lacuna

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view post Posted on 7/5/2023, 18:50
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TARDIS

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Lacuna • mancanza di continuità, interruzione, vuoto

– tu, che non esisti / al di fuori del tempo
del nulla / vuoto, assoluto, abisso.
Tu, che sei via.

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Bellevue, oggi, è l'ultimo porto d'approdo. Offuscata – il canto delle gazze, il sospiro del vento. Annebbiata. Protetta. Bellevue, oggi, è una memoria che resiste alle intemperie della mente, assuefatta invero ad una nostalgia che non va via (e come potrebbe?). Bellevue, oggi, è confusione. Nel modo in cui scelgo le parole, nel modo in cui socchiudo gli occhi, nel modo in cui mi ripeto, mi ripeto, mi ripeto. Ho il capo reclinato di poco, la schiena contro il legno. Le mani, ferme, scorticano la panchina sulla quale mi ritrovo, un po' come a grattarne la superficie e svelarne segreti, promesse e preghiere di chi prima di me. Custodisce il tuo nome, sai. Il tuo nome sbiadito dall'acqua piovana e dalla violenza dei pennarelli – è una ragnatela d'ombra, sulla panchina. E gira, gira, gira la testa. E mi fa paura, perché non concede controllo. Mi fa paura, perché mi rende banale. Il tuo nome è una diagonale, è un taglio netto – in me. Bellevue, oggi, è desolazione. Svela il disagio dei bambini, che non hanno un parco in cui giocare, né giostre cui avvinghiarsi. C'è soltanto uno scivolo, a sua volta tumefatto dagli anni. Vi si aggrappano – sciocchi, meravigliosi credenti. Immaginano un mondo nuovo, traboccante di vita. L'apatia, in effetti, non ha intaccato il passaggio. Non ancora. Questa, forse, è la tristezza che coglie il mio petto, che blocca il respiro già difficoltoso. Svezzate i vostri bambini, i sogni non esistono – vorrei gridare. Non ho mai provato un'invidia tanto intensa, mai. D'altronde, mi dico, cos'è che desidero? Cos'è che abbia mai voluto veramente? Fermati. Allontanati. Dimenticati. La mente, ora, è colta dall'ennesimo capogiro. Mi intrappola, mi disgusta: è un tremito che confluisce in nausea. Le palpebre, così stanche, ottenebrano il presente. Sono lontano, di nuovo. Dov'è che sono?
Bellevue, oggi, è famelica. Stuzzica i demoni in attesa, spalanca le porte d'averno. Mi spinge al sorriso, di quelli che fanno rabbrividire. Ti senti come parli, mi grida. Ti senti, ti senti, ti senti. Ho paura. O forse, chissà, non ho nulla, neanche la paura. Sei in dissolvenza, L. Sei una lettera fasulla, seguita dal punto. Non hai più un nome, per me. Hai cambiato identità così tante volte, nel corso dei miei anni. Sei Loras, sei Penny, sei Albert. La verità? Ho creduto che fossi un punto fisso nel tempo, eppure ogni volta che penso a te, il mio cuore è inghiottito. Mi spinge a rimettere, a staccare la presa, a rompere l'ennesimo bicchiere – e le mani, queste mani. Imbrattate di gocce di sangue, di linee rosee, di tinte ramate.
