opalescence

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May, 15th birthday
Nelle mie visioni, forse più simili a sogni, sei tempesta. Governi il respiro delle onde, scivoli tra le stesse, sei una danza che non ha inizio né fine. Assumi forme che non ho mai catturato, ruoti all'infinito – tu, noi, il tempo stesso – in un mulinello caotico: di sabbia, di conchiglie, di bolle d'acqua. Trascini con te il maremoto, suoni del ritmo estremo dei ciottoli salmastri, tessi intorno un intricato, incantevole gioco d'incastri – venature ramate, rosate, argentee. Hai il mondo, sulla tua pelle. Ti disegni da sé, privo d'aiuto, perché sei forza antica. Sveli una geometria che brilla, brilla d'ogni giorno che ci tiene separati, di ogni istante in grado di arginare il presente. Eppure, sei nitido. In modi che non riesco ad afferrare al volo, non subito. Mi mostri un sentiero che hai raccolto tu stesso, in prima linea. Sei un vessillo, un flutto che avanza e mai ritrae. Ti si accosta, in confusione, il capannello delle mie promesse infrante, dei miei rimorsi, e soprattutto dei miei sogni nel cassetto. Ti ho cercato in anticipo, nel futuro. Mi piace immaginare tu sia stato sempre vicino, accanto a me. Mi piace immaginare tu sia stata l'illusione ultima, l'immagine di un desiderio così grande da non avere concretezza. Voglio credere, oggi, che tutto sia destino. E voglio fingere, ancora, di avere un tempo misterioso, di avere una trama indefinita anche per me. Voglio credere tu sia in attesa – di me, del mio arrivo. Voglio crederci con tutto il cuore.
Benché opalescenti, le mie visioni guidano i miei passi. Oltre la folla di turisti, oltre la bambina che insegue le meduse. Oltre, oltre, oltre. Diventa una costellazione di luci e di sospiri – diventi, tu, universo. Inseguo il nuoto di un delfino, gli sorrido distante come se potesse comprendermi; solletico il vetro dell'acquario, tamburello un motivetto di passaggio – è in dispersione. Il soffitto, il pavimento, tutto è una cupola azzurra: il cielo, al London Aquarium, è fatto d'acqua. Le creature marine, rapide, si trasfigurano in punti di stelle, e io chiudo gli occhi, inspiro, mi godo l'oblio dei sensi. Sono un'alga, una madreperla, un ciottolo sul fondale della teca. Sono parte del tutto, dissolvendomi d'un tratto – in percezione – dalla giacca di jeans che vesto con leggerezza. Se non fosse per il cicaleccio di voci tutto intorno, mi sembrerebbe di perdermi di continuo.
«Ciao» è una bambina che mi riporta al momento. Mi stringe la mano, l'afferra veloce. Mi guida avanti, con gli occhioni traboccanti di gioia. Io la comprendo, ora più di ogni altro giorno. Comincia a cantilenare di tutto e di più, i delfini, le orche, le murene che ha visto. Mi dice di voler essere una sirena, di aver letto una fiaba, di voler vivere tra gli abissi. E io, un po' sognante, un po' distratto, l'ascolto davvero. E mi piego sulle ginocchia, e le cerco le mani, e le stringo a me, al petto. Ha i boccoli rossi, fiori d'arancio. Ha le labbra piene, il sorriso vivido. Si chiama Layla, dice. La bambina è il mio tempo.
«Shà, némé Layla.» La mia voce è ruvida, graffia l'aria. Ti svelo di saper parlare con le Sirene, di averne conosciuta una, di averla amata. Ma la piccolina trova tutto buffo, e ride, e ride di me. O forse, chissà, ride con me. Le faccio un occhiolino, finché una donna adulta (forse la madre, mi dico) torna a recuperarla, la acciuffa con un soffio di paura e di giustifica verso di me. Ci salutiamo. Io, la madre, la bambina. Il delfino, la teca, l'aquario.
