Skye, Privata

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view post Posted on 1/3/2023, 11:18
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L'isola di Skye è la più grande dell'Arcipelago delle Ebridi Interne. Motivo per cui, quando la possibilità di tale tappa per la gita di casata si palesò di fronte alla sua vista, Casey fu entusiasta di dire sì.
L'Arcipelago delle Ebridi ospitava uno dei più grandi allevamenti di draghi del Regno Unito. Lì viveva Nadir, il Nero delle Ebridi che aveva adottato grazie ad una iniziativa della Gazzetta del Profeta. Non sapeva ancora se il suo uovo si fosse schiuso, e aspettava notizie con tanta impazienza. Certamente non lo avrebbe incontrato nel corso della gita, come nessuno di loro avrebbe mai incontrato un drago dato che le creature erano sotto la tutela dei magizoologi della riserva. Tuttavia quella vicinanza a Nadir gli accelerava il battito nel petto.

I Grifondoro, opportunamente occultati, partirono all'alba in groppa alle loro scope per Portee, il maggior centro abitato dell'isola. Il permesso ottenuto dalla scuola recitava chiaramente che non avrebbero dovuto separarsi nel corso del viaggio, e che tutti i ragazzini del primo anno dovevano essere scortati dai più grandi. Da lì, la destinazione erano le Fairy Pools nell'entroterra, un sito considerato magico persino dai babbani. Generate dal fiume Brittle, si dice che siano la dimora di una colonia di fate che, poco furbe, di tanto in tanto schizzano ad ali spiegate sotto il naso dei visitatori quando non occultate. A Casey onestamente non importava niente delle fate. Gli stavano un tantinello sul cazzo. Ma lo spettacolo della successione di piscine naturali, di un blu profondo e freddo, era impagabile.
Nei pressi della pool principale era situato un campeggio magico, il Fairy Camp. Lì, appena arrivati, poterono affittare un paio di tende dotate di un incantesimo di estensione e mobilia interna, un barbecue ed acquistare tutto il necessario per grigliare. Casey sapeva che l'umore dei membri del viaggio era a terra, specialmente di chi faceva parte della squadra di Quidditch. Non aveva osato dire niente, perché era bella l'idea di lasciarsi alle spalle tutte le stronzate avvenute in campo e di rilassarsi un po' tra i fiumiciattoli e i laghetti accanto ad un falò. Il sole era alto nel cielo, l'aria era alquanto fresca, e il meteo prometteva bene.

«Ci penso io ad arrostire» disse Les (click) non appena ebbero piantato le due tende. Casey lo aveva invitato in qualità di ex-membro della casata, se non di migliore amico. «Fa macho
«Come vuoi tu» rispose Cas ammucchiando con enorme fatica tutti i sacchi di carbonella in un punto. «Altrimenti ci sono tutte le bombe denudanti che abbiamo comprato da Zonko.»
«Tienile per quando sarò ubriaco ammerda. Se stasera non acchiappo, Cas, lo appendo con un chiodo al muro.»
«Prometto di preparare tutto io per quando prenderai i voti.»

 
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view post Posted on 4/3/2023, 23:30
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Con la fine del Torneo Crownspoon, degli allenamenti e dei ritrovi sul campo da gioco già verso le prime ore dell'alba, Oliver aveva immaginato di ripristinare una parvenza di serenità. Il ritmo degli ultimi tempi, purtroppo, aveva lasciato il segno – fisico, così come spirituale. Ironia della sorte, aveva creduto che fosse stato tutto per un traguardo giusto, ma i frutti non erano mai stati acerbi quanto in quell'occasione. L'esperienza con gli Archenemies era stata preziosa, non avrebbe potuto negarlo... l'esperienza del Quidditch in sé, invece, gli era apparsa triste. All'ennesima, ultima sconfitta che aveva incassato, infatti, il dado era stato tratto: risentimento, dispiacere, rabbia, avrebbe potuto elencare facilmente le sensazioni che aveva sperimentato sulla pelle e che tuttora viveva sottilmente. Cos'era accaduto?
E perché? Quella domanda era stata un tarlo, per lui. Aveva sindacato i cieli, sviscerato dubbi e riflessioni tra sé. Aveva studiato nuovamente gli schemi di gioco, le tattiche che avevano preparato insieme, perfino le differenti formazioni in volo. Aveva ripristinato nozioni che di per sé avevano potuto soltanto confonderlo ulteriormente – l'oggettistica in dotazione dai giocatori, le peculiarità delle scope e delle mazze. In segreto, al calare del meriggio, era tornato agli spogliatoi e aveva stregato le pareti – perfino il prato del Campo da Quidditch, gli spalti, gli anelli – per coglierne ogni sospetto di manomissione. La voce che girava in Sala Comune, d'altronde, era arrivata anche al suo orecchio: la squadra era stata maledetta, le palle da gioco erano state profanate dalla stregoneria, l'arbitro era stata annebbiata da una pozione prima d'ogni sfida... simili sciocchezze si rincorrevano tuttora tra i concasati. Intimamente avrebbe dovuto esserne riconoscente, almeno un po'. Era un modo, quello, per distribuire il senso di colpa che lo perseguitava da settimane. Un modo per giustificare quanto successo e chissà, forse per risollevare anche il suo operato. La verità, tuttavia, era lampante: gli Archenemies erano fuori dai giochi, ultimi in classifica. L'avevano meritato? Sarebbe stato semplice adagiarsi alle parole degli altri, accoglierle come spiegazione più plausibile (e sì, una parte di lui vi credeva... era difficile, d'altronde, accettare che quasi ogni singola azione fosse stata fermata sul nascere). Eppure, il fallimento – per Oliver – raggiungeva un livello strettamente personale. Non aveva saputo guidare la squadra alla vittoria, non aveva saputo assolvere adeguatamente al ruolo di Capitano.
Ricordava poco della partita conclusiva, a dispetto d'ogni aspettativa. Il Bolide di Rowena sull'arbitro – l'ennesima azione che, per beffa, non era riuscita – si sommava alla protesta crescente dei concasati e dei loro tifosi tra gli spalti. C'era stato chi aveva duplicato i Bolidi con una serie di Maledizioni Geminio, pur di lanciarli a destra e a manca per ripicca; c'era stato chi aveva imprecato con tutto il fiato in gola... e tanto, tanto altro. Non avrebbe saputo dirlo con certezza, con grande probabilità si trattava di una serie di immagini pompate dalla fantasia del momento... in memoria, per Oliver, tutto era ovattato. Il rientro in dormitorio era stato rapidissimo, e quella era stata la prima sera in cui aveva litigato violentemente con Penny. Non avrebbe saputo rintracciarne le motivazioni – l'amico non gli aveva detto granché, nessun'accusa. Era stato qualcosa nel suo sguardo, un cenno di compassione e di sconforto che Oliver, forse, non aveva saputo interpretare correttamente. Penny gli era stato accanto, l'unico in effetti... perfino gli Archenemies non avevano commentato alcunché, quando lui aveva mormorato le sue scuse a mezza voce. Non sono stato un buon Capitano, aveva detto. Nessuno lo aveva smentito: o forse, ancora una volta, ricostruiva tutto erroneamente.
Con Penny, però, era stato meschino. Odiava aver illuso perfino le sue aspettative, odiava stargli accanto e sentirsi in difetto. Odiava... odiava aver offuscato la bellezza del Quidditch. Era scattato con una rabbia che aveva a stento represso, una rabbia che apparteneva più a lui che a Penny: le parole – come un fiume in piena – avevano sobbollito un dissapore che attecchiva ben lontano. Ricordava soltanto di aver accusato l'amico di stargli alle calcagna, di stanziarsi come un miserabile alla ricerca d'affetto. E ricordava che Penny, in risposta, lo avesse tacciato d'essere cambiato terribilmente.
Così facendo, arriverai ad abbandonare anche te stesso.
Non aveva saputo ribattere. Penny, di nuovo, aveva colto nel segno.

La gita organizzata dagli Archenemies gli sembrava un paradosso. Cos'avrebbe dovuto essere per davvero? Un ritiro post-partita, un modo per risollevarsi l'animo, semplicemente un'occasione per riallacciare i rapporti? Oliver non ce l'aveva con i giocatori, con nessuno. Sapeva che ciascuno di loro avesse dato il massimo, malgrado i risultati: si inseriva, poi, il fatto che fossero quasi tutti concasati. No, il cruccio che si trascinava dietro influenzava negativamente soltanto lui. Che poi fosse scomparso dal giro, un po' ritirandosi a vita propria, era tutt'altro conto. Dall'ultima partita, infatti, Oliver si era rintanato altrove, in giro per Hogwarts. Aveva avuto la costanza di rientrare sempre tardi in dormitorio e, nelle rare volte in cui non vi era riuscito, aveva finto d'essersi già addormentato – le tende tirate avevano assunto il peso di un confine invalicabile. Si era comportato come un bambino, ne era consapevole. Ad un tratto il Quidditch aveva perduto importanza, palesandosi solo come la scintilla d'esordio.
Neanche una volta aveva pensato di partecipare al viaggio, combattendo contro il desiderio un po' egoistico di visitare perlomeno l'Isola di Skye. Le bellezze che abitavano l'Arcipelago, infatti, erano innumerevoli: il monolite dell'Old Man of Storr, la cui testa rocciosa si diceva attirasse le sirene e i marinai lungo la scogliera; il Castello di Dunvegan, con la comunità di cavalieri-fantasma che avrebbe fatto la gioia d'ogni spettrologo; il caratteristico, pittoresco villaggio di Portree, il porto dipinto di Loch Ainort, le cascate cristalline delle Fairy Pools che continuavano ad essere popolate dalle fate... C'era un mondo d'estasi, sull'isola scozzese. E forse era stato quello, a ben vedere, il motivo che aveva strappato anche Oliver dall'indecisione.
«In alto, Ira.» La voce soffiò insieme al vento del mattino, tingendosi di un'armonia d'insieme in grado di sciogliere la morsa del cuore. Al galoppo, l'Alato s'adagiava all'aria – le ali candide, immense, attingevano ai raggi del primo sole. Sembrava una tela d'altri tempi, un bagliore dorato e rosato insieme, nell'alba che imperversava tutto intorno. Il cielo scivolava in un sentiero infinito, di nuvole come batuffoli d'ovatta, di onde, montagne e rocce in sfilata. Nulla, al mondo, avrebbe potuto eguagliare l'incantesimo del volo di un Cavallo Alato, e Oliver lo sapeva. Con Ira, infatti, gli sembrava di trasportarsi altrove – su un piano spirituale, che non avrebbe saputo descrivere. Harvey, il suo mentore, aveva avuto ragione: né manico di scopa né tappeto volante avrebbero retto il confronto, Oliver aveva sperimentato entrambi ed era d'accordo. Con la schiena dritta, gli stivaletti nelle staffe ai lati del corpo dell'Alato, le mani avvolte con sicurezza alle redini, guidava Ira – o forse il contrario, si lasciava guidare – verso l'orizzonte. Un manto d'illusione celava la figura di cavallo e fantino, un sortilegio che aveva accuratamente rafforzato prima di spiccare il volo. Ed era incredibile, per lui, sfidare l'impossibile: scendere in picchiata, svettare sui tetti colorati dei villaggi, virare nuovamente verso l'alto... Invisibile, come una fantasia d'inestimabile valore. Oltre la costa, Ira poté volare più liberamente – sferzava il vento con una velocità imprevedibile, nel moto possente delle ali. La criniera brillava, man mano che il sole si stabilizzava in luce. Oliver, perduto nel momento, non si accorse dell'Isola di Skye: la discesa dolce dell'Alato, però, poté riportarlo lentamente al presente. Era in ritardo, forse. Sapeva soltanto di aver peccato nuovamente, non rispondendo all'invito in modo chiaro.
Sì, forse, credo. Alla fine, in mattinata, non si era presentato al ritrovo. Né in dormitorio, né al Campo di Quidditch... la propria Firebolt, solitaria, abbandonata in dormitorio. Eppure, era arrivato. In un modo o nell'altro, vi sarebbe stato anche lui. L'occasione di volare con Ira, in effetti, era stata troppo ghiotta per trattenerlo lontano. Con uno zaino alle spalle opportunamente incantato, spezzò la disillusione che avvolgeva entrambi, adocchiando in basso il campeggio che era stato descritto e le figure che sperava riconoscere. A dispetto della bellezza del volo, il cuore paventava il timore... di essere respinto, di essere accusato, chissà cos'altro.
«Hey, voi, laggiù» chiamò a gran voce. Lui fischiò subito dopo, Ira nitrì quasi in risposta. Disegnarono una curva, ponendosi per un attimo lungo l'onda del sole; l'atterraggio, nel guizzo delle ali del cavallo, scoccò come un colpo di frusta sul terriccio. Scivolò poco dopo, i capelli disfatti, le gote arrossate sull'incarnato più pallido del volto. Un sorriso timido, inaspettato, gli solcò la bocca.
«Abbiamo almeno vinto il Premio Miglior Ingresso?»