La mia pelle è un tramonto. La mia mente è un'eterna notte.
Torno al parco, a Bellevue. Talvolta ho come l'impressione di non essere mai andato via, di essere imprigionato in un tempo ch'è stato e che, lo sappiamo, non sarà più. Ho come l'impressione di ritrovarti, di sedere accanto – tu, che non hai nome. Ti cerco la guancia, è una carezza. E tu sorridi, sorridi d'incanto, mentre mi dici è una giostra è una giostra è una giostra. E ti avvicini, di poco. La tua gamba, ora, sfiora la mia; e la tua mano, ora, s'adagia al mio ginocchio. E mi dici è una giostra è una giostra – è una bugia. Ho odiato tutto, di te. Perché è l'odio la risposta al dolore e perché io, per colpa tua, mi sento privato, mi sento incompleto. Come questo scritto, l'ammasso di una frase che annulla ogni bellezza, che viola, profana, divora me stesso. Perché non è giusto, L. Non è giusto.
Bellevue, oggi, è una promessa che hai infranto. Il borbottio di un artista di strada, il terriccio sporco sulla punta degli stivali. Noi, che guardavamo le anatre. Noi, che sognavamo l'inverno – in hotel, a Berlino. Sei la parte peggiore di me, sei l'impronta che è rimasta e che mi rimpicciolisce. Per te – perché, perché, perché. Noi, che inneggiavamo alla sera come nuovo inizio. E io, io che non so più parlare, vivere, morire. Io, che cado. Mi annullo, mi spengo. Noi – c'è mai stato? Bellevue, oggi, è un ricordo che rende greve il respiro. Mi infastidisce, mi invita ad andare via, a cambiare rotta.
Dovrei farlo, L. Tu non sei più sulla panchina, non più. Sollevo il volto, occhi aperti, verso i bambini. Giocano insieme, e ridono, ridono ingrati. La vita, per loro, è un firmamento. Si cercano, si tirano le felpe, si abbassano il cappuccio, finché le anatre starnazzano, acciuffano briciole. Avrei voluto una fine diversa, sai. Avrei voluto... una vita mediocre: sederti accanto, assopirmi accanto a te. Avrei voluto passeggiare con te tra i tigli, raccogliere una margherita e farti ridere. Avrei voluto essere banale, infinitamente, meravigliosamente banale. Avrei voluto stringerti al petto, intrappolarti, lasciarti. Mi raccolgo in una giacca di pelle che è un po' anche tua e di cui, a malincuore, nessuno saprà mai. Il mio rimpianto, L. Tu sei il mio rimpianto, perché non esisti – per nessuno, al di fuori di me. E nessuno, nessuno, nessuno. E gira, gira, gira. E mi dici è una giostra, e mi dici è una giostra. E ti odio, e ti odio con tutto me stesso. E mi fai violenza.
E mi fai ribrezzo. Tu non esisti.