Mamma, dice Layla. Mamma, lui parla con le Sirene. La tua voce mi fa sorridere, mentre sparisco oltre la porta segreta. Basta un colpetto di bacchetta, come da prassi, e una manciata di falci presso la biglietteria finché la parte magica dell'acquario mi accoglie, e mi nasconde. Banchi di remora volteggiano intorno, si allontanano e si ritrovano in arabeschi luminescenti; sento una guida nominarli custodi dei naviganti, sorprendendo anche me. Ho un libretto stretto sotto il braccio, le pagine consunte perché sfilate, lette e rilette di continuo: Allucinanti abitatori degli abissi è il titolo. Svettano cartine geografiche, disegni e schizzi d'inchiostro. C'è un tentacolo che vuole prendere la punta dei miei stivaletti, avvinghiandosi al vetro di basso. C'è tutto, di me, in questo luogo. Voglio che ci sia anche tu. Mi sembra di tornare agli abissi, fino a ritrovarmi. Cerco in largo, finché spero di avvicinarmi ad una guida. Il mio tono s'addolcisce di gentilezza.
«Buongiorno, mi saprebbe dire dove trovare Patrick Bellamy?»


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view post Posted on 11/5/2023, 16:55
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London Magic Aquarium ☞ Sala centrale


Tutto intorno a te si muove silenzioso dietro le teche del London Aquarium, un luogo magico per grandi e piccini dove meravigliarsi delle splendide creature che abitano paludi, laghi e oceani; ma per te, Oliver, quelle creature e ciò che ti ricordano significano solo casa.
È la malinconia a muovere i tuoi passi con l’unica consapevolezza che dietro quei vetri c’è qualcosa per te, ché il mare ha ancora un dono da farti.
Altri bambini, seguiti da genitori stanchi, ti scorrazzano intorno, ti superano, schiacciano i nasini davanti le teche, indicano estasiati un banale Avvincino: per loro è solo una creatura selvaggia da ammirare, per te qualcosa che ti stringe il cuore e ti ricorda qualcuno che hai amato. Navighi, Oliver, senza ancora sapere quale sarà la tua meta, una terra che hai visto solo dietro un velo d’acqua, quello delle tue Visioni. Una giovane donna vestita con una camicia azzurra alla marinara, la divisa dell’Acquario, sta indicando ad un gruppo di studenti di dieci anni un curioso granchio.
«Questo ragazzi è un Carcino! Vedete quelle chele? Sono più grosse della sua testa per un motivo perché questo testardissimo granchio le usa anche per proteggersi dai predatori. Solitamente vive nelle paludi e i Marciotti sono ghiotti della loro polpa.» Parla con un tono di voce allegro di chi non si stanca mai di parlare di certi argomenti, anche se probabilmente —dalla sicurezza che dimostra— li ha ripetuti una quantità infinita di volte.
«Nella mitologia greca si dice che abbia pizzicato i piedi di Eracle durante la sua lotta con l’idra e da egli sia stato brutalmente schiacciato.» Gli studenti borbottano dispiaciuti. Il Carcino, invece, totalmente ignaro della sorte del suo antenato continua a zampettare su uno sasso artificiale cercando di afferrare una tinca. «Sì, sì, molto triste vero? Ma ascoltate… la Dea Era fu talmente commossa dal suo sacrificio —non era una grande fan di Eracle— e indovinate un po’? Gli fece raggiungere il cielo e quella che conosciamo come costellazione del Cancro è proprio lui!» Sorride con le mani sui fianchi. «Beh, direi che abbiamo finito il nostro giro, fate una pausa, ci rivediamo qui fra dieci minuti!» I ragazzini si disperdono e lei sospira, sposta il peso da una gamba all’altra, evidentemente affaticata dalla lunga permanenza in piedi. Poi ti scorge con quel tuo libro stretto al petto: se non fossi palesemente più grande degli studenti che sta seguendo, ti scambierebbe per uno di loro.
«Ciao! Hai bisogno?» Torna professionale, dritta come un fuso e sorride anche a te. Quando pronunci il nome di Bellamy, però, il suo sorriso si congela e si fa meno ampio. Si guarda intorno in un riflesso incondizionato.
«Ehm…» Sembra indecisa. Vedi scritto sulla targhetta che è appuntata al suo petto: “Aurelia Belletor”.
«Posso chiedere chi lo sta cercando e perché?» Non si fa ostile, no. Aurelia continua ad essere irreprensibile nella sua professionalità. Ma percepisci un cambiamento nella sua voce, una rimostranza che ti è ignota e ti lascia perplesso.
