Le ronde notturne non mi piacciono più. È un pensiero che mi frulla in testa già da un po’, ma è solo in questo momento che lo capisco davvero. Prima era solo un leggero fastidio che si manifestava prima di cominciare a pattugliare qualche corridoio deserto, a cui ho cercavo di non dare troppa importanza. La realtà è che ultimamente cerco di non prestare attenzione a niente di quello che mi frulla per la testa. Non me la sento di confrontarmi con quello che penso, ultimamente i miei pensieri non sono così positivi. Il paragone con il mio rapporto con le ronde notturne è piuttosto calzante: sfumato il periodo di entusiasmo, in cui era elettrizzante l’idea di poter essere libera di passeggiare per il castello di notte, è rimasta solo la cruda verità: fare la ronda di notte significa semplicemente sacrificare ore di sonno preziose per passeggiare lungo corridoi deserti. La mia vita più o meno è andata allo stesso modo: dopo un paio d’anni in cui tutto ciò che riguardava la magia era nuovo ed elettrizzante, è rimasta solo la banalità della vita di tutti i giorni. E qui i problemi sono germogliati a volontà. Con una base di partenza di una famiglia problematica, un fratello scomparso, e aggiungendo la scoperta di capire e parlare serpentese con relativi interrogativi esistenziali annessi, non era difficile che perdessi il controllo della situazione. Mi sento piuttosto persa, mi aggrappo a qualsiasi situazione mi si presenti davanti, qualcosa che mi permetta di respirare un po’ prima di ri-annegare tra i problemi: il Quidditch, il CREPA, il lavoro da Piediburro, sono occupazioni piacevoli che mi regalano momenti di tranquillità, ma di fatto sono distrazioni. Sono più furba di quello che credo: sfrutto la mia facilità nel distrarmi per evitare di fare i conti con me stessa. Ah, ecco un altro motivo per cui le ronde non mi piacciono più, nel silenzio è più facile perdersi tra i propri pensieri, proprio come sto facendo ora. Il suono dei miei passi e il fruscìo del mantello della divisa sono le uniche cose che si sentono. Io, invece, vorrei urlare, vorrei tirare fuori tutto quello che ho dentro. Ma mi trattengo; non sono il tipo di persona che urla dalla frustrazione, o almeno non penso di aver mai dato quell’idea alle persone, perché dovrei farlo ora? Alle fine più che altro è il pensiero di attirare l'attenzione a farmi desistere, non sembra molto normale mettersi a urlare in piena notte. Continuo a camminare. Tanto andrà a finire come ogni altra sera, il turno finirà e non sarà successo assolutamente nulla. Comunque tento di restare attenta e vigile, mi concentro su quello che mi circonda. È di nuovo quel meccanismo di distrazioni che uso per non pensare: quell’armatura avrebbe proprio bisogno di una lucidata, ci sono ben 4 luci che non funzionano nel corridoio, dalle finestre si intravede la luna, è al primo quarto. Poi vedo una porta aperta e qualcosa mi scatta in testa. Stavolta non faccio in tempo a pensare a cosa sto facendo. I miei passi accelerano. Perché è aperta? Non dovrebbe essere aperta. Non so che aula sia, non ci ho mai fatto lezione dentro. Non so neanche perché mi sto avvicinando. So solo che devo fare qualcosa per far uscire quello che ho dentro. E forse è una cazzata ma mi sembra un buon primo passo. Stendo la gamba destra all’indietro, per prendere una buona spinta, poi spingo il piede con tutta la forza che ho contro il legno. Il colpo va a segno e porta inizia a ruotare intorno al suo asse ad una velocità troppo alta. Il rumore dell’urto contro le assi della porta è assordante in tutto quel silenzio. Forse urlare sarebbe stato più discreto ma non mi interessa, sono troppo concentrata su quanto mi senta più leggera in questo momento. Voglio un’altra porta aperta da calciare; molto meno faticoso di trovare un occupazione con cui distrarsi ma decisamente più gratificante.
