissimi centimetri, quando si staccò dal tronco anche lei. Erano già stati a letto insieme, eppure non si erano mai più nemmeno baciati da allora. Avevano resettato tutto, in un certo senso, quando avevano iniziato a frequentarsi sul serio. Tutto da capo, un passo la volta…
Si raddrizzò con la schiena per guadagnare un infinitesimale spazio in più tra di loro, provare a respirare aria che non sapesse di lei e riacquistare un po’ di lucidità. Ma, così facendo, si ritrovò a incrociare di nuovo il suo sguardo. Aveva le guance arrossate, si stringeva nelle spalle, con le braccia intorno alla vita… Stava congelando. Non poteva prendersi altro tempo da lei, se avesse significato farle venire una polmonite. Schiuse le labbra, probabilmente con l’intento di proporle di rientrare nella scuola, a discapito del proprio volere... Il pensiero iniziò e finì lì nel momento in cui gli chiese di vedere i lividi del bolide. Aggrottò appena le sopracciglia. Non capì il senso di quella richiesta, insomma, era solo un livido, ma acconsentì. Le annuì, facendo spallucce. La mano destra si liberò dal nascondiglio nella tasca dei pantaloni in cui Draven l’aveva relegata, insieme all’altra. Colta dall’istinto di andare a sollevare la felpa e mostrarle il costato leso, da quel lato, si fermò a mezz’aria; le sue dita che si insinuarono al di sotto del tessuto, anticipandolo. Ritrasse l’addome al suo tocco, per riflesso, e un lieve sbuffo gli sfuggì dalle labbra.

Hai le dita fredde… - commentò, abbassando lo sguardo a seguire il loro movimento. Aveva riportato ferite ben peggiori di quella nel corso degli anni ed era sicuro che da una bolidata con conseguente disarcionata potessero venire fuori danni peggiori che un paio di lividi e qualche escoriazione. Per cui, non aveva di che lamentarsi.
Lo sguardo di nuovo perplesso quando la sentì nominare la signorina White, perché gli ci volle qualche istante di troppo ad associare quel nome all’infermiera della scuola e ci arrivò solo per ragion di logica; non aveva mai imparato il suo nome. Si chiese perché conoscesse tutta quella gente di cui lui non si curava, nemmeno quando facevano parte della sua squadra di quidditch, ma non era questo il punto del discorso e nemmeno gliene fregava qualcosa.

È solo un livido, passerà. – rispose, andando a chiudere entrambe le sue mani tra le proprie. Sotto il tocco dei palmi caldi, gli sembrò che non fossero più così fredde, e le spinse delicatamente via per riabbassare la felpa fino al bordo dei jeans. Strinse le dita tra le sue e l’attirò a sé, petto contro petto, per farle nascondere le mani intorno ai propri fianchi, sotto la giacca imbottita che avrebbe potuto darle un po’ di sollievo da quell’aria autunnale. L’avrebbe abbracciata, quello era l’intento, se non fosse stato per le sue parole seguenti.
Come ogni volta in cui aveva fatto un piccolo progresso con lei, aveva sentito l’istinto reagire con una scarica di adrenalina. Gli era capitato più e più volte di provare quella sensazione e capire così che era il momento giusto, l’atmosfera giusta, per dire o fare quel qualcosa in più. Un abbraccio, niente di eccessivo, ma al contempo sufficiente a dargli sollievo… Doveva aver pensato questo, l’istinto. Prima di spingerlo ad annullare diversamente quell’esigua distanza tra di loro.
In un istante, si ritrovò proteso verso di lei. Le mani intorno al suo viso, si insinuarono al di sotto del cappuccio, a scaldarle e accarezzarle le guance. Una frazione di secondo e le labbra si schiusero sulle sue a rubarle un fugace bacio.

Onestamente, questa è l’unica cosa di cui ho bisogno. Posso chiedere questo? – bisbigliò, gli occhi fissi nei suoi.

