Pioggia.
Grosse gocce d'acqua gelida colpivano i vetri puliti dello studio di Adeline Walker: tamburellavano cupe dietro le foglie dei fiori rampicanti che Londra amava curare ai bordi dell'ampia finestra a bovindo, anche se ormai erano giorni che la Medimag non doveva annaffiarli.
Londra, la città, sembrava annegare sotto della pioggia torrenziale ultimamente - e Londra, la donna, faticava a trattenere piccoli sobbalzi quando imponenti tuoni spezzavano l'aria ed il respiro.
-Adeline, hai tu la cartella del piccolo Windflower? Mh, sì è tornato in reparto accompagnato dalla nonna e.. - ehm - credo che lui cerchi te.--Tommy cercherebbe me? La terapia è finita, ci siamo salutati, addirittura la.. - ma le sottili sopracciglia argentate della collega si erano alzate con fare espressivo, andando con lo sguardo ben oltre la figura indaffarata della Medimag e adocchiando un gufo imperturbabile al di là dei vetri - gufo che a quanto pare, con scuro occhio cinico aspettava solo di consegnare la propria missiva.
L'ex Bronzo Blu si era diretta incuriosita alla propria finestra, spalancandone le vetrate: l'aria era pregna di pioggia, l'odore era quello dell'acqua e dell’asfalto bagnato, di città gocciolante e di pensieri zuppi.
Adeline se ne riempì i polmoni mentre slegava la piccola pergamena dalla zampa del rapace.
Se ne riempì i polmoni, senza sapere che quello specifico odore, lo avrebbe impresso nella mente per parecchio tempo – o forse, chissà, per sempre.
"Non sai chi sono eppure io so parecchie cose sul tuo conto e sulla tua famiglia. Voglio solo consegnarti la verità, così come è stato fatto con me.
Vieni al 12 di Pixley Street, sabato alle 5pm.
M."
Aveva salutato meccanicamente l'anziana Medimag, poi l’aveva rincorsa nuovamente nel corridoio per chiederle un cambio turno. Lo aveva ottenuto ma non era riuscita a tornare a casa.
Si era chiusa nel suo studio, rileggendo quelle brevi righe sino ad avere l’impressione di consumare inchiostro e pergamena con il solo sguardo.
L’idea che quella missiva potesse essere uno stupido scherzo, parte di qualche astruso gioco, non l’aveva sfiorata minimamente: come avrebbe potuto, d’altronde?
Come avrebbe potuto essere uno scherzo, pensando a sua zia Ada, alle sue cerchie, ai suoi affari, alla sua vita in generale?
I pensieri infatti erano volati inevitabilmente a sua zia Ada.
L’unica famiglia che avesse mai conosciuto.
[“..io so parecchie cose sul tuo conto e sulla tua famiglia.”]
-Beh, gran bell’affare, complimenti.-Si era ritrovata ad un certo punto a sputare rabbiosamente tra i denti.
Cos’era, qualche stupido mafioso maghetto che cercava di ricattarla per saldare qualche conto in sospeso con sua zia?
La sua luccicante mente razionale però, anche in questo frangente si era battuta per dire la propria:
impossibile che si trattasse di qualche vendetta o ricatto.
Sua zia avrebbe anche potuto essere.. beh,
sua zia, ma sapeva bene quanto il suo nome contasse nel
lurido, sporco e nero mondo entro il quale aveva stabilito di vivere e dove – Adeline ne era certa – si era ritagliata anche un più che modesto spazio di movimento e potere, da ormai svariati anni.
Londra detestava saperlo, detestava pensarlo, ma le nere redini tenute in mano dalla Serpeverde in qualche astruso modo proteggevano anche lei, più o meno direttamente che fosse.
Il ruolo di Adeline Walker – la zia – ed i legami che aveva stretto con il tempo.. in zone buie e remote della sua mente, la Medimag ricordava risa sguaiate ai suoi primi passi, conti
illegali, probabilmente aperti a suo nome pieni zeppi di galeoni
e chissà cos’altro a festeggiare le sue prime parole da parte dei pari della Serpeverde, dalla sua cerchia più stretta e fidata.