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view post Posted on 6/3/2023, 20:41
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Standing alone on that hill
Using your fuel to kill

Pulsazione. Ira. Delusione. Fallimento.
Assesto un calcio alla poltrona nello sgomento generale della Sala Comune, poi incrocio le braccia nella solita posa compìta. I capelli incorniciano un viso dall’espressione austera, gli occhi grandi —di un bianco latteo— fissati su un punto imprecisato nella pietra che compone il grande camino sempre acceso; la mente ancora sul campo da Quidditch. Rivivo le giornate del torneo ossessivamente, gli errori che so di aver commesso e quelli che ci sono stati attribuiti per un arbitraggio scandaloso.
Rifilo un pugno alla roccia che sovrasta il focolare, graffiando la pelle morbida. Con la coda dell’occhio mi accorgo che un Grifondoro fa per avvicinarsi, poi ci ripensa. So di incutere timore negli altri, di instillare una sorta di fascino misto a repulsione che non tutti sanno gestire. Poggio la fronte sul pugno ancora stretto e trattengo a stento il desiderio di battere la testa contro la pietra. Una furia cieca mi scorre nelle vene. Penso che avrei bisogno di una scopata, non di una gita su un’isola, e mi domando perché mai abbia accettato di partecipare se il novanta percento del tempo lo passo in solitaria come una nobile del cazzo.
Afferro la Firebolt e abbandono il salottino a passi veloci, oltrepassando il ritratto della Signora Grassa. Se non la smetto di pensare, distruggerò la Sala Comune.

Piegata sulla scopa, procedo a una velocità folle. Non c’è ragione per avere fretta. Non m’importa di essere partita in ritardo, di aver indugiato nell’incertezza fino all’ultimo minuto e oltre, di essermi chiesta più e più volte nell’attraversare i corridoi se valesse la pena chiudermi in ufficio vuoto con qualcuno piuttosto che passeggiare per la Scozia con un gruppo di concasati cui dovrò rendere conto del mio fallimento. Eppure continuo a sperare di imbattermi in un’altura contro la quale schiantarmi o correre il rischio di distruggere me e la Firebolt.
Sono arrabbiata anche con lei per la prima volta da quando l’ho acquistata. Penso che mi abbia delusa, che abbia deluso la squadra, che insieme a me abbia fatto la figura dell’idiota. Nemmeno un boccino. Neanche un fottutissimo boccino.
Stringo le cosce attorno al manico con rabbia finché il dolore della tensione e del contatto non mi prega di allentare la presa, ma io continuo. Voglio di più. Più velocità, più forza, più scelleratezza. Eseguo un avvitamento su me stessa, dando una spinta con i fianchi e lasciando scivolare il corpo lateralmente. Imprimo nell’atto la stessa frenesia che userei a letto. Quasi perdo la presa sul manico, ma un sorriso si apre sulla mia bocca. È questo che desidero. Il brivido dell’impossibile, il rischio dell’inverosimile, la dimostrazione della potenza oltre le mazzette.
Torno sulla Firebolt con un altro colpo di reni, le mani strette attorno alla scopa. Poi, mi stendo sul manico e allungo il braccio come se dovessi afferrare qualcosa. In realtà, espongo il dito medio.
Questo è per te, Erika Ostensen, e per l’arbitro di merda che sei!
Lo esibisco a lungo in un gesto liberatorio e lo accompagno a una risata di scherno. Un rigore che non c’era, un’espulsione mai giustificata, azioni non andate a buon fine per un non meglio specificato motivo: dovrebbero espellerla dall’ordine degli arbitri, se ne esiste uno. Io e i Grifondoro dovremmo andare a casa sua e inondarla di caccabombe. Io, forse, non mi limiterei a quello…
Quando individuo l’isola di Skye, ho già riportato il braccio alla scopa e mi concedo una perlustrazione. Alla fine, non è stata proprio una pessima idea venire. Il volo mi ha concesso qualcosa per scaricare una piccola parte della brutalità che sento crescere dentro di me ad ogni pensiero relativo al torneo. La vera domanda è: sarò in grado di trattenermi davanti ai Grifondoro, ora che mi conoscono come la severa e glaciale Nieve Rigos?
Un cavallo alato attira la mia attenzione. Noto che alcune figure stanno trafficando in quell’angolo di isola, allora perdo quota e atterro con calma. Da tergo, riconosco la figura di Oliver in sella al destriero e sorrido. Non mi sarei potuta immaginare niente di diverso da uno come lui. Poi, il mio sguardo si sposta su Aion e il pensiero ritorna al ballo. Torno a chiedermi cosa ci faccio qui e se sia davvero il caso di introdurmi nel gruppo.
Poi, mi dico che quel pensiero turberebbe la Nieve del passato, non la Nieve di oggi. A me non importa di nessuno di loro, come a loro non importa di me. Pertanto, perché dovrebbe fermarmi la consapevolezza che nemmeno un’anima sia intervenuta quando ne avevo bisogno o che ci siano voluti mesi prima che si ricordassero del mio compleanno?

Mi faccio avanti, ma non dico nulla.
Mi limito a depositare la Firebolt in un angolo e a fissare gli occhi sui presenti con aria di sfida. Se sono invisibile per loro, è questo che avranno —una figura spettrale in un giorno di gaudio.
Come sempre, le contraddizioni della mia natura tornano a presenziare in un'alternanza di desideri della quale è impossibile anche solo sperare di avere il controllo.

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Edited by ~ Nieve Rigos - 7/3/2023, 21:28
 
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Dunque eccoci. Una sfilza di perdenti ad una festa di consolazione. So che sono rude e che esiste modo e modo di dire le cose, anche a se stessi, ma ecco la verità.
Mi sento il capofila di questa sfilza di perdenti. Ne sono proprio il Caposcuola, e il fatto stesso che io lo sia la dice lunga. Hanno scelto la persona più sbagliata. Le redini mi scivolano di mano allo stesso modo in cui la mia voce fatica a scalare le pareti scivolose della gola per uscire. Vivo con la costante paura di farmi sentire perché so che ogni volta che ci lo faccio tutto rischia di implodere.
Ci sto provando, per questo ho invogliato lo staff ad organizzare la gita. Secondo un'opinione oggettiva dopo una sconfitta è buona cosa tentare di rialzarsi. Riempire la nostra piccola testa di cose belle, voltare pagina e spremersi per capire cosa sia andato storto.
Io, onestamente, non l'ho capito. Non mi sento tagliato per il Quidditch. Probabilmente è così perché non abbiamo fatto altro che perdere e ho percepito il clima pesante dell'insuccesso per mesi e mesi. Mi sono impegnato all'inizio, ma l'interesse è scemato piuttosto velocemente. E me ne sono lavato le mani.
Lo so che gli Archenemies mi odiano per questo, ma credo sia stato un bene che mi sia tolto dalle palle. Non ero portato, mi arrabbiavo e basta e detestavo fare gioco di squadra. E' stata dura per me accettare di non essere bravo ma, Dio mio, senza il Quidditch sono tornato a respirare. Penso che il mio destino sia fare la muffa su una sedia in un laboratorio, con i muscoli degli arti atrofizzati per la mia carenza di volontà nel muovermi.
Ciò non toglie, però, che buona parte dei Grifondoro sicuramente mi odia. La verità è che io per via del Quidditch stavo odiando tutto più di quanto già non facessi. Loro, soprattutto. E non posso farci niente, so che il mio destino è anche questo.

Mi viene solo da stare in silenzio sullo sfondo, mentre gli altri tentano di riprendersi nella gita che ho organizzato.
Les mi guarda fisso con l'intento di infrangere il vetro scuro dei miei occhiali da sole, che fa da barriera alla vera espressione che ho in faccia. Conosce il coglione che è in me fin troppo bene per ignorare la mia scarsa partecipazione. Mi irrigidisco perché so che mi dirà qualcosa, e concentro tutta la mia attenzione nello svuotare gli zaini con la carne e il resto delle pietanze da arrostire su un tavolo da camping. Il risultato sta tutto nell'incremento della mia velocità: mi muovo nell'angolo cucina con la stessa frenesia di chi è inseguito da una scadenza.
Il panico mi assale e mi blocco non appena comprendo di aver svuotato tutto.
«Mannaggia, adesso dovrai trovare un altro lavoretto in cui alienarti.» Les mi punzecchia il fianco. «Purtroppo, Cas, mi sono già prenotato io per grigliare. Tanto tu fai cagare in cucina.»
Lo guardo con occhi spalancati. Lui li intravede da sopra la montatura. Non mi ero reso conto di essere così in ansia prima di adesso. Ho appena realizzato che l'unica cosa che mi rimane da fare è scontrarmi faccia a faccia con tutti loro.
«Che cazzo sto facendo, Les?» Sussurro. Lo vedo schiudere le labbra e accorgersi che non sono in grado di scherzare. Dopo qualche secondo si piega. Estrae dalla borsa frigo una birra e me la stappa.
«Vai ad intossicarti un po'. Ci penso io qui.»
Annuisco nervosamente e mi dirigo verso l'acqua accendendomi una sigaretta. L'erba è un cuscino comodo di fronte al blu cobalto della piscina gelida scossa dalla cascata. Vorrei tuffarmici dentro.
Les, invece, si accorge prima di me dell'arrivo di Oliver. Si sbraccia verso il cielo e lancia un urlo di esultazione quando atterra. Il nitrito e i colpi di zoccoli sul suolo attraggono anche me.
Che cazzo. E' arrivato su... un cavallo alato?! Non riesco a credere ai miei occhi. Mai vista una simile creatura in tutta la mia vita. La fisso per così tanto tempo che metà della mia sigaretta è diventata cenere.
Onestamente questo mi fa sentire ancor più di merda. E' perfetto, Oliver è perfetto. E' un cazzo di principe azzurro.
Fanculo.
Lo spettro di Nieve attraversa a un tratto la mia visuale. Mi ridesto e torno a succhiare fumo dalla mia sigaretta. Ho un conato di rabbia.
«E lui chi è?! E' B-R-I-O-R!» Les va incontro ad Oliver. Con le mani a megafono sulla bocca simula un coro da stadio. Gli tende una mano per un cinque. «Come stai, fratello? Cos'è questa meraviglia?»