 
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Le voci dei visitatori, tutto intorno, mi riportano alle rive del lago. Mi basterebbe chiudere gli occhi per catturare lo sciabordio dell'acqua, il guizzo di pinne e di tentacoli, il gioco di chiaroscuro del sole in superficie. La mia memoria è un'ancora continua, un aggancio ad un punto e all'altro di un passato che è diventato oramai parte di me; è un puzzle, un incastro di continue, intime simbologie – l'argento, le tue squame, le tue onde.
Ho come l'impressione d'essere altrove, di essere tornato agli abissi. Mi è facile immaginare di non essere separato dalle vasche, affatto. Il confine è una linea di vetro che, almeno per me, appare intangibile, al punto da trattenere a stento l'istinto di allungarvi una mano, e battervi una melodia che mi rimanda al ritmo d'altri mondi. Rivedo me, il mio tempo, il mio futuro. Immobile, ho occhi sognanti – il cuore s'acquieta, è un naufragio di sensi. Quasi rimpiango di non aver fatto tappa più volte, in questo luogo. Cosa mi ha frenato, mi chiedo. Cosa, chi, mi ha tenuto lontano. Le murene, ora, sfilano in processione – le guide parlano di stelle e di leggende, l'aquario mi appare sempre più come un autentico, folgorante planetario. Nelle mie visioni – di nuovo, in modo costante – invochiamo i venti, affinché il mare ci guidi via, all'orizzonte, insieme. Le mani, d'altronde, pizzicano come partecipi di un'aspettativa che mi manda in visibilio, e che mi spaventa profondamente. I sogni hanno questo effetto, restano in bilico – ammalianti. Mi impongo di restare vigile, di prestare attenzione. E lo sono più di quanto sia mai stato da settimane: è un ritrovo, questo, che si allunga verso il futuro. Il mondo si tinge di gocce d'arcobaleno, nella corona di pesciolini e di granchi. Il mio esordio, allora, è una donna – è lei, mi dico, il primo porto d'approdo. Ho il cuore che trema appena, le gote rosee. Cerco di catturare la targhetta identificativa dell'altra in un battito di palpebre, appena un frangente affinché non mi rechi imbarazzo.
Aurelia Belletor. Il tuo nome mi rimanda alle cartoline di viaggi nel cassetto – di spiagge, barriere coralline e granchi del fuoco. Forse perché sono profondamente condizionato, forse perché diventi il mio testimone, prima tra tutti, di una ricerca infinitamente preziosa.
«Mi chiamo Oliver Brior» esordisco, cordiale. Il mio volto è affabile, in modo sincero – le fossette leggere alle guance, in sorriso. Potrei aggiungere altro, giocare le prime carte a mia disposizione. Invece, tentenno soltanto un istante: la nota particolare nella tua voce, il tuo movimento del capo. Ho forse sbagliato nome dell'uomo che cerco?
«Poco tempo fa ho seguito un evento incantevole, presieduto proprio da Mr Bellamy al London Aquarium. Mi ha colpito profondamente, desideravo parlare con lui per alcune informazioni.» Fin da subito porto avanti il libretto stretto al petto, lascio scorrere l'indice sulle carte colorate che spuntano tra le pagine, talvolta inframmezzate da foglie e fiori secchi. Somiglia più ad un volume scolastico, fitto di appunti e di note al margine. Mi fermo ad un capitolo in particolare, ticchettandovi con delicatezza e mostrando l'immagine d'apripista alla donna che è con me. Sei tu, ora, a spuntare nitidamente: una tela iridescente, l'incanto dei mari. Sei tu, ora, che mi spingi a sorridere.
Vi si incastra, in graffetta blu, il ritaglio di giornale che ho conservato con cura.
«Di certo tra le esperienze più importanti della mia vita.» Non ho idea di quanto tempo sia effettivamente trascorso, non sono neanche sicuro che Aurelia Belletor fosse già impiegata, all'evento. Ricordo il fermento, l'energia della notizia lungo il mondo magico, le copie di giornale in stampa continua. Ha lasciato il segno, uno indelebile.

 
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view post Posted on 14/6/2023, 18:56
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Cogli un bagliore negli occhi di Aurelia quando ti vede stringere il taccuino che tieni in mano. Non sai di preciso cosa le passi per la mente, ma percepisci quasi un moto di tenerezza nel modo in cui si porta la mano al petto. Si sistema il colletto della camicia, maschera quel gesto così, ma il disagio continua a incupire i suoi occhi nonostante il viso presenti sempre quel sorriso cordiale e le guance le si siano tinte di un bel rosa pesca al ricordo di ciò che sta per confidarti.
