Echolocate., Privata.

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view post Posted on 20/12/2022, 19:35
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— 24yrs ▴ Cursebreaker — Nonostante il parere della brava gente comune, Nocturn Alley non mi è mai dispiaciuta.
Quando, secoli fa, raccontai a mia madre che avevo trovato lavoro a Diagon Alley, all’Ars Arcana, lei si raccomandò —premurosa com’è— che mai e poi mai avrei dovuto avvicinarmi al malfamato quartiere gemello di Diagon.
Da bravo figlio quale ero (e sono) è stata ovviamente la mia prima tappa.
Forse ero un ragazzino particolarmente sciocco o ingenuo, ma i muri sudici di Nocturn Alley furono l’unica cosa che mi spaventò davvero. La mia vivida immaginazione, forgiata da frequenti e poco raccomandabili letture piuttosto sconsigliate ai minori di quattrordici anni, non rimase particolarmente impressa dalle strade buie e bisbiglianti, né dalla fama oscura effettivamente ben attribuita. In un primo momento rimasi perfino deluso; debbo ringraziare la vecchia Megera che vendeva dita di troll vicino un lugubre pub se la mia scappatella ebbe almeno un momento di adrenalina (ovvero, quando cercò di vendermi un cocktail di unghie a detta sua, particolarmente nutriente e miracoloso per un “fringuelletto” dodicenne come me). Col tempo c’ero capitato altre volte, sempre ben nascosto dal mantello e dal cappuccio, timoroso del giudizio altrui, ma troppo curioso di scoprire tutti i segreti di quel quartiere così chiacchierato.
Da allora non mi ha mai deluso: benché pieno di tizi poco raccomandabili, non ho mai davvero riscontrato differenze rispetto ad altre zone di Londra (né, con quelle degli altri paesi che poi ho frequentato). In un certo senso, mi è sempre sembrata più reale e veritiera Nocturn Alley, con i suoi loschi abitanti, le Megere all’angolo in cerca di clienti sprovveduti (o bambini…), le pozioni contraffatte e il commercio alla luce del Sole (quel poco che penetra fra gli alti tetti appuntiti e gli storti edifici) di beni non commerciabili, della ben più famosa, “pulita” e ben rispettata Diagon Alley. Finora ho visto ben più marciume nascosto nelle vie bene, piuttosto che nei luoghi, cosiddetti, malfamati.
Tutta questione di pregiudizi; sebbene diversi, ne sono sempre stato vittima anche io.
Perciò, mentre leggo il fastidioso promemoria inviatomi da un mio collega dell’Antimago, sbuffo in una risata quando arrivo al punto in cui mi consiglia molta cautela quando mi recherò lì.
« Che ti ridi, Hor? »
Ned Lynch, il mio vicino d’ufficio e fratello di Eloise, allunga il collo lentigginoso oltre l’uscio aperto per sbirciare. Di tutta risposta appallottolo il promemoria e glielo lancio in fronte.
Centro.
« Fatti i cazzi tuoi, Ned. » Gli rispondo divertito, mentre mi alzo dalla sedia e afferro la giacca a vento. Mentre me la infilo e mi sciolgo i capelli, lui apre il promemoria e se lo legge, curioso come un Clabbert ; poi spalanca gli occhi.
« Oh no, ma che rogna! Ancora non ti sei liberato di quella roba? » Mi chiede lamentoso, spostandosi di lato per farmi passare.
« A quanto pare… ci vediamo più tardi, Ted. »
Agito la mano, mentre mi allontano. Alle mie spalle, lui torna ad accartocciare il promemoria e me lo lancia, mancandomi per un paio di centimetri.
La mia mano aperta si trasforma in un gestaccio.

Nocturn Alley non mi delude nemmeno oggi, in quanto a negativa suggestività.
La pioggerella che ha martoriato Londra da giorni qui assume un aspetto nuovo. Grigia come fosse piombo fuso e fastidiosa come minuscoli aghi appuntiti scivola sui tetti luridi e mi picchietta sulle spalle. Il lastricato di pietra che forma la strada è pieno di pozzanghere, formatisi nelle buche (o, per meglio dire, le voragini) che col tempo si sono create e non escludo di trovarci, prima o poi, un ratto morto che ci galleggia dentro. Rabbrividisco —e non per il freddo— mentre infilo le mani in tasca, camminando piuttosto tranquillo in quelle stesse strade in cui un tempo mi nascondevo; proprio come un ratto.
Ora, sinceramente, non me ne frega un cazzo.
Svolto a destra, apparentemente in direzione di Magie Sinister, facendo però attenzione alle stradine che super. Noto con dispiacere che la mia amica Megera oggi non c’è: sarà andata a caccia di troll?
Scavalco con non-chalance un vecchio goblin ubriaco che in un primo momento mi è parso solo un ammasso di cenci (prima che cominciasse a mettersi a russare rumorosamente) e, poco prima di giungere al noto negozio di arti oscure, prendo la prima a sinistra, scoccando una veloce occhiata al cartello affisso ad un muro sporco di cenere: “Bones Street”.
Non mi ci vuole molto per raggiungere il numero undici, una palazzina piuttosto misera, stritolata da altre due più grandi ma perfettamente incastrata fra loro, quasi per magia..
Decido di posizionarmi ad una media distanza, vicino ad un lampione fulminato; mi appoggerei, se non mi desse il terrore immaginare che razza di bestie microscopiche vivono su quel ferro. Comunque, la mia posizione mi permette di avere un’ampia visuale sul mio obiettivo, il che mi basta. Ogni tanto guarderò l'orologio (che ho sostituito con uno a poco prezzo), ma la cosa meravigliosa di Nocturn Alley è che alla gente non frega assolutamente niente degli altri. Non se sei vestito piuttosto anonimamente e se, mi duole dirlo, maggiorenne e uomo.
Il negozietto di chincaglierie di dubbia origine che occupa il piano terra dell’edificio non è particolarmente frequentato perché da quando mi sono appostato lì, fingendo di aspettare qualcuno, non si è avvicinato nemmeno un gatto. Almeno ha smesso di piovere, ma un vento freddo fa sbatacchiare sinistramente le persiane aperte delle case che mi circondano.
Mi porto una mano, umida e fredda, sul viso, cercando di ricordare precisamente il piano scrittomi da Alvarez: quarto.
Trattengo il respiro quando, finalmente, noto qualcosa muoversi in una delle finestrine dell’ androne, così mi stacco (metaforicamente, s’intende) dal lampione e, col capo basso, mi avvio con calma in direzione del negozio. Quella che credo essere una goblin, con due orrendi nanerottoli al seguito, sgattaiolano litigando fuori dal portone e, mentre si allontanano, devio ed entro con un balzo nel pertugio poco prima che l’uscio si chiuda con un tremendo fragore. Gli infissi tremolano e l’eco rimbomba per tutta la tromba delle scale. Arriccio un labbro, mentre mi assicuro che la bacchetta sia ben nascosta nella manica della mia giacca, pronta ad esser estratta. Batto il tacco degli anfibi a terra per scuoterli dal fango, un gesto assolutamente stupido visto il luogo dove mi trovo, ma così insito nella mia natura che non faccio in tempo nemmeno a riderne su. Poi, in silenzio, salgo gli stretti, sbeccati e claustrofobici scalini. Anche se dovrei esserlo, non mi sento affatto teso. Sono solo stanco di una storia che si trascina da settimane e per cui vengo sballottolato da un angolo all’altro di Londra. Se davvero Bones Street n.11 è il punto, ebbene, ne sono più che felice. Quando arrivo al quarto piano, l’unica porta che trovo sul pianerottolo è la mia destinazione. Alzo il viso verso l’alto: una gigantesca ragnatela occupa l’intero angolo del soffitto da cui l’intonaco si sta sgretolando per l’umidità.
Scommetto lo stipendio di Ned che c’è pure un’acromantula, da qualche parte.
Prendo un bel respiro, accosto le nocche alla porta e busso; una, due, tre volte.
C’è uno spioncino sulla parete, così faccio un passo indietro. I capelli, arruffati, mi vanno sul viso, coprendone una buona parte. L’intento è proprio quello.
« Ehi…» Dico a chi è oltre la porta. … Se c’è. « So che vendi… cose… »