[Londra detestava saperlo, detestava pensarlo] ma in fondo.. lei era stata, lei era, comunque, parte di
quella “famiglia”.
Loro, di cui Adeline voleva ricordare appena le sudicie mani insozzate di alcool e di fumo, per i primi anni della sua infanzia l’avevano accolta e cresciuta
a modo loro come “una di famiglia” d’altronde – la piccola, dolce, tenera Adeline-dai-boccoli-d’oro. A dispetto di quanto la stessa Adeline, nel corso degli anni, li avesse poi allontanati, rifiutati, disprezzati, uno per uno.
Ad ogni modo, una volta sufficientemente “grande” la zia aveva trasferito i suoi affari altrove.. e così “la famiglia” con lei.
Adeline era rimasta sola. Ed il resto era storia.
Ma sua zia, come quei legami, ancora esistevano a dispetto della ferocia con la quale la Medimag si rifiutava ostinatamente di riconoscerne anche solo l’esistenza.
Difficile quindi che qualcuno rischiasse davvero di metterla in mezzo così.
Prendersi poi la briga di trovarla – non era poi una Medimag tra tante, una strega tra milioni? - per trascinarla in mezzo a qualche faida.. no. Davvero difficile, doveva essere qualcos’altro.
Le dita avevano tamburellato sul piano ligneo della scrivania per un tempo infinito.
La dorata mente razionale di Londra cercava letteralmente ogni appiglio disponibile per vincere quella battaglia – chissà se avrebbe vinto la guerra.
[“Voglio solo consegnarti la verità, così come è stato fatto con me.”]
Ma
quale verità?Consegnata da
chi poi?
Sua zia era una boss criminale, sua madre era morta – e per colpa sua, le avrebbero amabilmente ricordato - , suo padre probabilmente anche, nessun nonno o zio erano mai venuti a cercarla in 27 anni per cui – complici i randomici e rarissimi commenti sul tema di sua zia – dovevano essere tutti morti da tempo.
Fine.
E poi
[“così come è stato fatto..”] -..con me, ma chi cazzo sei.-La rabbia stava riguadagnando terreno.
La razionalità della strega aveva ormai ben poche armi a sua disposizione mentre la rabbia.. quella si stava ancora facendo largo a morsi e graffi, incurante di tutto e di tutti, Adeline inclusa.
Rabbia perché dal nulla, un anonimo qualcuno sembrava minacciare quella vita che con tanta fatica la strega si era ritaglia e costruita quasi su misura.
Rabbia perché nessuno,
nessuno aveva il
diritto di mettere mano nella
sua storia, nella
sua stramaledetta storia, nella sua stramaledetta famiglia, nel SUO VUOTO, NEL SUO BUIO E NELLA SUA DANNATA VITA FATTA DI NIENTE, DI MANCANZE, - NESSUN DIRITTO – LE MANI - NEL SUO DANNATISSIMO PASSATO - AVEVA IMPIEGATO ANNI – A N N I – A SEPPELLIRE, A NASCONDERE, A MITIGARE E CERCARE DI COMPENSARE E CHI C H I --Adeline, tutto bene? Sei ancora lì dentro? Cos’è stato quel rumore?-Aveva mandato in frantumi una delle sue vetrine, nel mobile dietro la scrivania.
Non avrebbe neanche saputo dire come, anche se il palmo insanguinato della sua mano sinistra avrebbe potuto suggerirle qualcosa.
Si era ripresa in fretta, incredibilmente lucida. Aveva afferrato la bacchetta e si era diretta alla porta.
-Perdonami Sarah, sono la solita.. sono inciampata, tutto qua.- le aveva mostrato persino il palmo, ridacchiando appena
-Pulisco i tagli, casto un Reparo e me ne vado a casa, sono solo molto stanca.-Le aveva addirittura sorriso, come sempre.
