From Ashes Through Blood, Quest di Background, Draven E. Shaw & Adeline Walker

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view post Posted on 20/4/2023, 00:12
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Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts

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Non aveva fatto altro che piovere per tutta la settimana. Aveva sentito gli studenti lamentarsi del brutto tempo, di come sarebbero stati costretti a restare nel castello ad annoiarsi nel weekend se non fosse uscito nemmeno uno spiraglio di sole. Per lui, svegliarsi ogni giorno e trovarlo identico al precedente era stato rassicurante; allontanava la concretezza che il sabato sarebbe giunto, prima o poi. Perché aveva accettato di andare in Pixley Street e non voleva andarci.
Le nuvole avevano sormontato Diagon Alley e Hogwarts allo stesso modo, nonostante la distanza. Un unico cielo, un unico clima a unire il giorno in cui aveva ricevuto quella strana lettera al pomeriggio che avrebbe trascorso a Londra.
Si era limitato a prenderla dal gufo senza nemmeno aprirla, quando era giunta in Sala Grande quel mercoledì. Era successo in uno di quei giorni in cui rimpiangeva di essere nato perché si sentiva troppo oberato: turno da Sinister di mattina, lezioni nel pomeriggio, compiti la sera. Si era preso i suoi tempi, credendo fosse l’ennesima lettera da parte di Eliana, la compagna di sua madre che giocava a fare la tutrice non autorizzata. L'aveva aperta a fine giornata e la sorpresa di scoprire di essersi sbagliato, di aver ricevuto qualcosa di inaspettato, di inimmaginabile, gli aveva stravolto l’umore. Non aveva preso affatto bene quelle parole: non sai chi sono eppure io so parecchie cose sul tuo conto e sulla tua famiglia. Voglio solo consegnarti la verità, così come è stato fatto con me.

È la cosa più stupida che abbia mai letto. È chiaramente una presa per il culo.
Il primo scettico pensiero, espresso ad alta voce, non aveva portato che a una lunga opera di convincimento da parte di Megan, la sua ragazza. Nonostante la mancanza quasi totale di tempo, aveva sentito l'esigenza di vederla non appena era tornato al castello. Non poteva parlarne con nessuno, aveva trovato in lei l'unico rifugio sicuro. Nessun giudizio, nessuna curiosità inopportuna, pura e semplice logica: se non era una presa in giro, chi poteva essere? Di che verità parlava?
Erano così tante le cose che Draven non sapeva della sua famiglia che l’idea che esistesse qualcuno che parecchie cose le sapeva eccome, invece, era assurda quanto terrificante.
“Noi siamo ciò che abbiamo vissuto e non avere ricordi potrebbe cambiare tutto, ogni cosa” gli aveva detto Megan, solo poche settimane prima. L’osservazione aveva formato un tarlo nel suo cervello e le parole nella lettera avevano accentuato il fastidio. Il solo tenerla in mano gli faceva tremare le dita dal nervosismo.
Preferiva non sapere. Era ciò che era proprio grazie a una quantità smisurata di informazioni che credeva non potessero far altro che peggiorare i suoi traumi. Era arrivato a questa conclusione, credeva di essersene fatto una ragione.
L'ignoranza è una benedizione, diceva Edgar Allan Poe, ma perché la benedizione sia completa l'ignoranza deve essere così profonda da non sospettare neppure se stessa… e non era più il suo caso. Era arrivato al punto di non riuscire a fare a meno di chiedersi cosa non sapesse o non ricordasse. Per cui, se c’era qualcuno disposto a rivelarglielo, forse non avrebbe dovuto voltargli le spalle a priori. Ascoltarlo era il minimo che potesse fare per se stesso, anche se non proprio ciò che voleva.
La Corvonero si era proposta di accompagnarlo, per timore che potesse succedergli qualcosa, ma per quello stesso motivo aveva deciso di andarci da solo.
Ipotizzando che non fosse un gioco, che dietro la promessa non ci fosse un impostore, si trattava di una storia che non poteva nemmeno immaginare. La sua storia. Non aveva un’alta opinione di quel po’ di famiglia che conosceva, figuriamoci se dall’alto del suo cinismo poteva aspettarsi cose migliori da uno sconosciuto che mandava lettere anonime e misteriose. Non poteva coinvolgere nessuno in una tale incognita.
Una folata di vento sollevò qualche goccia da una pozzanghera vicina, bagnando l’orlo dei jeans all’altezza delle caviglie. Draven si spostò di lato sul marciapiede, cercando di mettere una certa distanza tra sé e quel tratto di strada dissestata che aveva un evidente bisogno di manutenzione. Le palazzine tutte uguali, in mattone chiaro, non aiutavano l’orientamento, come d’altronde accadeva in tutto il resto della metropoli. Ogni zona aveva un colore, uno stile. La monotonia insita nell’estro degli inglesi era snervante e rincuorante al tempo stesso. Una certezza, che gli rendeva le cose difficili. Non fosse stato per l’aiuto di google maps, non sarebbe mai stato in grado di arrivare fin lì con le sue sole forze. I purosangue dovevano sperare di nascere con una buona bussola o di entrare in contatto con qualche mezzosangue che li introducesse alle meraviglie della tecnologia babbana per avere la vita più facile. D’altro canto, i babbani non potevano usufruire della mole di utilissimi incantesimi a scopo domestico o di pura quotidianità. I pro e i contro c’erano per entrambi, quindi a ognuno il suo… Ma per uno che faceva parte di entrambi i mondi era un discorso piuttosto senza senso. La mole di pensieri superficiali era dettata dal bisogno di intrattenersi in ogni modo possibile, pur di non rimuginare su cosa sarebbe successo di lì a breve.
Era giunto a Pixley Street con qualche minuto d'anticipo.
Prese il pacchetto di sigarette e ne accese una. Alzò lo sguardo, espirando la prima boccata di fumo. Continuò a camminare fino al numero 12 e si fermò di fronte la porta. Se nulla fosse accaduto in quel frangente, alle 17 in punto avrebbe bussato e atteso la sentenza.
 
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view post Posted on 21/4/2023, 22:41
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Pioggia.
Grosse gocce d'acqua gelida colpivano i vetri puliti dello studio di Adeline Walker: tamburellavano cupe dietro le foglie dei fiori rampicanti che Londra amava curare ai bordi dell'ampia finestra a bovindo, anche se ormai erano giorni che la Medimag non doveva annaffiarli.
Londra, la città, sembrava annegare sotto della pioggia torrenziale ultimamente - e Londra, la donna, faticava a trattenere piccoli sobbalzi quando imponenti tuoni spezzavano l'aria ed il respiro.

-Adeline, hai tu la cartella del piccolo Windflower? Mh, sì è tornato in reparto accompagnato dalla nonna e.. - ehm - credo che lui cerchi te.-
-Tommy cercherebbe me? La terapia è finita, ci siamo salutati, addirittura la.. - ma le sottili sopracciglia argentate della collega si erano alzate con fare espressivo, andando con lo sguardo ben oltre la figura indaffarata della Medimag e adocchiando un gufo imperturbabile al di là dei vetri - gufo che a quanto pare, con scuro occhio cinico aspettava solo di consegnare la propria missiva.
L'ex Bronzo Blu si era diretta incuriosita alla propria finestra, spalancandone le vetrate: l'aria era pregna di pioggia, l'odore era quello dell'acqua e dell’asfalto bagnato, di città gocciolante e di pensieri zuppi.
Adeline se ne riempì i polmoni mentre slegava la piccola pergamena dalla zampa del rapace.
Se ne riempì i polmoni, senza sapere che quello specifico odore, lo avrebbe impresso nella mente per parecchio tempo – o forse, chissà, per sempre.


"Non sai chi sono eppure io so parecchie cose sul tuo conto e sulla tua famiglia. Voglio solo consegnarti la verità, così come è stato fatto con me.
Vieni al 12 di Pixley Street, sabato alle 5pm.
M."



Aveva salutato meccanicamente l'anziana Medimag, poi l’aveva rincorsa nuovamente nel corridoio per chiederle un cambio turno. Lo aveva ottenuto ma non era riuscita a tornare a casa.
Si era chiusa nel suo studio, rileggendo quelle brevi righe sino ad avere l’impressione di consumare inchiostro e pergamena con il solo sguardo.
L’idea che quella missiva potesse essere uno stupido scherzo, parte di qualche astruso gioco, non l’aveva sfiorata minimamente: come avrebbe potuto, d’altronde?
Come avrebbe potuto essere uno scherzo, pensando a sua zia Ada, alle sue cerchie, ai suoi affari, alla sua vita in generale?
I pensieri infatti erano volati inevitabilmente a sua zia Ada.
L’unica famiglia che avesse mai conosciuto.

[“..io so parecchie cose sul tuo conto e sulla tua famiglia.”]