Cara mamma, che figlio hai cresciuto tu non hai idea.

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view post Posted on 25/12/2022, 12:51
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THEY MADE YOU INTO A WEAPON AND TOLD YOU TO FIND PEACESto facendo i conti su un taccuino. Ho in tutto un centinaio di galeoni da spendere saggiamente e da risparmiare per le prossime utenze. Le borse di studio di Hogwarts mi danno qualcosa, il giusto per pagarmi due uscite al mese che evito di fare e che non posso fare perché ormai Les se n'è andato rifiutando i M. A. G. O. per un posto da lavapiatti in un ristorante giapponese.
Ho accumulato qualcosa, ma non basta. Penso alle vacanze estive, quando non potrò nutrirmi al castello, quando sarò costretto per due mesi a fissare queste quattro pareti scrostate e niente più. Lontano dal mondo, lontano dal cianciare dei corridoi, dalle lezioni e dall'ansia degli esami. Non so in effetti cosa io preferisca.

Ovunque sia, ma lontano dal mondo. È una frase che la gente si ripete in una pornografica dimensione romantica della vita. Se la tatua addosso, la scrive sui diari, la scolpisce sui muri, ma non ne comprende la duplice anima amara: la propria mente non è un bel posto in cui permanere senza vie d'uscita, la solitudine incalza e la fantasia spezza i legami col concreto. Quanto tempo ci vuole per comprendere di essere ciechi di fronte alle stesse bugie che ci raccontiamo, quanto per scalfire i propri gusci e aprirci all'altro in maniera incondizionata con un serio sentimento privo di egoismi?
Io non lo so, e tiro un sospiro dolorante sorprendendomi per l'ennesima volta a compiere tali pensieri mentre faccio i conti sul mio taccuino. Perché non ho molto altro se non questi soldi, che sono anche pochi.
A scuola non parlo con nessuno. Ovvero, sì, parlo, ma non parlo. Non comunico e nessuno lo fa con me, non in maniera concreta. Gli unici sprazzi di conversazione autentica li ho ottenuti dal diario condiviso con Oliver, ma anche quelli non so quanto siano reali. Sono parole scritte, sono sfoghi che si manifestano in cima a un picco e che vivono solo per poter sgonfiarsi, tornare alla normalità e far finta di niente, come sempre, quando ci si ritrova faccia a faccia.
Vorrei che le persone non avessero paura di esprimersi nemmeno col corpo, col volto, con i toni e i gesti incontrollati. Perché a quel punto smetterei di averne paura anche io, e la gastrite, il malditesta, l'insonnia, almeno in parte, cesserebbero. Invece devo continuare a mostrarmi di ferro, inespressivo e pungolante col rischio di esplodere perché non sono in grado di sopportare tutto questo, di fronte ad ognuna di quelle persone che il mio io mi costringe a far camminare sulla superficie della mia esistenza.
Che merda. Voglio andarmene. Lontano da questo mondo, sì, fatto di tutte queste ipocrisie. Ma onestamente non so dove andare, perché sento che l'unica persona con cui potrò per sempre rimanere sono io stesso, e questa cosa non mi piace. A meno che non mi lobotomizzino o non mi estrapolino questo cancro visionario dal cervello.

Mi sto rosicchiando l'unghia del mignolo. Ho alzato la testa dal taccuino ma mi sono perso sul foglio bianco del muro, dove dipingo questi pensieri. Ossessioni, nevrosi, paranoie. Sto qui a fare i conti, dei soldi e delle persone che voglio evitare, e penso che se volessi davvero andarmene sarebbero loro le persone che vorrei davvero al mio fianco. Draven, forse, sarebbe l'unico che sarei stato in grado di tollerare. Silenzioso, incazzato col mondo come me, gli piacciono i libri. Il compagno di viaggio perfetto. Ma ha deciso di tradirmi - o l'ho fatto io, non l'ho ancora capito. Ora è colui che evito di più. Qualcuno dei due dovrebbe cedere per primo ma nessuno dei due lo farà. Troppo orgoglio, troppi scudi. Probabilmente anche con Oliver mi troverei bene, però preferiamo un rapporto platonico fatto di insulti e dichiarazioni d'affetto su carta.
I miei occhi escondo dal vuoto dentro al muro e si fissano su una macchia. Ed è ora che mi ritrovo a chiedermi quanto di tutto ciò sia realmente importante. Non posso davvero andarmene.