Pensavo che arrivare ad Hogwarts avrebbe significato conoscere una nuova libertà. Invece sono passata dal cercare di compiacere la mia famiglia al cercare di compiacere i miei amici. Di sicuro le cose sono migliorate, ma ero così abituata a comportarmi in un certo modo che non è bastato cambiare luogo per cambiare il mio modo di vivere. E quando pensi solo agli altri perdi di vista te stesso. Me ne sono accorta ma non voglio fare niente per cercare di risolvere questa situazione; è più facile non pensarci e fare finta che vada tutto bene. Forse mi sono concessa questo piccolo sfogo solo perché abbastanza convinta di essere sola: nessuno può giudicarmi se nessuno mi vede. È questo quello che penso mentre ho lo sguardo ancora fisso sulla porta chiusa a causa dal mio calcio. I pugni sono stretti e il mio respiro è profondo ma irregolare. Sento qualche lamentela proveniente dai quadri, probabilmente avrò svegliato qualcuno con la botta. Per un attimo mi sento in colpa, pensavo di aver fatto qualcosa che non avesse conseguenze - se non per i cardini della porta -, invece qualcuno ci ha rimesso. Mi costringo a pensare che non sono persone vere: possibile che devo anteporre pure i bisogni dei quadri ai miei? Per quanto cerchi di fare uno sforzo per ignorarli, ho già in pensiero di scusarmi con loro. Sto per girarmi quando sento dei passi. Non possono provenire dai quadri, rimbombano nel corridoio come solo dei veri passi possono fare. Forse, per una volta, la ronda non sarà noiosa come al solito. Poi, mi sfiora un altro pensiero: magari è un professore che ha sentito lo schianto ed è venuto a vedere cosa sia accaduto. Cosa dovrei fare in quel caso? Mentire e dire che l’ha chiusa il vento, oppure minimizzare e dire che il rumore in realtà è stato meno forte di quello che sembrava? Professore o meno, appena le mie orecchie captano il suono, la mano destra corre a cercare la bacchetta. Appena le mie dita stringono il di legno, mi giro nella direzione in cui ho sentito i passi. La luce è soffusa, non riesco a distinguere altro che una sagoma che si allontana dandomi le spalle. Sono più che sicura che non sia passata dietro di me, significa che veniva nella mia direzione prima di fare dietro front. Indossa il cappuccio, non so dire se sia un ragazzo o una ragazza, ma dubito che sia un professore. Potrei far finta che non sia accaduto nulla, potrei far allontanare la persona e continuare con la ronda, dopotutto non mi piace granché punire gli studenti, mi basta speventarli un po' in modo che non abbiano più voglia di infrangere le regole. Ma il mio corpo non è d'accrordo e i miei piedi partono prima che possa ragionare sul da farsi. Mi dirigo nella sua stessa direzione. « Hey! Dove pensi di andare! » Se fosse successa una cosa del genere a me, me ne sarei andata di corsa: se fossi riuscita ad imboccare rapidamente un passaggio segreto sicuramente sarei riuscita a sparire senza essere beccata. Invece, lei o lui si limita a camminare senza correre. Accellero il passo, per ridurre la distanza che ci separa, nel mentre alzo la bacchetta e gliela punto addosso. Stesso discorso di prima, non lo faccio per lanciargli contro qualche fattura ma per stroncare nel nascere un eventuale tentativo di attacco da parte sua. «Fermati! Sono un Prefetto. » Insisto.