 
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view post Posted on 8/3/2023, 16:38
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Non avrebbe voluto sciogliere la presa sulle redini, d'un tratto gli apparvero come l'unico legame sul quale avrebbe potuto contare. Nella semplicità di strisce di cuoio e di ferro, rappresentavano la via di fuga che gli restava, la possibilità di girare i tacchi, rimontare in sella e tornare... Dove? La domanda distorse l'atmosfera pacata che aveva guadagnato durante il volo, lasciando che la realtà circostante gli piombasse addosso vertiginosamente. Si era ridotto al punto di non avere un luogo – o qualcuno, vi aggiunse tristemente – che avrebbe potuto definire come casa. Bastò poco, allora, affinché tornasse il tormento degli ultimi mesi, il peso estremo che costringeva il respiro a mozzarsi di netto. Per un attimo tentennò al distacco dall'Alato, nei cui occhi color del mare cercò fiducia, la promessa di restargli accanto.
Il cielo, in qualche modo, aveva ottenebrato la mente, e la consapevolezza lo travolse fin nel profondo. Gli occorse il singulto della terra – lo scontro di zoccoli e di stivaletti sulla roccia di basso – per averne concretezza. Il cuore, infido bastardo, calunniava il tempo di una codardia che non gli apparteneva e che, in qualche modo, Oliver cominciava a percepire come presenza costante. Sopportava a stento perfino il tono della propria voce, la battuta d'apertura che aveva colorato di finta, vana allegria. La verità, in ogni caso, era più sottile del previsto: né rabbia né rimostranza, nulla del genere frenava il passo. O forse sì, su un piano che girava intorno al fallimento. L'intera riflessione che lo aveva condotto alla gita, d'altronde, sviscerava una problematica che lo pedinava da lungo andare, ovvero la scelta d'isolarsi. Non ricordava quando fosse accaduto per davvero, ma avrebbe potuto sindacarne i come e i perché in modo nitido, anche troppo. Il mutamento di giorno in notte, il senso d'insoddisfazione e d'inquietudine, il fatto stesso di non essersi più legato come avrebbe invece dovuto, e voluto fare. Il Quidditch gli aveva fatto un piacere, tutto sommato. Gli aveva offerto chiarezza pur scendendo a compromessi con sogni di gloria che, da giocatore e da appassionato, non avrebbe potuto evitare.
Magari, si disse, era la chiave di svolta. Malgrado si sentisse meschino ad indugiare verso simili pensieri, il cuore si contorse in un sospiro leggero, somigliante ad una preda che s'abbandona alla sconfitta. La voce di Les poté riportarlo con i piedi per terra, ancorandolo finalmente all'Isola di Skye come uno degli atolli che aveva adocchiato lungo la costa. Si concesse di stare al gioco, un po' perché ne aveva bisogno, un po' perché voleva davvero bene all'amico. E gli piaceva – gli piaceva da sempre – la verve spontanea che contraddistingueva Les. Era qualcosa che lui non possedeva, di cui talvolta era genuinamente invidioso. Gli batté il cinque, stringendolo subito in un mezzo abbraccio.
«Les, forza della natura» gli rispose. «È bello ritrovarti, come stai?»
Si passò una mano tra i capelli, tuttora alla rinfusa, pizzicandosi infine le guance che il vento aveva punto gelidamente. Pochi movimenti, pochi secondi: dietro di lui, l'Alato scalpicciò e nitrì come in atto di protesta. Sollevò una zolla di terra e d'erba, raccogliendo le ali al corpo come una creatura d'altri mondi, una visione maestosa cui lo stesso Oliver non s'era ancora abituato. Vi si portò di lato, carezzando il muso con delicatezza. Da una tasca interna dello zainetto, scivolato in avanti, recuperò un fascio di carote e ne porse una direttamente alla bocca del cavallo, che non si fece pregare due volte.
«Non è un incanto, Les? Si chiama Ira.» Porse una carota anche all'amico, con un occhiolino e un sorrisetto. «Non lasciarti impressionare dal nome, puoi carezzarla se ti va. Al massimo ti stacca un dito, ma non sarebbe la prima volta per noi.» Si riferiva, curiosamente, ad un episodio di anni addietro che coinvolgeva alcuni di loro, Penny, una borsa di galeoni e uno Snaso piuttosto suscettibile. Forse Les avrebbe ricordato, non era certo. Aprì bocca come a voler aggiungere qualcosa, guardandosi attorno con una tale rapidità da risultare buffo. Cercò Penny e fu pronto a chiedere a Les se l'avesse visto in giro, se fosse già nei dintorni. La storia del loro litigio aveva già fatto il giro della Casata? Individuò, invece, altri volti familiari: Nieve, nella discesa folle sulla Firebolt (una visione, quella, che gli confermò il talento che soltanto l'arbitro non aveva saputo cogliere a pieno), e il Caposcuola Grifondoro poco oltre.
Il cuore, puntualissimo, saltò un battito. C'era una ragione perfino più grande che aveva convinto Oliver a partecipare, e una parte di lui si confermò pronta a togliersi la spina dal fianco. Sciolse le briglie lungo il muso di Ira, permettendole di mordere più liberamente le carote che lasciò scivolare a terra. Ira non avrebbe avuto problemi, il campeggio sembrò un luogo sicuro. Non si sarebbe allontanato troppo.
«Les, ti dispiace se... torno tra un minuto.» Ad un cenno all'amico, gli fece intendere di voler salutare gli altri al volo. E in effetti sollevò una mano, cercando l'attenzione di Casey e di Nieve. Fece loro segno di riunirsi, come se d'un tratto avesse un'impellenza da comunicare. Cos'era, quel sorriso a fior di labbra? Il bacio di Giuda di un vigliacco oppure l'ombra di un abbraccio di consolazione? Si era ripromesso di non agire con giri di parole. Rapido, diretto, un cerotto tolto da una ferita. Infilò la mano in tasca, infatti, stringendo un oggettino di ferro nel palmo con tale ferocia da graffiarsi la pelle.
«Ciao, io...» Sono scomparso, gli suggerì veloce il cuore. Sperava, in ogni caso, di ritrovarsi con loro, chiedeva di dedicargli soltanto un momento. Il volto, benché ridente, tradiva una tensione che coinvolgeva il tremito delle palpebre. Socchiuse gli occhi, girandosi indietro verso l'Alato e pensando di voler parlare di lei, di Ira. Di voler raccontare il loro incontro, il loro primo volo insieme. Arrivò ad osare l'impossibile, ad immaginare d'invitare Casey, Nieve, tutti loro ad un giro tra i cieli. Invece, staccò la mano dalla tasca e lasciò brillare, limpida, la spilla da Capitano di Quidditch.
«Vorrei rassegnare le mie dimissioni.» Secco, una freccia a ciel sereno. Perfino la voce cullò una sfumatura di fiele, una parvenza di malinconia e di desolazione che provò (forse inutilmente) a stemperare con le successive, rapide parole.
«Credo sia la cosa giusta, ci ho riflettuto. Non è un tirarsi indietro» – sentì l'ironia farsi beffa di lui – «ma consapevolezza. Volevo parlarne con voi, anche perché trovo vi sia già il successore.» Se gli fosse stato possibile, avrebbe spostato lo sguardo dall'uno all'altra. Soffermandosi, alle ultime parole, verso Nieve. Altrimenti avrebbe ripetuto, più o meno allo stesso modo. Aprì bocca, come a voler aggiungere altro. La spilla, sulla mano, gli sembrò catalizzare un diniego estremo, e si pentì immediatamente dell'eventualità d'aver tinto negativamente un giorno di... festa, più o meno.

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"Gran Sacerdote del Tempio della Pizza"

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I couldn't help it, yes, I let it get in
The helpless optimism of spring.


Il vento ha il sapore dell'acqua fresca.
Mi dico ciò mentre costringo la bocca a rimanere aperta, mostrando la fila di denti al mare sotto di me.
L'isola di Skye, una delle mete che da anni considero di visitare, si apre oltre la coltre di nubi, mentre mi lascio abbandonare verso la terraferma.
Sulla mia schiena svetta uno zaino da viaggio le cui cinghie vengono percosse dal vento, seguendo la direzione della corrente assieme alle falde della sciarpa grigia e i capelli biondi.
Il mio sorriso si incrina quando nel mettere a fuoco il Fairy Camp, annuncio il mio arrivo con un fragoroso
«BONJOOOUR A TOUT LE MOOONDE»
Prendo un profondo respiro, mentre sollevo lentamente la schiena e costringo la Firebolt a rallentare, fino a frenarsi a pochi metri dalla griglia che Les si sta preoccupando di allestire.

I miei capelli biondi, arruffati dopo il viaggio, sono lasciati liberi lungo le spalle e la schiena, ad eccezione delle ciocche superiori che ho raccolto in due code ai lati della testa, aiutando soltanto a farmi apparire più piccola di quanto non sia.
Se per gli Archenemies i Grifondoro è nota la mia identità, sarebbe stato facile per altri campeggiatori scambiarla per uno dei membri della scolaresca in gita.
Sotto il cappotto si intravedono le pieghe ocra della mia gonna, così come una lunga serie di strati di diverse gradazioni di nero e grigio di indumenti sovrapposti e leggeri.
Non soffro il freddo - anzi, un po' tutto il contrario - e l'Isola di Skye ha un clima che ricorda più quello della mia amata Islanda che del sud dell'Inghilterra, quindi la sciarpa e il cappotto, assieme ai guanti di pelle di drago, sono abbastanza da reggere il clima.
Una volta lasciato cadere in terra lo zaino e il cappotto, però, un brivido di freddo risale la mia schiena, lasciando che la brezza primaverile pizzichi la pelle parzialmente esposta sotto la trama retata del tessuto.
Inspiro ed espiro, guardandomi attorno, beata.