«Sì è stato un bell’evento, c’ero anche io.» Si lascia andare a questa confessione e ti sembra quasi che le passino davanti i ricordi di quella splendida giornata. Poi, però, si indurisce.
«Ma, beh, il signor Bellamy non lavora più qui.» Dice con tono piuttosto spiccio e stringendosi nelle spalle come a voler lasciare che quell’informazione sia talmente insignificante da non meritare nessuna attenzione, nemmeno da parte tua. Lo sa anche lei che ha torto perciò guarda oltre le tue spalle e sembra che non riesca più a sostenere il tuo sguardo appassionato, come se trovasse molto difficile sostare sul tuo viso e sul tuo bel sorriso entusiasta.
«Ora abbiamo un nuovo co-direttore, il signor Pruleus Oneforn ma in questo momento non c’è, è molto impegnato. Scusami, devo finire la mia… ehm… gita.» Parla tutto d’un fiato, come una macchinetta, sputando fuori ogni parola con una fretta improvvisa e che cozza con la disponibilità che solo qualche minuto prima che rivelassi il tuo desiderio ti ha mostrato. Poi, rigidamente, ti supera salutandoti frettolosamente con un cenno del capo e dirigendosi un po’ senza meta verso le panchine davanti la vetrina di un nugolo di pesci pagliaccio. Gli alunni che stava seguendo sono ancora sparpagliati per tutto il padiglione, i dieci minuti concessi sono ancora ben lungi dal terminare e i ragazzini sono ben desiderosi di sfruttare la loro libertà fino all’ultimo secondo loro concesso.
 
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Il vetro, tutto intorno, riflette l'incantesimo iridescente delle creature marine. Nel guizzo di pinne, di tentacoli e di squame, è come un firmamento in atto: costellazioni, pianeti, stelle. Quasi desidero, nel profondo, perdermi a mia volta, che sia per un'escursione, un viaggio oppure un sogno ad occhi aperti. Questo luogo risveglia i sensi, mi pone in estasi: colgo, in memoria, la melodia delle onde, e la tua voce. Ho come paura d'essere distratto, di non essere in grado di catturare la meraviglia che mi circonda. Forse è il cruccio di chi, come me, ha conosciuto mondi lontani e diversi, di chi ha navigato gli abissi. Mi sembra d'essere egoista, a voler di più, a pretendere di più. Perfino l'espressione del mio volto si tinge d'insistenza: è cortese, senza dubbio, ma è vivida come poche altre volte. Aurelia Belletor, d'altronde, è una chiave di svolta, un punto di contatto che mi è infinitamente prezioso. Non perdo nulla, in lei: nessun dettaglio, né il modo in cui svicola la mia richiesta, né il modo in cui volge l'attenzione altrove. Mi pervade, inatteso, un moto di sconforto che mi spezza il respiro; è l'idea, questa, di aver giocato una carta sbagliata.
Potrebbe finire così, in partenza. Socchiudo la bocca come a voler dire qualcosa, implorare la donna che mi è di fronte di non andare via, di concedermi almeno un'occasione. Invece, resto in silenzio: è un'attesa che mi trascina in una reazione atipica, che mal s'addice alle mie promesse. Vorrei correre, spingermi avanti, bloccare l'altra. Vorrei muovermi, attivarmi, fare qualcosa. Le mani, lente, chiudono il taccuino che tuttora stringono, e offuscano così lo scorcio dei mari sulla carta. Non c'è altro, allora? C'è un nuovo direttore, al London Aquarium. Mi appunto l'informazione quasi senza darci peso, perché tutto – in traguardo – volge verso Patrick Bellamy. Potrei sbagliarmi, poco ma sicuro... è l'istinto, tuttavia, che mi spinge avanti, ancor prima che possa averne consapevolezza. Cerco la figura di Aurelia, di nuovo, e tento di avvicinarmi affinché possa ascoltarmi. Non ho detto tutto, non ho saputo presentarmi. Il mio nome, da solo, non ha valore: potrei essere un appassionato come tanti, un giovanotto in cerca di un sogno da spuntare dalla lista. Non è così per me, non lo è mai stato.
