Spleen-dente, Contest a tema: gennaio 2023

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view post Posted on 31/1/2023, 15:39
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Seduto nel vano della finestra non sento le grida provenire dal giardino. Eppure è aperta, l’aria fredda entra nella stanza e il mio fiato già si condensa. Piccole figure giocano là sotto, sulla neve caduta da poco. Vedo le loro corse, le osservo mentre raccolgono manciate bianche e la lanciano, immagino i sorrisi stampati sui loro volti. Ma niente dei loro suoni giunge fino a me. Odo parole nuove, che la neve pronuncia. Parole ovattate, appena sussurrate. La stanza è immersa nel silenzio. Nonostante il freddo, sono tutti fuori, o a lezione. Osservo il volo di un uccello in lontananza. Forse un astore. Non sbatte nemmeno le ali, si limita a planare pigro sulle correnti fredde che vorticano intorno al castello. Un punto nero sullo sfondo bianco del cielo.

Mi sorprendo a pensare come io sia simile in tutto e per tutto a quell’astore. Solitario, osservo gli altri dall’alto, senza intervenire. Li vedo giocare, divertirsi, stringere legami, fare amicizie. Tutto mentre la mia vita a Hogwarts procede in balia delle correnti, quando con la sola compagnia di una gatta e un asticello porto avanti i miei studi. Non mi fa male stare con me stesso, anzi: a volte penso sia meglio così. Le altre persone sono mediocri, perdono tempo, si lamentano in continuazione, non sono realiste. Gli altri infliggono ferite da cui è difficile riprendersi. E allora meglio escludere, isolarsi. È quello che ho fatto, no? Uno dopo l’altro, ho perso i contatti con tutti. Non sono un misantropo. No. Parlo in Sala comune, durante i pasti, mentre i docenti spiegano. Persino in biblioteca. Però sono relazioni effimere, di sfuggita. Senza troppo impegno. Poi tendo a tornare in me stesso, nel mio ambiente.

Un tempo non era così. Le mie giornate erano piene di persone. Una in particolare, nei primi anni della scuola. In Casey ho trovato quella che pensavo essere più di un’amica. Mi illudevo che fosse l’anima gemella, il mio completamento. Ed è stata quella, per me, la delusione più grande. Come sono stato stupido. Uno sciocco, stupido ragazzino il me stesso di qualche anno fa. Quella scenata a Godric’s Hollow…vergognosa. Dovevo capirlo che LEI era cambiata, che non era più o non era mai stata quella che io pensavo che fosse. Era troppo difficile affrontare la realtà, così ho mollato. E ho lasciato che uno spesso, denso e grigio strato di polvere si accumulasse lentamente sul nostro rapporto. Dentro di me. Così non l’avrei più visto e avrei finito per dimenticarlo. Un po’ come fa la neve con le erbe del parco. Per scordare quello che era prima e che avrebbe potuto essere in…un’altra vita? O semplicemente in altre circostanze?
Eppure, Casey è ancora qui, ad Hogwarts. Impossibile da ignorare. Certo, è cambiata, a tal punto che quasi non la riconosco. Però gli occhi sono quelli. Impossibile sbagliarsi, soprattutto per chi, come me, ha visto e sognato quegli occhi a lungo.

Ora il parco sembra deserto, sta calando la sera. Solo qualche studente ancora indugia, attardandosi a passeggiare nella neve. A breve scenderò in Sala Grande per la cena. È da tanto che non pensavo a Casey. Averla vista ultimamente mi ha colpito. Sguardo duro, di chi ce l’ha con il mondo intero. E poi quello che è successo durante il duello con il professor White…ho stentato a crederci, sinceramente. Non è quella la Casey che ricordo. Forse, come me, si è inselvatichita, forse anche lei ha creato una barriera tra sé e il mondo. All’inizio, quando mi hanno raccontato del duello, ho provato una gioia perversa. Si è messa in una luce negativa davanti a tutti e di questo, lo ammetto, ho gioito. In me parlava la delusione, il rancore. Ma poi, dopo qualche giorno, ha lasciato spazio alla tristezza e infine alla compassione. Casey è come me. Anche lei ha deciso di abbandonare alla polvere tante cose. Forse basterebbe spolverarle per farle tornare, se non nuove, almeno visibili.