Lo stress della Competizione è per me ormai lontano.
Il Torneo Crownspoon era un'esperienza e come tale era da considerarsi per me un evento interessante per mettermi alla prova, fine a se stesso e alla breve parentesi che ha riempito le mie giornate.
Abbiamo perso, ma non posso evitare di sorridere nel guardarmi attorno e riconoscere alcuni dei presenti.
Do una leggera pacca alla Firebolt poggiata contro la mia spalla.
«Come sono giovani e bellini.»
Sussurro, inclinando la testa contro il manico di legno e lasciando che con un fragoroso "tonc" la mia fronte vi cozzi contro con troppa energia.
"Ahia"
Sbuffo, trattengo una risata a fior di labbra e poi nuovamente allontano e riavvicino la testa, dando una seconda - ma più leggera - testata al mezzo.
«Ora siamo pari.»
Sì, parlo con gli oggetti. Non me ne si voglia.
Forse è per quello che mentre mi accingo a recuperare il mio bagaglio e cercare Aion, per sapere dove poter lasciare le mie cose, che il mio sguardo si sofferma sulla tasca frontale dello zaino: al suo interno è custodita la sua macchina fotografica.
«Le foto ricordo per dopo.»
Faccio giusto in tempo a notare la figura del Caposcuola e pochi metri più in là il suo compare che il mio sguardo si sofferma su un dettaglio non da poco.
C'è un dannatissimo cavallo alato.

La firebolt mi cade di mano, ruzzolando su un lato e fermandosi solo per grazia dei poggiapiedi metallici all'attaccatura della saggina.
"Iperventilo. Urlo. Mi do per matta. Urlo e faccio svenire tutti. Che gli Antichi mi abbiano in gloria, allons-y et faites-le sortir Oliver Brior a cavallo, ma cosa stiamo diciamo scherziamo."
Abbandono a questo punto anche lo zaino, lasciando i miei averi alla mercè del prossimo, mentre con ancora sciarpa e guanti addosso muovo qualche passo verso il laghetto, le fairy pools come tendono a chiamarle i locali.
Sfilo con i denti i guanti, lasciandoli passare sulla sottile cintura nera alla vita.
«Se si chiama "Bolide", "Furio" o "Bellezza" è la volta buona che mi licenzio.»
Aion è probabile possa sentirmi, mentre con un tono di voce divertito, scocco un'occhiata a Oliver poco più lontano e chi accorre in sua direzione.
«Stavo per chiederti se volevi una foto, però sembra tu stia per: a) darti all'omicidio, b) fare protesta e inscenare un coro, c) fare la cacca.»
Buongiorno Aion, sono strana, come va? Non ci si sente da un po'? Tutto bene a scuola? Gli amici?
La prossima volta devo ricordarmi di smetterla di sorridere mentre parlo, o finisce che tutti pensano che o sono scema o che li voglio sempre prendere per il culo.

 
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view post Posted on 9/3/2023, 00:02
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I felt so much,
that I started to feel nothing

N
onostante l’esito disastroso, il Quidditch è stato un vero balsamo per la mia anima. È stata la distrazione perfetta, una causa a cui dedicare il cento per cento delle mie attenzioni. Per alcune meravigliose settimane, ogni volta che mi ritrovavo senza niente da fare, c’era sempre il Quidditch ad impegnare il mio cervello. Giocare era la parte migliore, tutto il resto veniva dimenticato per lasciare spazio solo a Pluffa, Bolidi e Boccino. E il fatto che fosse uno sport fisico, duro e a volte violento è stato paradossalmente un bonus: purtroppo devo ammettere che il dolore causato da un bolide è il miglior modo per non pensare ad altri dolori di tipo diverso. Certamente perdere tutte le partite non è stato facile da digerire, soprattutto considerando che non sembravamo veramente così inferiori rispetto alle altre squadre, sembrava piuttosto che il fato ce l’avesse con noi non si sa bene per quale ragione.

Accolsi la notizia della gita all’isola di Skye con tiepido entusiasmo. Da una parte era una nuova fonte di svago che non avrei disdegnato, ma il pensiero di condividere un’intera giornata con la mia ex-migliore amica non mi entusiasmava così tanto. La probabile presenza di Alice rendeva tutto più complicato, soprattutto dopo quello che era successo al ballo; non avrei saputo gestire un’altra scenata, inoltre le sue parole mi avevano ferito come lame taglienti, e la consapevolezza che, dopotutto, aveva ragione lei rendeva tutto più frustrante. Però alla fine avevo detto di sì, e lo avevo fatto per due motivi in particolare. Innanzitutto non volevo che un mio possibile rifiuto facesse credere agli altri Archenemies che ce l’avevo con loro per le sconfitte collezionate. Niente di più diverso, dovevo alla squadra il periodo più tranquillo dell’ultimo anno. Il secondo motivo era più o meno simile al primo, ma focalizzato su una persona in particolare: Oliver, ovviamente. Era stato un capitano a 360 gradi, non solo si era occupato di aiutarci a migliorare, ma era anche stata la nostra roccia anche a livello emotivo. I suoi discorsi pre-partita erano riusciti a toccarmi sempre molto nel profondo, e ci tenevo ad onorarlo come meritava. Oliver era una delle poche persone con cui, forse, sono riuscita a non rovinare i rapporti. Tirando le somme, anche la scelta di partecipare alla gita l’ho presa pensando più agli altri che a quello che provo io. Non è una grande premessa, probabilmente il mio ennesimo errore ma, tant’è, ormai è andata così.

La partenza è stata fissata all’alba. Durante la rapida colazione me ne sono rimasta in disparte, infatti tra gli obiettivi della giornata c’è quello di non attirare troppo l’attenzione e rimanere a distanza di sicurezza da Alice. Stavolta voglio stare attenta a non provocarla neanche in modo involontario. Spero che mi stia lontana come cercherò di farlo io, per quanto faccia male è la cosa migliore per il quieto vivere di tutti.
Quando partiamo mancano alcuni importanti membri della squadra, l’assenza di Capitano e Vice-Capitana non passa inosservata. La cosa mi preoccupa un po’, ma cerco di non pensarci, dentro di me non si spegne la speranza che ci raggiungano. Rimontare in sella alla Firebolt mi tranquillizza subito, mi sembra che le preoccupazioni non mi seguano in alta quota, rimangono sulla terraferma mentre io riesco a scivolare via leggera come il vento. L’aria è fredda e rigenerante; riesce a svegliarmi più del caffè che ho preso prima di partire. E l'isola di Skye dall'alto è uno spettacolo mozzafiato; il verde della Scozia ha veramente qualcosa di magico, sembra brillare più del normale. Mi ridà un po’ di buonumore: forse questa gita andrà meglio del previsto.

Atterriamo in un campeggio nei pressi delle Fairy Pools, dove abbandono Firebolt e zaino - riempito di dolcetti e schifezze varie. Nonostante faccia parte della comunità magica già da un po’, non conosco ancora tutti i posti veramente magici della Gran Bretagna, ma sembra che questo sia uno di quelli. Di sicuro è magico dal punto di vista convenzionale: le piccole piscine naturali formate dalle cascatelle sono deliziose, se solo fosse più caldo ci immergerei subito i piedi. Mi avvio dietro ad un paio di Concasati (di cui non so bene il nome) che iniziano a risalire il fiumiciattolo, li sento dire che vogliono cercare le altre cascate e le fate che popolano il posto. Fare una passeggiata mi pare una buona idea: mi terrà impegnate testa e corpo per un po’.
Camminiamo da un paio di minuti quando un’ombra che ci passa davanti ci obbliga ad alzare lo sguardo in alto. L’immagine del cavallo alato mi sconvolge. Lo so che ormai non dovrei stupirmi di nulla, ma l’incontro con una creatura magica del genere è sempre molto impattante. Il cavallo e il suo cavaliere - che non riesco ancora a distinguere - si stanno dirigendo proprio verso il campeggio. Senza neanche bisogno di dirlo ad alta voce, facciamo retrofront e torniamo indietro: le cascate non vanno da nessuna parte, il bisogno di vedere la creatura più da vicino è decisamente dominante. Se mi ha sconvolto la vista del cavallo, scoprire che a cavalcarlo è proprio Oliver è sconvolgente ancor di più… dove si è procurato un cavallo volante? Però avevo ragione, è arrivato sia lui che Nieve!
Non sono l’unica ad avvicinarmi a lui: il suo arrivo è riuscito ad attirare l’attenzione di più persone (un cavallo alato non passa propriamente inosservato!), e per questo mi blocco. Vorrei avvicinarmi, magari provare ad accarezzare il cavallo e scambiare qualche parola per Oliver. Vorrei ringraziarlo per tutto, ma preferirei farlo senza troppa folla intorno. Quella piccola esitazione mi ruba l’occasione per parlargli: Oliver mi precede, prendendo in disparte Nieve e Casey per parlare con loro. Mi pare una cosa piuttosto strana, Oliver ha a malapena salutato i presenti, poi si è subito lanciato su di loro, chissà cosa ci sarà sotto? Un po’ dubbiosa, rimango ferma, lo sguardo si sposta da loro - non voglio che pensino che mi voglia impicciare - al cavallo. Vorrei avvicinarmi, ma dopo aver incontrato un Grifone ho imparato che con le creature magiche bisogna stare molto attenti.

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Edited by V i v i e n n e - 6/5/2023, 23:53
 
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view post Posted on 9/3/2023, 14:29
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entropia.