«Miss Belletor, la prego, mi perdoni per l'insistenza.» Parlo in fretta, appena riesco ad accostarla: è un tono gentile come prima, ma è pervaso dalla tenacia. La differenza, benché sottile, è più lampante nei miei occhi. Non è tempo di nascondersi.
«Ho davvero bisogno di incontrare Mr Bellamy. I miei non sono sogni nel cassetto, c'è di più. Sono uno dei pochi parlanti Maridese del paese, conosco le creature marine e–» Continua, mi dico. Non c'è bugia, nelle mie parole: e il tempo, ora, è tutto.
«Sono Vice-Redattore della Gazzetta del Profeta. Qualsiasi cosa sia accaduta, posso raccontare la sua storia, di Mr Bellamy. E non dimenticherò il suo aiuto.» L'ultima frase, sottile, è per Aurelia: è un azzardo, il mio. Bellamy potrebbe tranquillamente aver lasciato il lavoro, essere andato in pensione, perfino in vacanza. Potrebbe essere lontano, ovunque, morto. C'è stato qualcosa nello sguardo di Aurelia, però, a spingermi oltre. Che sia un errore o meno, non mi fermo. Il taccuino si apre di nuovo, fermato com'è alla stessa pagina dall'indice della mano. Chiedo un'occasione.
«Oggi è il mio compleanno.» Così, di slancio, con un sorriso.
 
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view post Posted on 29/6/2023, 10:24
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Vedi Aurelia palesemente in difficoltà. Sussulta quando ti avvicini nuovamente, sfugge il tuo sguardo e zampetta un po' più in là, ma in fondo lei è una guida e quando qualcuno le si rivolge non può fare a meno di ascoltare. Sospira spazientita.
« Te l'ho detto! » Esclama cercando senza successo di imprimere autorità nel suo tono di voce.
« Bellamy non c'è! Non lavora più qui! Non ci lavorerà mai più, è inaudito ciò... » Tace all'improvviso, guardando con panico prima te, poi l'area chiusa al pubblico: è un corridoio buio, chiuso da un tendiflex magnetico. Chiaramente la sua è solo una paranoia: non c'è nessuno. Ma quando tu, Oliver, spietato le mostri che è il tuo compleanno, la vedi sciogliersi, sgonfiarsi come un palloncino. Ci manca solo che spernacchi e voli via.
« Oooooh, accidenti! » Scocca un'occhiata veloce al gruppo di studenti che si sta ricompattando, poi si rivolge velocemente a te, torcendosi le mani.
« Ora io mi giro e non ti vedo mentre oltrepassi il tendiflex. Basta. Ciao. » Si allontana a passo svelto, marziale, poi si ferma, si gira e ti rivolge un sorriso titubante ed imbarazzato, ma sincero.
« Ehm... auguri! » Poi si volta e torna dai suoi ragazzini gridando loro che il tempo è terminato e che devono tornare da lei. Ti dà le spalle e non c'è nessun altro intorno a lei. Se superi il tendiflex, ti troverai in un vicolo cieco, ma ai due lati ci sono due porte. "Direttore" e "Vice Direttore", tutte e due contrassegnate da una modesta targhetta di ottone. Sul lato cieco un'altra porta: "Sgabuzzino".
Violare le regole è qualcosa che non ti è molto affine non è così? Superare l'ostacolo di un luogo per i soli addetti ai lavori è sicuramente una violazione che potrebbe costarti l'espulsione all'aquarium, una cosa inaudita e terribile, per te. Ci sono altri modi, per un Mago... o no?
 
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view post Posted on 30/6/2023, 17:49
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Ho parlato in fretta, eppure con trasporto. La voce muta in sospiro, uno profondo; coinvolge l'intera espressione del volto, gli occhi gentili e il sottile, timido sorrisetto che rivolgo alla figura che mi è di fronte. In me, lo ammetto, scompare ogni anelito di paura; la tensione si fa energica, torna ad essere un senso d'aspettativa. Non ho intenzione di arrendermi, soprattutto all'inizio. Quasi indirettamente, a mo' di distrazione, solletico il polso in una carezza. Il tintinnio del bracciale del lago nero, che oggi indosso, è come un'eco di una promessa, un traguardo che mi sono prefissato fin da quando ho lasciato il Castello di Hogwarts. Catturo l'effigie della sirena, una coda d'argento e d'avorio, squame brillanti che impreziosiscono il manufatto sulla pelle. Sembra sciocco, senza dubbio, eppure... mi convinco d'aver appena ricevuto un occhiolino dalla stessa figura del bracciale, quasi un gesto per spronarmi a fare di più, a non arrendermi. E, difatti, il mio cuore s'acquieta. Il battito, dapprima incessante, si fa leggero, e l'equilibrio plasma una sicurezza rinnovata. Sarà il modo in cui Aurelia mi sorride, la cortesia di cui mi fa dono, forse semplicemente il suo volto – che mi è già caro, e impresso in memoria.
