Cuore di polvere

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view post Posted on 25/1/2023, 21:10
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Cuore di Polvere
jpgLe giornate ad Hogwarts si trascinavano noiosamente in un monotono susseguirsi di eventi scontati. Nulla riusciva a catturare la sua attenzione per più di qualche minuto. Nulla riusciva a stimolare la sua mente. Tutto era prevedibile, quasi rasente al banale. Colazione. Lezione. Pranzo. Bibliomagic. Cena. Sala Comune. Tutto ripetuto, nulla mutava. E ciò lasciava un senso di conforto nell’animo di Edward. Il ristagnante avvicendarsi di ciò che sapeva sarebbe accaduto di lì a qualche ora, lo cullava in una bolla ovattata dove l’imprevedibile era estraneo. La calma. Quella tipica di una uggiosa giornata in campagna, che lasciava entrare dalla finestra semiaperta un velo di polvere; il quale, tranquillo ed indisturbato, si adagiava sui mobili scricchiolanti della casa. Così era la vita di Edward in quei giorni. Ma come ben si sa, la calma non è altro che l’anticamera di una tempesta. E le tempeste possono scuotere anche gli animi dei più temerari, figuriamoci quella di un ragazzo di dodici anni.

Fu in una grigia mattina come le altre, durante la solita camminata che lo avrebbe portato all’Aula di Trasfigurazioni, che il Fato decise di soffiare sulla sua strada qualcosa di inaspettato: un vento di novità. Edward, percorrendo i noti corridoi della scuola, soleva camminare con il naso infilato in un libro, perlopiù per evitare scocciatori, ma quella mattina aveva distrattamente dimenticato la sua copia di “Storia di famosi maghi storici nella storia della magia” sul suo comodino, accanto al letto. Il passo, usualmente veloce per evitare ritardi, quel giorno era lento ed incerto, a causa di una storta presa scendendo dal letto. Insomma, se qualcosa fosse potuto andare storto, così sarebbe andato.

E la riprova ci fu quando, affiancato da una ragazza con la divisa Tassorosso, quella esordì – Tu sei Edward? Giusto?jpg Domanda stupida da porre ad uno sconosciuto. Poiché, o si sa chi è la persona con cui si sta parlando, oppure le buone maniera imporrebbero che ci si presentasse prima di ogni cosa. Pertanto, un semplice grugnito fu più che sufficiente come risposta alla sgarbata interlocutrice, sperando che ciò potesse dissuaderla dal continuare quella conversazione. Speranze disattese, quando questa continuò con – Io sono Elizabeth, ma tutti mi chiamano Beth. Nulla poteva interessargli di meno che il nome di una sconosciuta che perseverava nel seccarlo. Il Corvonero continuò a camminare come nulla fosse, sforzandosi di proseguire la sua faticosa traversata del castello senza ulteriori inutili intermezzi. Mi dicono che sei bravo in Incantesimi… – aggiunse la scocciatrice. Un sopracciglio balzò all’insù. Aveva attirato la sua attenzione, ma non bastavano certo delle adulazioni per meritare una risposta. …tuttavia, credo di poterti insegnare qualche dritta per migliorare. Ecco. Ora aveva la sua attenzione. Seppur nel modo in cui lei non sperava. Migliorarmi? – pensò Edward arrestando il suo passo. Voltò la testa, lentamente, in modo da poter vedere la faccia della ragazzina che aveva osato insultarlo con tanta leggerezza. Lei sorrideva, ma non in modo sfrontato. Lo faceva come se la sua frase fosse stata veramente una genuina offerta di aiuto. Il che disorientò, in modo irritante, il Newgate che era in lui. La sfrontatezza l’avrebbe compresa, non c’era nulla di male nel vantarsi dei propri successi sugli altri. Ma offrire un aiuto non richiesto a chi voleva solamente raggiungere in tempo l’Aula di Trasfigurazioni, beh, quello proprio non aveva senso. Ti aspetto alle tre del pomeriggio, vicino alla riva del Lago Nero – disse Elizabeth accelerando il passo e lasciandolo lì, fermo sul posto a fissarla – mi raccomando la puntualità! – si girò, per un’ultima occhiata, ancora con quel suo sorriso stampato in faccia, finché saltellando non svoltò l’angolo e scomparve nei meandri del castello.

Quella conversazione a senso unico lo aveva destabilizzato. La ragazza si era presentata a lui in modo anomalo e, senza troppi fronzoli, aveva preteso che il ragazzo la raggiungesse per ricevere lezioni d’incantesimi da lei. Qualcosa non tornava. Uno scherzo? – l’idea balenò subito nella mente del Corvonero. Dopotutto lui non aveva amici in quella scuola e non era certo famoso per essere affabile e disponibile con gli altri. Eppure, qualcosa continuava a turbarlo. Quel sorriso. Quel maledetto sorriso non riusciva a toglierselo dalla testa. Non c’era malizia, non c’era cattiveria. Quegli atteggiamenti li conosceva bene lui, erano sensazioni familiari che riusciva a percepire subito nel volto delle persone. Invece, quella Tassorosso sembrava davvero essere sincera. Anche la sincerità era una cosa che Edward conosceva bene. Eppure, non l’aveva mai percepita così piacevole. Piuttosto, la sua era spesso tagliente, causando frustrazione, irritazione e fastidio nel soggetto con cui la condivideva.