-Beh, gran bell’affare, complimenti.-
Si era ritrovata ad un certo punto a sputare rabbiosamente tra i denti.
Cos’era, qualche stupido mafioso maghetto che cercava di ricattarla per saldare qualche conto in sospeso con sua zia?
La sua luccicante mente razionale però, anche in questo frangente si era battuta per dire la propria:
impossibile che si trattasse di qualche vendetta o ricatto.
Sua zia avrebbe anche potuto essere.. beh, sua zia, ma sapeva bene quanto il suo nome contasse nel lurido, sporco e nero mondo entro il quale aveva stabilito di vivere e dove – Adeline ne era certa – si era ritagliata anche un più che modesto spazio di movimento e potere, da ormai svariati anni.
Londra detestava saperlo, detestava pensarlo, ma le nere redini tenute in mano dalla Serpeverde in qualche astruso modo proteggevano anche lei, più o meno direttamente che fosse.
Il ruolo di Adeline Walker – la zia – ed i legami che aveva stretto con il tempo.. in zone buie e remote della sua mente, la Medimag ricordava risa sguaiate ai suoi primi passi, conti illegali, probabilmente aperti a suo nome pieni zeppi di galeoni e chissà cos’altro a festeggiare le sue prime parole da parte dei pari della Serpeverde, dalla sua cerchia più stretta e fidata.
[Londra detestava saperlo, detestava pensarlo] ma in fondo.. lei era stata, lei era, comunque, parte di quella “famiglia”. Loro, di cui Adeline voleva ricordare appena le sudicie mani insozzate di alcool e di fumo, per i primi anni della sua infanzia l’avevano accolta e cresciuta a modo loro come “una di famiglia” d’altronde – la piccola, dolce, tenera Adeline-dai-boccoli-d’oro. A dispetto di quanto la stessa Adeline, nel corso degli anni, li avesse poi allontanati, rifiutati, disprezzati, uno per uno.
Ad ogni modo, una volta sufficientemente “grande” la zia aveva trasferito i suoi affari altrove.. e così “la famiglia” con lei.
Adeline era rimasta sola. Ed il resto era storia.
Ma sua zia, come quei legami, ancora esistevano a dispetto della ferocia con la quale la Medimag si rifiutava ostinatamente di riconoscerne anche solo l’esistenza.
Difficile quindi che qualcuno rischiasse davvero di metterla in mezzo così.
Prendersi poi la briga di trovarla – non era poi una Medimag tra tante, una strega tra milioni? - per trascinarla in mezzo a qualche faida.. no. Davvero difficile, doveva essere qualcos’altro.
Le dita avevano tamburellato sul piano ligneo della scrivania per un tempo infinito.
La dorata mente razionale di Londra cercava letteralmente ogni appiglio disponibile per vincere quella battaglia – chissà se avrebbe vinto la guerra.

[“Voglio solo consegnarti la verità, così come è stato fatto con me.”]


Ma quale verità?
Consegnata da chi poi?
Sua zia era una boss criminale, sua madre era morta – e per colpa sua, le avrebbero amabilmente ricordato - , suo padre probabilmente anche, nessun nonno o zio erano mai venuti a cercarla in 27 anni per cui – complici i randomici e rarissimi commenti sul tema di sua zia – dovevano essere tutti morti da tempo.
Fine.
E poi [“così come è stato fatto..”] -..con me, ma chi cazzo sei.-
La rabbia stava riguadagnando terreno.
La razionalità della strega aveva ormai ben poche armi a sua disposizione mentre la rabbia.. quella si stava ancora facendo largo a morsi e graffi, incurante di tutto e di tutti, Adeline inclusa.
Rabbia perché dal nulla, un anonimo qualcuno sembrava minacciare quella vita che con tanta fatica la strega si era ritaglia e costruita quasi su misura.
Rabbia perché nessuno, nessuno aveva il diritto di mettere mano nella sua storia, nella sua stramaledetta storia, nella sua stramaledetta famiglia, nel SUO VUOTO, NEL SUO BUIO E NELLA SUA DANNATA VITA FATTA DI NIENTE, DI MANCANZE, - NESSUN DIRITTO – LE MANI - NEL SUO DANNATISSIMO PASSATO - AVEVA IMPIEGATO ANNI – A N N I – A SEPPELLIRE, A NASCONDERE, A MITIGARE E CERCARE DI COMPENSARE E CHI C H I -

-Adeline, tutto bene? Sei ancora lì dentro? Cos’è stato quel rumore?-
Aveva mandato in frantumi una delle sue vetrine, nel mobile dietro la scrivania.
Non avrebbe neanche saputo dire come, anche se il palmo insanguinato della sua mano sinistra avrebbe potuto suggerirle qualcosa.
Si era ripresa in fretta, incredibilmente lucida. Aveva afferrato la bacchetta e si era diretta alla porta.
-Perdonami Sarah, sono la solita.. sono inciampata, tutto qua.- le aveva mostrato persino il palmo, ridacchiando appena -Pulisco i tagli, casto un Reparo e me ne vado a casa, sono solo molto stanca.-
Le aveva addirittura sorriso, come sempre.
Le aveva sorriso, lucidamente consapevole che la rabbia, questa volta.. aveva vinto la guerra.
Ancora una volta, dolce Adels.

Nei pochi giorni che seguirono, Adeline Walker mise il pilota automatico.
Andava a lavoro, mangiava, dormiva. Niente di più e niente di meno.
La rabbia del giorno in cui era arrivata quella stupida, stupida dannata lettera, era lì, a sobbollire acida nel suo petto – e questa in effetti le consumava sufficienti energie da non riuscire a relazionarsi al meglio, sì, ma la ferrea struttura cognitivo/relazionale della Medimag reggeva talmente tanto bene da non insospettire neanche i colleghi.
Poi, fu venerdì sera.
Poi, fu sabato mattina.
..Poi, fu sabato pomeriggio.

Si materializzò in un buio e solitario vicolo – tanto anonimo quanto sporco ed abbandonato – ad appena mezzo isolato dall’indirizzo indicatole sulla pergamena.
Nella mancina stringeva la bacchetta come se – più che pronta a scagliare qualche incantesimo – volesse tirare un cazzotto ben assestato al primo ignaro passante.
Si costrinse a nascondere il catalizzatore, si tirò su con troppa forza la cerniera della leggera giacca a vento che aveva indossato completamente a caso mezzora prima e a passo spedito prese a colmare la distanza tra sé e una persona prossima alla morte il 12 di Pixley Street.
Quando appena una manciata di minuti dopo riuscì ad identificare il civico esatto..
L’essere lì, in quel luogo e in quello specifico momento, agli invisibili ordini di un altrettanto invisibile qualcuno – questa consapevolezza peggiorò se possibile la situazione, dando nuova benzina, e fiamma e quel che vi pare al petto bruciante di Londra.
Inizialmente, accecata quasi letteralmente dall’ira, a malapena si accorse della figura alta, castana, persino piazzata proprio di fronte al suo obbiettivo – ma Adeline non era proprio in vena di socievolezza, sorrisi e cordialità: si diresse come un fulmine sulla soglia, cercando di passare nello spazio lasciato libero da quello che attualmente era poco più di un neutro ostacolo, come un cono - molto alto - stradale da schivare.
Probabilmente lo sfiorò persino ma non se ne rese proprio conto: a palmo aperto, iniziò a battere furiosa contro la porta.
-Chiunque tu sia apri questa maledetta porta, ORA.-
La voleva lì? Perfetto, eccola lì, in tutto il suo splendore.
-Mi hai dato un appuntamento, giusto? Beh, complimenti eccoci..- le si spezzò la voce, interrompendo così la frase, perché banalmente il suo cervellotico cervellino aveva fatto in automatico per lei quello che le sue emozioni le avevano impedito di fare: riconoscere la presenza di qualcun altro già lì, in quel preciso momento, in quel preciso luogo.
Si voltò, facendo una piccola piroetta su se stessa, la mano destra però ancora fissa sulla porta.
-Tu..- era ancora arrabbiata, così tanto, ma gli occhi bicromi non riuscirono a non sondare il volto, i lineamenti, la figura sconosciuta nel suo complesso che le si stagliava di fronte.
Non sapeva come proseguire. Era giovane, chiaramente un ragazzo – alto, molto alto, il che le faceva ipotizzare svariate età.
Aveva gli occhi di un verde particolare.
Non riuscì ad andare tanto oltre, non come normalmente avrebbe fatto con tanta naturalezza, trascinata al momento ancora troppo a largo dalla tempesta interna che le ululava tra il costato.
-Hai inviato tu quel gufo? Mi hai chiesto tu di venire qui, oggi?-
Il palmo della dritta era ancora appoggiato, semi bruciante, sulla porta e la voce aveva tremato fuoriuscendo dalle labbra.
Non sapeva se piangere, arrabbiarsi ancora – le riusciva talmente bene – o scoppiare assurdamente a ridere.
Nel dubbio .. -Ti ho scontrato prima? Scusami.-


Perché in fondo.. il caos, era sempre di casa.
 
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view post Posted on 1/5/2023, 23:21
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Il Fato

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«Non potevo lasciar morire un fiore».

