a frenesia degli ultimi giorni pervade l'intero dormitorio, porta con sé un'etichetta ben precisa: è la
fase dei preparativi. Il ballo di fine anno è stato annunciato da pochissimo – Penny sostiene sia stato Peverell dopo il pranzo, aggiungendovi passi di swing per la delizia del pubblico (scioccamente, è una visione bizzarra che fatico ad allontanare). Eccolo, il tema che ha sedotto l'intero Castello di Hogwarts –
i ruggenti anni Venti.
È avvincente, lo è certamente. Invita ad un tuffo nel passato, all'immaginario di danze caotiche, di baci sfuggenti sotto la pioggia, di cinema e musiche traboccanti di romanticismo. Guida, ancora, in una cornice storica che è viva,
viva davvero: l'eleganza dei tessuti, della voce, dell'intreccio d'ospiti e sortilegi d'avvenenza perduta. Al battito di ciglia, infatti, primeggiano riflessi dorati – lampadari di cristallo, calici di champagne, carrozze trainate da cavalli alati...
Sono in estasi. Non occorre il cenno di Penny, seduto sul mio letto, a sottolineare l'ovvio. Questo ballo coinvolge, anzi
travolge anche me. È una coincidenza di tempi che lascia il gusto amaro, in me. In fondo al cuore, celato invano, s'arena in effetti il cruccio della malinconia – l'abbandono di Sirius, pochi mesi addietro, è stato il colpo di grazia per un animo già lungamente provato. Questo Natale è particolare. Vi perde d'intensità, perfino d'armonia: il Ballo è una tappa, soltanto una. Cosa resterà, di me, dopo stasera? Mentre il mio concasato cambia l'ennesima cravatta – verde, verde bottiglia, verde marino,
ma poi perché verde, Penny?, lascio scorrere lo sguardo verso gli altri. Hanno abiti bellissimi, ben ricercati: scarpe con tacchi, giacche in tweed, taluni s'avvolgono in piume di struzzo (o, perlomeno, così hanno lasciato credere). Per un attimo, egoisticamente, desidero cambiare il mio presente con loro. Godere del ballo, dell'attesa, dell'invito... Sarebbe facile, mi dico. E sarebbe infinitamente piacevole, senza alcun dubbio. L'attenzione, però, scivola rapida sulla schiera di bagagli accanto l'uno e l'altro letto a baldacchino: si pone nitida, allora, l'ultima differenza tra noi. I miei compagni di stanza, incluso Penny, torneranno a casa – famiglie, cenoni, festività, e regali, così tanti regali. E tu, mi chiedo... tu, Oliver, dove andrai? Stringo al petto
La Bibbia del Battitore – è l'unico libro che mi concede salvezza, in questi giorni. Vi incastro una piuma a mo' di segnalibro, pensando che forse,
forse, in questa camera non ci sia nessuno più stupido di me. Cosa mi trattiene? Malgrado il ballo risulti appena una pausa, non avrei il diritto di perseguirla a mia volta?
«Penny.» Chiamo l'altro in un sussurro, in nota imbarazzata.
«Ultimo cassetto, è un abito di nonno Leo.»Non è quello che volevo chiederti, penso.
O forse sì?Il Binario 9 ¾ fischia vivacemente in uno sbuffo di vapore: il riflesso delle lampade delle carrozze mi attira come un miraggio, così avanzo rapidamente. Giovani passeggeri, perlopiù studenti, mi accostano – ridono chissà di quali battute, in una spensieratezza che invidio loro. Si trascinano dietro bagagli in una scia colorata; l'unica valigetta che ho con me, stretta sottobraccio, ha un nastro dorato che la rende simile ad un dono – il mio pensiero, in questo viaggio, è per Camille. Mi chiedo se anche lei, ora, stia per salire sul treno. Ho qualcosa per lei, e mi sorge un dubbio... sono in ritardo? Un cappello volteggia oltre il mio sguardo, sospinto dal vento. Vi allungo una mano per acciuffarlo, e l'illusione s'infrange in una miriade di fotogrammi brillanti. Il cinema magico mi ritrova sorridente. Inchino il capo verso la giovinetta: l'Espresso di Hogwarts la porta via, per sempre. Lascio trasportarmi dai ricordi del passato, nella sala che ho raggiunto da poco. Il grammofono, dolcemente, mi avvolge di nostalgia di un tempo che non m'appartiene e che, invece, avrei sperato vivere. E vorrei danzare, penso.... danzare, danzare, danzare. Nel tremito di palpebre, vedo anche
lei. È una costellazione, Mary. Di stelle, di fiamme, di promesse.
Il futuro è un azzardo, stasera. Ed io... io voglio scommettervi. Il fazzoletto che ho acquistato poco prima torna tra le mie mani: vi traccio una frase soltanto con una piuma recuperata dal taschino.
Cara mia*, soltanto questo. Porto il tessuto alla bocca, vi imprimo un bacio che il vento – per incantesimo – già soffia via: mi auguro solo che il fazzoletto arrivi da lei.
Catturo la mia figura, subito dopo, nel vetro dei calici. Benché semplice, l'abito che indosso scivola in modo raffinato: una giacca in tweed sul color cioccolato, il tessuto è tanto ricercato nell'intreccio a
pied de poul, s'esprime in una rete che ricorda il gioco degli arabeschi bronzei; vi sfuma un soprabito in raso, in bottoni sulle tinte azzurrine che indugiano sulla camicia in pastello ceruleo: il colletto, di quest'ultima, è unito e più morbido, affatto stretto come m'impongo solitamente. Lascia un lembo di pelle nuda, là dove una cravatta color sabbia vi addolcisce – a mo' di foulard, oltre le spalle – l'assetto da damerino. I pantaloni, a loro volta partecipi in tweed, si allargano leggermente verso la fine, a coprire scarpe di tela con tacchetto. Passo una mano tra i ricci inamidati, socchiudendo la bocca in una smorfia: questo ballo è una morsa violenta, sul mio petto.
Intorno a me, il tempo scivola.