Seduto nel vano della finestra non sento le grida provenire dal giardino. Eppure è aperta, l’aria fredda entra nella stanza e il mio fiato già si condensa. Piccole figure giocano là sotto, sulla neve caduta da poco. Vedo le loro corse, le osservo mentre raccolgono manciate bianche e la lanciano, immagino i sorrisi stampati sui loro volti. Ma niente dei loro suoni giunge fino a me. Odo parole nuove, che la neve pronuncia. Parole ovattate, appena sussurrate. La stanza è immersa nel silenzio. Nonostante il freddo, sono tutti fuori, o a lezione. Osservo il volo di un uccello in lontananza. Forse un astore. Non sbatte nemmeno le ali, si limita a planare pigro sulle correnti fredde che vorticano intorno al castello. Un punto nero sullo sfondo bianco del cielo.
Mi sorprendo a pensare come io sia simile in tutto e per tutto a quell’astore. Solitario, osservo gli altri dall’alto, senza intervenire. Li vedo giocare, divertirsi, stringere legami, fare amicizie. Tutto mentre la mia vita a Hogwarts procede in balia delle correnti, quando con la sola compagnia di una gatta e un asticello porto avanti i miei studi. Non mi fa male stare con me stesso, anzi: a volte penso sia meglio così. Le altre persone sono mediocri, perdono tempo, si lamentano in continuazione, non sono realiste. Gli altri infliggono ferite da cui è difficile riprendersi. E allora meglio escludere, isolarsi. È quello che ho fatto, no? Uno dopo l’altro, ho perso i contatti con tutti. Non sono un misantropo. No. Parlo in Sala comune, durante i pasti, mentre i docenti spiegano. Persino in biblioteca. Però sono relazioni effimere, di sfuggita. Senza troppo impegno. Poi tendo a tornare in me stesso, nel mio ambiente.
Un tempo non era così. Le mie giornate erano piene di persone. Una in particolare, nei primi anni della scuola. In Casey ho trovato quella che pensavo essere più di un’amica. Mi illudevo che fosse l’anima gemella, il mio completamento. Ed è stata quella, per me, la delusione più grande. Come sono stato stupido. Uno sciocco, stupido ragazzino il me stesso di qualche anno fa. Quella scenata a Godric’s Hollow…vergognosa. Dovevo capirlo che LEI era cambiata, che non era più o non era mai stata quella che io pensavo che fosse. Era troppo difficile affrontare la realtà, così ho mollato. E ho lasciato che uno spesso, denso e grigio strato di polvere si accumulasse lentamente sul nostro rapporto. Dentro di me. Così non l’avrei più visto e avrei finito per dimenticarlo. Un po’ come fa la neve con le erbe del parco. Per scordare quello che era prima e che avrebbe potuto essere in…un’altra vita? O semplicemente in altre circostanze?
Eppure, Casey è ancora qui, ad Hogwarts. Impossibile da ignorare. Certo, è cambiata, a tal punto che quasi non la riconosco. Però gli occhi sono quelli. Impossibile sbagliarsi, soprattutto per chi, come me, ha visto e sognato quegli occhi a lungo.
Ora il parco sembra deserto, sta calando la sera. Solo qualche studente ancora indugia, attardandosi a passeggiare nella neve. A breve scenderò in Sala Grande per la cena. È da tanto che non pensavo a Casey. Averla vista ultimamente mi ha colpito. Sguardo duro, di chi ce l’ha con il mondo intero. E poi quello che è successo durante il duello con il professor White…ho stentato a crederci, sinceramente. Non è quella la Casey che ricordo. Forse, come me, si è inselvatichita, forse anche lei ha creato una barriera tra sé e il mondo. All’inizio, quando mi hanno raccontato del duello, ho provato una gioia perversa. Si è messa in una luce negativa davanti a tutti e di questo, lo ammetto, ho gioito. In me parlava la delusione, il rancore. Ma poi, dopo qualche giorno, ha lasciato spazio alla tristezza e infine alla compassione. Casey è come me. Anche lei ha deciso di abbandonare alla polvere tante cose. Forse basterebbe spolverarle per farle tornare, se non nuove, almeno visibili.
Un lampo. Un’esigenza improvvisa, quasi fisica. Me ne pentirò ma non posso farci niente. Un ultimo tentativo prima della parola fine. Non posso planare e basta, devo sbattere comunque le ali. Ci devo provare. Ecco, dovrebbe essere nel baule…ma dove è? Scozia ladra, non è che…qui non c’è…forse…ah, no, eccolo qui. L’avevo dimenticato sotto il letto. Lo specchio comunicante, un simpatico gadget dell’avventura in Cina. Impolverato, è praticamente grigio. Ci soffio sopra. Alzo solo un velo di polvere che si deposita sulla casa di D’Artagnan. Darty non ti arrabbiare, poi te la pulisco. La polvere ha creato uno strato compatto, quasi solido. Come quelli che creano gli organismi marini intorno alle statue che riposano sul fondale marino. Anche lo specchio giaceva là, sul pavimento, invisibile e abbandonato.
Mi sento un po’ idiota con quello specchio in mano che non riflette, se non un’immagine distorta del mio volto. Proviamo.
“Casey. Mi senti? Casey!”
Come se l’avessi vista ieri al parco, come se ci fossimo frequentati fino a questo momento. Mesi cancellati da un nome e da una voce. Non riesco a dire altro, per ora. Le giustificazioni, le spiegazioni, forse verranno ma solo dopo. Se un dopo ci sarà.
Niente.
“Casey…senti, se hai bisogno, se vuoi parlare…lo sai.” Che sto dicendo? Idiota…sa che cosa? Basta, ormai è andata. Spero capisca. La superficie dello specchio è ancora polverosa. Con un dito, traccio una scritta:
“Mi sei mancata. Mi manchi. Mi mancherai.”
Poi, con la mano aperta, cancello tutto. La polvere resta attaccata per un attimo al mio palmo e poi vola via.
Edited by Yorick - 31/1/2023, 21:19