bFFasYk
Il sole, basso, accarezzava la città di Londra oscurato dalle nuvole cineree. Una pioggerellina incessante sbatteva sulle pareti dei palazzi, precipitando lungo l’asfalto. Il pomeriggio trascorreva tranquillo, un normale venerdì di una giornata qualunque, o così sarebbe apparso.
Il tintinnio continuo dell’acqua scandiva il tempo che passava, sbattendo contro le finestre delle grigie abitazioni. Il vento scuoteva le fronde degli alberi, i clacson irrompevano nel caos.
Tuttavia, all’angolo tra Copenaghen PI e Pixley Street, in un’appartamento al numero dodici, una donna attendeva i suoi futuri visitatori, davanti al camino acceso, osservando le fiamme danzare caotiche e i rintocchi inondare la stanza. L’orologio a cucù si preparava ad esibirsi alle cinque in punto, le dita di Madison mimavano quel percorso contro gli avambracci e il cuore batteva lento abbracciato da una calma apparente.
Il silenzio animato da quel sottofondo musicale, venne interrotto da grida e rumori incessanti fuori dall’abitazione. La donna si avvicinò alla finestra, vedendo sul marciapiede, da basso, una ragazza picchiare forte contro la porta. Grida irraggiungibili alle sue orecchie ma tanto bastava poterne scorgere l’agitazione per capire chi fosse.
Adeline Walker. Al fianco della donna, poco distante, Draven Shaw.
Nel medesimo istante in cui le iridi carbone individuarono quanto stava accadendo al piano terra, proprio fuori al portone della piccola palazzina, l’orologio iniziò il suo canto fastidioso.
Madeline strinse le mani in un pugno, arricciò il naso e scosse il capo, prima di voltarsi e abbandonare momentaneamente l’appartamento.
Scese le scale affrettando il passo, il rumore degli stivali schiacciavano il vecchio legno della struttura come fossero pronti a romperne pezzo dopo pezzo.
Indispettita da quanto accaduto, la giovane afferrò la maniglia del portone spalancando la soglia.
«Non ti hanno insegnato che esistono i citofoni?»
Ammonì la strega. La voce calma e lo sguardo gelido nell’oscurità che lo abbracciava.
«Immagino di no» stese le labbra in un sorriso sghembo.
«Prego, entrate. Vi invito a fare silenzio, farete le vostre domande al momento opportuno».
Non disse altro e si limitò a fare spazio ai due giovani per poi anticiparli lungo le scale fino a raggiungere il terzo piano. Chi fosse e perché non era ancora il momento di saperlo, potevano entrambi limitarsi ad osservare la sua figura, anche ora che con calma saliva gradino dopo gradino.
Il corpo di Madeline era magro, accarezzato dal morbido tessuto ocra del lungo vestito che nascondeva le forme assenti e gli eleganti stivali con i quali si faceva leva passo dopo passo. Il viso era tracciato da lineamenti delicati senza il trucco ad imbrattare la perfetta pelle olivastra e le pupille color pece venivano racchiuse in un taglio degli occhi all'insù. I lunghi capelli corvini erano raccolti in una cipolla ordinata che metteva in mostra due falsi brillanti appesi ai lobi delle orecchie.
L’edificio sarebbe parso, agli occhi dei nuovi visitatori, come a voler cadere a pezzi da un momento all’altro sulle loro teste. La moquette, che copriva le travi in legno, ad ogni passo lasciava salire sbuffi di polvere e lungo le pareti macchie di muffa aggiungevano colore ad una carta da parati sbiadita. Un vero schifo e lo sapeva bene Madison che ormai vi era troppo abituata tanto da non farci più caso.
Il silenzio li avrebbe accompagnati per tutto il tragitto sempre che uno dei due non avesse deciso di interromperlo.


Adeline, Draven benvenuti nella vostra Quest di Background.
Sapete già dove siete, Madison vi accoglie e vi invita ad entrare seguendola lungo le scale con un chiaro - e non troppo velato - ordine, che siete liberi di rispettare o meno. Il tragitto è abbastanza lungo fino al terzo piano; chiaro, qualora non decideste di rimanere sulla soglia!
Prima di lasciarvi il gioco vi ricordo poche semplici regole: non si modificano i post, a meno che non ve lo conceda io stesso, e si procede con un'azione alla volta.

Per qualsiasi dubbio o domanda mi trovate a vostra disposizione via MP.

A voi.

 
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view post Posted on 2/5/2023, 17:58
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Il fumo della sigaretta disegnava figure astratte nell’umidità londinese, prima di disperdersi nell’aria. Potè seguirne l’andamento per soli pochi istanti; un altro paio di tiri e venne distratto dalle grida isteriche di una donna. Con lo sguardo corrucciato, in un’espressione tra il confuso e l’infastidito, non riuscì a impedirsi di rivolgere l’attenzione su di lei. Se la ritrovò più vicino di quanto la propria percezione lo avvisò che fosse, al punto che la sigaretta gli sfuggì dalle dita per l’urto. A malapena elaborò le parole adirate che rischiarono di fargli sanguinare le orecchie; con una smorfia di disappunto, si limitò a rimpiangere la caduta di quell’unica valvola di sfogo dal nervosismo. Acciaccò la sigaretta con la punta della scarpa per spegnerla e si chinò poi per raccogliere i resti del filtro e riporseli in tasca.
Gli ci volle qualche istante di troppo per apprendere il senso delle parole appena pronunciate e capire che anche la ragazza di fianco a lui era lì per un appuntamento, evidentemente alle 17 in punto e allo stesso civico di una palazzina di pochi piani. La coincidenza era strana, non aveva per nulla l’aria di essere un palazzo di uffici o qualcosa del genere. Nemmeno lei aveva idea di chi le avesse dato un appuntamento lì.
Quando si volse verso di lui, il giovane Serpeverde indietreggiò di un passo per istinto. Nonostante il tono adirato, aveva qualcosa di familiare nella voce che lo fece reagire pacatamente. Così come negli occhi, anzi, l’occhio, quello blu: di una sfumatura oltremare simile a quelli di Cecilia, sua madre, che li aveva leggermente più chiari però.
Se era un qualche tipo di scherzo era pronto a dare fuoco a baracca e burattini e a tornarsene a Hogwarts in tempo per la cena in Sala Grande.

No. – si limitò a risponderle, glaciale. D’altronde, “no” era una frase completa di senso, non le avrebbe sciorinato la peculiarità di quella coincidenza che li voleva entrambi lì, seppur estranei, per un motivo che nessuno dei due conosceva e invitati da qualcuno che nessuno dei due aveva idea di chi fosse; non avrebbe detto nulla finché qualcuno, e non gliene fregava niente di chi o come, non gli avesse spiegato per filo e per segno che cazzo stava succedendo e perché fosse stato convocato lì.
Indietreggiò di un ulteriore passo per recuperare un po’ dello spazio personale di cui era stato privato all’arrivo della donna, che si era piazzata di prepotenza di fronte la porta nel tentativo di scardinarla a suon di pugni.
Riprese in mano il cellulare per controllare l’ora sullo schermo e la vide cambiare in tempo reale, segnalare le 17 in punto. Si portò alle labbra un’altra sigaretta e l’accese senza esitazione. Un po’ per una questione di puntualità, un po’ per le grida di Occhibelli 2.0 che dovevano aver attirato l’attenzione di tutta Londra Est, pensò di non avere tempo sufficiente per fumare un’intera sigaretta, ma si concesse comunque un paio di lunghi tiri agitati. Si ritrovò a trattenere il fumo quando la figura di un’altra donna simpatica e poco nervosa si affacciò oltre la porta molestata invitandoli a entrare.
Quale persona sana di mente entrava in casa di uno sconosciuto senza essere a conoscenza nemmeno del motivo per cui si trovava lì? Insomma, il motivo lo sapeva dalla lettera, ma erano state righe così vaghe da scaturire in lui più scetticismo che curiosità.
Non appena la vide voltargli le spalle e risalire le scale che aveva appena sceso, Draven superò la donna sull’orlo di una crisi isterica con due grosse falcate. Avanzò di poco oltre l’uscio della porta, quanto ritenne sufficiente per potersi affacciare verso la tromba delle scale e seguire il percorso della sconosciuta che li aveva invitati a entrare. La vide raggiungere il terzo piano e solo a quel punto si tirò indietro per affiancare il citofono; aveva redarguito la molestatrice di portoni per non aver suonato, quindi tanto valeva usarli, no?
Tenendo la sigaretta tra l’indice e il medio della sinistra, protrasse quella stessa mano per pigiare il citofono dell’appartamento al terzo piano. Nel caso in cui la donna o chi per lei avesse risposto al trillo, il Serpeverde avrebbe detto:

Mia madre mi ha detto che non devo parlare con gli sconosciuti, figuriamoci entrare in casa loro. Almeno un nome sarebbe gradito, visto che il mio lo conoscete.

 
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view post Posted on 7/5/2023, 16:25
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Lo sguardo di Adeline non poté che osservare impotente l’allontanarsi di un passo del ragazzo che, l’istante successivo, chiuse anche di netto il discorso con un secco e gelidissimo -No.
Londra sentì stringersi il costato in una fitta dolente: il fatto che la sua razionalissima mente le ricordasse ogni giorno che “ogni persona era a sé, non poteva piacere a tutti come tutti non potevano piacere a lei, lo spazio vitale di ciascuno è importante ecc. ecc. ecc” non poteva impedire al suo sin troppo tenero muscolo cardiaco di sanguinare dolorosamente ad ogni freddo distacco, gelida voce e dura parola.
E non importava che quei gesti fossero rivolti a lei direttamente, come in quel caso, o ad un completo estraneo, non importava che chi poi li metteva effettivamente in atto fosse effettivamente conosciuto o sconosciuto alla strega: il caotico turbinio racchiuso nel seno di Londra, in ogni caso, la riportava trascinandola implacabile in quei bui e gelidi gorghi d’acqua dove Adeline celava il suo passato, i freddi distacchi di chi avrebbe dovuto occuparsi di lei, la gelida voce di chi avrebbe dovuto volerle bene, le dure parole di.. – anche l’ex Bronzo Blu così, si ritrovò ad indietreggiare di un poco, spostando il peso del corpo all’indietro.
Era ferita, più che altro, e la tormenta nascosta nel petto non aiutava a chiarirle le idee e sfruttare la mente più razionale a cui solitamente si aggrappava come un ancora di salvataggio, boccate di aria tiepida in quelle tempeste gelide.
-Scusa.-
Le uscì in un sussurro a fior di labbra – forse quel che sentiva era quasi puro terrore – non potevano tirare in mezzo il suo passato, la sua famiglia, e adesso trattarla di nuovo, ancora come era stata trattata per una vita intera.
O forse, era proprio il fatto di aver tirato in mezzo il suo passato e la sua famiglia che adesso le faceva leggere ogni più piccolo ed insignificante gesto come un attacco personale, lame affilate atte unicamente a ferire lei, ferirla di nuovo di nuovo, ancora.
Stava deglutendo aria, lo sguardo basso come da bambina, in precario equilibrio tra la rabbia che l’aveva portata sino a lì, poi lo sgomento e la paura per quelle distanze e quel gelo ancora così istintive nell’altro era questo che si meritava, dunque? Sua zia aveva sempre avuto ragione? Se non protetta da uno specifico ruolo e posizione lavorativi era questo che suscitava negli altri? Senza la gentilezza infinita e spropositata che quotidianamente cercava di donare a chicchessia, era questo che conseguiva al suo avvicinarsi alle persone? ..e infine la tristezza –
- quando la porta, di scatto, si aprì.