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Edited by Draven. - 14/5/2023, 14:50
 
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La terra tremò sotto il peso del suo corpo. O almeno quella fu la sensazione che Megan provò quando Draven le cinse entrambe le mani e la condusse a ridurre le distanze. L’abbracciò e il cuore riprese a battere nel petto, pronto a uscire fuori da un momento all’altro. Non le sarebbe importato se l’avesse sentito, ora che a separarli non vi era altro che il tessuto delle loro vesti. E poi quel bacio che lui le diede, fuggevole ma intenso. La delicatezza impressa in una carezza sul viso, come una farfalla che si poggia tra i capelli e vola via l’attimo seguente. Il desiderio di osservarne ancora i colori, la meraviglia dinanzi alla natura sempre così perfetta.
Un sussurro, quel battito di ali silenzioso, il respiro che arranca e i brividi che percorrono ogni strato della pelle, su e giù. Gambe, fianchi, schiena e collo. Non era il freddo, non era il vento che in quel breve istante colmo d’intensità aveva aumentato il soffio. Era lei, le sensazioni provate e l’arrendevolezza a quell’impulso che non solo scuoteva il suo corpo ma anche la sua mente. Strinse il tessuto della felpa tra le dita, come a voler scaricare quella tensione che si era avviluppata alla sua figura e a cui, però, non ebbe certezza alcuna di volervisi sottrarre. Quello che sentiva riusciva a toglierle il fiato; era come sprofondare nelle acque di un oceano in tempesta, dove l’unica salvezza era abbandonarsi in balia di quelle onde sperando di toccare terraferma. Non sarebbe servito a niente tentare di solcare le creste giacché quest’ultime fossero in grado di lasciarla affogare.
Era ciò che sentiva per lui. Il sentimento che nutriva non poteva metterlo a tacere in alcun modo, non del tutto almeno.
Lo guardò e nelle cromie che riflettevano i colori smeraldini ritrovò la pace. Schiuse le labbra e lasciò che l’aria tornasse a scorrere nei polmoni. Appoggiò la fronte sulla sua, poi sorrise e lo fece mostrando tutto l’imbarazzo che stava vivendo. Ecco il rosso colorarle le guance costellate da miriadi di lentiggini e il naso arricciarsi teneramente.
Puoi chiedermi ciò che vuoi, quelle parole le attraversarono la mente senza alcun controllo ma non trovarono voce. Ridusse le distanze e lo baciò. L’intensità fu tale da portarla a stringerlo a sé con più energia. Si abbandonò a quel sapore, al calore che esplose nelle viscere e che per quegli attimi avvampò sulla pelle senza lasciarle sentire più il freddo pungente del vento autunnale. Come sciogliersi sotto un sole cocente, nel tentativo di orbitare attorno al suo spazio. Era strano sentirsi così pienamente alla mercé di quel flusso e di non voler scappare via in alcun modo.
Si staccò, lasciando sciogliere quell’abbraccio senza ridurre la distanza. Condusse le mani sul petto di lui in modo da percepire i battiti e sentirli pulsare sotto la punta delle dita. Il tessuto a fare da barriera, il desiderio di oltrepassarla; vi si poggiò contro.
Dischiuse le palpebre e tornò a sondare i suoi occhi. Le pupille dilatate e il respiro tormento.
Avrebbe voluto dirgli tante cose, trovare il coraggio per farlo e mandare via le insicurezze. La paura che la bloccava, il peso di doversi trattenere ogni qualvolta sentiva l’impeto di volerlo abbracciare e tenerlo a sé più stretto che poteva. Terrore ma al contempo smania di volersi abbandonare.
Ascoltò con attenzione quello che i suoi sensi, le sue emozioni lasciavano rivelare tra le pagine scritte di un diario strappato in mille pezzi su un pavimento. Raccoglieva i pezzi, ricomponeva quelle parole e le sentiva, avvertiva la leggerezza che ogni sillaba le procurava. Avrebbe voluto sentirsi così per sempre, lasciare che il dolore abbandonasse quel posto che si era ritagliato; in un angolo, al centro del petto.
«C’è stato un momento in cui ho pensato che avrei potuto solamente farti del male e parte di me lo pensa ancora» finalmente parlò. Gli occhi fissi nei suoi, la voce tremava.
«Tuttavia quando sei qui, quando ti siedi vicino a me e mi abbracci, o mi accarezzi, io non posso fare altro che desiderare che tutto questo non finisca mai».
Era difficile, dannatamente complicato ma se avesse trattenuto ancora quel che sentiva sarebbe implosa. Era l’amore di quei gesti che lasciava vibrare le corde di un’anima che credeva aver perduto molti anni fa in un’alba appena nata. Quell’anima sparsa in mille frammenti e che ogni qualvolta cercava di ricostruire crollava ai suoi piedi lasciandola in ginocchio.
«Ciò che sento fa paura e non credo di essere capace a gestirlo ma non mi pento in alcun modo di essermi permessa di poterlo vivere con te» abbassò gli occhi e strinse appena le dita sul tessuto nero della felpa di Draven.
«È complicato» tornò a guardarlo trovando la forza di articolare quelle parole e di trovare un senso ai pensieri che, come fili intrecciati, cercava di liberare per farli scorrere senza alcun impedimento. Sapere di correre il rischio di ferirlo la distruggeva.
«Ma ciò che so è questo», afferrò la sua mano lasciandola scorrere sul petto in fiamme. Il palpito alterato espandeva il suono profondo e accelerato nello sterno.
«È l’unica cosa che conosco, adesso».
Non aveva smesso di guardarlo negli occhi e la voce seppur tremasse risuonò cristallina, colmata da quella verità che continuava a spaventarla.