Un lampo. Un’esigenza improvvisa, quasi fisica. Me ne pentirò ma non posso farci niente. Un ultimo tentativo prima della parola fine. Non posso planare e basta, devo sbattere comunque le ali. Ci devo provare. Ecco, dovrebbe essere nel baule…ma dove è? Scozia ladra, non è che…qui non c’è…forse…ah, no, eccolo qui. L’avevo dimenticato sotto il letto. Lo specchio comunicante, un simpatico gadget dell’avventura in Cina. Impolverato, è praticamente grigio. Ci soffio sopra. Alzo solo un velo di polvere che si deposita sulla casa di D’Artagnan. Darty non ti arrabbiare, poi te la pulisco. La polvere ha creato uno strato compatto, quasi solido. Come quelli che creano gli organismi marini intorno alle statue che riposano sul fondale marino. Anche lo specchio giaceva là, sul pavimento, invisibile e abbandonato.

Mi sento un po’ idiota con quello specchio in mano che non riflette, se non un’immagine distorta del mio volto. Proviamo.

“Casey. Mi senti? Casey!”

Come se l’avessi vista ieri al parco, come se ci fossimo frequentati fino a questo momento. Mesi cancellati da un nome e da una voce. Non riesco a dire altro, per ora. Le giustificazioni, le spiegazioni, forse verranno ma solo dopo. Se un dopo ci sarà.

Niente.

“Casey…senti, se hai bisogno, se vuoi parlare…lo sai.” Che sto dicendo? Idiota…sa che cosa? Basta, ormai è andata. Spero capisca. La superficie dello specchio è ancora polverosa. Con un dito, traccio una scritta:

“Mi sei mancata. Mi manchi. Mi mancherai.”

Poi, con la mano aperta, cancello tutto. La polvere resta attaccata per un attimo al mio palmo e poi vola via.



Edited by Yorick - 31/1/2023, 21:19
 
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view post Posted on 31/1/2023, 23:12
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Casey.

Sobbalzo. Mi risveglio come da un incubo, eppure non dormivo. I muscoli gridano sotto la mia pelle per la velocità dello scatto. La mano sinistra, che fa leva sul materasso, implora di cedere sotto il peso del mio corpo.
Non stavo dormendo, avevo semplicemente gli occhi chiusi. Si sono spalancati all'improvviso e ora le palpebre si accartocciano su loro stesse, inondate dai fasci di luce e pulviscolo che attraversano la mia casa.
Non stavo dormendo, giuro. Non sono fuggito da Hogwarts questo pomeriggio per schiacciare un pisolino a Nocturn. È più complicato di così. Nessun cliente si è presentato alla porta oggi, ed io non ne aspettavo. Volevo solo stare qui, anche se questo posto non mi mancava. Volevo solo stare qui e…
È più complicato di così. O forse è molto semplice. Io qui sono da solo, ma sono meno solo di quando sono solo a scuola. Queste pareti incrostate, il materasso bitorzoluto e la polvere che intasa i polmoni sono il mio tempio della solitudine. Mio, solo mio. Senza maschere, senza perfezione apparente.
È meglio stare qui che in classe. È meglio stare qui che in sala comune, in sala grande e in giardino. È meglio lasciarmi fagocitare dalla polvere di questo appartamento sudicio piuttosto che sfilare di giorno in giorno, di ora in ora, di fronte alle mensole impolverate che ospitano tutti i ricordi della mia vita passata.

Casey?