-Non ti hanno insegnato che esistono i citofoni? Immagino di no.-
Era entrata in apnea, come spesso le capitava senza neanche accorgersene.
Se fosse stata ancora in balìa della rabbia più nera come soli pochi attimi prima, avrebbe sicuramente ribattuto con una sardonica risposta pronta: -Non sai tutto della mia famiglia? Dovresti sapere che nessuno mi ha insegnato alcunché.-
Ma a quanto pare il caos in seno alla londinese era davvero a dei picchi storici, per cui Adeline rimase con le labbra serrate prima ad ascoltare l’invito della donna, poi ad osservarla intraprendere le scale.
Non le piaceva.
Quella strega non le piaceva affatto, e con i pugni stretti ai fianchi lo sguardo di mare e di bosco di Londra seguì per diversi secondi quella figura magra e sgradevole.
L’attenzione tornò al mago solo quando lo percepì muoversi, e Adeline ne seguì i movimenti, interdetta, mentre questo al posto di incamminarsi dietro alla donna si limitava ad osservarla salire.
Confusa, inclinò la testolina dorata da un lato, in un gesto talmente tanto istintivo e suo che quasi – senza alcuna ragione – le venne da ridere.
Scrutò ancora per qualche secondo il ragazzo, studiandone il profilo e i lineamenti che intravedeva. Poi, mentre la donna ancora saliva, decise di iniziare a seguirla.
Aveva però appena compiuto qualche passo quando – la strega ormai arrivata in cima al terzo piano – sentì nuovamente la voce del mago, che ancora una volta catturò la sua attenzione: -Mia madre mi ha detto che non devo parlare con gli sconosciuti, figuriamoci entrare in casa loro. Almeno un nome sarebbe gradito, visto che il mio lo conoscete.-
Adeline scoppiò a ridere, assurdamente genuina come una bambina, senza scherno o derisione.
A metà della prima rampa di scale, la voce diretta al citofono era stata sufficientemente nitida perché Londra la cogliesse, e non poté proprio trattenersi – lo sguardo sorpreso, le sopracciglia sottili arcuate in direzione del mago ed ancora un piccolo sorrisetto divertito tra le labbra.
-A me invece non hanno insegnato nulla quindi..-
Lo disse più tra sé e sé che rivolta effettivamente a qualcuno, riprendendo l’attimo seguente a salire le scale.
Sia che il ragazzo l’avesse raggiunta poco dopo o meno, una volta arrivata in cima Adeline si sarebbe fermata sulla soglia, inchiodando lo sguardo sulla figura della strega sconosciuta.
Era ancora arrabbiata con quella donna. A tratti disgustata.
Non sapeva a cosa avrebbe portato il suo personalissimo caos interiore.. ma sapeva cosa portava di solito la sua rabbia.
 
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view post Posted on 6/6/2023, 23:16
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Il Fato

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Giunti dinanzi alla porta dell’appartamento la donna allentò la mano nella quale teneva stretta la chiave. Inserì l’oggetto nella fessura e girò lentamente verso destra. Il rumore secco del catenaccio liberò il meccanismo, così poggiò la mano sul pomo spalancando l’entrata. Nello stesso istante il suono del campanello fece tremare il muro adiacente la cucina. Un trillo improvviso. Madeline si spinse subito in direzione della cornetta:
«Mia madre mi ha detto che non devo parlare con gli sconosciuti, figuriamoci entrare in casa loro. Almeno un nome sarebbe gradito, visto che il mio lo conoscete.»
La voce di Draven dall’altra parte.
Un ghigno, Madeline apparve curiosamente divertita. Si poggiò al muro con la spalla, gli occhi rivolti alla porta ancora aperta in attesa che Adeline varcasse la soglia. Allungò la mano verso il piolo e appese le chiavi al muro, prese le Rothmans sul mobiletto vicino e sfilò una sigaretta con le labbra. L’accese l’istante seguente e fece un tiro: l’odore di tabacco coprì il profumo di gelsomino e orchidea diffondendosi nell’ambiente.
«Madeline Prewett. Ora sali prima che chiuda la porta.»
Riagganciò la cornetta e attese immobile senza distogliere lo sguardo su Adeline ancora sulla soglia.
Se Draven avesse accettato di raggiungere l’appartamento, avrebbe avuto libero accesso nell’appartamento. Madeline avrebbe aspettato il tempo necessario di quella che era chiaramente una scelta definita. Nel mentre aveva poggiato le spalle contro il muro e assunto una posizione del tutto rilassata. Il peso della verità premeva sulle spalle ricurve in direzione del pavimento. Una posa sgraziata che nascondeva dietro abiti accuratamente cuciti per classi più abbienti. Teneva la sigaretta tra le labbra e gli occhi socchiusi liberando piccoli sbuffi di fumo nell’aria. Non biasimava l’incertezza di quel ragazzino, né la rabbia dietro le iridi vetro della giovane Walker.
Le bugie hanno un peso solo se sai che sono bugie, Maddy. Le aveva detto suo padre pochi giorni prima di morire. Vivere nella menzogna era sbagliato, pagarne le conseguenze una condanna ingiusta. Madeline lo sapeva bene, da quando aveva saputo la verità non aveva fatto altro che vivere con l’unico obiettivo di trovare vendetta. Si era preparata a lungo per questo e non si sarebbe fermata.
Così, li avrebbe invitati a superare la soglia per poi chiudere accuratamente a la porta afferrando il pacchetto di Rothmans e l’accendino. Superandoli, in un rigoroso silenzio, Madeline si sarebbe fatta avanti attraversando il piccolo disimpegno sino a raggiungere il salotto.
L’appartamento era piccolo ma ordinato e pulito, in netto contrasto con quello che Draven ed Adeline avevano visto fuori da lì qualche attimo prima. Le pareti accuratamente dipinte, il pavimento rivestito di una morbida moquette beige senza macchie e sbuffi di polvere. Le lampade lungo le pareti riscaldavano l’ambiente lasciando riposare gli occhi dal grigiore della città.
«Accomodatevi pure.»
Sul tavolino del piccolo ed accogliente salotto, un rocchetto esibiva un discreto set da tè. Tazze vuote disposte a tracciare un triangolo invisibile, una teiera fumante e la zuccheriera - pronti a servire i nuovi arrivati - al centro.
L’ambiente era accogliente, illuminato da una luce calda che ben legava con le pareti blu zaffiro della stanza. Non vi era alcuna traccia di oggetti di valore, solo mobili riverniciati a riempire lo spazio, fiori freschi dentro a vasi di vetro, alcune foto appese alle pareti e il profumo a riempire l’ambiente in contrasto con il fumo della sigaretta.



 
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view post Posted on 7/6/2023, 21:25
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Si appoggiò con una spalla allo stipite del portone lasciato aperto. La ragazza al suo fianco doveva aver dato fondo alla sua frustrazione; senza più traccia d’isteria, quando gli passò di fianco a malapena se ne accorse. Furono le sue parole a fargli alzare lo sguardo nella sua direzione. Non ribatté all'amara osservazione e si limitò a fissarla con occhi freddi e carichi di rabbia.
Perché era lì? Chi cazzo era? Chi cazzo erano tutte e due?
Non sapere lo rendeva nervoso. Trovarsi in una situazione di assoluta incognita lo metteva a disagio. Quando era nervoso e a disagio diventava aggressivo.
Con le mani in tasca e la sigaretta di nuovo tra le labbra, resse svogliatamente il filtro con i denti. Ebbe modo di inspirare due tiri ed espirarne uno nel tempo che intercorse tra le sue parole e la risposta al citofono. La seconda boccata di fumo gli si bloccò in gola insieme all'ossigeno, quando sentì pronunciare il cognome di sua madre. Prewett. Gli si gelò il sangue nelle vene. La sigaretta sfilò via dalle labbra socchiuse di stupore.
Poteva anche trattarsi di un parente, di una delle sorelle di Cecilia di cui aveva sentito parlare solo una volta. In ogni caso non avrebbe dovuto toccarlo così. Gli era stato reso chiaro anni addietro che non aveva una famiglia al di fuori di Cecilia e Lilien. Gli era stato concesso di fare domande perché, tanto, potevano essere ignorate. Così a lungo si era chiesto perché non potesse saperne nulla, finché non aveva smesso di interessarsene. Si era imposto di non darvi importanza.
Quando l'ossigeno, finalmente, riuscì a riempirgli di nuovo i polmoni, tossì. Aver trattenuto il respiro, il fumo, bruciò nella gola come lava. L’impressione che il cuore si fosse arrestato quando d’improvviso prese a battere troppo veloce nel petto, al punto da sembrare che riverberasse nell'androne delle scale.
D'istinto, prese in mano il cellulare e aprì la chat di messaggistica con sua madre. L'ultimo scambio di messaggi risaliva a più di tre mesi prima. Non riceveva lettere da lei da almeno due anni. Che cosa avrebbe mai potuto dirle? L'ultima volta che aveva condiviso con lei qualcosa che lo riguardava era stato per chiederle di passarlo a prendere a casa di Megan a Natale. Era in ritardo di almeno undici anni per condividere con lei delle preoccupazioni.
Preoccupazioni che, oltretutto, non voleva accettare di avere.
Rinfoderò il cellulare e mosse un passo. Poi un altro, incerto. Ma l’attimo dopo si ritrovò a salire i gradini di fretta, due per volta.
Giunto sulla soglia dell’appartamento non si fermò e la superò senza esitazione. La mascella contratta dal nervosismo e le braccia distese lungo i fianchi, mantenne lo sguardo alto, per fierezza, ma senza davvero guardare nulla dell'arredamento. Seguì “Madeline Prewett” fino al salotto e, a quel punto, avrebbe atteso in piedi che fosse la prima ad accomodarsi per potersi sedere di fronte a lei. Gambe leggermente divaricate e schiena protesa in avanti, con gli avambracci poggiati sulle cosce e le mani chiuse a pugno, avrebbe tenuto lo sguardo fisso sulla donna, quasi senza battere ciglio. In attesa, non sapeva nemmeno lui di cosa, ma avrebbe aspettato. Più o meno pazientemente.
 