Ho aperto un business. Questi soldi, in realtà, derivano tutto dal mio smercio di pozioni. La gente qui, a Nocturn, crepa di fame, di freddo e per la malvivenza. Ci sono persone che meritano, davvero, ma che stentano a vivere per le poche possibilità di respiro che hanno. Come me d'altronde, ma almeno io ho Hogwarts.
C'è Frida, la megera al piano terra, che soffre di una rinite cronica. Non ha i mezzi per permettersi una cura decente, non dorme tranquilla. Puzza. L'ho incontrata mesi fa, d'estate, sulle scale, ed è scoppiata in lacrime perché la povertà genera i mostri più contorti. Sono andato a comprarle un farmaco, ciò che senza ricetta di un medimago potevo recuperare. Mi ha ringraziato, ma ovviamente non poteva farle un grande effetto e io non potevo continuare a comprarle farmaci di tasca mia. Così ho analizzato il bugiardino, ho trafficato un po' con determinati ingredienti e ho trovato un buon sostituto fatto in casa per il farmaco. Nulla di trascendente, nulla che delle erbe naturali e qualche incentivo chimico noto non potesse dar luogo. Frida, però, ha fatto girare la voce, ed è stato a quel punto che ho capito che potevo ricavarci qualcosa.
Gli abitanti della strada, piano piano, sono giunti da me con delle richieste. Ho tentato di dar loro ciò che potevo e a un prezzo ragionevole - metà di quanto potevano trovare in una normale farmacia - in nero, ovviamente. Semplici pozioni che si imparano anche a scuola, infusi, elisir, pomate. Tutto quel che non sapevo ho tentato di assorbirlo e di ricrearlo a modo mio, con le mie conoscenze. La natura babbana, spesso sottovalutata, è un ricco forziere di tesori che mi ha soccorso più e più volte.
Nonostante questo, nonostante gli sforzi riversati sui rimedi fatti in casa, la mia fortuna si riversa altrove. Le pozioni della mente sono le preferite dello sporco mondo di Nocturn Alley. Queste persone, prima del benessere del corpo, ricercano la quiete dei pensieri.

Non vendo droghe. Io vendo momenti.
La Pozione dell'Illusione è fonte sia di incubi che di sogni, da la possibilità di riproiettarsi dentro i propri ricordi se gestita bene, seppur con determinate limitazioni. Non la vendo, i miei clienti non possono portarsela a casa. La devono utilizzare sotto la mia guida. Anzi, sotto la mia tutela. Quindici minuti con i loro desideri più intensi, sotto una vera e propria ipnosi. Basta berla dopo avermi scritto su un foglietto dove io debba indirizzarli. La loro mente bramosa di quiete fa il resto.
È stato difficile all'inizio creare questo rapporto di fiducia, ma poi alle persone di Nocturn Alley non è più importato nulla. Vedono me, una ragazzina dal volto infantile, e si chiedono cosa mai potrei fargli. Nemmeno se io, alla mia età, sia davvero in grado di gestire tali cose. Mi pagano pure, e si dimenticano che fra le mani detengo il potere di stravolgere per ben quindici minuti i loro sogni con incubi inimmaginabili. Non gli importa niente.
Ovunque sia ma lontano dal mondo. Ovunque sia, ma lasciami andare. Tieni i soldi e fammi partire.
A volte mi è balenato per la testa di provare anche io. Ma non saprei davvero di chi fidarmi.
Bussano alla mia porta, mi alzo dalla sedia. La giornata, di questo sabato lontano dalla scuola con la scusa di rivedere la dottoressa Fowler che ormai non vedo più, è dedicata ai clienti.
Spalle contro la porta, accanto allo spioncino. Non riconosco la voce. Deve essere uno nuovo. La diffidenza non è mai troppa.
«Chi le ha dato l'indirizzo?» chiedo con voce pacata non appena si fa silenzio.
Non chiedo al cliente di identificarsi perché nessuno, qui, lo vorrebbe. Gli do del lei perché, nonostante l'intimità delle necessità o dei sogni condivisi, vogliamo tutti concederci questo distacco.

 
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view post Posted on 9/1/2023, 23:27
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— 24yrs ▴ Cursebreaker — Non riesco ad identificare, né a distinguere la voce che giunge oltre la porta. Me l’ero immaginata più greve, roca, forse un po’ troppo stereotipata. Invece, benché ovattata dallo spesso strato di legno che ci separa, mi suona stranamente… fresca.
Aggrotto le sopracciglia, ma mantengo il viso in basso avendo notato in precedenza il contorno scrostato di uno spioncino. Non ho idea se il proprietario della voce mi stia osservando da lì, ma vista la circospezione della domanda, è assai probabile.
Riguardo questa, mi coglie impreparato. Non dubito che un tizio che vende roba del genere sia sempre sul chi-va-là, ma il mio contatto non mi ha specificato di prestare particolare discrezione, al di là del minimo indispensabile di ciò che si presuppone si debba avere in questi casi.
Oddio, non che io sia un esperto nell’acquisto di un certo tipo di cose: la mia esperienza più grande è stata grazie a quel pazzo scriteriato di Lysander quando mandava avanti me per recuperare partite di vecchi cimeli recuperate da case Babbane, cantine, cimiteri oggetto di sequestro/maledizioni/varie ed eventuali.
In effetti… credo di dovere a lui il fatto che oggi lavoro come Spezzaincantesimi; non credo glielo dirò mai, ma se non mi hanno ammazzato tutte le statue e i ninnoli fatturati che ho recuperato per lui nel corso del tempo…
Comunque, fortunatamente —e proprio grazie al mio vecchio capo— me la cavo piuttosto bene ad improvvisare, perciò mi infilo le mani nelle tasche della giacca, fingendo impazienza.
« Mezza Nocturn sa cosa vendi. » Rispondo con un tono che cerco di mantenere tranquillo, ma imprimendo nella voce una certa urgenza, come sottolineando un’ovvietà. Non voglio rischiare un approccio eccessivamente esagerato, così mi limito a guardarmi intorno con circospezione, qualora lo sconosciuto mi stia ancora osservando.
« Dovresti tenere le tue… vendite più nascoste di così se non vuoi che la gente sappia dove trovarti… ma forse… » Azzardo, muovendo leggermente la mano nella tasca e facendo appena risuonare i Galeoni che tengo in un portamonete. Non voglio che il tintinnio sia eccessivo e volgare, anche se ci sarebbe da ridere per questa accortezza; come se tutta questa situazione non fosse già piuttosto squallida. Tuttavia a giudicare dal tono formale con cui la persona mi si è rivolta, sospetto che qualche apparenza vada mantenuta, nonostante tutto.
Mi piace. Rende questa missione meno banale di quanto pensassi.
« …Forse però non faresti buoni affari. » Proseguo, stringendomi nelle spalle. Continuo nella mia recita come se avessi già davanti il mio obiettivo e finalmente alzo il volto in direzione dello spioncino. I capelli umidi mi ricadono sulla faccia e non mi premuro di scostarli.
« Allora… mi apri o no? » La tento.
Se poi non volesse aprire, conosco giusto un paio di trucchetti per far saltare questa porta.

