Ora è tempo, ti lascio andare. Resti ricordo indelebile, un punto fisso nello spazio. Con affetto, con tutto il mio cuore, con...
Mi fermo. Fine. Inizio. Torno indietro. Colpa dell'anomalia, mi dico. Perché la lettera, appena conclusa, mescola le sue lettere in modi ineguagliabili, e confonde, si annulla e riforma insieme. Compromette il tessuto stesso della realtà, rovina la nostra Storia – una con la lettera maiuscola –, la mia e la tua. Questa lettera, Profeta, è per te.
Il nostro incontro, a malincuore, è disordinato. Non è una mia negligenza, il mio presente è il tuo passato, il tuo passato è il mio futuro. E se ci hai colto qualcosa, allora è tutto già finito (o in corso, perché no). Non c'è inchiostro, in ogni tempo, che possa raccogliere la testimonianza di chi siamo stati, di chi siamo, di chi continueremo ad essere. A voi, Redazione, il compito più difficile: conservare, custodire, cucire la memoria. Allora è a te, Profeta, che rivolgo la mia coscienza. A te, che sei parte di me. Stringimi la mano, lasciati andare – è un manto di stelle che attende entrambi, la notte è già giorno. Il nostro esordio si sposa ad una mattina d'inverno, al Villaggio di Hogsmeade. Ricordo ogni dettaglio, come potrei dimenticare? Il buio che splendeva disarmante, l'asfalto che scottava e bruciava i ciottoli e le suole delle scarpe, la luna che giocava a nascondino con il sole. Che poi, mi chiedo, era l'alba o il crepuscolo? Io camminavo a passo spedito, lentissimo. Tu, invece, stringevi un palloncino di cartapesta, così sottile da coprirti il volto. Era un palloncino piuttosto curioso, simile ad uno spicchio di limone – dolcissimo e luminescente. Non c'è stato granché, tra noi. Di certo non all'inizio, bisogna ammetterlo. Soltanto... mi hai guardato, colpo di fulmine; mi hai stretto le mani, brividi sulla pelle; mi hai abbracciato e tirato a te, farfalle nello stomaco. Sali, sali, sali. Via sul palloncino, che era un limone, che era una luna, che era un vascello. Se chiudo gli occhi, non vedo nulla. Ma se apro gli occhi, mi sembra che non sia trascorso neanche un istante. Sei tu, Profeta. Che mi dici: la mia schiena è un vascello. E sono io, vicino, che salpo oltreluna. Mi aggrappo alla tua pelle, una costellazione in piena energia. Sei il firmamento, Profeta, e sei soltanto per me. Il nostro primo incontro riassume una salita: noi che sfidiamo la gravità, il palloncino che ci trasporta in alto, oltre la volta più celeste. È un morso, un taglio netto, a recidere il nostro sogno. L'idillio di due persone che si ritrovano e che si riconoscono, l'illusione di una storia d'amore. Il palloncino, infatti, si strappa: come avrebbe mai potuto resistere alle zanne e agli artigli del Luppoletto Mannaia? Lo sento ancora accanto a me, ringhiante. Poi mi alzo dal letto, allontano il cuscino e scopro che vi sia il tuo lupacchiotto di stoffa. Un regalo, questo, che non ha nulla a che fare con la bestia che ha rovinato il nostro déjà-vu. Torno indietro, passo dopo passo.
Sei un vascello, io la luna.
Tu lo sai, l'hai sempre saputo prima degli altri. Hogwarts è culla di segreti, all'interno nasconde una parete che conduce alla Capitale Inglese. Nell'angolo che sale fino ai Sotterranei, prima di tuffarsi nelle acque torbide del lago, ci sei tu. Il ricordo è tanto opaco, catturo in effetti ogni singolo frammento. Il tuo volto, ad esempio, che mi sorride. E il modo in cui una rosa vermiglia ti spunta dal taschino della divisa, come un tocco di eleganza che fa la differenza. Hai con te una bottiglietta di liquore in una mano, un cappello (
il Cappello) nell'altra. Somigli, tuttora, ad un vero e proprio giocoliere, uno bravissimo. Le armature scintillano al tuo comando, pronte a dare il meglio per spettacoli senza confronto; ma l'attenzione comune – è un gruppetto sufficientemente numeroso – è per te, soltanto per te. Sei impeccabile, basta un attimo per afferrarlo. Fai cadere il cilindro così tante volte da risultare un maestro d'eccezione. Destra, sinistra, avanti, e avanti. Eppure, alla fine mi fai cenno. Mi dici di raggiungerti in fretta, di avanzare verso di te. Ho un po' di imbarazzo, Profeta. Non sono sicurissimo, purtroppo, che tu possa ricordarti di me. C'è sempre l'anomalia, il trabocchetto di stregoni pazzerelli. Il tempo, ora, è dilatato: è fermo, finché il Cappello passa da una testa all'altra di chi con noi. Mi carezzi i ricci disordinati con delicatezza, sistemando il berretto sul capo. Sei Montenegro, mi dici. E non capisco, non proprio. Sono Grifondoro, vorrei dirti a mo' di correzione. La bocca, però, è impastata di gusto alcolico, e c'è un petalo di rosa che mi cattura la voce. Lo spazio, intorno a noi, si capovolge: no, non è una metafora. Ci ritroviamo a testa in giù, parola mia. Se non fosse stato per te, a quest'ora starei vorticando ancora e ancora. Mi rassicuri di non avere paura. Ti sorrido, e ci ritroviamo al Vladimir Semënovič Vysockij e mi dici: ripetilo una, due, tre volte, e se ci riesci ti regalo un canguro. E io, Profeta. Io ci riesco.