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TW: linguaggio colorito


Standing alone on that hill
Using your fuel to kill

Da quanto tempo non prendevo parte a un evento con così tante persone? Se si esclude il ballo, ovviamente. Il ricordo di Godric’s Hollow e delle sue miniere si appalesa con snervante solerzia, alle sue spalle un corredo di colori e schiamazzi pronti a mostrarmi quanto fossero diverse le circostanze —quanto fossi diversa io.
Osservo con una certa meraviglia il cavallo alato di Oliver senza nascondere a me stessa il desiderio di avvicinarmi. Il parallelismo è immediato con il thestral che proteggo gelosamente a Villa dei Gigli e che, per un istante soltanto, ho pensato di portare con me sull’isola di Skye. L’idea di esporlo, di spaventarlo e anche quella di esporre me stessa —che, un patentino, non l’ho mai preso e che ho letteralmente rubato un esemplare alla Foresta Proibita di Hogwarts— mi ha infine dissuasa.
E, poi, che figura avremmo fatto? Serro le labbra, irritata, e muovo di scatto il capo verso l’orizzonte, riflettendo sull’evidenza che per l’ennesima volta avrei perso nel confronto con qualcun altro. Non che ci siano mai stati dubbi su questo versante! Oliver Brior è sempre stato l’esempio della rettitudine, della moralità, della popolarità tra i Grifondoro. Che sia arrivato in sella a un cavallo alato —attirando l’attenzione del presenti come un aitante cavaliere— è la dimostrazione di ciò che non ha mai smesso di essere: un punto di riferimento di inequivocabile valore. Io, emaciata e quasi invisibile nel mio ostentato pallore, sarei apparsa come la sua sciocca e invidiosa caricatura insieme al mio destriero scheletrico, memoria di morte. Sempre un passo indietro, sempre invisibile non soltanto rispetto a lui ma rispetto al resto del mondo.
Un’ironia amara sale a macchiarmi la bocca e un peso sul petto muove gli zoccoli, intanto che Les accoglie Oliver come merita. Per un attimo il mio sguardo incrocia quello di Aion, ma l’invisibilità plana su di lui e smetto di vederlo, trascinata dalla risacca dei miei pensieri.
È solo diversi minuti più tardi che mi riscuoto con l’arrivo di Ariel, brioso come solo lei sa essere, e mi ritrovo a sorridere in modo inconscio. C’è qualcosa di magico in lei, una scintilla vitale che non ha nulla a che vedere con il potere magico bensì con una fiamma che le arde dentro ed è capace di scaldare chiunque le si avvicini. Ha salvato anche me, del resto…
Per ironia della sorte (o forse neppure troppa), è proprio grazie a lei colgo il gesto di Oliver. Aggrotto la fronte e batto le palpebre, domandandomi la ragione della convocazione. Ho imparato, però, a non indugiare troppo nella vita perché non è nell’attesa e nel rimuginìo che si trova la via per il sollievo.
Sono di fronte a lui, alla persona che ho chiamato amico e che adesso stento a riconoscere. Con le braccia incrociate sul petto e l’espressione di ghiaccio, lo osservo contorcersi nel disagio. Tutto ciò cui riesco a pensare, tuttavia, è l’immagine del ballo e del corpo che mi ha sovrastata; e di Horus che si frappone tra me e il mio assalitore. Non Aion né Oliver né un altro dei miei concasati. Horus Sekhmeth, lo sconosciuto che ha tentato di farmi fuori con dei proiettili ad aria e che poi, in preda ai rimorsi, mi ha lasciata andare attraverso un’uscita secondaria del Ministero della Magia.
Quando il senso delle parole di Brior mi raggiunge, le mie risuonano nell’isola di Skye con reboante cinismo: «E pensi che sia questa la soluzione? Che sia io?»
Lo guardo seria, il respiro regolare e la mente sgombra da ogni pensiero. Nella mia conversazione con Oliver, è come se Aion non esistesse; come se non facesse parte dello scenario —tappezzeria in una stanza piena di ornamenti molto più interessanti di lui. Se è rabbia che provo nei suoi confronti, deve aver fatto presto a travestirsi in quella subdola versione d’ira che si serve del freddo per ferire.
«Io che non ho preso nessun boccino su tre partite. Io che non ho detto nemmeno una parola d’incoraggiamento ai nostri compagni e che, prima della seconda partita, me ne sono stata per i fatti miei tutto il tempo anche durante gli allenamenti». La mia oggettività è quasi stordente. «Andiamo, Oliver! Sei più intelligente di così e lo sai anche tu!»
Ma non ho finito. Io non finisco mai. Risolvo l’intreccio delle braccia e, nel voltarmi in direzione dei presenti, allungo un braccio per indicarli con un movimento fluido. Voglio che Oliver segua il mio ragionamento e che abbracci con lo sguardo lo spiazzo in cui ci troviamo ma soprattutto le persone che sono venute qua per questa gita del cazzo.
«Pensi che loro vogliano che rassegni le dimissioni da Capitano? Che ti incolpino di come sono andate le cose?» So che è da bastarda coinvolgere tutti in una conversazione che l’altro ha tentato di tenere nascosta, ma la persona che sono adesso non per il politically correct. «Oppure sei davvero convinto che, se qualcun altro fosse stato Capitano, quella troia di un arbitro non ci avrebbe fischiato un rigore che non c’era e un’espulsione inventata di sana pianta?» Le mie domande scaricano una tensione che, ciononostante, non può fare a meno di salire. «Vorrai perdonarmi, ma questo significa avere manie di protagonismo!»
Torno a incrociare le braccia, ferma nella mia fredda logica, le onde dei lunghissimi capelli bianchi sfiorati dalla brezza infida della costa scozzese. Sfilo dalla tasca posteriore dei pantaloni una spilla simile a quella di Oliver per rilievi e angoli. La tengo sul palmo qualche istante, quanto basta a rendermi conto che la gioia di un tempo si è trasformata adesso in indifferenza. Poi, la lascio cadere sull’erba e la pesto violentemente con la suola della scarpa.
«Per quel che vale, io ho mollato prima di te e non ho bisogno di tutte queste cerimonie. Tu fai quello per cui sei tagliato e non abbandonare i ragazzi proprio nel momento in cui hanno più bisogno di te.»
Poi, volto le spalle e m’incammino verso un punto della foresta lontano da questo cazzo di campeggio.

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view post Posted on 9/3/2023, 18:31
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You can own the Earth and still, all you'll own is Earth until You can paint with all the colors of the wind

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Ist mir alles scheißegal,nur dieses eine letzte Mal


Weißt du, immer wenn ich drift
Dann nur, damit dich ein Funke trifft
Brauche nur ein'n kurzen Lichtblick

É
difficile immaginare di partire per una gita dopo essere stati sconfitti per ben tre volte di seguito. Ma dopotutto i perdenti devono pur radunarsi da qualche parte a lanciar le macumbe a quella spazzatura di arbitro che gli è capitata. E noi Grifondoro le macumbe le lanciamo con stile. Da quando sono venuta a sapere della gita l'unica cosa che mi ha tenuto alla deriva è stata proprio la possibilità di poter maledire pubblicamente la figura più disprezzata durante il campionato e soprattutto, farlo nel calore della propria casa, dei propri compagni che come me sono passati attraverso avvenimenti dalla stranezza e coincidenze unici. Dire che ci hanno buttato il malocchio sulle scope sembrerebbe solo un eufemismo a confronto, le voci girano e io sono sempre più certa che siano vere. Ovviamente aver perso mi brucia enormemente, tanto che per tenere a freno la voglia di introdurmi furtivamente nell'appartamento della Ostensen mi sono messa a creare una sua versione gigante, fatta di paglia e legnetti con sopra addirittura la sua faccia intagliata in quella che mi sembra la sua più fedele rappresentazione. Una maledetta biscia con gli occhi strabici. Una versione realistica di quella che sarebbe la Medusa dei giorni nostri. Ho anche riprodotto il suo taglio di merda.
Creare il suo fantoccio mi ha dato un'immensa soddisfazione, tanto che mi sono permessa perfino di stilare un rituale secondo il quale andrà bruciato. Nel trascrivere ogni singola procedura sono serissima, anche se in sala comune mi prendono in giro da giorni, dicendomi di star dando segni di un esaurimento nervoso. Ah ve ne siete accorti solo ora? E' dalla partita contro i corvi che penso di aver perso il concetto di pazienza. Mentre raduno tutte le cavolate che voglio portarmi dietro mi accorgo che sarebbe un'ottima occasione per provare il tappeto volante acquistato qualche tempo fa, insomma non ho ancora avuto modo di sfrecciare su quella specie di limousine magica, lo afferro e quasi mi dimentico il libro sul quale ho trascritto il Sacro Rituale. All'interno abbiamo anche l'assegnazione di diversi premi, sempre scritti e inventati da tutti noi, in maniera giocosa e demenziale, tanto perché più che prenderci per il culo da soli non possiamo fare altro. L'omidicio è un reato punibile con diversi anni ad Azkaban purtroppo e forse con i diciassette anni finirebbe per andarmi molto peggio, essendo per legge adulta. Dopotutto cosa potrà mai succedere ad un raduno di adolescenti incazzati, depressi e con seri problemi di relazioni interpersonali, imbucati nel mezzo del nulla con a disposizione tutto? Io mi chiedo ancora chi firmi i permessi ad Hogwarts, anche se sinceramente a questo punto mi verrebbe solo da stringergli la mano. Voglio divertirmi. Sembra assurdo pensare ad una cosa del genere considerando tutte le emozioni che tengo ferma nel petto, il dover rivedere determinate persone, la delusione e la frustrazione per il campionato andato male, l'ansia che ho di finire in un cazzo di posto circondato da acqua. Eppure ho una fiamma dentro che non osa spegnersi. Non so bene come io faccia a tenerla viva, ma mi alimenta, la sento sotto pelle, la avverto nel vibrare sordo del respiro, nell'aria che mi circonda. Voglio scrollarmi di dosso questa merda di vita, cazzo. Voglio respirare. E se si può anche a spese della Ostensen.

Quando arrivo mi rimangio tutto quello che ho pensato pochi secondi prima. Prima di tutto acqua rimane un eufemismo, quelle cascate, piscine, laghi ma chi stracazzo si è inventato di finire proprio lì? Forse Valerio Scanu, ma non di certo il mio psicologo. Volar fin lì sulla mia Firebolt quasi di procura un attacco di panico, tanto che mi appresto a scendere un po' prima degli altri, per raggiungere il posto a piedi, dalla foresta nelle vicinanze. Per fortuna non ho dovuto portare nessuno con me, o sarebbe stato davvero dura da spiegare. Ho i battiti a duemila e mi tremano le mani, mi sembra di sudare freddo.
Devo semplicemente pensare a qualcos'altro, prendere la mia tenda babbana e fare campo in una cazzo di grotta piuttosto. Sono bravissima a fingere di star bene, dopotutto, non manca che inscenare un nuovo atto, anche se dentro sento l'ansia mangiarmi lo stomaco. A risvegliarmi dai miei tormenti sono i miei compagni di casata, praticamente il motivo principale del perché sono finita fin lì. Doveri di prefetto. << Oh Al, guarda che il fantoccio lo abbiamo messo di là, ma manca la testa--- volevamo montarlo ma ci servono le istruzioni. >>
Sorrido piuttosto soddisfatta mentre mi avvicino al campo di tende colorate, il vociare allegro sembra già tranquillizzarmi.
<< Pff la testa ce l'ho io vi pare. E comunque ora arrivo, mi raccomando ci serve un casino di legna, dobbiamo fare una pira ENORME. >> mimo con le mani le dimensioni della pira, anche se esagero come mio solito, finendo per far scompisciare gli altri di fronte a me. Un lungo sospiro, devo tener duro. Mentre mi avvicino, così fanno altrettanto altri concasati invadendomi di notizie una dietro l'altra. La prima di un cavallo alato sul quale Oliver sembrerebbe essere arrivato, una cosa assurda e assolutamente fighissima. Con la coda dell'occhio mi sembra di vedere diversi membri della squadra di Quidditch e sullo sfondo un enorme cavallo bianco. Adoro.

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Edited by Nontiscordardime - 9/3/2023, 19:57
 
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view post Posted on 14/3/2023, 22:46
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We are all immortal until proven otherwise

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Don't you feel lonely living in
your own little world?

Voglio ammazzarmi.
E' la frase che mi risuona in testa quando mi si accelerano i battiti. Capita piuttosto spesso negli ultimi tempi che vada in tachicardia. Mi basta un pensiero dannoso o un piccolo inconveniente che spezza la mia routine. A volte è perché mi sento gli occhi degli altri puntati addosso. Una catena di ragionamenti mi induce a trovare come unica risposta che il malessere che gli altri provano in mia presenza e che io provo sia solo colpa mia.
E' una frase improvvisa, una reazione istantanea similare ad una qualsiasi radicata autodifesa. Il richiamo del vuoto è una promessa di cessazione del dolore e della nevrosi, e penso che inconsciamente io stia cercando questo. Ci sono persone che trovano alienazione nell'amore, nel sesso, nella violenza e nelle droghe. Io sento forte il richiamo dell'autoannullamento.
Quest'acqua così blu mi ricorda gli occhi di Megan e mi fa sentire perseguitato, persino nella calma assoluta di un luogo come questo, dai miei demoni interiori. Anche in questo sono sbagliato. Non ho la capacità di darmi tregua e di lasciarmi niente alle spalle. Sono ancorato alla terra con radici fatte d'odio.
Ma c'è un punto scuro dentro il lago fra le rocce, una pupilla nera. E' lì che mi vorrei calare, frantumando questo meccanismo.
E mentre penso e osservo la meravigliosa acqua, una voce, sconnessa a tutto il resto, continua a ripetere la frase.