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view post Posted on 18/2/2023, 13:43
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THEY MADE YOU INTO A WEAPON AND TOLD YOU TO FIND PEACELe mie palpebre sbattono dietro la lente dello spioncino e trovano i tratti definiti di un volto giovane. Questa persona non l'ho mai vista prima, e il suo aspetto non ricorda quello delle tipiche personalità con cui mi ritrovo a fare affari. Di solito sono tutti ben più vecchi, dalla pelle ben più logora e dalla voce spezzata dal bisogno.
La preoccupazione mi assale. Non che vendere pozioni in nero a Nocturn Alley sia poco stressante, di norma. Se la cerchia dei miei clienti si è allargata fino ad includere sconosciuti che sanno di me solo per sentito dire, però, vuol dire che tutto sta già cominciando a scivolarmi di mano. Preferisco avere pochi fidati clienti, piuttosto che tanti che non sconosco e con cui non so se posso concretizzare nel tempo un rapporto di fiducia.
Devo trovarmi un lavoro decente e smetterla di correre rischi. Non posso vivere col cuore in gola. Un lavoro onesto, con uno stipendio fisso, talmente noioso da farmi sciogliere sui braccioli di una sedia.
Quel ragazzo, però, ha ragione. Aprire la mia porta ad un maggior numero di gente mi permetterebbe di guadagnare più galeoni e, forse, di cambiare totalmente stile di vita. Il tintinnio dorato che sento oltre la porta mi richiama alla realtà, e per quanto ciò mi disgusti, il denaro dentro quel sacchetto mi tornerebbe davvero utile.
Faccio più respiri profondi per sedare la paura che ho in petto. Sentire la bacchetta nascosta dentro la tasca del mio lungo cardigan mi rincuora. Ancora un altro indugio, e apro.

La porta cigola. Dapprima apro a metà con cautela, poi spalanco. Non so chi dei due possa rimanere più di sasso ritrovandosi l'altro sull'uscio. Se io, scorgendo un giovanotto alto e ben curato, pulito e apparentemente a modo, o lui nello scoprire che il commerciante abusivo dall'altra parte dello spioncino sia... una persona come me.
Lo so, non sono credibile. Non lo sono mai stato nemmeno dietro il bancone di Magie Sinister. Allampanato e ossuto, dall'aria decisamente fin troppo poco minacciosa per un quartiere come quello, a dispetto delle occhiaie profonde e dello sguardo cupo. Anche per questo preferisco contrattare con i miei pochi fidati clienti. Chiunque lì penserebbe di poter averla vinta su di me.
Ed in quanto al mio nuovo cliente, non è tanto lo strano segno sulla faccia che mi inquieta. Se ne vedono di ogni nei paraggi, dalle cicatrici ai tatuaggi più astrusi. E' proprio il suo bell'aspetto, il suo apparente non bisogno dei miei servizi, che mi fa sostare sulla porta a fissarlo più del necessario. Non mi importa di indugiare nemmeno su quel segno sotto l'occhio sinistro —stranamente mi ricorda qualcosa— perché solitamente sono gli altri ad indugiare sul mio aspetto. E' un maschio o una femmina? Ma quanti anni ha? E' giusto ricambiare le attenzioni.

L'unica cosa di cui ho paura è scoprire di cosa una persona come lui possa volere da me.
«Prego» libero il passaggio dal mio corpo. «Entri pure.» Mi mantengo formale, non ho intenzione di aprire spiragli. Anche se non mi è sfuggito il suo atteggiamento più diretto.
L'appartamento è stato ripulito dalla polvere, ma la cucina continua ad essere un ammasso di cianfrusaglie pozionistiche, il pavimento base di pile di libri e di pergamene annerite dall'horror vacui dei miei appunti scolastici, calcoli e bilanciamenti, il comodino una torre di diari adibiti a nottuari che getta ombra sul letto trasfigurato in divano bitorzoluto. Al centro dello stanzino si erge il tavolo con due sedie, una che da alle spalle alla cucina, l'altra al muro imbiancato. Gli indico quest'ultima.

 
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view post Posted on 4/5/2023, 22:58
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— 24yrs ▴ Cursebreaker — Ci guardiamo fisso per diversi secondi.
Lui guarda me, io guardo lui. Sembriamo entrambi piuttosto sorpresi di ritrovarci davanti qualcuno che, evidentemente, non ci aspettavamo.
Chi mi apre la porta è un ragazzo giovane e dai tratti spigolosi come quelli di una statua, la cui androginia, però, ne esalta i tratti e ne accentua quelle poche pennellate di colore che si distinguono nel suo aspetto esangue. Ha capelli così bianchi che per un momento mi ricordano quelli di Nieve ed occhi cupi come pozzi che mi scrutano da sotto sopracciglia nerissime. Mi chiedo che tipo di clientela di solito bussi alla sua porta e quante volte gli sia capitato di aver fronteggiato espressioni di sorpresa e perplessità. Chissà, forse è proprio per questo che i suoi affari vanno forte, in questo quartiere.
Mi affretto a nascondere qualsiasi traccia di perplessità nel mio volto e infilo le mani nelle tasche della giacca impermeabile mentre entro nell’angusto appartamento. Mi lascia confuso la formalità con cui lo sconosciuto si rivolge a me, eccessiva e fuori luogo in un contesto come quello, eppure sintomo di… professionalità? Nella vendita di roba sottobanco? Divertente. Deve avere un gran senso dell’umorismo, non c’è dubbio.
Mi districo —non senza fatica— tra i cumuli di libri che ingombrano il pavimento e fogli di pergamena accartocciati, senza dare l’impressione di star, invece, osservando tutto quello che mi capita sotto gli occhi. La pila di quaderni, le fiale e i becchi di vetro lasciati su un lavello, l’odore di erbe nell’aria malsana che mi pizzica il naso e minaccia di farmi starnutire.
Cosa ci fa un ragazzino così in un posto del genere? Vive da solo? Non dovrebbe essere ad Hogwarts? Deformazione professionale da ex Caposcuola, mi dico. Non è affar mio, decreto.
Arriccio il labbro mentre osservo il muro contro cui è appoggiata la sedia che lo sconosciuto mi indica.
« No, sto bene in piedi. Non mi piacciono le spalle al muro. » Ed in effetti, è vero. Niente può essere come sembra: non so se chi ho davanti è davvero così giovane come appare o se, invece, è un’illusione data da chissà quale pozione. Entrambi mostriamo la stessa, scrupolosa cautela, perciò non c’è nulla di strano, se mi rifiuto di mettermi in una posizione di svantaggio.
Comunque, mi ci sono ficcato io in questo casino e devo cercare di uscirne prima che Pineswine si accorga di qualcosa.
« Io so… » Mi guardo intorno con circospezione: a lui sembrerà semplicemente che io sia solo scrupoloso e paranoico, mentre in realtà sto cercando di individuare quello che mi serve in questa decadenza. Mi passa per la mente il dubbio che il Mago che ho davanti possa negarmi ciò che gli chiedo: plausibilissimo.
« Io so che hai qualcosa che è molto utile… se vuoi… » Ecco, per questo non mi sono preparato. Il mio contatto mi ha colto alla sprovvista con la sua soffiata.
Oh beh, mi dico, o la va o la spacca: la prima volta ha funzionato, tentiamo la sorte.
« … Se vuoi vendicarti di qualcuno senza farlo sapere in giro. » Faccio una smorfia infastidita, vomitando quelle parole con rancore drammaticamente mal celato.
« Qualcuno che ti ha dato molto fastidio, sai… »
Piego la testa di lato e i capelli bagnati sgocciolano sul pavimento, lasciano macchie umide su una pergamena distesa; lo fisso senza ritegno, senza educazione mentre cerco di capire cosa possa passare nella mente del mio improvvisato spacciatore.