Alla fine non mi serve insistere molto per farlo fermare. Non è scontato, non credo di essere una persona che incute timore, non è facile farmi rispettare. Forse è solo la spilla che ho appuntata al petto che mi da qualche tipo di potere. Lo sconosciuto alza le mani, mostrando la bacchetta stretta nella mano sinistra. Vederlo così collaborativo mi da la fiducia necessaria per abbassare la mia. Purtroppo sono una che si fida subito degli altri, nonostante sia una cosa che potrebbe portare danni. Troppo indignata dalle sue parole, neanche mi fermo a provare a capire chi sia. Dopotutto, se fosse qualche conoscente, perché dovrebbe scappare da me? «Non stavo scardinando porte!» Di riflesso mi metto sulla difensiva. Mi rendo conto che non aiuta la mia causa. Oltretutto la mia voce esce più acuta del solito, non va bene. Però devo in qualche modo provare a difendermi da quell’accusa. Non nascondo che è seccante essere “sgridati” da uno sconosciuto, dovrei essere io quella che fa le ramanzine! Come ho fatto a non pensarci prima? Sono un Prefetto, anche io posso fare le ramanzine! «E agli studenti non è concesso uscire di notte!» Uno a uno! Mi sento soddisfatta su come sto gestendo la situazione, è stato più facile del previsto. Con la promessa di dimenticare tutto, ora posso farlo tornare in sala comune e sarebbe come se non fosse successo niente. Non mi sembra così grave. Dopotutto lo so che chi esce la notte, di solito lo fa solo per provare l’ebbrezza del proibito, non perché voglia fare veramente qualcosa di illegale. Noto subito il movimento della sua mano, fino a quel momento alta e ben visibile. Non immediatamente mi viene in mente di alzare di nuovo la bacchetta; ormai mi sono rilassata, non mi viene naturale tornare sull’attenti. Quindi mi limito a osservare e cercare di capire cosa sta facendo. Non mi è molto chiaro, ma poco dopo torna ad alzare il braccio, quindi non mi faccio troppi problemi, forse doveva grattarsi. Per un attimo vedo il riflesso delle luci tenui del corridoio su qualcosa che tiene in mano, forse un anello? Non gli do troppa importanza. Sopratutto perché sono troppo concentrata sulle sue parole. Principessa? Quando il suono arriva alle mie orecchie rimango sconcertata. Nessuno mi ha mai chiamato così, nessuno avrebbe un motivo per farlo. Non riesco a capire che effetto mi fa, non ci ho mai pensato. Suppongo sia piacevole che qualcuno che tenga a te usi dei nomignoli del genere, ma così? Forse, questa sensazione di pugno nello stomaco che sto provando in questo momento ce l’ho perché vorrei che qualcuno mi chiamasse così. «Io…» Perché sto parlando? E perché la mia voce è così tremolante? Sto per straparlare davanti ad uno sconosciuto? Chiudo la bocca in tempo e tento di darmi un contegno. È in questo momento che il mio sguardo torna su quello scintillio che avevo visto prima, distinguendo il profilo di una spilla. La guardo meglio e non credo ai miei occhi. Tutto il disagio evapora, sostituito da indignazione quando mi accorgo che l’oggetto non è altro che una spilla da prefetto verde-argento. Tutti i pezzi del puzzle tornano a posto: la presenza nel corridoio in piena notte, il profilo, il comportamento strano. Draven Shaw. Non può che essere lui. «Suppongo che questa scenetta sia stata molto divertente per te.» Mi sento umiliata per il modo in cui mi ha presa in giro. Ancora non ho capito perché sembra che venga presa di mira più degli altri. Cioè, lo so che non sono la più furba e sveglia del mondo, lo so che fregarmi è facile (infatti ci stavo per cascare anche questa volta). Ma approfittarsi così è da perfidi. Non ho più la forza, voglio che la smettano; cosa gli costa ignorarmi? «Io non capisco. Ti prego spiegami che cosa ti ho fatto, spiegami che cosa ci trovate di interessante nel punzecchiarmi. Magari faccio qualcosa al riguardo e la finiamo. » Me la sto prendendo troppo? Non ne ho idea. So solo che le condizioni di partenza del mio umore non erano delle migliori ed è bastato poco per aprire la diga. « Non potevi semplicemente ignorarmi? Lo sai come si fa, lo hai fatto benissimo al ballo mentre stavo parlando con Lyvie. Uno ha i proprio problemi a cui pensare, e niente, deve anche subire la gente che si approfitta del fatto che sono sempre troppo buona. Basta! Spiegami il senso di questo giochino, sennò veramente impazzisco più di quanto sia già pazza!» Sto di sicuro esagerando. Ho perso il controllo. Me ne rendo conto solo alla fine, quando ho il fiato corto per aver parlato troppo senza mai fermarmi. Ho tirato fuori anche la faccenda del ballo, ho detto più di quello che dovevo, ma cosa mi è venuto in mente? Abbasso la testa, colpevole ancora di aver fatto la cosa sbagliata. E realizzo che probabilmente gli ho fornito l’assist perfetto per un nuovo attacco, al quale, comunque, cercherò di difendermi con tutta me stessa.