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Draven Enrik Shaw
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Era facile immaginare come chiunque altro stesse occupando quel tempo alla fine della prima giornata del torneo. Vincitori e vinti, tra baldorie e lacrime da leccarsi via. Soddisfazione e delusione, per qualcuno a cui fregava qualcosa, non potevano essere evitate. Aveva sorriso, tra sé, quando aveva realizzato che i Tassi sarebbero tornati nei dormitori carichi di acido livore e aveva sorriso, poi, vedendo Megan prendere il boccino. Il resto era superfluo. Una giornata come tante altre, in cui il pensiero fisso era stato… Lei. Era sempre lei, dopotutto. Gli veniva naturale come respirare. Qualsiasi cosa facesse, ovunque si trovasse, pensava sempre a Megan. Nemmeno ricordava più con quali pensieri avesse tenuto impegnata la propria mente iperattiva prima di conoscerla. A un certo punto, si era impossessata di tutta la sua voglia di vivere. Doveva essersene accorto quando, stando lontano da lei, si era sentito vuoto. Ironico, per qualcuno che era stato solo per quasi tutta la vita ritrovarsi, di punto in bianco, a non sopportarlo più. Con lei, stava bene. Senza di lei, stava male. Era semplice. Era l’amore. Anche se era solo un bambino bisognoso d’affetto; stupido, infantile, sdolcinato che fosse… Era la realtà dei fatti.
Tenuto in gabbia da pulsioni che non aveva mai sentito prima, conosciute con lei. Impossibili da ignorare, difficili da gestire.
Aveva ceduto. Per egoismo non aveva fatto altro che spingersi sempre più avanti. Più vicino al baratro, con le vertigini che minacciavano di fargli perdere il contatto con la realtà. Perché non si era mai permesso di sperare. Si era accontentato delle piccole cose, convinto che la ragazza avesse di meglio da fare - per i mille motivi che ossessionavano la parte più fragile del suo essere - piuttosto che stare dietro a uno dei tanti ragazzi presi da lei; era normale pensarlo quando lui la vedeva così eterea e irraggiungibile. Si era preso ciò che lei gli concedeva, perché era meglio di niente. Aveva stretto i denti e i pugni, nutrendosi delle briciole, perché erano meglio che morire di fame. E si era detto che gli andava bene così, anche se la frustrazione gli toccava ogni fibra del corpo da mesi. Purché lei stesse bene. Gliel’aveva promesso.
Ma aveva ceduto. E sentì le mani fermare le carezze sulle sue guance. Per un lungo istante, rimase a fissarla. Perso nei suoi occhi, nel quasi totale silenzio che li circondava. La dualità dei propri pensieri che lo portarono a non deviare lo sguardo da lei, per evitare di essere travolto dalla negatività che guidava, pressoché da sempre, ogni momento della sua vita e, al contempo, l’esigenza di evitare di guardarla per poter provare a essere lucido e prepararsi psicologicamente a un suo rifiuto. Un modus operandi che portava avanti praticamente da quando le aveva confessato i propri sentimenti e che trovava difficile dimenticare, nonostante le splendide abitudini acquisite con lei nell’ultimo periodo.
Dopo un tempo che gli parve infinito, la vide sorridere e si concesse un sospiro di sollievo; forse, la perdita di pazienza era stata interpretata come audacia. In ogni caso, gli era andata più che bene e bastò quella reazione a tranquillizzarlo.
Riprese a scorrere delicatamente le dita sulla sua pelle. Sentì il calore delle sue guance, l’evidenza del suo imbarazzo, sotto i polpastrelli. Di tutti i misteri che avvolgevano quella ragazza, probabilmente l’unico che non sarebbe mai riuscito a capire nemmeno con il tempo era proprio questo. Ma nessuno conosceva quella parte di Megan; era riservata solo a lui e l’avrebbe custodita gelosamente finché glielo avesse concesso.
L’abbracciò più stretta. Le mani, a fare eco delle sue, si posarono dietro la sua schiena e la spinse a sé, ad annullare una distanza pressoché già nulla. Le labbra si schiusero a ricambiare il suo bacio senza alcuna esitazione e gli angoli si sollevarono in un sorriso. Aveva sminuito il modo in cui gli fosse mancata quella sensazione. Gli sembrò di aver ripreso finalmente a respirare in quel frangente in cui dimenticò di farlo. Il cuore che batteva veloce, come spesso gli accadeva, con la differenza che stavolta era per qualcosa di bello. Si protrasse istintivamente verso di lei con l’intento di baciarla di nuovo, baciarla ancora, magari per sempre, quando la sentì staccarsi e non riuscì a trattenere un sospiro. Si rese conto di aver tenuto gli occhi aperti tutto il tempo solo quando incrociò il suo sguardo e si trovò a sbattere le palpebre in un riflesso incondizionato. Come appena svegliato da un sogno. Seguì la direzione delle sue mani e andò a posarvi le proprie, accarezzandole il dorso. Non riusciva a stare fermo, a impedirsi di toccarla e condividere con lei ogni millimetro avessero a disposizione.