Le aveva sorriso, lucidamente consapevole che la rabbia, questa volta.. aveva vinto la guerra.
Ancora una volta, dolce Adels.
Nei pochi giorni che seguirono, Adeline Walker mise il pilota automatico.
Andava a lavoro, mangiava, dormiva. Niente di più e niente di meno.
La rabbia del giorno in cui era arrivata quella
stupida, stupida dannata lettera, era lì, a sobbollire acida nel suo petto – e questa in effetti le consumava sufficienti energie da non riuscire a relazionarsi al meglio, sì, ma la ferrea struttura cognitivo/relazionale della Medimag reggeva talmente tanto bene da non insospettire neanche i colleghi.
Poi, fu venerdì sera.
Poi, fu sabato mattina.
..Poi, fu sabato pomeriggio.
Si materializzò in un buio e solitario vicolo – tanto anonimo quanto sporco ed abbandonato – ad appena mezzo isolato dall’indirizzo indicatole sulla pergamena.
Nella mancina stringeva la bacchetta come se – più che pronta a scagliare qualche incantesimo – volesse tirare un cazzotto ben assestato al primo ignaro passante.
Si costrinse a nascondere il catalizzatore, si tirò su con troppa forza la cerniera della leggera giacca a vento che aveva indossato completamente a caso mezzora prima e a passo spedito prese a colmare la distanza tra sé e
una persona prossima alla morte il 12 di Pixley Street.
Quando appena una manciata di minuti dopo riuscì ad identificare il civico esatto..
L’essere lì, in quel luogo e in quello specifico momento, agli invisibili ordini di un altrettanto invisibile qualcuno – questa consapevolezza peggiorò se possibile la situazione, dando nuova benzina, e fiamma
e quel che vi pare al petto bruciante di Londra.
Inizialmente, accecata quasi letteralmente dall’ira, a malapena si accorse della figura alta, castana, persino piazzata proprio di fronte al suo obbiettivo – ma Adeline non era proprio in vena di socievolezza, sorrisi e cordialità: si diresse come un fulmine sulla soglia, cercando di passare nello spazio lasciato libero da quello che attualmente era poco più di un neutro ostacolo, come un cono - molto alto - stradale da schivare.
Probabilmente lo sfiorò persino ma non se ne rese proprio conto: a palmo aperto, iniziò a battere furiosa contro la porta.
-Chiunque tu sia apri questa maledetta porta, ORA.-La voleva lì? Perfetto, eccola lì, in tutto il suo splendore.
-Mi hai dato un appuntamento, giusto? Beh, complimenti eccoci..- le si spezzò la voce, interrompendo così la frase, perché banalmente il suo cervellotico cervellino aveva fatto in automatico per lei quello che le sue emozioni le avevano impedito di fare:
riconoscere la presenza di qualcun altro già lì, in quel preciso momento, in quel preciso luogo.
Si voltò, facendo una piccola piroetta su se stessa, la mano destra però ancora fissa sulla porta.
-Tu..- era ancora arrabbiata, così tanto, ma gli occhi bicromi non riuscirono a non sondare il volto, i lineamenti, la figura sconosciuta nel suo complesso che le si stagliava di fronte.
Non sapeva come proseguire. Era giovane, chiaramente un ragazzo – alto, molto alto, il che le faceva ipotizzare svariate età.
Aveva gli occhi di un verde particolare.
Non riuscì ad andare tanto oltre, non come normalmente avrebbe fatto con tanta naturalezza, trascinata al momento ancora troppo a largo dalla tempesta interna che le ululava tra il costato.
-Hai inviato tu quel gufo? Mi hai chiesto tu di venire qui, oggi?-Il palmo della dritta era ancora appoggiato, semi bruciante, sulla porta e la voce aveva tremato fuoriuscendo dalle labbra.
Non sapeva se piangere, arrabbiarsi ancora – le riusciva talmente bene – o scoppiare assurdamente a ridere.
Nel dubbio ..
-Ti ho scontrato prima? Scusami.-Perché in fondo.. il caos, era sempre di casa.