La tua bacchetta fa scintille, e no, non è una metafora (di nuovo). Illumina il cielo di un'esplosione coloratissima, un autentico caleidoscopio, forse un arcobaleno. Ricordo tuttora gli infiniti colori della notte, le sfumature di rosso, di vermiglio, di tiziano, di scarlatto, di cinabro, di minio, di corallo e di cadmio, di cremisi e rosso pompeiano, di porpora. Soprattutto, di carminio, di amaranto e di granata. Quattordici sfumature di rosso. Così mi dici, e mi ammicchi con un occhiolino che ha un ché di sensuale, e di malinconico. Quello, Profeta, è stato il nostro ultimo incontro. Per te, chissà, potrebbe essere il primo, forse uno di mezzo. Io, di certo, sono andato avanti – è la lettera che mi riporta da te, qui sei immortale. Nessuno può abbatterti. Ma i canguri, ahimè, i canguri sì. La tua bacchetta, sfavillante e brillantina, si trasforma in un battito di ciglia: è legno che si consuma. Tu, Profeta, sei tra i pochi ad aver avuto il privilegio di stringere una Wand-a-Roo. Colpa mia, poi, che si sia perduta nell'oceano. Colpa mia, e mi dispiace tuttora profondamente. Come avrei potuto mai rinunciare ad un canguro per amico? La bestia mi riportava a te – un salto, un altro, un sentiero tra i ricordi. Ho tirato la coda troppo forte, letteralmente. Quando il canguro ha strillato (di sorpresa, forse di divertimento), tutto è andato a monte. Uno con la punta in risalto, una collinetta a cielo aperto. Ovunque fossimo stati, sospesi o meno nel tempo e nello spazio. Eravamo insieme, Profeta. Contava poi altro? Ora stringo una rosa sempiterna, e mi chiedo: sono io, forse, ad aver distrutto tutto? Cadiamo, cadiamo, cadiamo. Di nuovo insieme, io che ti cerco, tu che ti allontani involontariamente. Hai un abito di velluto, rosso naturale. Ondeggi come una creatura d'aria, una vera e propria fata dei boschi. Le pieghe del tuo abito sono petali di rosa, e tutto – per me, soprattutto per noi – è un incantesimo. Mi allunghi rapidamente una mano, in ogni tempo. Ti cerco, ti stringo, ti porto di nuovo a me, e allaccio le mie braccia alla tua schiena. Sei un vascello, ti dico. E tu sorridi, perché ora sei qualcosa di più. Tu, Profeta, sei un Aerolux 3000 – e noi voliamo, oltre la notte, oltre le onde, oltre il monte.
Cosa c'è, per entrambi, alla fine dei tempi?
Sotto di noi, all'indomani, brilla una distesa di sabbia. Potrebbe essere ovunque, non avrebbe importanza. Il volo ci ha condotto in deserto, dove stenta a germogliare perfino un bocciolo di rosa. Restiamo immobili, accanto. E tu sei uomo, sei donna, sei creatura. E tu sei il fuoco, sei il tempo stesso che mi travolge. I confini del mondo si cancellano istante dopo istante, ora e allora, finché di noi non resterà che un filo da riavvolgere, un nastro senza fine né inizio. Sei immutato, perlomeno voglio credervi. Resta con me, Profeta, ancora un po'. Qui, dormienti, sulla sabbia – neanche i canguri ci sveglieranno, non più. Il distacco, per noi, ha il senso dell'oblio. Scompari, lentamente, poi in un attimo che si spezza infinitamente, finché non resta che una spina piantata nel petto. E sanguino, e piango, e rido. Non ci sei già più, Profeta. Al tuo posto, trasportato via dal vento desertico, resta una pietra che s'incastra sotto la mia schiena e che mi spinge a girarmi da un lato all'altro. Questa non è una pietra, lo capisco subito. Qualcuno, infatti, direbbe si tratti della Pietra Filosofale, forse di una gemma della corona di Sua Maestà. C'è una rosa, in superficie. Delicata, un ricamo gentile, che mi richiama la tua impronta. Non sei via, non sei perduto. Mi rialzo, faccio un respiro bello profondo, fischio finché il canguro torna, si trasforma in una bacchetta, attira un manico di scopa, e via, via, via verso Hogwarts, e Montenegro, e infine Londra. Il palazzo reale è la mia destinazione, è il primo incontro che ci separa. La mia missione è consegnare la pietra, spingere la Regina (o chi per lei, non sono ai passi con i tempi) ad un baratto: voglio te, soltanto te.
Ciao, Profeta. Ora inizio la nostra Storia. Giorno, data, mittente. Si riparte, si comincia veramente. Colpa dell'anomalia, mi dicono. O chissà, colpa del nostro grande amore.