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view post Posted on 11/6/2023, 19:13
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Si domandava in quale punto di quell’assurda storia sua zia Ada avesse messo lo zampino.
Perché doveva centrare, in qualche astruso modo - doveva per forza.
Dubitava fortemente che suo padre – disperso o morto da ventisette anni – avesse a che fare con la questione, così come dubitava che sua madre tornasse dal regno dei morti – pertanto solo per farle quello scherzetto.
Suo padre disperso, sua madre morta – sua zia Ada – diciamo che l’elenco dei sospettati si presentava a dir poco scarno.
E poi quella donna.
Londra la osservava muoversi, con quell’attenzione patologica al dettaglio che la accompagnava da sempre – anche se adesso le iridi di bosco e di mare si muovevano ferine lasciando dietro ogni più piccolo scatto una scia d’ira, lampi di gelida rabbia e sdegno.
La strega sembrava relativamente tranquilla – il che possibilmente dava ancora più fastidio ad Adeline – pizzicata nei suoi punti più fragili da dei completi sconosciuti.
Sentì i passi del giovane mago risalire le scale dietro di lei, e lo vide varcare la soglia senza esitazione.
La londinese stava odiando tutto, tutto di quegli istanti, tutto di quel luogo – come se persino la tappezzeria frusta all’esterno e particolarmente curata all’interno dell’appartamento le avesse fatto un torto.
Il torto di osservarla muta e indifferente, lì, intrappolata da gorghi invisibili i cui lunghi artigli la ferivano sottopelle e le cui gole nere e senza fondo la chiamavano a loro.
Scosse un poco la testa, ordinandosi fermezza nell’animo – che travolto dal suo personalissimo caos, aveva tutto fuorché punti fermi e strutture.
Infiniti attimi nacquero e morirono così, prima che Adeline infine si decidesse a muoversi e a varcare anche lei quella soglia – che sapeva di tante cose, tanti confini, tanti tipi di porte aperte meno che di un banalissimo ingresso ad un’abitazione.
Seguì la strega ed il mago, ad un passo leggermente più lento e rigido, ritrovandosi poi in salotto con le iridi che rimbalzavano tra le due presenze e i dettagli d’arredo di quell’alloggio – come se si aspettasse di trovare chissà quale indizio, chissà quale foto? lettera? oggetto personale? che desse una spiegazione a tutto.
I timpani vibrarono al suono della voce ancora sconosciuta che li invitò ad accomodarsi – lo sguardo di Londra saettò sul servizio da thè - ah, perché qualcuno forse pensava che avrebbero bevuto thè caldo e mangiato pasticcini come un’allegra e cordiale rimpatriata?
Si avvicinò ad uno dei posti a sedere lì nei paraggi - di fronte alla strega si era posizionato il ragazzo, Adeline scelse una postazione leggermente più distante, a lato di quest’ultimo ma comunque distaccata da entrambi.
Aveva i lineamenti del viso talmente bui e marmorei che la mascella irrigidita, quasi le doleva.
In quegli istanti era sceso il silenzio – un silenzio che, per ora, sembrava ancora quasi salvifico premendo rassicurante contro il costato di Londra.
Le iridi bicrome scivolarono lontano, prima sui vasi in vetro colmi di fiori, poi sulle pareti blu, dopo ancora sui vetri puliti di una finestra.
Il mondo andava avanti imperterrito, scorrendo imperturbabile e disinteressato allo sdrucciolio dell’animo della ex Bronzo Blu.
Si sedette, alla fine, la schiena dritta e le braccia rigidamente incrociate, la testolina dorata che si voltava per permettere allo sguardo di tornare a fissare la strega “che sapeva parecchie cose”.
Beh, a quanto pare a lei non era dato sapere proprio nulla, motivo per cui se ne stette assolutamente a suo agio in quel silenzio pieno di non detti.
Muti non detti, tra cui nel suo assordante silenzio spiccava sicuramente un v e r i t à o n o n , t i s t a i m u o v e n d o s u d i u n c a m p o m i n a t o.
Assioma inconfutabile cui Adeline, altrettanto tacitamente, concordava appieno.
 
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view post Posted on 17/7/2023, 20:58
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Madeline si sedette.
«Immagino che vi stiate chiedendo chi io sia e perché abbiate ricevuto da me quella lettera.»
Il silenzio venne interrotto da quelle parole. Il suono sicuro, uno sbuffo di fumo a coprire il suo volto.
Era una donna piuttosto ferma, lo si poteva dedurre all’apparenza: la schiena dritta, le gambe accavallate in una postura elegante e autoritaria. Gli occhi, color abisso, osservavano attenti studiando i volti dei due ospiti. Sarebbe dovuta ben presto venire al punto ma c’era un filo logico da seguire, qualcosa che non poteva in alcun modo evitare.
«Sono la figlia di Alexander Prewett.»
Cercò un guizzo nelle iridi smeraldine del ragazzo, tirò ancora dalla sigaretta, poi guardò Adeline.
«Mio padre era un brav’uomo, troppo stupido per innamorarsi di una donna come Lili e troppo codardo per aver sposato mia madre.»
La voce continuava ad essere inflessibile. Nessun respiro fuori tempo, nessuna incertezza macchiava il flusso di quelle parole. La tensione aveva iniziato ad abbracciare quel momento minacciando di insinuarsi nelle menti dei presenti. Madeline, però, era abituata a vivere nella menzogna, piegata dal dolore che la vita le aveva riservato. Provare empatia era fuori discussione. Era stata una bambina privata degli abbracci di sua madre, morta quando lei aveva due anni per Vaiolo di Drago; plasmata dall’indifferenza di suo padre, troppo impegnato a combattere in una vita fatta d’illusioni.
Si tirò appena su con la schiena, piegandosi leggermente in avanti. Spense la sigaretta nel posacenere e afferrò la teiera.
«Da Hong Pao, un tè molto pregiato. Viene dalla Cina, costa molto ma so come ottenerlo senza spendere un solo centesimo.»
Versò il tè nelle tazze, ben attenta a non rovesciarne nemmeno una goccia sui piattini. Partecipare ai banchetti dell’alta società aveva i suoi vantaggi, poteva dirsi di non riuscire più a farne a meno.
«Prego, bevete. Andremo per gradi, non posso lasciare che mi sfugga nulla.»
Si sollevò sulle ginocchia muovendo pochi passi verso la piccola libreria incastonata nel muro sotto ad una madia di legno riverniciato. Al centro esatto della struttura sospesa, uno sportello con una serratura. L’aprì subito estraendo dall’interno una vecchia scatola logorata dal tempo. Chiuse a chiave l’istante seguente, lasciò scivolare l’oggetto nella tasca del vestito, poi posò la scatola sul mobile. La mano accarezzò la superficie intagliata; l’oro macchiato di muffa mostrava un fiore stilizzato al centro. Era comunque bella, anche dopo quarantacinque anni.
«La verità può condannarci.» Pronunciò quella frase in modo chiaro - nel ricordo di alcune parole lette all’interno di quella scatola. - Adeline e Draven avrebbero potuto sentirla.
Infine, si voltò tornando a stringere la scatola mostrandola ai loro occhi.