Mi batte forte il cuore. – commentò, sbuffando divertito, prima di abbracciarla nuovamente a sé. Mentre un braccio tornò a cingerle la vita, l’altra mano si posò dietro la sua nuca e si chinò a posarle un tenero bacio sulla testa. Maledì, per un istante, la fretta che doveva averle scaturito, seppur involontariamente, portandola a uscire dagli spogliatoi per raggiungerlo con ancora i capelli bagnati, perché quel cappuccio tirato su iniziava a essere d’impiccio per le coccole. Lo scostò indietro di poco per lasciarle un altro bacio, tra i capelli, poi glielo riabbassò con un altro sbuffo divertito.
Nemmeno ci provò a chiedersi con quanta frustrazione fisica sarebbe tornato in dormitorio, considerando che già a stare lì con lei fermo in quel modo richiedeva un incredibile impegno psicofisico… Ma era tutto perfetto, comunque. Semplice e naturale come aveva pensato dovesse essere dal principio. Gli ci era voluto un po’ per arrivarci e, mentre si perse a chiedersi se, allora, da quel momento in poi potesse concedersi di sentirsi in qualche modo importante per lei o almeno preso in considerazione come il suo ragazzo, si ritrovò a incrociare di nuovo il suo sguardo. Non l’aveva mai vista con occhi così chiari e, al contempo, carichi di pensieri e preoccupazioni. Il cuore capitolò e inciampò sui suoi stessi battiti. Il proprio sguardo si corrucciò di preoccupata curiosità, l’accenno del sorriso ancora sulle labbra ad addolcire l’espressione del viso; inclinò appena la testa da un lato, protraendosi verso di lei, come a volerle chiedere silenziosamente cosa le stesse passando per la testa. Non le aveva mai fatto una domanda simile; l'esigenza, il bisogno o la voglia di parlare doveva arrivare solo da lei. Sapeva che l'avrebbe sempre ascoltata. Cercò di ripetersi che se lo aveva baciato non poteva essere sul punto di dirgli qualcosa di brutto, di rifiutarlo, almeno. E attese.
Come fossero arrivati a un simile incrocio, da che il discorso era iniziato per il quidditch e il massimo della preoccupazione di Draven era stato come ringraziarla per la Firebolt, non ne aveva proprio idea. Ma l’ascoltò, in silenzio. Mise in fermo le funzioni vitali, come se la loro attività dipendesse direttamente dall’esito di quel discorso e da dove volesse andare a parare. Era sempre forbita nell’esprimersi; anche con poche e semplici parole era in grado di esprimere ciò che pensava, nel modo giusto e appropriato. A malapena riuscì a notare la voce tremante e l’insicurezza. Avrebbe voluto possedere anche lui quella dote, perlomeno con lei. Perché non importava quanti libri lui leggesse, le parole non attecchivano. Svanivano nel momento in cui girava pagina e gli restava impressa solo una qualche frase che si era trovato distrattamente a evidenziare. Non sapeva esprimersi come lei, o come nei libri. Non poteva far altro che restare lì a guardarla. E più lei parlava, più lui si innamorava.
Stava succedendo davvero.
La mente si attivò frenetica in cerca di qualcosa da dire. No, non ‘qualcosa’, ma la cosa giusta.
A capire quale fosse… Sentì ogni terminazione nervosa nel suo corpo entrare in tilt.
Strinse le dita tra le sue, all’altezza del suo petto. Anche il suo cuore batteva forte e batteva per lui. Incredibile, ma vero. Lo sguardo si alternò per un paio di volte tra le loro mani e i suoi occhi, poi lasciò che fosse l’istinto a guidarlo. Forse per prendere tempo e continuare a pensare o, forse, per sugellare il significato delle sue parole. Si ritrovò a baciarla di nuovo, assaporando le sue labbra con dolcezza e desiderio al contempo.

