| Un fascio di luce attraversa il manto di nuvole e si riversa, con una mira invidiabile, dritto dritto sul libro di pozioni che tengo aperto sulle gambe incrociate. Le lettere d’inchiostro sembrano accendersi come fiamme e mi ritrovo a socchiudere gli occhi per l’inaspettato riflesso luminoso che me li irrita. La punta del naso si arriccia e un angolo delle labbra si solleva in una smorfia sofferente, quando alzo lo sguardo verso il cielo. È ancora plumbeo e nulla, a parte quell’inatteso raggio di sole, che scompare veloce così come è arrivato, fa pensare che il cielo abbia intenzione di schiarirsi. Meglio così, dato che ho proposto io di andare a studiare in giardino. E ho una bassissima tolleranza al sole. Non saprei dove altro andare, quindi è bene che non inizi nemmeno a piovere. La biblioteca è sempre stato il mio posto preferito all’interno del castello, per via dell’odore di libri e pergamene, nonché per la luce soffusa, ma da qualche tempo mi sta stretta. Non riesco più a studiare lì. Il brusio degli altri studenti è diventato insopportabile. C’è sempre qualcuno, da quando sono diventato Prefetto, che interpreta il mio starmene in disparte, da solo, come un’ottima opportunità per venirmi a parlare. Mi è capitato, più volte di quante riesca a tollerare, di chiedere libri che erano già stati presi oppure di ritrovarmi con qualche penna e pergamena in meno, rubate da qualche stronzo che si è approfittato di un mio momento di distrazione. La Sala Comune è sempre stata off limits per questo intento. L’atmosfera la renderebbe il luogo perfetto in cui studiare, e ne approfitto spesso nelle notti insonni in cui mi accoglie nel suo silenzio, ma di giorno è pressoché impossibile starci: sembra più una sala giochi. Nessuno, ma proprio nessuno, riesce a stare zitto quando si trova in quella stanza. Col tempo, ho dovuto imparare ad accontentarmi del silenzio della mia camera, unico rifugio sicuro in cui potermi concentrare, ma se azzardo a entrarci dopo le lezioni o, peggio, dopo gli allenamenti di quidditch, finisco per addormentarmi e non concludere nulla.
Insomma. Della margherita, in realtà, servono solo le radici. Il libro non specifica se fresche o essicate. – esordisco nel silenzio che io stesso ho generato. Stavamo studiando la pozione restringente, prima che la mia scarsa soglia di attenzione interferisse seccandomi il discorso a metà. Riprendo esattamente da dove avevo lasciato, ossia: cercare tra i miei appunti se a lezione è stata fatta una specifica sulle margherite. In tal caso, so che l’ho segnata. Sono il Dio degli appunti. Non mi sfugge (quasi mai) nulla. Con i petali in esubero potrei giocarci a m’ama non m’ama, ma tanto so che m’ama. So che non può essere altrimenti. E un sorrisetto sghembo, da vero imbecille, si fa largo sulle mie labbra. Cristo, Draven. Due minuti di seguito senza divagare, no? Mi riscuoto da quei pensieri invadenti, afferrando il pacchetto di Marlboro pigramente poggiato sull'erba. Il mio volto torna impassibile, la solita maschera di assoluta indifferenza di nuovo al suo posto, quando mi porto una sigaretta tra le labbra. Prima di accenderla, afferro le pergamene, riassestando sui compiti la concentrazione che, per un istante, s’era persa tra le fantasie della mia mente. Scorro veloce tra le note e nessuna traccia di quella specifica sulle margherite. Quando rialzo la testa, mi accorgo che Alice ha lo sguardo totalmente perso nel vuoto. Ha sentito almeno una parola di ciò che ho detto fino ad ora?!
I capelli ti stanno andando a fuoco. – dico, a caso, per suscitarle una qualche reazione. Se mi ha sentito e volutamente ignorato o è talmente distratta da non riuscire a prestarmi attenzione non mi è dato saperlo.
La tua Corvonero ha delle belle tette. – aggiungo, sentendo un acredine impossessarsi immediatamente della mia lingua. Schifato da me stesso per aver appena asserito una cosa del genere; non lo penso davvero, non so nemmeno se sia vero, non mi interessa proprio. È solo la seconda cosa che mi è venuta in mente nel tentativo di istigare una sua reazione, visto il fallimento precedente puntando sulla sua vanità femminile. Peccato che la vecchiaia mi abbia colpito già in tenera età, facendomi diventare a ogni anno che passa sempre meno paziente, e mi ritrovo a darle un calcio su un piede, per destarla dalla sua trance, prima ancora che abbia modo di rispondermi.
Edited by Draven. - 5/5/2023, 13:04
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