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view post Posted on 5/5/2023, 11:59
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THEY MADE YOU INTO A WEAPON AND TOLD YOU TO FIND PEACERifiuta di sedersi. Faccio un cenno di assenso. Intuisco che anche per il mio possibile cliente possa trattarsi di una situazione particolare, dunque non priva di almeno un briciolo di tensione. In un certo senso, ciò mi rassicura. Chi pretende da me e mira a soverchiarmi, in questo quartiere, si accomoda senza alcun complimento, come se casa mia fosse una minuscola porzione della sua reggia. Nonostante questo —l'esperienza dei tizi boriosi che si reputano minacciosi e loschi più di quanto siano— non voglio pregiudicare chi mi sta di fronte. Anche io rimango in piedi, dall'altra parte del tavolo. Mi poggio solo al ripiano della cucina, senza rilassarmi del tutto.
Lui fissa me, io fisso lui. Si studia la stramba novità che ci è appena piombata addosso. Non è una partita a chi risulta più intimidatorio, per me. La formalità mi aiuta a plasmare le sicurezze di cui ho bisogno in questo lavoro. Sicurezze che gli adulti che gironzolano da queste parti non sono propensi a darmi di loro spontanea volontà.
Lo ascolto, lo fisso. Brulica nella mia mente la sensazione di aver già incontrato il suo segno sul volto. Sotto i capelli appiattiti dall'acqua, le forme del disegno si distinguono appena. Forse lo confondo con qualcun altro.
Il mio indugiare sui ricordi viene spazzato via non appena egli si guarda intorno e apre bocca. Indago anche io su di lui, sul tono, sulle sue ricerche.

Mi si chiude la bocca dello stomaco.
«Io so che hai qualcosa che è molto utile… se vuoi… Se vuoi vendicarti di qualcuno senza farlo sapere in giro. Qualcuno che ti ha dato molto fastidio, sai…»
Non so se il mio incredibile sforzo di rimanere impassibile sia vano. Sto fermo, bloccato in una posa di ghiaccio, le mani congiunte sotto il ventre, mentre inspiro aria improvvisamente gelida dalle narici. I miei occhi verdi sono anneriti dalla mancanza di sonno e dalla paura, come muschio imbevuto di umido dietro una roccia coperta dalle ombre del bosco. E continuo a fissarlo, con le sclere irritate per lo sforzo di non sbattere le palpebre.
Il silenzio mi opprime, appare una barriera invalicabile. Chi ho davanti? Cosa vuole realmente?
«Ci deve essere un errore.»
Mi esprimo con cautela. Sorrido, nel tentativo di attutire la mia risposta.
«Io vendo solo rimedi qui.»
Non ho intenzione di indagare oltre. Non ho intenzione di chiedere. Non so chi sia, non so cosa voglia. Non so perché voglia vendicarsi o se intenda farlo sul serio.
Sapevo che prima o poi sarebbe successo. Sapevo che avrei corso rischi. Deve andarsene, e deve farlo alla svelta. Io dico il vero, in un certo senso… È probabile che si riferisca alla Pozione dell'Illusione. Ci sono metodi meno benefici di utilizzarla rispetto a quelli adottati da me.
Una corrente calda mi attraversa lo stomaco. Mi destabilizza questa idea. Destabilizza il mio orgoglio. Chi ho davanti probabilmente ricerca qualcosa che io non voglio dargli. Il luogo non mi aiuta, ma io non sono la persona per cui mi ha scambiato. Io non vendo vendette.
«Le mie conoscenze sono unicamente messe a servizio del bene di questa comunità.»
Non cambio tono e ritmo nel parlare. Ma le mie palpebre dapprima spalancate come quelle di un animale che studia il pericolo, ora si assottigliano e si stringono lievemente sulla figura del mio interlocutore.
«Gli abitanti di questo quartiere non hanno bisogno di più dolore di quanto già vivono.»
La mia coscienza mi chiede di pentirmi. Ho osato, forse fin troppo. La natura della persona che ho di fronte mi è ignota, come in realtà la maggior parte delle volte lo è la mia emotività.