«Stavo per chiederti se volevi una foto, però sembra tu stia per: a) darti all'omicidio, b) fare protesta e inscenare un coro, c) fare la cacca.»
E' un dolore strano quello che sento quando Ariel si immette a forza nella mia situazione. I raggi danzano sui suoi scintillanti capelli chiari anche oltre i vetri scuri dei miei occhiali. Assieme al suo sorriso fanciullesco. Ne strappa uno anche a me, tiepido.
«Più o meno qualcosa del genere, sì» dico. «Niente foto, per favore. Non ho una buona cera. Oliver e Les potrebbero essere degli ottimi modelli, però.»
Voglio tornare al mio buio in fondo al lago. Ma mi sento male a mandarla via.
«Tu... come stai?»
Non ho sentito il richiamo di Oliver. Lo sento solo avvicinarsi all'ultimo con Nieve e l'angoscia mi risale in gola spinta dal cuore in tumulto. Voglio ammazzarmi, ma la frase di Oliver spazza via ogni pensiero.
«Vorrei rassegnare le mie dimissioni.»
Tutto ciò che segue a questo è puro dolore. Vedo nel mio amico uno sguardo afflitto. Io non so che dire e boccheggio, voltandomi verso i guizzi d'acqua. Mi domando se Ariel sia ancora lì, a sentire.
La mia reazione e quella di Nieve sono del tutto contrarie. Mi urta vederla, mi provoca disgusto. La sua voce è uno stridio insopportabile alle mie orecchie. Il timbro è arrochito da un parassita che l'ha resa una persona che non riconosco più. La sua spavalderia si è trasformata nell'arroganza di un essere che crede di conoscere ogni cosa ma che non riesce a riconoscere nemmeno se stesso.
Io resto immobile, con la pelle d'oca per l'emotività che le sue urla mi scatenano dentro. Voglio solo non fare parte di questo e togliermi dall'occhio di bue che lei ha acceso.
Calpesta la spilla. Un gesto fortemente simbolico. Se ne va.
Nieve è instabile, e le persone instabili provocano orrore e sgomento perché considerate imprevedibili. Solo che ai presenti manca un tassello: Nieve è una drogata, e per questo è estremamente prevedibile.
Condivido uno sguardo di scuse con Ariel e mi rivolgo ad Oliver.
«Dobbiamo parlare. Da soli.»

Invito Oliver ad allontanarci. Pochi metri più avanti ci rifugiamo accanto allo scroscio continuo di una piccola cascata.
«Ha ragione» comincio. «In tutto» aggiungo.
Mi sento morire, anche se paradossalmente non è questa la sensazione che vorrei. Soffro, lontano dalla pupilla nera dei fondali.
«Prima di prendere questa decisione, Oliver, fa passare un po' di tempo. Non ci sono partite nell'immediato futuro, né allenamenti mi sembra.»
Faccio fatica a parlare. La mia voce è più quieta di quel che gli altri ricordano. Più sommessa, quasi un bisbiglio, perché non trova forza nel respiro. Come se, in realtà, io non voglia farmi sentire. Si paragona ai miei movimenti: idealmente mi trascino nello spostarmi da un posto ad un altro, fiacco e privo di energie. Mi fa sorridere che, colpito dal suo significato durante una lettura in biblioteca, abbia fatto mio il concetto di aion, perché questa energia vitale mi è lontana.
«Se lo farai, non te lo potrai perdonare. So che adesso è puro dolore, so che ora vuoi solo morire» —sorrido anche a questo, amaramente— «ma se lasci che questa sconfitta diventi una legittimazione per sentirti umiliato, te ne pentirai.»
Respiro, a fatica.
«Penserai "da che pulpito", ma io ho capito di non essere tagliato per lo sport da quando un giorno, anni fa, ho visto allo specchio le mie chiappe flosce. Tu, invece, hai sempre nutrito questa passione.»
Mi piace l'idea di poterlo fare ridere, è un bell'obiettivo a cui abbandonarsi.
«Ascoltami, Oliver. Adesso l'unica cosa che bisogna fare è accettare la sconfitta e non identificarsi con essa. Poi, rimboccare le armi e imparare dagli errori, qualsiasi essi siano stati. Puoi trarre del buono da questo. Puoi trovare la spinta per trovare nuove strategie e scoprire che in realtà tu hai un grande talento. Un giorno, probabilmente, ringrazierai questo dolore. Fallo tuo e non dimenticarlo mai.»
Le parole, adesso, scivolano via dalla mia bocca come una canzone che ho imparato a memoria. Mi accorgo solo ora, che devo toccare l'argomento più arduo, di quanto sia stato calmo nell'incoraggiare. Il nervosismo adesso mi mozza la voce in gola.
«Per quanto riguarda Nieve» sussurro «io non penso che potrebbe essere una buona guida, né un vice.»
La reazione di Oliver mi spaventa. Se non faccio in fretta a spiegarmi potrei non farmi capire.
«Ho la certezza che lei assume droghe. Non leggere. Scommetto che lo faccia regolarmente, perché la sceneggiata al ballo non è stata la prima di cui sono venuto a sapere. Come Caposcuola sento voci da tutte le parti, ma ho già vissuto qualcosa del genere prima della sua ricomparsa a scuola.»
Guardo negli occhi, ancora, il mio amico. Qualsiasi sarà la sua reazione, io sono già rotto dentro.
«Per cui: no. Non Nieve. Scegli qualcun altro. Alice, Vivienne, che sono appassionate e in gamba. Immaginati solo che qualcuno venga a sapere che il capitano della squadra di Quidditch di Grifondoro si "dopa", o qualsiasi altra cosa vogliano rigirare. Ci resteremmo tutti secchi. E oltretutto, lei è un pericolo per gli altri e per se stessa, e ha bisogno di aiuto, non di questo.»



Bellezz, vi prego di non mettere Aion nel parlato perché mi piacerebbe fare questo coming out in role. :flower: denghiù, scusate la poca chiarezza.
 
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view post Posted on 19/3/2023, 16:08
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Don't you feel powerless living in
other people's worlds?

Oltre le cascate, il vento è in confusione. Avanza, sospira, trema – è un plotone d'esecuzione, d'aria gelida e gocce di tempesta. Eppure, mi dico, la giornata è limpida: il sole è un oltraggio al presente, il grido di un cielo che conosce armonia e che, a sua volta infedele e codardo, cela una tela d'ombra. Ho come l'impressione di arrestarmi – il volto granitico, l'incarnato pallido, il velo di una smorfia che veste l'illusione infranta dell'ultimo sorriso. D'altronde, penso, non è poi una novità. Scendere a compromessi con me stesso è stato il tassello vincolante per partecipare a questa gita. Non posso negare di aver desiderato, nel profondo, un momento di pace – l'idea di vincere lo scacco con il mio tempo, di godere semplicemente un cambio di rotta. Quanto è durato, tuttavia, non mi sorprende. Tutto, in me, è condanna. Ho la presunzione di legare le mie parole alla scintilla d'esordio, a credere di essere stato io – soltanto io – ad appellare il dissapore che ci coinvolge. Scioccamente, ancora, accuso la voce, il cuore, infine la mente... è colpa vostra, vorrei gridare loro. Colpa vostra, non più mia. Anelo alla rabbia, d'un tratto, come un fiume in piena. Le mani tremano, insieme confuse e impossibilitate all'azione. Comprendo, invero, la reazione che mi attrae e respinge di pari modo: è nervosismo, perché ho il timore d'essere posto alle strette; eppure... è soprattutto patimento, perché sento di essere – per voi – invisibile.
Talvolta, infatti, è come se fossi un'altra persona ai vostri occhi. O forse, penso, agli occhi di tutti. Oliver Brior, la patina d'oro di una vita di successi. Cassetti traboccanti di spille e di targhette di spicco, boccette di memoria di chi non accetta la resa. Ma... è caotico, in me, il disegno del tempo. Porta con sé domande di cui, oramai, conosco la risposta. E trascina – nel visibilio dei miei anni più giovani – il passo costante della Morte.
Credete che io sia impeccabile, penso. Credete che sia il cavaliere tutto d'un pezzo, l'eroe di una fiaba che è destinata al lieto fine. E... mi delude, mi travolge la percezione di essere questo, semplicemente questo, perfino per voi. Io, che ho pedinato la decadenza dei mondi. Io, che ho vissuto l'angoscia di chi anticipa, inerme, ogni trapasso. Io, che ho visto amore, amicizia, ogni affetto estirparsi alla mercé del tempo. Dimenticate, vorrei urlare. Dimenticate i mesi che ho trascorso in infermeria, e in ospedale, e in letti di cui ho tuttora spavento. Dimenticate la solitudine che mi ha sconvolto e che ora, a malincuore, torna, torna, torna in eterno. Sei più intelligente di così – il modo in cui pesti la spilla che io, io per primo ti ho donato – so che sia dolore – che vuoi morire – hai nutrito passione, io, io, io... Voci, le vostre, che mi tormentano. Mutano in spoglie demoniache, si nutrono del sonno che ho relegato altrove. Vi prego. Vi scongiuro. Pietà.
Poco dietro, l'Alato percepisce la mia inquietudine. Il vento si rende amaro per entrambi, le ali brillano candide nel brivido che le percuote. Raccolte al busto, indietreggia di pochi passi – non si lascia carezzare da nessuno, non più. Attende un ordine, il nitrito più simile al ringhio. Ira è tempesta, lo sono anch'io. Ma è tempesta che argina la pioggia, è tempesta che bagna la terra, e la carezza. Il vento, in noi, è un arcano che muta consistenza – il mio cuore, infatti, è triste. La verità è disarmante.
«No, Cas.» Ho seguito Nieve andare via, senza dire una parola. A te, Casey, rivolgo il mio tono spezzato. La mia voce ha il richiamo dell'acqua piovana, è culla dolce di sentimenti più grandi di me. Cosa provo, chiedo perfino a me stesso. Forse è tensione, rabbia, dispiacere? No, è un connubio che non distinguo. Mi abbasso appena, raccolgo la spilla da Vice-Capitano che Nieve ha appena abbandonato. Questa scena – rapida, in evoluzione – è l'emblema del mio sentire. Carezzo la spilla, pulendone la superficie da terra, polvere ed erba. Questa, penso, è la testimonianza del fallimento: né il Quidditch, né il mio passato, né le mie parole concluse. Il modo in cui ci separiamo, è questo che mi annienta.
«Non mi sento morire, non sono mai stato così lucido.» Ed è vero. Così com'è vero quanto detto dal Caposcuola. Per me, infatti, il Quidditch è sempre stato passione, è stato gioco. Una parte di me, però, ha oramai compreso che non sia mai stato competizione: il Quidditch mi ha tolto troppo, nel tempo. Tengo per me l'idea di voler ritirarmi perfino dall'intera squadra, è un pensiero affrettato. Stringo le spille, tutte e due, finché ti cerco.
Ti sorrido, Casey. Ti sorrido timidamente: forse perché ti chiedo perdono, forse perché ascolto la tua ultima battuta, forse... perché voglio che sia questa, di me, l'immagine presente. Le visioni, incastrate in palpebra, mi guidano via, via da te, via da noi. Ma non ho paura, non è sconfitta. La mia mente è in confusione, di nuovo. Lo sono i miei pensieri, lo sono i miei sentimenti. Ogni mia reazione, oggi, è pericolosa. Mi lascio portare ovunque tu voglia, Cas. Quanto mi comunichi riguardo Nieve mi opprime – la schiena s'inclina, il volto pure. Il tempo, d'un tratto, è infranto. Cosa è accaduto, mi chiedo. Cosa ci ha portato all'eclissi d'ogni bellezza? Ho il cuore che batte convulsamente, le gote sferzate. Quello che mi dici è troppo grande, è una rivelazione che non afferro pienamente. Forse, mi dico, non voglio. Non voglio farlo. Mi manca il respiro, mi scoppia la testa. Dove ho sbagliato, mi incolpo. Ira, Ira, Ira.
Oliver. Sento il tremito della terra – Ira calpesta, impaziente. Harvey aveva ragione, è un legame – questo – che non posso più sottovalutare. Chiudo gli occhi, la maschera del volto è spezzata: sono affranto, ora è facile scoprirlo. Alla fine, rido, avevate ragione: Oliver Brior cede, cede sotto gli occhi di tutti. Mi abbandono all'oblio, riapro gli occhi.
Ti cerco le mani, Casey. Vi lascio le spille, entrambe. Tutto, in me, ti chiede misericordia.
«Risolveremo tutto, Cas. Risolveremo tutto.» Ti sorrido, mentre tremo.
Vorrei stringerti a me, e portarti indietro. Vorrei svelarti il passato – è l'unico porto sicuro che resta. Deglutisco, chiedendoti indirettamente di occuparti degli altri. Mi allontano di poco, in avanti. Lascio l'impressione di voler disperdermi, a mia volta. Eppure, mi giro indietro verso te... come a voler dire di non perderti, di tornare. Il passo, subito dopo, muta in corsa. Dietro di me, l'Alato è in tensione: ha le orecchie sollevate, il muso verso l'alto. Scalcia via il fascio di carote, solleva una zolla di terra.
«Nieve, fermati La mia voce, ora, è una maledizione. Sferza l'aria, è rabbia, rabbia, rabbia. Devasta l'ordine, intreccia, intrappola, sviscera il tempo. Indugio nell'orrore del momento, nell'idea di poter attingere ai sortilegi oscuri. Cos'è che fai, Oliver? Corro.
Potresti colpirmi. Potresti respingermi. Potresti sfruttare la magia, la forza fisica, la lingua violenta. Tu, che hai creduto d'essere sola. Tu, che credi tuttora d'essere sola. Chi sono io, ora, per ordinarti di fermarti? Chi sono io per dire di aver seguito i tuoi passi, di averti cercata? Non l'ho fatto, è vero. Ho ripagato tutti voi, affetti lontani, della stessa moneta che ho ricevuto: l'abbandono, la solitudine, la diffidenza. Ma è il silenzio, per me, ad aver condannato tutto. E il Quidditch. Che ha separato entrambi una volta, che separa entrambi anche ora. Non lo farà di nuovo, è questo che ti sussurrerò.
«Cazzo, fermati.» Ti stringo. Ti avvolgo.
Le mie braccia sono una trappola. Sei in gabbia, Nieve.
Potresti essere lontana, potresti aver bloccato anche me. Se così fosse, io riproverei. Ovunque, costantemente – sono qui, ti grido. E prima o poi, senza fretta, ti stringerò a me. Le mie mani, lacci d'antitesi, strideranno nella presa cui le costringerò – dita verso dita, l'intreccio di carne e di rabbia, di carne e di dolore, di carne e di affetto. Perché io...
«Io sono qui.» Colpisci. Distruggi. Annienta.
Ho la schiera dei demoni, dentro di me.