Non lascio che l'altra si ripeta, non più. Colgo l'occasione all'istante, senza pensarci: è parte di me, mi dico, così come l'adrenalina che mi riscuote a vita. Volgo gli occhi di lato, sinistra, destra, e infine di nuovo verso Aurelia. Indietreggio, cercando il momento migliore affinché i visitatori mi celino all'attenzione comune; ho già sistemato il taccuino nella tasca più grande della giacca, liberando le mani per sbrigarmi a sparire alla vista. La destra scivola nel movimento del braccio, tenta di sollevare l'ostacolo ultimo – il tendiflex. La sinistra, tuttavia, sfiora dolcemente il petto; è un gesto che mi ricorda l'incontro d'esordio con Kàlha, negli abissi del Lago Nero. Mimo con la bocca "grazie", una parola solitaria per Aurelia. L'attimo seguente, fulmineo, anelo al corridoio. Naturalmente, mi è impossibile conoscere il luogo – perfino l'Aquario, mondo di meraviglie, mi è stato poco familiare fino ad oggi. Eppure, mi sembra di tornare indietro negli anni, alle scappatelle notturne dal dormitorio scolastico. Nel tempo, in effetti, sono cambiate in ronde ufficiali – dapprima come Prefetto, poi Caposcuola di Hogwarts. Ma... è un'impronta, questa, che non dimentico. Mi guardo intorno, svelo le targhette distintive delle porte laterali; i commenti di Aurelia, benché tuttora permeati di mistero, trovano un punto d'approdo. Cos'è che ha detto? Il Direttore, oggi, non è qui. Qualcosa del genere, mi ripeto – è più una garanzia per me stesso. Il Vice-Direttore... potrebbe aiutarmi, è vero. Tuttavia, Aurelia mi ha offerto una via inusuale, non da prassi. Avanzo, accostandomi alla parete come un'ombra. Con uno scatto leggero lungo la manica destra, tento di far scivolare la bacchetta tra le dita. La presa, allora, è solida. Sono pronto, e sono... in estasi. La porta di fronte mi attira come un faro, Sgabuzzino – leggo la parola senza lasciarmi scoraggiare. Potrebbe apparire semplicemente come il posto in cui rintanare attrezzi (per pulizia, per sicurezza, strumenti comuni). Eppure, ad Hogwarts non è forse Gazza a custodire più segreti, nell'ufficio-scantinato che ha dato vita a così tante leggende? Mi avvicino, rapido. Cerco una maniglia, un punto d'apertura. Se anche la porta risulta chiusa, non mi fermo. Volgo eventualmente la bacchetta verso la serratura. Favorisco la mente con l'immagine di uno scatto libero. La formula, in silenzio, zampilla in pensiero – la stessa -h, in sillaba, si eclissa fino a risultare muta.
«*Alohomora Sono pronto, non torno indietro. La magia è in attesa.
 
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Ed è proprio un click che senti scattare dall’antiquata serratura quando il tuo Alohomora fa centro.
Quando vi lo stringi, t’accorgi che il pomello è caldo, come se qualcuno ci avesse tenuto una mano sopra: al contrario di te, Oliver, non aveva fretta. L’inserviente non aveva voglia di lavorare, forse ed è rimasto lì a tentennare, maledicendo il proprio impiego; magari, invece, era stato fermato dal vice-direttore col giusto tempismo per ripulire una assai probabile pozza d’acqua sotto la vasca di qualche plimpi. Chissà perché questi ruoli capitano sempre ai Magonò. In fondo che ci vuole: uno svolazzo di bacchetta e l’acqua sul pavimento sparisce in un battibaleno. Così facile che potrebbe farlo persino il Ministro della Magia in persona. Non è lo stesso anche per Gazza? Un custode Mago farebbe molto di più, non trovi?