 
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view post Posted on 9/5/2023, 15:28
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— 24yrs ▴ Cursebreaker — Cerco di studiare la reazione del ragazzo, ma dal suo viso è difficile identificare un’emozione precisa. Mi sembra tuttavia di percepire dell’improvvisa rigidità —beh, più di quella dimostrata finora—, forse procurata dalla sorpresa di sentirsi chiedere qualcosa del genere e in un modo così diretto. Non so cosa è abituato a sentirsi chiedere di solito. Noto la fissità dei suoi occhi, come se temesse che, in un solo battito di ciglia, potrei aggredirlo. Incrocio le braccia al petto e sollevo un sopracciglio con scetticismo difendere la propria losca attività.
Questa, poi: rimedi.
Convengo che questa gente non abbia bisogno di più dolore di quanto la società abbia loro riservato, ma mi chiedo se sia davvero serio o se, invece, sia un bluff per farmi desistere.
« Vendi rimedi, eh? Mi sembra piuttosto ironico visto che questi tuoi rimedi hanno quasi ammazzato un ragazzino che è venuto in contatto con ciò che elargisci con tanta facilità. » Un dodicenne mezzo goblin mezzo elfo è stato trovato in fin di vita vicino dei bidoni della spazzatura, fra Skullsway e la A13 Rd. Me lo ha detto Oppius, il medimago clandestino cui ogni tanto mi rivolgo; è così ho rintracciato ciò che sto disperatamente cercando di rintracciare. Chiaramente qui a Nocturn Alley è una routine e credo vengano rinvenuti poveracci deceduti o in fin di vita quasi ogni giorno; figuriamoci se la Gazzetta perde tempo a notificare ogniqualvolta qualcuno inciampa su un morto.
Lo squadro attentamente e leggo sospetto nei suoi occhi, ora ridotti a due fessure buie; mi chiedo che razza di rimedi venda, allora, e come faccia a definirli tali.
« Comunque, non me ne frega niente. » Dico con cinismo, in un’alzata delle spalle. Mentirei se dicessi che voglio fare chiarezza su ciò che è successo. Mi è bastato solo fare il collegamento con ciò che cerco e che questo ragazzo deve avere qui da qualche parte di questo piccolo e angusto antro.
« Quindi, mi ripeto… » Poggio il palmo della mano sinistra sul tavolo e mi sporgo in avanti, verso di lui. La bacchetta è nascosta nella manica della giacca, pronta a scivolare fuori qualora le cose si mettano male. Volendo, penso di poterlo mettere ko anche con un paio di sberle, ma vorrei evitare. Continuo a non riuscire ad inquadrare la figura del mio interlocutore e non so ancora di cosa possa esser capace.
« Quali “rimedi”… » Pongo particolare enfasi sulla parola che ha usato poco fa, per descrivere la materia prima dei suoi affari. « … Hai da offrirmi? O devo smontarti casa? » Sarebbe perfino inutile spiegare che non sono dell’Antimago, ma la verità è che tanto non mi crederebbe. Punto solo il mio sguardo su di lui, su quel viso pallido ed emancipato, chiedendomi solo per un secondo se non sia io a spingermi troppo in là e a rischiare di uscire di qui a mani vuote. Alvarez, per quanto sordido, non sbaglia mai.
Piuttosto, gliela spacco davvero ‘sta casa se non la trovo qui, dopo tre settimane di inutili giri a vuoto.

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view post Posted on 27/7/2023, 21:50
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Il Fato

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Bones Street è tana d'averno, un cunicolo d'ombra che confonde gli spettri. La luce è una chimera seducente, di lampioni in frammenti e di faville spente sulla punta di bacchette; le vetrine, in pochi botteghini, resistono in schegge che rimandano a colpi di sfida: un reticolo infranto in più punti, cicatrici che non potranno rimarginarsi. La pietra — di tufo alle pareti, di calce spezzata lungo i tetti — richiama di continuo l'abbandono, collimando in una visione d'orrore che rende giustizia alla nomea di Nocturn Alley. Come altri vicoli, Bones Street s'annovera alla stirpe dei reietti. Chi mai vorrebbe abitare luoghi che abdicano l'incanto delle vie maestre? Poco oltre, infatti, il caleidoscopio di voci ridenti, colori e motivetti festivi pone un confronto: è un canto che diventa in breve una litania. I suoni trasfigurano il passaggio: singhiozzi, sospiri, scricchiolii.
Talvolta è un pianto sommesso, un'impronta di desolazione. Altre è il tintinnio di bottiglia, il clangore di ferro e di ampolle che rotolano oltre tombini; pure il silenzio ha un peso differente, in questo luogo. Al civico undici sorprende una girandola — al negozietto di ninnoli al pianoterra. È un vortice variopinto, un vento sottile che solleva sbuffi di polvere. Gira, gira, gira veloce.
C'è un bambino che ride, il miracolo dei giorni odierni.
E un bambino che piange, nel respiro che gli strappa la vita.
Ti porta via, Casey Bell. Come un'eco, ti fa violenza: è un fastidio che ronza all'orecchio, che profana la pelle in brivido. Nel luogo che invochi a dimora, le sedie cigolano appena vi spunta un ratto che voi, inconsapevolmente, avete disturbato. Stride d'uno squittio impaurito, corre, corre via. Sguscia oltre le tue gambe, Horus. Finché cozza contro una boccetta di pozione, una tra tante: rotola sul pavimento, priva di tappo. Trasuda l'olezzo del dittamo, che potrebbe far arricciare il naso.
Ma è un'altra bestia che ti cattura, Casey. Le palpebre s'arrestano, le pupille fissano gli arcani del tempo. E piange, piange, piange. Ora è più forte, l'appello d'inferi. C'è un corpo spento, oltre la Vista — l'incarnato brilla ai riflessi del crepuscolo, occhi vitrei che intrappolano l'incanto del cielo. Sembra un bambino, tuttalpiù un ragazzino: ha dodici anni, ma per te è soltanto un cadavere. Ha occhi a mandorla, orecchie più lunghe in punta; sull'avambraccio si dissolve una mezzaluna d'inchiostro: è un tatuaggio, che ti respinge con ferocia. Il tempo, per te, è una vertigine: ti strappa il respiro, lo blocca. Hai l'impressione di gridare — invero, sei immobile. Il tuo cuore è un battito sinistro, finché i sensi t'inarcano all'Occulto.
«La testa è mia, ci faccio un affare.» Soffusa, ti guida una voce. Ha una nota familiare, nonostante annaspi in sillabe rozze. C'è fumo, forse incenso, forse sigaretta — la Vista è in fibrillazione. Questo, Casey, è un altro frammento: è ora, ieri, domani? Ti affacci ad un bancone in legno, eppure... chiunque, al tuo posto, pregherebbe di scappare. In esibizione, catturi un teatro d'orrori: arti umani, zanne, denti, e organi pulsanti in barattoli. L'uomo che ti è accanto, indistinto, abbandona una mano che non è propria: è un tatuaggio di mezzaluna, sulla pelle. Un pezzo per un altro, un gioco che non ha misericordia. In cambio riceve una testa, oramai un teschio: vi calano ciocche oscure lungo i lati, boccioli di rosa spuntano all'interno come in decorazione. Quale dolcezza asseconda la morte?
Non hai modo di indugiarvi, la bocca ti si schiude in costrizione. Ti s'annebbia lo sguardo, avanzi in tenebra. Potresti essere ovunque, oramai. Il buio ti brama.
Cogli una voce che ha un accento lontano, di terre d'ambrosia.
«Si trova lì.» Modula il tempo, lo piega a sé. «Bones Street, Civico 11.»
Non hai visione di chi abbia parlato, la conversazione prosegue. Vedi una chiave di ferro, una porta che si apre, un rumore di passi veloce. Poi una cantilena in lingua antica, un'essenza di fiori di rosa. Finché la testa riappare, uno scheletro truccato a vita: è tra le mani di una figura che infine puoi riconoscere. L'hai già incontrato. Non è l'omaccione che vive al piano superiore dell'edificio?
«...nunc resurget in potentia» la voce dell'uomo ti è nitida. Soffi di fumo oscuro cominciano ad insinuarsi, come serpi, lungo il teschio che stringe; ti spinge ad una morsa ultima, Casey, che ti riporta di scatto al presente. Respiri, respiri veloce. Il tempo, bastardo, ti mostra un ultimo scorcio: la testa, il nugolo d'ombra, e... l'uomo che ti è ora di fronte. Nella tua visione, c'è anche lui.