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view post Posted on 30/4/2023, 21:35
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You can own the Earth and still, all you'll own is Earth until You can paint with all the colors of the wind

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Ist mir alles scheißegal,nur dieses eine letzte Mal


Weißt du, immer wenn ich drift
Dann nur, damit dich ein Funke trifft
Brauche nur ein'n kurzen Lichtblick

D
ecido di concentrarmi sul come meglio organizzare le mie risorse. Spedisco vari team a recuperare legna per metter su la pira, mentre altri, pronti ad allestire l'enorme fantoccio. Non è un'operazione semplice dato che sono tutti incredibilmente eccitati di dar fuoco alla Ostensen. Si è accumulato un odio non indifferente e spero che tramite questo rituale di purificazione dal malocchio, le cose possano tornare a girare per noi rosso-oro. Perché cazzo ce lo meritiamo. Non so bene cosa stia succedendo lì in fondo vicino al cavallo alato, ma non ho tempo di preoccuparmene. Inoltre mi pare di aver notato sia Vivienne che Casey. Diverse persone da evitare, troppe se si pensa che entrambe sono parte dello staff della casata. Il divertimento puro ad ogni riunione. Ogni volta mi sembra di uscirne con pezzi di cuore strappati via a morsi e anche se fa male cerco di continuare come se niente fosse. Perché è quello che mi riesce meglio, perché ammettere che fa male significherebbe ammettere di provare qualcosa. Di tenerci. E questo è decisamente troppo pericoloso. Continuo a girare intorno per quel terrificante posto circondato da acqua (no seriamente chi cazzo è stato a scegliere sto posto di merda?) urlando a squarciagola comandi, manco fossi una specie di generale in missione. Siamo quasi pronti, ma non vedo ancora i culi dei miei compagni di squadra presenti. E' una cosa che dobbiamo fare tutti insieme.
Ehy tu! Vai a chiamare tutti i compagni di squadra e il capitano, senza di loro non possiamo iniziare un bel niente!
Cerco Oliver con lo sguardo, ma non mi sembra di vederlo. E' anche vero che i Grifondoro sono sovra eccitati e iniziano a cantare cori riadattati contro lo sporco arbitro. Mi fanno ridere. Dobbiamo aspettare il capitano, lui dovrà dare inizio alla pira, ma intanto cerco di attirare la folla nel punto in cui iniziare il rituale. Monto sulla scopa, in alto per iniziare una specie di discorso motivazionale? Non so nemmeno io, non sono Oliver, non sono una tipa da discorsi né particolarmente seria o responsabile. Ma in fondo questa non è un'occasione ufficiale. Quindi posso dire cosa voglio, no? Mi sento tipo Achille che fa il discorso ai Mirmidoni prima di andare a depredare qualcosa, il fatto è che non riesco a star seria. Si sente il divertimento nella mia voce.
MIEI PRODI COMPAGNI-- Oggi siamo qui, riuniti per commemorare una ENORME ingiustizia.
Sento un coro enorme fischiare e tirare cose al fantoccio, cerco di rimanere seria con questo spirito da condottiero pronto a fare la guerra che mi guida. Circa.
LA MALEDETTA BISCIA CI HA GETTATO IL MALOCCHIO.
Indico il fantoccio con fare teatrale e scenografico e sento gli urli della gente inneggiare ad ogni mio movimento. Sono così carichi che mi sembra di avvertire la loro energia, come piccole particelle, nell'aria fresca di questa sera.
Ma lo spirito del grifone non ci sta davanti alle ingiustizie! Dobbiamo liberarci della sfiga, incanalare la nostra rabbia dentro qualcosa di materiale... ERIKA DEVE BRUCIARE!
Al mio dire torno a cercare Oliver. Deve dare l'inizio al fuoco.E' scritto nel manuale. Lo urlo, urlo il suo nome. Capitano, c'è solo un capitano urlano con me i miei compagni, mentre inneggiamo al nome di Oliver Brior.
Dio solo sa quanto rispetto abbiamo per lui, quanta fiducia, quanta fierezza e orgoglio.



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view post Posted on 2/5/2023, 12:54
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entropia.

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Standing alone on that hill
Using your fuel to kill

La stasi non è nelle mie corde, non lo è mai stata. Ỳma mi ha sempre descritta come una bambina frenetica, che ha cominciato a correre prima ancora di camminare. Eppure, qui, stretta tra le braccia di Oliver, non riesco a muovere un muscolo.
Non è una questione di forza fisica. So che può sopraffarmi —chi non ci riuscirebbe?—, ma c’è più di questo. È che la sua vicinanza, le sue parole, questo noi mi mozza il fiato. A occhi spalancati, guardo davanti a me le onde virulente del mare infrangersi sulle scogliere, la schiuma bianca salire alta nel cielo e ritornare a congiungersi con l’acqua. E nel turbinio della scena ritrovo lo stesso turbamento emotivo venuto con l'iniziativa di Oliver
Non è con questa intenzione che ho schiacciato la spilla da Vice-capitano, né mi aspettavo che potesse inseguirmi. Come avrei potuto del resto? Avrei dovuto anche sapere del tradimento di Casey e del conseguente desiderio di ammazzarla di botte. La sola cosa che sappia con certezza, invece, è che lui è qui, qualunque cosa significhi.

Chiudo gli occhi

La doccia fredda della sorpresa cozza in tutto con il calore del suo abbraccio. Sono confusa. Deliro. Voglio due cose che non possono coesistere. Lui, Oliver, è l’amico di una vita —quello che ho stretto per primo, odiato, perduto, allontanato, ritrovato, il mio punto fermo anche nei momenti di dubbio. Non riesco a immaginare una vita in cui Oliver Brior non faccia parte della mia visione periferica. Qualunque sia il suo ruolo, purché ci sia. Per questo e perché la solitudine cui mi sono costretta mi ha fatta marcire dentro, vorrei voltarmi e stringermi a lui fino a fondere le mie ossa con la sua carne.
La mia abitudine a scappare dai rapporti umani avrebbe una fine, forse. Sarei costretta a restare, se la mia pelle si unisse ai tendini di un altro. Anche, e forse soprattutto, quando ho paura. Come adesso ché, accanto al desiderio spasmodico di gettare il capo all’indietro e arrendermi a Oliver, sento crescere nel ventre la paura fottuta di ferirlo, metterlo in pericolo, ucciderlo.

Spalanco gli occhi

Non posso fargli ciò che ho fatto ad Astaroth. Fisso lo sguardo sul terreno. Le pupille sfuggono, posandosi ora qui ora là, incapaci di posa. La paura si insinua nelle venature della mia anima, strappandomi al calore di Oliver e alle promesse di un futuro di gioia, forse anche di pace. Mi ricorda, invece, il dolore allo zigomo e il sapore ferroso del sangue sullo sfondo del jazz; il letto vuoto di ogni scatola il tre dicembre, proprio lui che non ha mai dimenticato un’occasione. Non posso avere pretese, perché di mancanze ne ho avute e ne avrò sempre più di quante altri esseri umani possano contarne.