Il resto possiamo conoscerlo insieme. – sussurrò, pressando le dita ancora tra le sue, all'altezza del suo cuore.

Mi prenderò sempre cura di te. Di questo. – aggiunse poi, affondando il viso nell’incavo del suo collo, seppur coperto da quella benedetta felpa. Inspirò piano il suo profumo e la strinse forte tra le braccia.

Ma... questo... significa che possiamo vederci tutti tutti i giorni? E stare sempre insieme? Magari potrei accompagnarti alla torre dopo cena? O venire a darti la buonanotte? Il buongiorno, anche…? Non ricordo l'indirizzo di casa tua, ma vorrei stare con te anche quando saremo a Londra per Natale...

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Edited by Draven. - 14/5/2023, 14:51
 
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Chiuse gli occhi per esigui istanti. Era la prima volta che ascoltava realmente ciò che stava provando ed era così dannatamente bello da lasciarle sfuggire un sospiro liberatorio. Era così che ci si sentiva quando la felicità, seppur per un fuggevole momento, tocca le corde tese di un'arpa e lascia che il suono si diffonda nello spazio accarezzando la superficie, togliendo la polvere nel vibrare incessante di quel suono, soave ed etereo. Musica in una stanza accogliente, dimenticata nel tempo e nascosta in un piccolo angolo della memoria. Megan si lasciava cullare da quelle sensazioni e la paura rimase sospesa, come se improvvisamente non avesse più alcun potere su di lei. Le dita strette a quelle di Draven, il cuore ancora martellante nel petto e un altro bacio a suggellare quello che finalmente definiva il loro rapporto. Megan aveva smesso di frenarsi, non erano più solo i gesti a parlare per lei. Le parole avevano un peso, ogni sillaba pronunciata si era inserita tra loro ed era emersa una consapevolezza che permetteva di intravedere molto più di quanto, probabilmente, entrambi si sarebbero aspettati l’uno dall’altro. Non le importava dover dare un nome a ciò che sentiva, a quel vento che come un vortice si insinuava sotto le vesti abbracciandola con tenerezza. Era più forte il ricordo che le procurava, la nostalgia e la speranza che finalmente qualcosa di bello potesse accadere. Per lei, dopo tutto il dolore che l’aveva afflitta. Era come dimenticarsi di tutto improvvisamente e non vedere altro che l’armonia, cornice di quel quadro perfetto. In quei piccoli gesti rivedeva un passato che le era appartenuto e che aveva seppellito lontano da sé. La mente era riuscita a far riemergere attimi vissuti e mai come in quei secondi riuscì a capire la portata di quelle emozioni. Mai come in quel momento era tornata a rivivere un amore che era stata capace di percepire come spettatrice e di desiderare nell’avvenire. Varcava la soglia di casa e precipitava