Vederlo così calmo e controllato mi fa salire il sangue alla testa ancora di più. Un po’ perché non capisco come la sua coscienza gli permetta di comportarsi così con gli altri, da un’altra parte mi da fastidio realizzare che io non riuscirò mai a mantenere la calma nello stesso modo. A sua volta, pensare di invidiarlo per qualcosa mi fa ancora più rabbia. È un fottuto cane che si morde la coda, e il risultato è che mi sto infuriando ancora di più. In più, il buio non fa che amplificare le mie emozioni, mi fa sentire nascosta e protetta, così che mi vergogno di meno a far uscire tutto quello che ho dentro.
Abbastanza? « Abbastanza? » Non riesco a trattenere la risposta, la mia voce è indignata e anche piuttosto alterata, con che faccia riesce a dirlo con quella serenità, ignorando quando io sia arrabbiata? Vorrei dargli una risposta più caustica, vorrei essere cattiva, ma non ho risposte pronte, ho il cervello annebbiato. È incredibile: nonostante abbia l’occasione di sfogarmi con lui non so essere cattiva con gli altri. « Bene, adesso che ti ho fatto divertire che si fa? Me ne posso andare o devo continuare a farti da giullare? » Nonostante faccia del mio meglio per metterci un po’ di cattiveria, Shaw sembra imperturbabile. Neanche le mie parole successive riescono a sconvolgerlo. E mi sento patetica. Di nuovo quel principessa, che ora sento proprio come un insulto. Vorrei provare a fingere che le sue parole non mi interessino, che essere invisibile non mi faccia male, ma un piccolo tremore del labbro me lo impedisce. Me lo mordo con tutta la forza che ho, rischiando di farlo sanguinare.
Rimango ferma e lo ascolto. La naturalezza con cui ammette che ha avuto voglia di giocare con me mi sconvolge. « Infatti la colpa è la mia che ti ho seguito, dovevo farmi gli affari miei! Ma non trovo giusto giocare a mie spese! Io non mi sono divertita. A volte prima di fare queste cose bisognerebbe pensare che davanti a te c’è una persona che potrebbe soffrire. » Iniziò a camminare avanti e indietro davanti a lui, mi sfugge un piccolo urlo di frustrazione mentre alzo il volto al soffitto, esasperata. Sembrò pazza? Probabile. Quel pensiero mi da un minimo di forza per cercare di riprendere un po’ di contegno. Mi fermo e mi giro verso di lui, mi concentro sul respiro, tentando di regolarizzarlo. Il fatto è che, probabilmente, in un’altra situazione non avrei avuto una reazione così esagerata come quella che ho avuto, ma ha deciso di fare questa cosa nel momento in cui mi sentivo più vulnerabile, e questo ha reso tutto molto più intenso. Non ho il cervello lucido, e vedo il suo attacco come un tentativo di distruggermi. Perlomeno, il peggio sembra essere passato, la rabbia sembra essere diminuita, lasciando lo spazio alla delusione e alla stanchezza. Non ne posso più di dover sempre sopportare, eppure sembra proprio la mia condanna.
Faccio per chiudere quell’incontro infelice quando, quello che doveva essere solo un pensiero, sfugge dalle mie labbra. « Come fa Alice a sopportarti proprio non lo so. » Quasi non mi accorgo che le parole sono veramente uscite dalla mia bocca, il tono è calmo, diversamente a quello usato il resto della serata. Mi pento subito di averlo detto ad alta voce, dopotutto, non credo che a lui importi nulla. « Non mi fraintendere, non lo dico per te. È lei che non mi spiego come faccia, non mi sembra il tipo a cui piacciono questi comportamenti. » Non capisco come sono riuscita a tornare ad usare un tono così tranquillo così rapidamente, probabilmente Shaw penserà che sono una pazza lunatica. Forse ha ragione. Forse ho solo la memoria corta ed è per questo che continuo a farmi del male.