Schiudo la bocca

«E dove siamo stati?» La voce esce chiara almeno quant’è amara. Avrei potuto scegliere di continuare con la mia sfuriata, ma siamo soltanto io e lui. Non posso fargli questo. Non voglio. «Dov’eravamo?»
Mi riferisco agli ultimi anni e a noi due. Al suo incidente al ballo e alle mie mancate visite: mi sono sempre fermata sul ciglio dell’infermeria, chiedendo aggiornamenti e pregando che non gli venissero comunicati per una forma di pudore che non sono mai riuscita a spiegarmi. Alla mia sparizione e al silenzio dopo il mio ritorno: si è tenuto a distanza senza venire da me, senza curarsi del mio aspetto e delle voci ingiuriose diffuse sul mio conto, dell’attacco ai miei danni al bar durante il ballo nonostante lui fosse lì.
Volto il capo per poterlo guardare, anche solo parzialmente. «E dove ci ha portati adesso tutto questo?» Mi rigiro tra le sue braccia. Voglio fronteggiarlo. In lontananza, i cori dei nostri compagni scuotono l’isola. Le iridi lattee lo scrutano. Non so più cosa provo per lui o forse lo so. È solo troppo complicato —per certi versi impossibile— determinarne i confini. «Siamo entrambi qui, eppure non lo siamo».

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Scusate il ritardo, ragazzi! Il trasloco mi ha tolto le energie. ç_ç
 
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view post Posted on 4/5/2023, 14:50
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Don't you feel powerless living in
other people's worlds?

Ti stringo tra le braccia, nel paradosso dell'affetto che muta in trappola, e vorrei non lasciarti più andare. Abbandonarmi al contatto – corpo, calore, cuore – è il traguardo che ho cercato da lungo andare e che ora, mi dico, giunge salvifico. Non ho bisogno di altro, in questo momento. La mente è lucida, benché il petto s'aggrava di un dolore che trova compimento nella nostalgia. Catturo il tempo, ricamandone i confini dispersivi come il tessitore più abile, oltre ogni confronto: l'Occhio, rapido, è in estasi e oblio di pari modo, invita al futuro. Forse, mi dico, basterebbe pochissimo affinché svelassi il giorno che mi attende – che attende entrambi, ora, per sempre. Mi basterebbe calare le palpebre, cogliere il tremito che già s'incastra tra le stesse; la pelle del volto è tesa, sotto lo sforzo della maledizione che invade la mia vita. Eppure, non voglio. Non voglio altro, non voglio sapere. Questa, per me, diventa un'occasione preziosa, una delle poche che mi concedo. D'altronde, è facile – ora che ti sono accanto, corpo contro corpo – ritrovarmi. Nella mia memoria, in fuga, si rincorrono le scene più disparate di chi siamo stati e di chi, in attesa, potremmo tornare veramente ad essere.
Ti rivedo, Nieve. Ti inseguo, nel battito di ciglia che consuma il secondo. Sono con te, oltre la tenda dei campioni, mentre ti affido l'Arcano della Forza. Sono con te, lungo la discesa che condurrà tutti noi alle miniere dei folletti. E oltre, oltre, oltre ogni frammento – il passato, per me, si allinea al tuo passo. Chiudo gli occhi, alla fine.
Sono lontano, Nieve. Distaccato, spezzato di netto – i miei occhi colgono in ritardo l'orrore che ti avvolge, il pugno che lede il tuo viso. Sento, ora, il grido degli astanti, il secco rumore di ossa contro ossa; sento la mia guancia pungersi al ricordo, la mia mente tacciare me stesso di codardia: a mia discolpa, mi sono detto, non sono stato presente al momento. L'ultimo ballo, per me, mi ha ritrovato in parte confuso, più distratto. Eppure, ripercorrere l'esito mi strazia. La verità, di nuovo, è sottile: ho smesso di cercarti. Il tempo ha offuscato la mia vita, l'ha ridotta in cenere – ho visto affetti morire, prima e dopo. Ho percepito le grida, le ustioni, le macerie di una cittadella in dispersione... l'infermeria, l'ospedale, il senso di colpa, tutto mi ha relegato altrove. Imprigionato com'ero, ho perduto molto – ho perduto me. Cos'altro avrei potuto fare?
Non appena riapro gli occhi, le tue parole mi ancorano alla terra. Dov'eravamo, chiedi. Dov'eravamo. Allento la presa, in ritardo: una parte di me ha timore di vederti sparire, così, senza ragione. Di perderti per l'ennesima volta, di ritrovarmi solo.
Siamo entrambi qui, eppure non lo siamo. I miei occhi, ora, mi tradiscono. Ottenebrano il volto, svelando il macigno che s'arresta sul cuore. Non è così, vorrei gridarti. Vorrei scuoterti, scuotere anche me. Per un attimo è come se non volessi più lasciarti, ti stringo infatti di più. Infine, la gentilezza si tinge di malinconia – profonda, snervante tristezza. La mano destra, ora, ti risale la schiena, ti solletica il braccio fino a sospendersi di pochi soffi dal tuo volto. Ti sorrido, un velo d'ombra in espressione. Sono ferito, è evidente.
Ma c'è qualcosa, in me, che mi permette di respirare più a fondo.
«Dove saremo.» Ti dico, quasi a correggerti. Forse è un monito per me, un modo per assolvere almeno in parte il mio rimorso. La mano, finalmente, s'accosta leggera alla tua guancia: è una carezza, mentre la mia bocca – mi accorgo in ritardo, involontariamente – ti cantilena un'unica, ripetuta frase: non ti ho mai dimenticata. Non ho idea di come finirà tra noi. Intimamente, tuttavia, mi dico che possa essere un inizio, uno nuovo, uno per noi. Che tu lo voglia oppure no. Per oggi, Nieve, voglio essere egoista – e volerti bene.
C'è solo un Capitano / c'è solo un Capitano... La voce di Alice s'innalza lungo le vette, insinuandosi alla melodia cristallina delle cascate vicine. Mi basta volgermi di poco, infatti, per scoprire che la pira sia oramai pronta e che Alice, tra le nostre Cacciatrici più di spicco, comandi il vento in volo. Torno da te, Nieve, e ti sorrido.
«Si dice che il fuoco purifichi tutto. Non andare via. Non farlo, non ora.» Per un momento, è come se parlassi anche a me. Le spille che abbiamo abbandonato, d'altronde, non dovrebbero guastare l'atmosfera di festa, è un dono che potremmo fare anche a noi. Io, perlomeno, te lo chiedo ancora e ti faccio l'occhiolino. Mi volgo indietro, nella speranza di averti accanto. La bacchetta, rapida, scivola lungo la manica fino al palmo destro. Attingo alla memoria del fuoco. Ho l'imbarazzo della scelta, per tutte le volte che abbia devastato la mia vita. Eppure, le fiamme mi ricordano il camino in Sala Comune, le notti in pigiama davanti alle braci, il gusto dei marshmallow e delle cioccorane sciolte lungo spiedini di legno, e tanto, tanto altro. Avanzo a passo più rapido, fischio soltanto una volta – l'Alato spalanca le ali e galoppa via, consapevole del richiamo. Ira ha vissuto il pericolo del fuoco, com'è stato per me. Entrambi, tuttavia, subiamo l'attrazione dello stesso. Presto, comunque, l'Alato si allontanerà di diversi metri, già al sicuro. L'erba fresca della radura è un toccasana per lei, c'è già qualcuno che la insegue con grande divertimento. Io, invece, attingo al fuoco – è magia avanzata, che mi appartiene in modi ineguagliabili. Sembra che il vento s'accosti all'invocazione, presta ascolto a sua volta, sollevando così alcune ciocche in disordine. Procedo verso la pira di legno, individuo il fantoccio come obiettivo di un tiratore scelto. Il braccio dominante, infatti, delinea un cerchio in modo lento e nitido, ad avvolgere il fantoccio oramai poco avanti. La presa sulla bacchetta è forte, allineo l'intero movimento alla formula magica.
«Circumflamma» cadenzo ogni lettera, ogni sillaba. La mente zampilla di lingue di fuoco, man mano che ripeto il cerchio per innalzare le fiamme. L'aria si riscalda d'impatto, schiere di scintille consumano il vento finché il cerchio di fuoco s'estende, in uno scoppio di luce, attorno le gambe del fantoccio. Comando il sortilegio, controllo il fuoco: è una bocca sempre più famelica, che sale sul legno in modo minaccioso, eppure giocoso. Non appena avrà attecchito per bene, potrò sciogliere le prese dell'incanto e lasciare che il fuoco faccia il suo corso esclusivamente tra le pietre che lo bloccano. Avrei potuto scegliere altri incantesimi, è vero. Ma il fuoco, così, è spettacolo. Per me non è più l'arbitro, non è il campionato: è solo un gioco, un modo per tornare insieme.
«Chi si aggiunge? Avanti, ci serve una brace per la carne.»

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view post Posted on 4/5/2023, 18:09
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We are all immortal until proven otherwise

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Don't you feel lonely living in
your own little world?

Me ne vado.
L'abbraccio di Oliver e Nieve è l'ultimo chilo di terra che una pala getta sulla mia testa, seppellendomi. Per la verità io non provo più niente. Tutto ciò che mi ha attraversato in quest'ultimo anno ha portato via ogni granello della mia energia vitale. Il nome Aion forse è solo un inno nostalgico, una preghiera rivolta a me stesso. Ciò che avrei voluto essere e provare.
L'assoluto distacco che sento, anche di fronte ai commoventi gesti e ai tragici sviluppi della vita dei miei amici, mi provoca orrore. Non sono più puro, forse non lo sono mai stato. Probabilmente prima ero solo inconsapevole di cosa mi roteasse attorno e di quale fosse il peso che caricavo io stesso sugli altri.
Tutto ciò che faccio o che dico è sbagliato. Me ne rendo conto in ogni momento.

Ciò che ho detto su Nieve non sembra aver suscitato ciò che mi aspettavo in Oliver. Ma cosa desideravo? Che piangesse? Che si arrabbiasse? Sì. Volevo che sentisse il mio stesso rancore, probabilmente.
Il punto è che mi sento solo in questa vasca di inadeguatezza e, comunicando uno dei motivi del mio malessere, probabilmente pensavo di poter entrare in empatia con qualcuno. Invece, ho la sensazione di aver causato l'esatto opposto.
Me ne vado. Volto le spalle ad Oliver e a Nieve, poi ai festeggiamenti. Alice si innalza in volo e schiamazzando richiama i concasati per partecipare alla pira. Io, per adesso, ne ho abbastanza del fuoco. Ricerco acqua, ricerco pace. Ricerco i placido blu privo di fondo di un lago, lontano dalle grida e dallo scoppiettare del falò.
Le voci diventano brusio, il brusio diviene il sottofondo lontano della civiltà mentre le mie gambe ripercorrono il fiume. I miei respiri divengono più profondi non appena lo scrosciare dell'acqua prevale sui canti di ribellione dei Grifondoro. L'aria pungente e le goccioline d'acqua che saltano via dalle onde mi perforano la pelle scoperta come spilli, e mi fanno sentire ben più vivo di qualsiasi festa.
Il mio obiettivo è stato raggiunto: riunire i Grifondoro grazie ad una semplice gita. Io mi escludo, io non sento di farne parte. Mi allontano e mi addentro nella natura. Forse era questo che bramavo in silenzio quando ho scelto le Fairy Pools come meta. Sentivo il richiamo del vuoto cui solo la natura silente partecipa. Un luogo sconosciuto in cui perdermi senza dover niente a nessuno.

 
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22 replies since 1/3/2023, 11:18   833 views
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