in un abbraccio. La mancanza sembrava non essere più così dolorosa ora che qualcuno era disposto ad amarla senza condizione alcuna. Draven non si aspettava niente da lei ed era questo che fin dal principio l’aveva spiazzata. Non vi era alcun giudizio nel suo sguardo. Lui le sarebbe rimasto a fianco in qualunque circostanza e accettarlo, ora che la stringeva a sé, che le dava quell’ultimo bacio e si poggiava nell'incavo del suo collo, le sembrava più facile.
«Mi prenderò sempre cura di te. Di questo.»
«Credo che sia l’unica cosa che conta... Per me» gli sussurrò mentre a fatica riuscì a frenare una lacrima che, lentamente, accarezzò il suo viso fino a precipitare sul tessuto della felpa svanendo tra le sue pieghe. Aveva sempre pensato che da sola sarebbe stata in grado di riuscire a combattere i demoni che attanagliavano la sua mente, strappavano la sua pelle e la relegavano in un angolo, sola. Al di fuori non vi sarebbe stato spazio per nessuno, mai. Niente avrebbe potuto toccarla, farla soffrire. Eppure, tutto quello che aveva costruito attorno a sé si era rivelato un pericolo, in principio, per se stessa. Quella barriera che aveva eretto non era che una gabbia e lei era al suo interno, in trappola. Avrebbe dovuto riuscire a fidarsi di nuovo delle persone, tornare a sentire il cuore battere e non solo per il dolore, che lasciava affiorare cicatrici mai chiuse, ma anche per la serenità di momenti che valevano la pena di essere vissuti. Ed era questo che si era concessa; ora cercava semplicemente di vivere con Lui.
«è ciò di cui ho bisogno» si arrese, la voce saltò quelle ultime sillabe e appoggiò la guancia sul suo viso. Si abbandonò a quell’abbraccio e strinse forte come se non avesse alcuna intenzione di lasciarlo andare via; non ne aveva.
Poi sorrise teneramente quando lui finì per farle un lungo elenco di luoghi e situazioni in cui sarebbero potuti stare insieme chiedendole il permesso. «Sei incorreggibile, lo sai vero?» scosse la testa tornando a sondare le iridi smeraldine. Afferrò il viso tra le mani, premendo delicatamente sulle guance e ridendo fragorosamente per come la pelle cambiava i suoi connotati in smorfie buffe e divertenti.
«Staremo insieme, sì» la mano destra si staccò dal volto e accarezzò le sue labbra, percorrendo con esattezza la linea perfetta che ne delimitava la forma. Lo sguardo si alternava da quel quel gesto ai suoi occhi; il pulso tornò a lasciar vibrare il corpo desiderando di premere forte contro quello di lui e perdersi solamente in ciò che aveva già vissuto e che ora desiderava più ardentemente.
«Torniamo dentro?» chiese, rendendosi conto delle sue azioni. La pelle tornò a colorarsi di un rosa acceso, cancellando la costellazione di lentiggini che dipingeva naso e zigomi.