 
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view post Posted on 21/7/2023, 01:12
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Madeline Prewett si mise a sedere e così fece Draven, posizionandosi di fronte a lei. Gambe leggermente divaricate, busto proteso in avanti e gli avambracci sulle cosce. Una posa poco elegante, quanto eloquente: era pronto ad ascoltare e non avrebbe mai più distolto l’attenzione da quella donna, così enigmatica, fin quando non si fosse decisa a dire ciò che aveva da dire.
Iniziò a ripetersi nella mente, come un mantra, che qualsiasi cosa gli fosse capitata di venire a sapere non gli avrebbe concesso di intaccarlo in alcun modo. Poteva rivelarsi essere anche la sua vera madre e comunque, si impose, se ne sarebbe disinteressato. Aveva una vita vera adesso, delle aspettative e delle ambizioni che voleva portare a compimento. Aveva la ragazza dei suoi sogni, una via di fuga dalla deprimente realtà londinese babbana, una carriera che intendeva perseguire. Avrebbe lottato, fino allo sfinimento, per tutto questo. Dava valore alle proprie energie e al proprio tempo.
Non aveva bisogno di una famiglia. Non aveva affetti di sangue da che la sua memoria aveva iniziato a imprimersi ricordi più o meno rilevanti. Undici anni passati completamente da solo. E questo, qualsiasi cosa fosse, non rientrava nei suoi piani.
Era sull’attenti, pronto ad accettare qualsiasi rivelazione; semplicemente perché non avrebbe potuto avere ripercussioni su ciò che aveva vissuto fino a quel momento e, di conseguenza, non avrebbe potuto avere rilevanza nel suo futuro perché nulla di tutto ciò aveva davvero fatto parte di ciò che era riuscito a essere, con le sue sole forze.
Se ne convinse al punto che, quando la donna esordì spiegando il legame dietro il suo cognome, Draven non battè ciglio.
Non aveva mai sentito parlare di Alexander Prewett, suo nonno? Quindi, quella donna era la sorella, o meglio sorellastra, di sua madre?
Per qualche motivo, probabilmente condizionato dal fatto che sua nonna Lilien era una stronza epocale, non faticò a credere che in gioventù si fosse data da fare a figliare con gente a caso. Senza contare che una strana storia riguardo le sorelle di sua madre gli era giunta dagli amici elfi di Rufus, il povero schiavo di Lilien.
Ne seguì una breve sciorinata autocelebrativa che lasciava intendere quanto la ragazza fosse nel giro… del tè? O forse era solo così ricca da ricevere costantemente regali pregiati, vista l’ipocrisia sociale e l'opulenza.
Con un semplice gesto del capo declinò l'invito a bere dalla tazza appena riempita. Il profumo era invitante e l’essersi innervosito, fuori dal portone, gli aveva lasciato in gola uno sgradevole sapore di rame; avrebbe gradito volentieri del tè, ma non si fidava delle persone. Non beveva e non mangiava in luoghi che non gli ispiravano tranquillità. E l’aura che aleggiava in quell’appartamento era tutto, fuorché tranquilla.
Dunque, Madeline era una delle sorelle segrete di Cecilia? Ce n’erano davvero altre?

Quale verità? – chiese, il tono fermo che lasciava intuire un guizzo di curiosità, mentre la seguì con lo sguardo e la vide prendere una scatola dalla libreria infissa al muro.
Una domanda più che lecita in risposta a quelle parole che, forse, la donna intendeva lasciar passare inosservate. Come se, chiedendole altre verità, volesse farle capire che ciò che aveva appena detto non valeva nulla; che qualsiasi cosa ci fosse dentro quella scatola andava rivelata subito, se serviva a svelare altre omissioni.
Non era uno che si lamentava del silenzio o del non-detto; tutt’altro. A snervarlo era il suo modo di controllare la situazione per le briglie. Quasi gli ospiti invitati lì, sia Draven che l’altra donna, fossero nient’altro che burattini alla mercé del loro burattinaio.
Cosa nascondeva, per davvero, quella Madeline Prewett? Cos’altro c’era sul piatto d’argento che gli sventolava sotto il muso senza dargli la possibilità di coglierne i dettagli?
Si voltò d’istinto a guardare l’altra donna lì presente. Prima di entrare nell’appartamento gli era sembrata particolarmente coinvolta. Furente, per via del modo in cui era stata invitata lì. Forse era ignara quanto lui? Forse era un’altra figlia nascosta di Lilien o di quel Prewett?
Scoppiò a ridere per nervosismo. La situazione aveva del surreale. Gli angoli delle labbra si sollevarono fino a far palesare le fossette sulle guance in un'espressione a dir poco rara da vedere sui suoi soliti lineamenti duri. Gli occhi presero quasi a lacrimare. Si portò una mano sul petto e si tirò indietro per appoggiarsi allo schienale.

Anche lei sarebbe una sorella perduta di mia madre o cosa?! – esclamò, mentre cercava di riprendere fiato e contegno, indicando la donna dagli occhi bicromo con un cenno del capo.

Che perdita di tempo. – aggiunse, scuotendo la testa tra sé.
Mettendosi a sedere in quella sala si era detto che non si sarebbe mosso da lì senza aver saputo tutto ciò che Madeline aveva da dire, ma l’istinto reagì per lui dopo soli pochi minuti e a seguito delle poche informazioni appena acquisite: asciugandosi gli occhi tra due dita, si alzò con tutta l'intenzione di lasciare l’appartamento.

//Nel mentre, io così:

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view post Posted on 22/7/2023, 18:38
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-Immagino che vi stiate chiedendo chi io sia e perché abbiate ricevuto da me quella lettera.-

Incredibile, che acume.
Sarebbe stata una cosa lunga, realizzò in quel momento Adeline, che con le braccia ancora incrociate sotto il seno ridirezionò l’avambraccio della mancina verso la testolina dorata, lasciando così che quest’ultima poggiasse morbidamente sulle nocche strette in un pugno diafano.
-Sono la figlia di Alexander Prewett.-
Lo sguardo di Londra si corrugò in un cipiglio confuso e ancora chiaramente irritato: wow.
Si aspettava degli applausi? Riverenze? Domande di autografi?
Il fatto che la questione non chiarisse alcunché – né sinceramente al momento la interessasse a questo punto – era chiaro a qualcuno o il concetto e il disappunto rimanevano limpidi e cristallini unicamente nella testolina della Medimag?
In altre parole: Piacere di conoscerti Sig.ra “Machiticonosce” – figlia del Sig. “SconosciutotraSconosciuti - brav’uomomastupidoeinaggiuntapurecodardo” – mi dispiace, ma questo è davvero troppo poco su più e innumerevoli livelli perché davvero attenui questo prurito alle dita da “chi cazzo siete e come vi permettete di mettere le mani dove non dovreste”.
E mentre la strega elogiava sé stessa attraverso un tè pregiato – che la Medimag considerò tanto quanto la sfumatura dei pon pon del buffo cappellino della piccola babbana che stava passeggiando in quegli stessi istanti sul marciapiede davanti casa, a Riga, capitale della Lettonia - Adeline Walker realizzò che l’unica con la quale doveva realmente prendersela, in fondo, era lei medesima: avrebbe anche potuto evitare di dare peso a quella missiva, avrebbe potuto evitare di sprecare pensieri, energie, tempo che l’avevano condotta sino a lì, in quel preciso momento e luogo - avrebbe anche potuto evitare - gli occhi di bosco e di mare seguirono ferini i movimenti della sconosciuta trascinando ancora con sé quel acido ribrezzo visto così raramente nel suo sguardo - e basta.
Nel suo profondo tuttavia, Londra rimaneva una creatura curiosa – e di fatto fu questo l’effettivo, unico e solo motivo per cui tacitamente diede a quella strega ancora una sola chance per convincerla a restare, una chance di catturare davvero il suo interesse riuscendo a far scavalcare alla londinese quel muro di rabbia, odio e disgusto che attualmente la difendevano colmavano, e trasudavano da ogni suo singolo e più piccolo gesto - una sola ed unica chance rivolta a -
-Quale verità?-
Non era l’unica ad essere curiosa, a dispetto di tutto – e la scatola che fu portata al centro dell’attenzione in quel breve lasso di tempo ebbe quantomeno lo straordinario potere di ancorare le iridi bicrome lì, su quello sconosciuto contenitore di cosa? e trattenere, ancora per qualche istante, Londra – esattamente lì dove stava, persino nella medesima posizione di prima.
- A lei, a lei era rivolta quell'unica chance, a quella vecchia scatola intagliata.
Certo, al di là dello sguardo di Londra, fu trattenuto poco altro: il ragazzo seduto poco distante da lei scoppiò a ridere pressochè dal nulla, peraltro additandola e ipotizzando che potesse essere sorella - di chi, scusa?!
La testolina dorata si volse appena, lo sguardo verde blu assottigliato in direzione del mago: quanti anni credeva che avesse?
Ma la realtà era che la sola idea di una parentela così stretta come una sorella sconosciuta – le scuoteva così tanto l’animo in burrascosa mareggiata da farla reagire ancora una volta sulla difensiva -Io sono figlia unica.- fu perciò tutto ciò che si premurò di sottolineare Adeline, sibilando appena – anche se tacitamente concorde con il ragazzo quando appena pochi attimi dopo, evidenziò quel che per lei era a questo punto già ovvio: la Medimag si mosse dalla sua sino ad allora quasi marmorea posizione con il mento ancora appoggiato al pugno chiuso, stendendo ora le braccia in avanti e aprendo i palmi, un po' come lo stiracchio tediato dei gatti.
Si accodò all’ultima battuta del ragazzo e aggiunse: -Signorina.. Prewett? Per quel che mi riguarda penso abbiate persino sbagliato persona. Non conosco voi - e le iridi bicrome dardeggiarono tra le due figure presenti, cristalline -Né le persone da voi menzionate. Quindi, a meno che da quella scatolina, adesso, non sbuchi un nome a me familiare – e peraltro con cognizione di causa e spiegazioni consistenti..- Adeline stese le labbra nel sorriso più sottilmente feroce e falso che le fosse mai uscito sul volto, più o meno volontariamente -Credo che toglierò anche io il disturbo.-
Poggiò con delicatezza i palmi delle mani sulle gambe incrociate, inclinando appena la testolina dorata, con fare di felino studio – tanto quieta nei toni quanto sottilmente feroce nella luce che le illuminava lo sguardo: -O meglio – me ne andrò volentieri togliendo il vostro di disturbo dalla mia di vita.-
Avrebbe concesso a quella donna altri due minuti solamente per ficcanasare così malamente nella sua vita e nella sua storia – pretendendo peraltro un’educazione, un’attenzione, un rispetto che in maniera quanto mai così limpida non le erano assolutamente dovuti agli occhi di Londra.
Due minuti per spiegarsi come Merlino comandava – lasciando da parte quel suo manovrare di fili e gettare frasi al limite del randomico e dello scontato come se lei fosse Dio sceso in terra e Adeline e quel mago due idioti perditempo alla mercè della prima sig. Nessuno.
Due minuti.