Bellevue, ora, è orrore.
Perché ti dimentico.
Oppure sei tu, L.
Sei tu che mi dimentichi?
«sognavamo un hotel a berlino»
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C'è un bambino, sulla panchina. Dondola le gambe, siede scomposto. Ha gli occhi velati di tristezza, ricorda la tensione che governa le onde turchesi del fiume Lee. Non ha nessuno, con lui. La solitudine è un'immagine disarmante, che coinvolge anche me, lontano nel tempo. Il bambino ha uno zainetto di tela, lo stringe al petto con tutta la forza delle piccole mani. Vi trova sicurezza, mi dico. Ma è un modo per nascondersi: se potesse, diventerebbe tutt'uno con la stoffa, con le bretelle, con i bottoni colorati che decorano la superficie. Sospira come se portasse un macigno sul petto. Ha i capelli ricci in disordine, il vento gli solletica il volto intero. Solleva gli occhi verso la foresta, scatta in piedi. Corre, corre veloce. Si accosta ad un pozzo che è nelle vicinanze, si blocca di scatto come se colpito dall'indecisione. Dov'è che stava andando? Strofina la mano destra sulla pietra del pozzo, vi apre le dita e vi tamburella sulla superficie. C'è qualcosa, in effetti. Qualcosa che lo spinge a sollevarsi sulla punta dei piedi, a sporgersi oltre, verso le profondità del pozzo. Finché una voce lo chiama, lo distrae velocemente. Allora il bambino sorride in modo completo. Riprende il passo, e corre, corre ancora.
C'è un leprotto, c'è un altro bambino. Il riflesso dei raggi solari lungo i boccioli d'oro, il prato di calendule soffuse. All'apparenza è un giorno tranquillo, si guardano e si cercano. Tanti, tantissimi giochi. Non vogliono altro, non pretendono molto. Ma io – io allungo la mano, profanando il tempo. Il ricordo, ora, è una tela che si straccia, il caleidoscopio di colori, voci e suoni in dissolvenza. Mi si lega tra le dita, come un anello, finché si consuma in una nube assente. Intrappolo la memoria nella boccetta, mi allontano dal Pensatoio. Il mondo, ora, è spento. Non ha colori.
Ho dimenticato il tuo volto, Loras.
Per la prima volta è così, ho dimenticato il tuo volto. Non sento rimorso, sono sincero. Sono trascorsi tanti anni dalla tua assenza e tu, per me, sei sempre il bambino dei miei pomeriggi di gioco. Non sei altro, non potresti. Una parte di me è consapevole, allora, di non poter accusarmi né recriminare i miei ricordi. Tu sei fermo, sei un punto cristallizzato nel passato. Io, invece, sono presente – e futuro. Non credere che ti abbia dimenticato in modo assoluto, non potrei mai. Eppure, è stato un frangente rapidissimo: il battito di palpebre, la costellazione di Cassiopea lungo le mappe, la voce della Prof. McLinder che mi ha trascinato via, via dall'aula, via dalla torre, via da te. Tornando, ti ho perduto – un secondo, forse, che è stato sufficiente a spingermi in oblio. Ho abbandonato la classe, il banco, lo studio. Ho voluto correre con tutto me stesso, raggiungere il dormitorio, interrogare i ricordi. Il Pensatoio, sul letto, è opalescente. Cela ancora il riflesso di chi, insieme, siamo stati – di chi continueremo ad essere. Non tremo più, non ho più paura. Seduto, in solitaria, m'ingarbuglio in una riflessione vera e propria. Forse ho voluto dimenticarti. Forse lo voglio, per davvero. C'è una parte di me cui non offro spiraglio, non concedo voce, ma è una parte tangibile che non posso ignorare. Cancellarti dalla mente, perderti dal cuore – salvarmi. Tu, Loras, trascini in me il rimorso – di essere stato capace di vederti e vedere la tua fine, di non aver saputo bloccare il tempo. Tu sei l'antitesi di ogni futuro, il confine che mi riporta indietro e che mi devasta. Ora, però, non mi appartieni. Non più, non allo stesso modo di prima. C'è un soffio di rabbia, in me. Estrema, folle, caotica – dovrei respingerla. Respira. Torna in te. Basta poco, però, affinché tutto si prenda gioco di me. La porta del dormitorio si spalanca di forza, Penny è trafelato. Mi grida è tutto bene stai bene è successo... Taci, vorrei dire. Fai silenzio. Sparisci. Qualche bastardo, mi dico, ha portato la spia. Oliver è impazzito, è uscito veloce dalla classe – non starà mica di nuovo male? Il ballo, le rose, le spine. Sparisci. Dimentica. Annientami. La bocca, purtroppo, trema in smorfia. Ti guardo, Penny. Ti cerco, ti accosto – avanzo verso di te, la distanza degli ultimi mesi appare finita. Chi siamo, allora? Sei tu il nuovo Loras, oggi? Sorrido. Sono via, via da noi, via da tutto. Ti illudi che tutto sia risolto, che io stia bene. Ti illudi che noi, dopo il litigio, stiamo bene. Quando sollevo la mano verso la tua guancia, socchiudi gli occhi. Un moto di gentilezza che ti riporta me, l'amico che hai perduto? Stringo le dita in un pugno, è uno morsa rapidissima che distrugge la boccetta del ricordo. Spalanchi gli occhi, tremi di sorpresa. Hai paura, Penny. O forse sei soltanto deluso – di me, di tutto. Oliver, dici. Cosa hai fatto. La tua guancia sanguina, nella vicinanza di una scheggia di vetro della boccetta. Ti sfilano i miei ricordi, ti scivolano sulla pelle, sulla mia mano.
Il ricordo si è infranto /
e tu sei via, Loras.

Almeno in parte, soltanto una.
Sparisci anche tu, Penny.

Dimenticatemi.

 
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