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Draven Enrik Shaw
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Nei brevi frangenti di silenzio, si rese conto di sentire solo il battito del proprio cuore che gli risuonava nei timpani. Era un suono sordo e tamburellante, che aveva variato d’intensità svariate volte nel corso di quegli ultimi minuti. Non era a causa di qualche brutto pensiero, ma nemmeno per tutto ciò che di bello stava accadendo proprio lì, in quel momento. Era la reazione di uno scanner: più Megan si avvicinava, più lui impazziva, proprio come uno strumento a induzione magnetica in prossimità di un metallo prezioso. Le sue parole gliel’avevano resa più vicina, in qualche modo. I piccoli gesti di cui si era nutrito da quell’estate, da quando la ragazza aveva deciso di concedergli una possibilità, e quei baci di cui, finalmente, avrebbe potuto fare incetta senza sentire i morsi dell’ansia attanagliargli lo stomaco al pensiero di essere troppo audace, di prendersi una confidenza che lei non voleva avere… Erano solo una piccola parte di ciò che rese Draven così immensamente grato del semplice fatto di essere vivo. Perché non aveva mai dato importanza alle parole, fin quando le sue labbra non avevano iniziato a farla esprimere attraverso suoni idilliaci. Le parole lasciavano il tempo che trovavano; potevano essere fraintese, manipolate, ritratte e dimenticate, ma le sue avevano un valore. Le sentiva, come fossero tangibili. Dietro la sicurezza glaciale che mostrava a chiunque, si nascondeva la ragazza dolce, sensibile, timida e caparbia, indipendente, arguta che, in piena coscienza di sé, gli aveva appena aperto il suo cuore. Quella sequenza di lettere ebbe il potere di attraversargli il petto come una stoccata ben assestata. Era arrivata dopo, un po’ in ritardo, la consapevolezza di quanto immensamente magnifico fosse tutto ciò. Lo aveva sognato, lo aveva immaginato; contro ogni buonsenso e senza nemmeno riuscire ad ammetterlo a se stesso, lo aveva sperato. Era reale. Tutto ciò che gli aveva appena detto lo percepiva fin sotto la pelle, a toccare ogni più minima terminazione nervosa, tanto quanto il calore della sua guancia contro la propria. Abbracciato a lei, si rese conto di aver iniziato a tremare e che quel tamburo aritmico che era ormai diventato il proprio cuore aveva finito per ovattargli le orecchie. Strinse le dita dietro la sua felpa e rimase immobile così, a inspirare il suo profumo, finché non fu lei a fargli rialzare il viso, premendogli i palmi contro le guance.

Sì, ma scoprirai che ho anche dei difetti… - rispose ironicamente, seppur in tono serio, le labbra a bocca di pesce per via della pressione sulle guance e lo sguardo dritto nei suoi occhi. Vederli così accesi di vita e pensare che in così breve tempo fosse già riuscito a dimostrarle la validità della promessa che le aveva fatto: di non volere altro da lei che vederla felice, così, con gli occhi chiari e profondi come un mare di notte. Non fu proprio semplice, per via della smorfia buffa scaturita dalle sue mani sul viso, ma cercò di distendere le labbra in un sorriso divertito, che illuminò di una malcelata arroganza le proprie pupille; si addolcì poi, inevitabilmente, al suono delle sue parole seguenti. E si zittì. Paralizzato. Nemmeno il suono di un respiro o il martellare frenetico del proprio cuore. Sulle labbra il peso di parole che non riuscirono a trovare voce, sentendo il tocco leggero delle sue dita. Le schiuse e dell’espressione divertita e dolce non rimase che una vaga ombra; gli occhi si accesero di eccitazione e il fiato rimase sospeso all’altezza dello sterno, lì dove le famose farfalle nello stomaco sembravano fossero arrivate a danzare sui resti del proprio autocontrollo. La vista improvvisamente annebbiata da una coltre di ormoni che gli pervase tutto il corpo e gli offuscò la mente. L’intensità del suo sguardo e il modo in cui gli sembrò di provare calore sulle labbra, dagli angoli alla perfetta metà separata dalla spessa cicatrice, favorirono il defluire del sangue; lo sentì scorrere nelle vene e fargli formicolare le braccia, fargli girare la testa, farlo sentire dolorosamente pressato contro il tessuto dei jeans. E quando parlò di nuovo, fu come essere destato all’improvviso da una trance. Chiuse gli occhi e si lasciò andare a un profondo sospiro. Chinò la testa ad appoggiare la fronte sulla sua, alla cieca, e con i palmi giunti si avvicinò le mani al viso, spingendo indice e medio contro le palpebre serrate.