Passò un tempo interminabile disteso sul letto, cercando di capire quale fosse la trappola a cui sarebbe andato incontro se si fosse presentato all’appuntamento. Dentro di lui c’erano due sensazioni opposte, che continuavano a contrastarsi ferocemente. Da una parte la razionalità. La decisione più ovvia. Non presentarsi e lasciare a quella seccatrice i suoi giochetti manipolatori. Chiudere la finestra e, così, fermare quel vento fastidioso che stava irrompendo senza permesso. Dall’altra, però, c’era una piccola fiamma inestinguibile di irrazionalità, che lo spingeva verso un desiderio celato nel profondo della sua anima. Presentarsi lì, per non deluderla. Spalancare le finestre della sua anima e farsi travolgere da quel leggero soffio di calore, spazzando via quella polvere che ristagnava ormai in lui da sempre. Qualcosa in lui stava cambiando, e lui odiava i cambiamenti.

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Erano le due e cinquantotto di quel dannato giorno. Edward era in piedi, appena fuori il castello, che fissava una giovane Tassorosso seduta su una roccia che lambiva la riva del lago scozzese. Aveva deciso di abbandonare la sua zona di confort, alla fine. Inspiegabilmente. Un sospiro ed un passo dopo l’altro si avvicinò alla ragazza. Eccomi – esordì il Corvonero appena dietro di lei, che leggeva un libro mentre dondolava le gambe in modo spensierato. Ce ne hai messo di tempo per convincerti – rispose lei, richiudendo il libro – vediamo se sei meglio con la bacchetta che con l’orologio – concluse, strizzando l’occhio divertita.
Quel suo modo di fare lo disarmava. Era a volte anche tagliente nelle sue risposte, eppure non percepiva nessuna cattiva intenzione nelle sue parole.

Si esercitarono tutto il pomeriggio, sino a sera, eppure sembrava trascorso solo un battito di ciglia. I due si lasciarono con la promessa di rivedersi in quel posto ogni lunedì e giovedì, per continuare ad affinare le proprie doti magiche nello scagliare incantesimi. Durante quegli incontri non si scambiavano quasi mai confidenze, anzi, a malapena parlavano, se non per leggere le istruzioni dei libri su come lanciare gli incanti. Preferivano piuttosto lasciare il posto ai loro sguardi. Sguardi complici che danzavano un valzer tutto nuovo per il giovane Cornovero. Ed Edward scoprì la relatività del tempo. L’interminabile attesa tra un incontro e l’altro; il piacevole scombussolamento di un sorriso scambiato tra due incantesimi, mentre il Sole, crudele, volgeva fugace al di là delle montagne, lasciando il proprio posto al buio, anche nel cuore del ragazzo. Quel soffio era divenuto un uragano, che lo aveva travolto, e lui si lasciava guidare da quel vento impetuoso che aveva dissipato ogni traccia della sua amata polvere. Ma le tempeste, spesso, lasciano vittime. Soprattutto se si perde il controllo, trascinato da un moto di inebriante ebbrezza che scorreva veemente nello spirito del dodicenne.

Non diede peso il primo giorno in cui si ritrovò solo ad aspettare, seduto su quella roccia, un arrivo che non avvenne. Fu la seconda volta che, nel percepire la solitudine in cui era ricaduto, sentì i secondi risuonare gravemente nel proprio petto. Ed i secondi, che passavano inesorabili e maligni, divennero minuti, poi ore, infine giorni. Quattro volte Edward si era recato inutilmente al loro appuntamento. Quattro volte era rimasto ad aspettare un sorriso che non ricompariva, mentre un velo grigio stringeva la morsa sul suo cuore.

Iniziò a piovere. Edward rimase ancora alcuni istanti prima di abbandonare la loro roccia. Inerme, sino alla fine. Non riusciva a pensare. Cosa molto rara per lui, che delle proprie doti mentali si era sempre vantato con tutti. Non riusciva a capire come qualcosa di così bello e nuovo, potesse essersi trasformato, in modo rapido ed inspiegabile, in qualcosa di così doloroso.

Il peggio viene quanto meno te lo aspetti. È un buon insegnamento, se si tiene a mente anche che al peggio non c’è mai fine. Fu voltando distrattamente lo sguardo, perso nel vuoto, che la vide. Era seduta su di una panchina del corridoio che costeggiava il chiostro interno del castello, intenta ad accarezzare i capelli biondi di un ragazzo con la divisa di Grifondoro; il quale, sdraiato, poggiava la sua criniera sulle gambe della Tassorosso. Ed eccola la tempesta, che finalmente mieteva la sua vittima. Vacillò. Più di un istante. Il passo era incerto mentre si dirigeva verso di lei. Gli sguardi si incrociarono, giusto una frazione di tempo. Tanto da farle vedere il Corvonero completamente inzuppato che tremante, se per il freddo o per il dolore nessuno poteva capirlo, la fissava intensamente. Voltò lo sguardo, quasi avesse visto un banale volto di uno sconosciuto palesarsi innanzi a lei, e tornò a riservare al nuovo ragazzo i sorrisi che una volta faceva a lui. È incredibile come si possa vivere in modo così forte un’emozione che prima era sconosciuta. Le prime volte sono sempre le peggiori, ecco un’altra lezione che doveva tenere ben in mente. Barcollò, mentre cercava di ritornare nella Sala Comune dei Corvonero e di lì al suo letto. Qualcosa rigava le sue guance, forse gocce di pioggia o lacrime salate. Non importava. Era travolto e stravolto, eppure non riusciva ad esternare quell’accavallarsi di sensazioni che stava provando. Quasi le sue emozioni fossero paralizzate dalla loro immensa portata. Nel dolore più grande che sino a quel momento aveva provato, ricordò le parole del nonno: “L’amore è una debolezza, Edward. Per essere forti bisogna avere un croí deannaigh*”. Si – sussurrò a sé stesso - un cuore di polvere.
Un insegnamento che non avrebbe mai più dimenticato.





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