Uno e cinquantanove.
Uno e cinquantotto.
Uno e cinquantasette..
 
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view post Posted on 26/9/2023, 11:27
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Pochi passi.
Madeline ripercorreva la stanza per tornare al proprio posto. Un lampo illuminò l’ambiente, annullando il bagliore fioco delle lampade appese alle pareti e le parole di Draven interruppero il silenzio.
Non c’era tempo di dare spazio a inutili convinzioni; fingere quanto a cuore avesse quella situazione, celando l’indifferenza che si racchiudeva in gesti soppesati da un falso copione ben studiato. Non li stava tendendo in una trappola, stava offrendo la verità che avrebbe lasciato possibile fare luce sulle trame contorte delle loro vite.
Quale verità? Le aveva chiesto Draven.
Era lì la verità. La teneva stretta tra le dita affusolate con estrema delicatezza.
Quella scatola: unico testimone tangibile di una storia. Risposte.
«Non conosco tua madre, non direttamente almeno» replicò tranquilla Madeline non appena Draven fu in piedi di fronte a lei.
Il fragore di un tuono lasciò tremare le finestre. Lei non si mosse. Aveva alzato lo sguardo sul ragazzo, le iridi color pece erano accese da una velata irritazione. Un sorriso sprezzante, poi, si fece largo tra le sue labbra e proseguì: «Dovresti essere più gentile, tua nonna non approverebbe. È a lei che dai ascolto, no? »
Si sistemò sulla seduta. Gli occhi si posarono sulla tazza fumante e la mano destra afferrò il manico allungandosi appena. Un sorso e la posò l’attimo seguente per poi rivolgere l’attenzione alle parole gentili di Adeline.
«Mrs. Walker, le posso assicurare che non ho sbagliato persona» disse «e che non sono qui per perdere tempo con stupidi giochetti.»
L’espressione era imperturbabile, il tono freddo e distaccato. Madeline prese un'altra sigaretta, la scatola scivolò ai lati della poltrona: tra il bracciolo e il fianco. Accavallò la gamba sinistra, fece scattare con il pollice l’accendino e lasciò bruciare la paglia inalando una nube di fumo che andò dritta nei polmoni.
«Bene, se ora il giovane Shaw vuole sedersi e ascoltare... Al contrario, mio caro, sai già dove è la porta» un mezzo sorrisino, posò l’accendino e tornò a stringere la scatola nella mano libera riportandola all’altezza del ventre.
«Avevo dieci anni quando mia Madre si ammalò. Mio padre era stato appena congedado dal Ministero a seguito di un incidente debilitante e riuscivamo a stento a mangiare. Spesse volte eravamo costretti a un tozzo di pane da dividere in tre» inspirò dalla sigaretta e una scia di fumo grigio uscì al lato delle labbra. Gli occhi si rivolsero al camino scoppiettante, come se le lingue di fuoco potessero in qualche modo aiutarla a dare forma a quelle parole che le bruciavano nel petto.
«Le cure per mia madre costavano troppo e per i mancati pagamenti alla fine il San Mungo decise di toglierci l’assistenza. I primi sintomi di interruzione dei farmaci si manifestarono dopo pochi giorni. Fu tremendo» tornò a guardarli. Non era facile ricordare quei momenti ma nel tempo era riuscita a spegnere parecchie emozioni. In Madeline, difatti, non c’erano colori. Persino le sue iridi avevano il colore dell’abisso. Come un iceberg, affondava i suoi cardini sul fondo dell’oceano più freddo sciogliendosi lentamente.
«Andò avanti per due mesi: febbre, convulsioni, vomito» sospirò, «poi quando tutto sembrava perduto, mio padre trovò i soldi per una nuova cura».
Lo sguardo di Madeline saettò tra i presenti, non per cercare compassione ma attenzione. Era arrivata ad un punto cruciale del suo racconto.
«Tuttavia, era troppo tardi. Le cure riuscirono a rallentare la morte ma non a guarirla, fino a che non si spense definitivamente e» strinse i pugni e tremò appena mentre riempiva i polmoni con un’altra boccata di tabacco, «mio padre cadde in depressione».
Si arrestò. Spense la sigaretta nel posacenere e aprì la scatola.
«Vorrei iniziare da qui» allungò loro la prima lettera, «sono stata cieca per tutto questo tempo fino a che non ho trovato queste».

La pagina ingiallita di una vecchia missiva avrebbe introdotto Draven ed Adeline in quello che fin dal principio era sembrato loro un qualcosa di estraneo alla loro esistenza ma che, adesso, apriva la strada a nuovi eventuali dubbi con conseguenti domande alle quali Madeline sarebbe stata in grado di rispondere.

Mittente: Lilien Shaw.
Destinatario: Alexander Prewett.

Caro Alexander,
Spero tu stia bene. Sarai sorpreso per questa lettera, credimi lo sono anche io che la sto scrivendo. Ne abbiamo passate tante, ho ancora vividi molti ricordi del nostro passato. Le nostre vite sono ormai distanti e spero con tutto il cuore che tu abbia avuto una vita felice.
Non è stata per nostra volontà che ci siamo separati, lo sai.
Non è stata per mia volontà sposarmi e dirti addio. Che poi… Non c’è stato mai un vero addio.
Mio adorato Xander, la vita non è stata facile per me ma ho tre splendide figlie. Sto attraversando un periodo buio e vorrei tanto che tu mi fossi vicino anche con semplici parole di conforto. Genophilius, mio marito, non è l'uomo che credevo e sto lottando per proteggere me stessa e loro dalle orribili disgrazie e violenze che ha portato nella famiglia.
Xander caro, spero tu possa rispondermi presto.

Con affetto

Tua, Lili





 
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Un tuono scosse l’intero appartamento – e Adeline non poté che rabbrividire, silenziosamente terrorizzata.
Amava la pioggia quanto la atterrivano i tuoni – una di quelle classiche, persino sciocche paure infantili, mai superata nel suo caso - cristallizzata così nel tempo – immortale e lucente nelle sue sfumature più buie.
La Medimag sentì il sangue defluire dalla punta delle dita delle mani ancora poggiate sulle gambe incrociate, sentì la sua temperatura corporea abbassarsi di almeno un paio di gradi percepiti.
Nell’ennesimo lampo di rabbia poi che la attraversò come una scarica elettrica – si ritrovò anche a pensare come, beh, persino questo fosse uno dei tanti retaggi della sua “famiglia” – o ancora meglio, ”non – famiglia”.
Quella scatola - quella scatola ancora tenuta dall’anonima strega di fronte a lei, era attualmente l’unico vero motivo per cui la Walker non aveva già platealmente levato le tende.
Il fatto che un inesorabile conto alla rovescia stesse ancora avendo vita tra le pareti della sua scatola cranica ad ogni modo – non presagiva finali migliori.
Adeline voltò di nuovo la testolina dorata, lasciando scivolare lo sguardo oltre i vetri bagnati della finestra che poteva scorgere, riempiendosi le iridi di bosco e di mare dei contorni sfumati di una Londra zuppa.
I timpani vibravano, attenti in realtà, al suono delle parole che una dopo l’altra andavano a riempire l’aria di quella stanza – un’aria già satura di tante cose – emozioni, pensieri, immagini, echi di un tempo che fu.
Madeline raccontava una storia, e Adeline la ascoltava.
Che poi quella storia le piacesse o meno..
Le braccia tornate strette sotto al seno - ancora rivolta ai vetri puliti della finestra, la Walker aveva velocemente arcuato le sopracciglia dorate, stizzita: era questo ciò che la legava a questa donna? La fame patita durante l’infanzia? Il dolore? O magari il San Mungo – dove stava lavorando da anni – o magari..
La morte.
La testolina girò e le iridi di bosco e di mare saettarono sul ragazzo, chiedendosi silenziosamente se questo minimo comun denominatore fosse il medesimo anche per lui.
Quale passato celava quello sguardo verde come - come?
In apnea, Adeline tornò a rivolgere la propria attenzione alla strega e alla sua dannata scatola – non sarebbe stata comunque la prima ad afferrare quella lettera ora allungata in loro direzione: avrebbe lasciato l’onore (o onere?) al mago seduto poco distante da lei – e solo più tardi avrebbe lasciato scivolare lo sguardo ferino su quell’inchiostro scritto.
Quando fu il suo turno, la pergamena ingiallita le apparì sgradevole tra le dita.
Lo sguardo verde e azzurro scorse in fretta le parole – saltellò più volte sui nomi.
Se tutta quella storia riguardava la sua famiglia..
Lei, conosceva due nomi soltanto: il suo – che era poi quello della sua amata zia - "zia Ada" – l’ Adeline Walker “originale”.
E quello di Ameliè Walker – sua madre, la sorella minore di sua zia.
Nient’altro.
Nessun padre – nessun nonno – nessun altro zio – nessun parente o semplice amico.
E Adeline con il passare degli anni, si era anche detta che in fondo – se nessuno si era mai dato la pena di cercarla, nessuno si era mai sforzato tanto così per la sua famiglia – quantomeno sua madre, gravemente malata e alla fine della sua vita persino incinta, prima che morisse per causa sua durante il parto – allora forse.. sua zia, in fondo, aveva ragione.
Non esisteva nessuno al mondo a cui importasse di lei.
Non esisteva nessuno al mondo che potesse considerare una famiglia.
Non esisteva nessuno al mondo.. che riconoscesse anche solo la sua esistenza.
.. Quanta differenza avrebbe portato nel mondo la sua scomparsa – se già la sua esistenza, appariva ai confini della coscienza storica (?)
Che era poi un modo gentile per dire che - in fondo.. semplicemente, era Adeline stessa a non esistere - allora.
Così come sarebbe dovuto essere da sempre.
-Saprà parecchie cose sulla mia fantomatica famiglia – ma la mia unica “famiglia”- quella reale intendo - commentò, porgendo alla sua proprietaria la missiva e calcando quel famiglia con sprezzante ironia sebbene la voce risultasse bassa, mescolata con la pioggia al di fuori di quella finestra -è stata mia zia, Adeline Walker. E so che il nome di mia madre era Ameliè. Nessun’altro – non riconosco nessun - più che altro, “non sei stata riconosciuta”, da nessun’altro - ma la frase rimase spezzata, e quell’ultima consapevolezza muta, congelata nel tempo e nello spazio.
Londra mandò giù aria, gelo e bile, alzandosi in piedi di scatto come se l’unica cosa che le premesse ora fosse quella di fuggire via da lì – fuggire lontano, senza mai voltarsi indietro.
Serrò i pugni e le venne da ringhiare per la frustrazione e la rabbia, nuovamente calde e improvvise.
-Mia zia Ada c’entra qualcosa, in tutto questo?-
Si aspettava come sempre giri d’affari sporchi, criminalità ad alti livelli, magia oscura qua e là.
Ma per una volta – la prima forse, dopo tanti anni - quasi sperava, adesso, di sentire il nome di sua zia.
Che era poi anche il suo.
Che era poi il nome in effetti, di tutta la sua dannata famiglia.
 