Non vendi droghe, è vero.
Tu vendi momenti.

 
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view post Posted on 11/8/2023, 11:03
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THEY MADE YOU INTO A WEAPON AND TOLD YOU TO FIND PEACEMi sento in trappola.
Per la verità potrei fare molte cose. Potrei buttarlo fuori di casa, o almeno provarci. Potrei dargli una pozione, una qualsiasi; magari anche semplice acqua sporca di un pestato di foglie di basilico. Potrei tentare di scappare. A che fine però?
La mia testa è caduta nel caos da quando un totale estraneo si è presentato alla mia porta. Finché mi sentivo nascosto ai più riuscivo a convincermi di muovermi con un minimo di scaltrezza in questo sporco mondo d'affari e sopravvivenza. Evidentemente stavo solo mentendo a me stesso, osando in una vita che con tanta superbia credevo di poter manovrare. Eppure, all'inizio, volevo solo aiutare la gente marchiata dalla mia stessa sventura, che cammina a un passo dalla morte mentre io vado e vengo dall'Eden in Scozia.
Avevo bisogno di soldi. Forse avevo bisogno anche di vita. Dopo tutto ciò che mi sono tolto. Dopo aver sparso il sangue dei miei rapporti umani sulle radici della Foresta Proibita, costruendo un muro di cinta inespugnabile attorno a questa benevolenza cui tutti mirano. Ora non mi rimane nient'altro che sentire di poter valere qualcosa per i pezzenti scabbiosi di Nocturn; e di dimostrarmi ancora che, nonostante tutto, sono tanto bravo da poter restare in equilibrio sul filo del rasoio senza lasciarmi deturpare dall'oscurità venefica di questo posto.

Mi sono sopravvalutato, perché ora il pericolo incombe ed io rimango immobile. Chiunque egli sia, qualsiasi cosa egli voglia, intuisco che quest'uomo ha in serbo per me solo violenza. Glielo vedo negli occhi, lo sento nell'istinto aggressivo che arrochisce il suo parlato. E se in me sale l'adrenalina sino ad annebbiare il cervello, dichiarandomi pronto a reagire ad una minaccia con un ruggito, lo stomaco si stringe paventando nausea, e le ginocchia tremano, ghiacciate e bloccate nell'articolazione non permettendomi di muovermi.
Mi sento in trappola. L'ultima volta ho risposto alla violenza con la violenza ed è rimasta solo cenere. L'ultima volta, sulla pedana di quella congrega, il dolore più vivo ha baciato le mie ossa, e l'odio più crudo ha richiesto un riscatto. E, ottenuto, ha raso al suolo quelle che già erano le rovine del mio castello di speranze.

«Vendi rimedi, eh? Mi sembra piuttosto ironico visto che questi tuoi rimedi hanno quasi ammazzato un ragazzino che è venuto in contatto con ciò che elargisci con tanta facilità.»
Non so di che cazzo parla. C'è troppo caos qui dentro per dar voce ad una risposta ragionata. Sono bloccato nel corpo, mentre tento di arrestare il motore impazzito che ho in testa. I battiti perforano il mio petto, e formicolano gli arti paralizzati. La destra vorrebbe essere pronta per afferrare la bacchetta e difendermi, il cervello non riesce nemmeno a lanciare il segnale. Sente l'accusa nelle parole dell'uomo come fonte di verità, pur visualizzando il corpo ustionato di Sirius e non quello di un bambino avvelenato. Tento di seguirlo nei suoi passi successivi, tento di non lasciar trapelare il cambiamento. Le mani si aggrappano al marmo del piano cottura, visibilmente tremano. Sconvolto, noto la mia agitazione e come unico risultato ottengo maggiore paura.
«Non-»
Cosa sto tentando di fare, di difendermi a parole? Sarei davvero in grado di montare un'apologia di me stesso e rendermi immune da qualsiasi accusa?
Gli occhi frugano nel pavimento, in cerca di ragionamenti. Uno, non ho mai avuto clienti così piccoli. Due, non ho mai venduto veleni, e il massimo che può essere accaduto è che un terzo si sia impossessato del rimedio e abbia avuto una reazione allergica. Tre, qualcuno potrebbe aver rubato le mie scorte di giusquiamo.
E, quarto, un ragazzino è morto.
Questa consapevolezza diviene ossessione in un battito di cuore mancato. Un ragazzino è morto. Subito la sensazione di trovarmi di fronte ad un Auror o ad un Antimago si insinua in me, anche se subito dopo l'uomo continua a chiedermi se ho qualcosa da vendergli. Ed insieme comincio a credere che stia nascondendo qualcosa di scottante.
«Mi stai accusando di omicidio o stai cercando qualcosa per commetterlo tu?» Dimentico ogni buona maniera forzosa. Trattenendomi lo stomaco scaglio la mia freccia, impossibile da trattenere nel panico che provo. Urge manifestare il mio più totale disprezzo verso un'azione tanto scellerata come l'uccisione, e benché qualcosa mi dica che lui condivida il mio pensiero non posso far altro che ringhiargli contro le stesse accuse.