Sbatto le palpebre. Non stavo dormendo, non ero in dormiveglia. Ci ho semplicemente preso gusto a star sdraiato sotto le coperte di piume e di polvere a macerare nel mio dentro.
Un tempo, quando le emozioni erano ancora fresche come la linfa bianca che sgorga da un ramo reciso, non vedevo l'ora di addormentarmi, perché nel sonno trovavo il ristoro dell'oblio. Adesso continuo a desiderare che rimanga il sole per continuare a star qui. Voglio questo dolore. È mio, solo mio, e questo è l'unico luogo in cui posso lasciarmi andare ad esso.

Casey.

Ma se non stavo dormendo allora non stavo sognando, e il mio cervello non inganna le mie orecchie nella fase del risveglio.
Mi sento chiamare. Casey, Casey, Casey. Penso subito che possa trattarsi di un'altra allucinazione e mi raccolgo, di nuovo, sotto gli strati spiegazzati di coperte come un feto. Ormai ci sono abituato. Le allucinazioni dell'Occhio sono come i bulli: ne hai paura e continui ad averne, ma sapendo che vi dovrai avere a che fare tutti i giorni te le lasci scivolare addosso e ti arrendi alle loro percosse.
Mi dà più fastidio l'idea che la mia stasi si interrompa, e che uno sbuffo di vento possa alzare la polvere dalle superfici del mio tempio.

È un mugugno. Una bocca pressata, come se la visione mi parlasse tramite le coperte. Inudibili parole inarticolate. Comprimo un palmo contro un orecchio. L'altro timpano vuole sprofondare nel materasso, ma scopro che è da lì che la voce viene, è da lì che mi parla. Cosa vuole il mio materasso? Quale terribile destino mi vuole dedicare? La scoliosi, la gobba?
Mi alzo. Respiro rabbioso sollevando e abbassando le spalle. Scombino le coperte e lancio un ringhio. Volevo solo un po' di pace, volevo solo stagnare nel mio dolore.
Un impeto mi fa afferrare la base del materasso marcito per scaraventarlo ai piedi del letto. Sbatte contro la credenza e un piatto cade, si rompe. Io inciampo sulle mie caviglie, cedendo sotto l'inaspettato peso dell'ammasso di molle e gommapiuma. Urto il coccige sul tappeto e tossisco imbestialito per l'ondata di polvere e acari che ho innalzato.

Casey.

Ma se non lo avessi fatto, se non avessi combinato tutto questo scompiglio, non avrei mai notato la scatola scoperchiata sotto la rete arrugginita del letto. Sbalordito la tiro a me rigando il pavimento sporco, e inorridisco. So cosa c'è con le cianfrusaglie degli anni passati, so bene cosa ho dimenticato là dentro. Passano i minuti e non sento più niente. Nessun mugugnare, nessuna voce. Aspetto, col cuore in gola, affinché io non corra rischi, come se dalla scatola possa saltare un mostro. Mi è più semplice accettare che si tratti di pazzia, perché si sa che rimanendo troppo soli prima o poi si dà di matto. Un moto di orgoglio mi impone di dimostrarmelo.
Un gesto lento, esitante, e infilo la mano nel cumulo. Scavo, finché sotto le dita non sento la superficie liscia e scivolosa che cerco. Le cianfrusaglie cadono e rotolano sul pavimento mentre estraggo lo specchio. Qualcosa si infrange sul cotto, ma nemmeno i peggiori scossoni potrebbero scombussolare la chirurgica lentezza della mia mano: uno specchio, in questo mondo, non diviene arma solo se fatto a pezzi.

Una lacrima cade sul vetro e raccoglie dentro di sé un grumo di polvere. Devo rileggere più volte quanto scritto nello specchio, e non perché al contrario. Perché dentro, dentro, dentro c'è ancora una voce che mi chiede di spartire questo dolore con qualcuno.

"Anche tu mi manchi" sussurro. Ma un attimo dopo la scritta è sparita e una fitta allo stomaco mi travolge.
Ci ha messo tanto tempo la polvere per farmi dimenticare di questo specchio. Tu, Caleb, ci hai messo un attimo per toglierla. E adesso?

 
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