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view post Posted on 9/11/2023, 00:23
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Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts

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Tentò di riportare alla memoria i racconti e le informazioni ricavate da essi durante quel fatidico compleanno di Lilien a casa sua. In un momento di assoluta assurdità, forse per volersi ingraziare la madre, Cecilia aveva deciso di festeggiare il compleanno di Lilien nella loro casa di Londra. Non che la nonna di Draven non avesse apprezzato; era stato piuttosto lui a risentirsene. Per la falsità della circostanza e il modo in cui lì, tra i suoi amici, praticamente nessuno era a conoscenza dell’esistenza di Cecilia e solo alcuni sapevano di quella di Draven. Come può una persona che conosci da più di trent’anni non sapere dell’esistenza di una figlia rinnegata e un nipote? Era inconcepibile, tanto quanto la restante omertà che vigeva intorno alla sua intera figura. Come poteva interessarsi, ancora, di una famiglia del genere?
Da quel momento in poi, il rapporto tra Cecilia e Lilien era andato degradandosi sempre di più, così come quello di Draven con le due. Quasi con lo stesso ritmo con cui lui aveva finito con l’accantonare le informazioni riguardo loro. Nel tempo, aveva smesso di ritenerlo qualcosa su cui investire le proprie energie. Non aveva una famiglia, mai l’avrebbe avuta – non in quel modo, almeno – e non aveva una casa, solo un tetto sotto cui tornare quando Hogwarts gli imponeva di farlo. Con la maggiore età sarebbe stato tutto diverso. Avrebbe trovato il modo di tagliare i ponti con Lilien e restare da sua madre solo il tempo necessario per trovare il denaro di cui aveva bisogno per permettersi un posto tutto suo.
Quelle due non avrebbero avuto più una voce nel suo futuro.
Che senso aveva ascoltare del loro passato?
Aveva ancora gli occhi umidi dalle risate amare che quella ridicola mole di informazioni gli aveva scatenato. Si era alzato in piedi. L’impulso di andare via così forte che restare fermo, buono e seduto, era stato impossibile.
Eppure, la sentì.
C’era una piccola, infinitesimale parte di lui, che si chiese se avesse legami di parentela con le due donne lì presenti.
Lo percepiva come un desiderio atavico quello di sapere, nonostante il raziocinio non volesse averci niente a che fare.
Il rombo di un tuono gli scosse le membra. Cazzo, se odiava i temporali… La situazione era già piuttosto macabra senza quel sottofondo lugubre.
Rabbrividì e, d’istinto, lo sguardo si volse verso la finestra. Così facendo, scivolò sulla figura dell’altra donna dagli occhi bicromo. Fu solo un istante. Qualsiasi pensiero fosse sul punto di formulare, si interruppe ancora prima di generarsi. Alle parole della tipa inquietante tutto quell’istinto atavico che lo aveva trattenuto lì per curiosità lo alimentò di improvvisa irritazione. Dal tono alle parole, ma soprattutto l’allusione al suo chinare la testa di fronte a Lilien. Che cazzo voleva saperne lei? Gli fece ribollire il sangue nelle vene.

Uh?!
Un suono accompagnò la smorfia che gli si formò in viso quando tornò con lo sguardo su di lei. Le labbra arricciate in un ghigno famelico e le sopracciglia corrucciate a mostrare tutto il nervosismo di cui s’era caricato da una semplice frase.
Eppure, quella curiosità era ancora lì.
Non si mosse. Non tornò a sedersi, ma nemmeno avanzò verso la porta. Ascoltò, imponendosi con tutta la forza di cui disponeva a non gridarle addosso quanto non gliene fregasse niente della sua vita. Non perché avesse delle remore a dire ciò che pensava, piuttosto perché quella maledettissima curiosità s’era agganciata alla “verità” e non voleva lasciarlo andare. Sarebbe arrivata prima o poi? O stava davvero solo perdendo tempo?
Quando aprì la scatola, si gettò sulla lettera estratta senza esitazione.
“Tre splendide figlie” fu tutto ciò che il cervello elaborò. Quindi quanto gli amici di Rufur gli avevano raccontato durante quel dannato compleanno era vero? Cecilia aveva due sorelle… Lo sapeva?
Lasciò ricadere la lettera sul tavolino e il proprio corpo, quasi per contraccolpo, tornò ad accomodarsi sulla sedia. Gambe leggermente divaricate, braccio sinistro piegato su un bracciolo e gomito destro puntato sull’altro. Si sfregò le palpebre tra indice e pollice.
Perché Lilien aveva privato Cecilia di quegli affetti? Perché lo aveva impedito anche a lui?
Non riuscì a dire nulla per diversi istanti.
Rimase così, con il viso sorretto da quello che divenne un pugno chiuso e lo sguardo afflitto che si alternò tra donna 1 e donna 2.

Possiamo arrivare al dunque? Se ce l’hai con mia nonna, prenditela direttamente con lei.
 
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view post Posted on 12/12/2023, 23:52
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Il Fato

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Gli occhi puntati su entrambi. Uno sbuffo di fumo e il lento tamburellare delle dita sulla scatola aperta. Madeline attendeva che ogni singola parola venisse letta, elaborata, nella speranza di poter rendere più semplice quel discorso e soprattutto di non cadere in ovvie risposte e, dunque, ricevere banali domande.
Scostò di poco lo sguardo in un punto indefinito al lato della poltrona dirimpetto, ora vuota e lasciata libera da Draven che non aveva mosso alcuna intenzione di tornare al suo posto, altresì di andare via.
«Mrs. Walker, sono certa che capirà ancora meglio» le allungò la seconda lettera. «Non vi farò leggere tutto il contenuto nella scatola ma arriveremo al dunque, per gradi, secondo le mie volontà» schioccò un’occhiata torva a Draven.
«Prendermela con tua nonna? È quello che sto facendo, credimi» gli rivolse un sorriso sbieco.

Ancora volta sulla vecchia carta ingiallita dal tempo vi era scritto il mittente ed il destinatario, la data era esattamente un mese dopo dalla prima lettera.

Caro Xander,
È bello poterti sentire e sono lieta del fatto che tu mi abbia risposto. Mi piacerebbe molto conoscere la piccola Maddy e magari presentarla a Cecilia - la più giovane delle mie adorate figlie. Dovresti conoscere anche Amelie: è intelligente, gentile e sempre così solare… Adeline è uguale a suo padre, non so come fare con lei ma confido che prima o poi le passi. Da quando ho lasciato Genophilius andare via di casa mi parla a malapena, dicono che fa parte dell'adolescenza ma, a prescindere da questo, credimi l’ho fatto solo per il loro bene.
Hai ragione ad essere sorpreso nel sentirmi ma giuro che non ti avrei scritto se non fosse stato importante.
Ho dovuto fare una cosa orribile ma era l’unica soluzione, non potevo permettere di vedere andare a rotoli ogni cosa. Sai? Genophilius voleva che smettessi di lavorare, voleva che gli dessi le nostre figlie e non sai il prezzo che ho dovuto pagare...
È un momento difficile anche per te ma prometto che ti aiuterò con le cure di tua moglie, pagherò tutto il necessario.
Ti chiedo solo di poter far da padre alle mie figlie, hanno bisogno di una figura paterna ed io ho bisogno che dimentichino ciò che hanno vissuto.

Ti abbraccio,

Tua, Lili



Un altro tuono. Le finestre vibrarono più intensamente; le fiamme danzarono sgraziate per pochi istanti.
Madeline ripiegò con cura la prima lettera e la rimise nella scatola. Ancora una volta rimase in attesa mentre gli sguardi dei suoi ospiti incontravano parole d'inchiostro. I dubbi avrebbero iniziato a sfumare via e ben presto - unendo ogni singolo tassello delle loro vite, delle vite dei loro genitori - Adeline e Draven avrebbero capito che tutto aveva avuto inizio da lì, da quelle vecchie lettere.
Nel silenzio interrotto dalla pioggia in tempesta e dallo scoppiare delle lingue infuocate nel camino, la donna fece un ultimo tiro di sigaretta, poi la spense e bevve un lungo sorso di tè ancora caldo.


 
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19 replies since 20/4/2023, 00:12   668 views
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