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| Jane Read Komodo Pantai Merah Indonesia | Ad ogni sospiro di vento che le accarezzava la pelle candida poteva avvertire gli strati di tensione accumulata nell’ultimo periodo scivolare via, uno a uno, disperdendosi nell’aria salmastra e sparire nel cielo limpido. Ascoltò con attenzione la spiegazione del francese, immaginando il sorriso sghembo che sicuramente stava prendendo forma sulle sue labbra. Una smorfia divertita le illuminò il volto in seguito all’avvertimento sussurrato nel suo orecchio, al quale il mago decise di dare un esempio pratico, e gli rispose leggera prima che sciogliesse l’abbraccio in cui l’aveva avvolta. « Sicuro che sarò l’unica a dover prestare attenzione stanotte? » Le sue parole si persero nell’aria mentre il docente, quasi attirato da un magnete, si avvicinava sempre più alla riva del mare lasciando una scia di abiti dietro di sé, prima di sparire sotto la superficie cristallina. Jane lo osservò divertita, prendendosi più tempo per apprezzare il solletico della sabbia rosata sotto i suoi piedi, e lasciando che i pesanti vestiti invernali si ammucchiassero in un’unica pila vicino ai loro bagagli prima di dirigersi verso l’acqua. Il tessuto morbido del costume richiamava alla mente ricordi di altre spiagge, di altri mari esplorati in compagnia di un’esuberante e mai scontata Isabel, vacanze movimentate e forse con scopi ben diversi dalla pace di cui sembravano necessitare lei e Lucien in quel momento. Lasciò che le onde sinuose del mare le solleticassero le caviglie un paio di volte prima imitare i gesti del francese – ormai sotto la superficie dell’acqua da qualche minuto –, castare un incanto Testabolla ed immergersi nella distesa smeraldina. Le meraviglie della superficie, per quel poco che aveva potuto ammirare, quasi sfiguravano davanti al mondo subacqueo che attendeva solamente di essere esplorato. Lasciò che lo sguardo si riempisse di bellezza mentre gli occhi vagavano qua e là senza sapere dove soffermarsi, catturati inizialmente dalla sfumatura cremisi di un corallo che protendeva i propri rami verso la superficie, l’attenzione richiamata poi da un buffo e piccolissimo cavalluccio pigmeo che le tagliava la strada improvvisamente, nella coda ben stretta una treccia di alghe. Un guizzo sulla sua destra la fece voltare di scatto, e le sembrò di scorgere un tentacolo sparire dietro una roccia, probabilmente un polipo pronto a nascondersi davanti a quell’invasione costituita dalla sua presenza. Scese ancora più a fondo, dove l’acqua diventava più fredda facendola rabbrividire, spingendosi verso il fondale per accarezzarne la sabbia dai riflessi più candidi rispetto a quella della spiaggia e lasciandosi sfiorare da un banco di pesciolini colorati che le passò accanto facendola sorridere dalla sorpresa. Poco lontano poté scorgere Lucien esplorare il fondale a sua volta, i movimenti fluidi quasi come se fosse stato egli stesso parte del mare. Fu naturale per la sua mente guizzare al passato, e richiamare quel pomeriggio autunnale in cui il prima aveva iniziato a incrinarsi, e una tazza rotta era stata l’unica apparente vittima di confessioni sussurrate e verità sospese. Non aveva potuto dimenticare la rivelazione circa la connessione che legava il francese all’acqua, le sue parole nel cercare di descriverla, l’obiettivo di esplorarla maggiormente. Non aveva scordato nemmeno le condizioni di franca ipotermia che avevano fatto arrivare Lucien al San Mungo molto tempo prima, causate come aveva potuto apprendere solo in seguito dalla ricerca di quel legame così particolare, così nebuloso. Tuttavia, entrambi non avevano più fatto menzione di quella relazione tra Lucien e l’elemento, Jane troppo rispettosa del silenzio del docente per poter chiedere di più. L’unica certezza era che da quel giorno il mago non aveva più varcato le porte del nosocomio in pericolo di vita. Non ancora. Scosse la testa, lasciando che la corrente marina allontanasse quell’ombra preoccupata dal suo animo, e con lente spinte delle braccia risalì in superficie, l’incanto che si ruppe non appena la sua testa fece capolino tra le onde delicate. Inspirò profondamente, lasciando che l’aria frizzantina le solleticasse le narici prima di cercare l’equilibrio e rimanere in superficie, galleggiando come una stella marina, ad occhi chiusi con il sole ad accarezzarle le guance. Nelle orecchie solo lo sciabordio dell’acqua, i sussurri del vento, lo stridore dei gabbiani: il caos della capitale inglese ormai sfumava in un lontano ricordo, le voci concitate dei colleghi, i gemiti sofferenti dei pazienti, tutto svaniva… rimanevano solo la natura e la tanto ricercata pace dei sensi.
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