Adesso è evidente anche all'esterno che in me qualcosa non va. Il caos si manifesta nei miei tentativi di reprimere l'agitazione. Le dita afferrano i brandelli di carne che avvolgono le mie ossa, stringono divenendo bianche. I muscoli facciali si contraggono e le palpebre si chiudono, stringono come i denti, mentre brutalmente mi diventa chiaro il motivo dell'intensità di questa paralisi sentendo nelle orecchie lo scricchiolio della sabbia del Tempo.
Non adesso, prego. Straordinario come questo dono mi saboti nei momenti meno indicati. I formicolii e i tremori salgono fino al collo, poi alla mascella contratta che imprigiona il respiro affannoso. Le ciglia sfarfallano, e mi abbandono alla consapevolezza che se quell'uomo deve farmi del male o rubare qualcosa da questo appartamento adesso è il momento giusto. Sto per diventare inerme, paralizzato nel corpo, volatile nella mente.

***

Suppongo che l'atto divinatorio si sia palesato sul mio volto alla solita maniera. Sclere bianche nelle orbite scavate, iridi all'indietro, riverse nel pensiero. Credo di aver pianto anche dentro casa mia oltre che nell'anima, perché ora, ritornato alla realtà sfocata del monolocale, sorpreso di non essere ancora morto per mano dell'uomo, le mie guance sono scivolose.
Mi chiedo se ho urlato per l'orrore, se ho ripetuto le frasi dei fantasmi delle mie visioni. Chiamarli così sarebbe granché riduttivo perché, forse per l'enorme dolore visto, tutto aveva l'aria di essere così tangibile. Nunc resurget in potentia. L'ho detto, la mia voce è rimbalzata da una dimensione all'altra. Attualmente la mia testa è inabile di attingere a quel briciolo di regole latine che ho imparato. Risorgerà... in potenza... al potere? Un teschio?
Sono caduto a terra. Trattengo le gambe in un abbraccio ai piedi del lavandino, tremando per la consapevolezza di ciò che accade sopra le nostre teste. La destra è dentro la tasca sinistra del cardigan, stringe la bacchetta con forza. Fisso, abbandonato ogni filtro, il mio presunto cliente. Gli Occhi si sono chiusi e aperti sul suo volto in una lieve sfocatura. Non ha più senso trattenersi.
In questo rinnovato momento di lucidità mi è chiaro che non è venuto per compare. Almeno non da me. E' qui per indagare, mi dico con certezza, forse speranza mascherata. O per incastrarmi. Continuo a ingollare aria fredda dalla gola con estrema necessità, altre lacrime cadono dai miei occhi; ma si tratta di sollievo, perché ora sono certo di non essere un vero assassino. E di rinnovata paura. No. Forse è lui l'assassino. E' un complice.
«Rivela chi sei.» La mia voce è bagnata di pianto e paura ma sale di tono per la rabbia che comincia a ribollere non più tanto sommessa. Gli occhi spalancati su di lui mostrano gli orrori che ho appena visto. E la rabbia, il senso di giustizia, mi portano a schiumare. «O giuro che, vivo o morto, che tu sia un assassino o no, ti trascino con me all'Inferno.»




Ho i brividi. Siete geniali, cazzo.
Scusate l'attesa (per l'ennesima volta). Non è semplice riprendere a giocare seriamente e con tranquillità da un bel pezzo ormai.
 
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view post Posted on 27/10/2023, 10:57
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— 24yrs ▴ Cursebreaker — Lo riconosco.
Il capovolgersi degli occhi, la sclera bianca iniettata di sangue, la rigidità delle membra.
L’ho già vista in passato in Zoey Lesnicky in un vicolo di Diagon Alley. La sua visione parlava di Aryadne, di me, di Emily, della nostra mia missione.
Così la mia mano scatta e la bacchetta scivola dalla manica incontrando le mie dita. La alzo repentinamente, puntandola in faccia di quello che scopro essere un Divinatore. So che le loro visioni, in teoria, non sono mai nitide, ma se ha scoperto il perché sono qui e cosa cerco, non mi fido per niente.
Per quel che mi riguarda potrebbe tirarla fuori dal cassetto della cucina e tirarmela addosso.
Allora sì, che sarebbe un problema se non riuscissi a deviarla. Per quanto io non abbia molti scrupoli a mettere fuori gioco qualcuno, vorrei evitare di ammazzarlo, visto che dovrei essere in servizio e, in ogni caso, sarebbe difficile giustificare la faccenda se la recupero. Stringo le dita attorno al manico, gli occhi scandagliano il corpo del ragazzino e si spalancano quando vedo scorrere sulle sue guance esangui delle lacrime.
« Ma che diavolo… » Mormoro in un sussurro appena udibile e il mio braccio teso tentenna per un solo secondo, prima di puntargli la gola.
Cade e io non faccio niente per aiutarlo a rialzarsi. Piuttosto lo osservo freddamente, tengo sotto controllo le sue mani di cui una è ben nascosta nella felpa. Mi allerto e faccio il giro del tavolo, evitando di mettermi contro il muro.
« Che cazzo stai facendo? » Ringhio, il naso arricciato in una smorfia ferina. Non mi fido di questo ragazzino: chiunque rubi ed usi qualcosa del genere non è degno di fiducia, né di giustificazioni. Eppure, mentre sento la sua voce tremante e rotta dal pianto, serro le labbra.
Possibile che Alvarez…?
Allora lascio scorrere gli occhi sulla squallida cucina prima di tornare sul volto del presunto ladro. Poi, però, decide bene di mandare tutto all’aria e io scoppio in una risata simile ad un latrato.
« Ci sono già all’inferno, ragazzino. Non sarai tu a trascinarmici. »
È potenzialmente vero: uno, perché sono in questo posto dimenticato dagli Dei; due, perché era sotto la mia responsabilità e me l’hanno fregata da sotto il naso ed è un miracolo che Pineswine ancora non se ne sia accorto; tre, perché mi sono già dannato con le mie mani. Non sarà l’ennesimo peccato a far pesare di meno il mio cuore davanti il giudizio di Maat e Osiride. E del resto, sono anche un assassino, penso freddamente.
E tuttavia, rimane il dubbio che possa veramente scagliarmela contro: sono sicuro che sarebbe disposto a crepare, anche solo nel tentativo di sfiorarla per sbaglio come deve aver fatto quel bambino.
« Rivoglio ciò che mi appartiene e che tu hai rubato dal mio carico. »
Alla fine, decido di buttare all’aria qualsiasi forma di prudenza. È chiaro, ormai, cosa sto cercando a maggior ragione se l'ha notato dalla Visione.
« O mi dai la testa, o mi dai la testa. Ti farò il favore di evitarti un pugnale fra i tuoi occhi da Divinatore del cazzo. » La mia mano destra, libera, scorre dietro la schiena, alla tasca posteriore dei pantaloni, sfiorando l’elsa dell’arma che mi porto sempre dietro, da quando ho quattordici anni.

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