Dammi un minuto. – riuscì a dire, la voce roca e il respiro affannato dall’improvvisa e inaspettata scarica di ossitocina. Anche a occhi chiusi, poté immaginare il suo viso imbarazzato colorarsi di un rosso ancor più intenso, se solo avesse direzionato lo sguardo in basso sui propri jeans. E non riuscì a trattenere uno sbuffo divertito a quel pensiero. Non servì a farlo calmare, ma perlomeno spezzò la tensione sessuale che li aveva avviluppati in quei tre minuti di delirio.
Dopo un tempo indefinito, riuscì a muoversi. Sospirò ancora e si convinse a riaprire gli occhi, evitando però di guardarla direttamente negli occhi per il bene della propria sanità mentale. Si volse a darle le spalle e l’anticipò di un passo, porgendo indietro un braccio, verso di lei, per prenderla per mano.
Se gli aveva detto qualcosa in quel lasso di tempo, non l’aveva sentita e sperò che, in tal caso, non fosse stato niente di importante.

Prima di andare a cena, asciughiamo i capelli. E, comunque, grazie per la Firebolt… Avrei dovuto dirtelo prima, ma… – esordì, accennando un sorriso malizioso e dolce al contempo. Si avvicinò le loro mani alle labbra e posò un bacio sul dorso delle sue dita. L’aria doveva essere fredda, a giudicare dalla temperatura della sua pelle, ma si sentiva ancora un po’ troppo accalorato per prestarci attenzione. Cercò di tenersela vicino nel tragitto fino alla scuola e sperare che tanto bastasse a farle sentire meno freddo. A un certo punto aveva anche pensato di darle il proprio giubbino, ma davanti agli occhi gli erano passate sequenze di scadenti film romantici babbani in cui un ragazzo faceva quella stupida mossa solo per farsi gradasso con la ragazza di turno e aveva ben pensato che farla morire assiderata era meglio che farle credere che fosse ridicolo… Forse, non era stata la scelta migliore.
Ad ogni modo e, indipendentemente dalla temperatura interna del castello, varcando le soglie della scuola le lasciò subito andare la mano e portò entrambe le proprie nelle tasche della giacca. Lo fece per istinto, reduce dell’impronta vagamente omertosa in cui avevano vissuto il loro rapporto in quelle prime settimane di frequentazione. Non ci vedeva nulla di sbagliato nel tenersi la loro privacy e, al contempo, nell’esprimersi affetto in pubblico, ma non aveva la minima idea di quale fosse la sua idea a riguardo, se nonostante tutto si vergognasse di stare con uno come lui o se semplicemente, nell’essere riservata, preferisse mantenere il segreto. Lui non aveva preferenze di sorta, o così credeva; perché l’idea che potessero ritrovarsi sulla bocca di tutti per un bacio rubato tra i corridoi o una minuzia del genere bastava a farlo andare nel panico. Sulla scia di quel pensiero paranoico e convinto che i quadri chiacchieroni nell’androne e sulle scale fossero la causa scatenante della maggior parte dei pettegolezzi che circolavano nel castello, si tenne a debita distanza da lei mentre l’accompagnò verso la torre di divinazione.
A ogni gradino più vicino all’apice della torre, sentì il disagio aumentare e quando iniziò a intravedere un via vai di Corvonero nei paraggi, fu anche peggio. Iniziò a sentirsi addosso lo sguardo di ogni studente lì nei pressi. Era un Prefetto, sì, ma non era orario di ronde, non indossava nemmeno la divisa scolastica e aveva appena salito quelle scale in compagnia della loro Caposcuola. Nessuno avrebbe creduto che potesse essere una coincidenza. Avrebbero iniziato a farsi domande. A fare domande a lei? O a parlare alle sue spalle…

Ti aspetto sotto. – disse all’improvviso, in un fil di voce, con lo sguardo basso e fisso sul pavimento, con una tale insistenza da sembrare che volesse studiarne le fattezze, prima di voltarsi e ripercorrere il tragitto appena percorso.

3_5
@esse




Fine.



Edited by Draven. - 14/5/2023, 14:52
 
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