Comunque, l’intuizione potrebbe essere corretta: il vecchio Argus Gazza nasconde un’infinità di segreti, vecchi e nuovi, nel suo cubicolo. Non sei da biasimare se la curiosità di anima il petto e quando apri la porta… è proprio uno sgabuzzino quello che ti si para davanti. Non c’è luce, è tutto buio ma in fondo non c’è molto da vedere in un spazio così angusto da sembrare quasi il proseguo del corridoio da cui sei venuto.
Sono ammonticchiate lungo i muri scope per spazzare (ma, attenzione, c’è addirittura una Scopalinda!), cenci sporchi, secchi di latta pieni di bozzi ed ammaccature. Su uno scaffale di metallo ficcato alla bell’e meglio lungo la parete trovi qualche pozione cagliata dallo strano colorito verde, un paio di corde, dei lucchetti: niente di più.
L’odore di umidità pizzica le narici, ma dietro il sentore di muffa senti e percepisci il profumo del mare. E… l’olezzo di pesce marcio.
Giunge così improvviso che ti sorprende e, un po’, ti stordisce. Se presti attenzione nella semi oscurità, noterai che ci sono delle macchie d’umido sulla parete azzurrino chiaro. In un acquario non dovrebbe essere una cosa tanto insolita. Forse, allora, quella sensazione di magici tesori nascosti in uno stanzino era sbagliata. È ora lecito chiedersi se hai davvero scelto la porta giusta.
 
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C'è sempre una tensione particolare – un po' di aspettativa, un po' d'autentico timore – allo scattare di una serratura. Non ho idea di cosa possa celarvisi dietro, sebbene l'etichetta "Sgabuzzino" mi offra uno slancio in più, oltre che una rete d'approdo. Una parte di me, più accurata, mi sussurra di prestare attenzione, di fermarmi e di ragionare meglio. Invocare protezioni, difese e disillusioni, benché il tempo mi sia nemico (e, lo ammetto, l'impazienza mi stia consumando). Rincorro un sogno che è parte di un traguardo, di un'identità che m'impegno a cesellare, giorno dopo giorno. Qualsiasi ostacolo – o chiunque – possa essere oltre l'accesso non mi spaventa. Il pomello, tiepido, instilla un dubbio che mi affretto a relegare in un cassetto della mente. Ho la bacchetta che taglia l'aria, una diagonale che tenta di coprire il mio petto; eppure, quand'è che sono diventato così bisognoso di certezze? Ricordo il tempo in cui violare il coprifuoco diventava prerogativa di successo, tra i miei concasati; l'esperienza, forse, mi ha reso più vigile, ma non codardo. Questo è il monito che mi impongo, imprimendo così una spinta alla porta affinché liberi uno spicchio, un breve passaggio. Mi accorgo di trattenere il respiro, forse per un solo istante – gli occhi, famelici, indagano le ombre alla ricerca di un pericolo, di una figura pronta all'assalto o chissà cos'altro. Lascio che la porta si richiuda dietro di me, un contatto leggero pur di non attirare attenzione; mi sembra di essere solo, ora.
O, perlomeno, mi convinco d'esserlo per spronarmi all'indagine. Reprimo l'istinto d'evocare la luce: di per sé potrebbe facilitarmi, ma anche mettermi i bastoni tra le ruote. Batto le palpebre più volte, ripetutamente, finché i primi dettagli sfavillano benché opachi: scope, secchi, strumenti di pulizia, qualcosa di più forse in risalto. Mi attirano quelle che mi ricordano ampolle di pozioni. Tutto è fulmineo, una sensazione dopo l'altra, ancor più quando riprendo a respirare a pieni polmoni. L'odore stantio si mescola al marcio di... pesci, mi dico, o di per sé creature che immagino essere pasto ghiotto di tanti abitanti dell'aquario. Arriccio il naso in una smorfia che apparirebbe perfino buffa, in altre circostanze. Ma è il mare che mi richiama, un appello profondo che accentua i sensi. Il soffio salmastro, pur fuorviato da cattive influenze, mi sembra vicinissimo; volgo l'attenzione in lungo e in largo, tasto pareti dietro di me con la mano libera, la sinistra. Orme umide sull'azzurro, come guizzi di remora, baluginano oltre il mio sguardo, e vi torno per la seconda volta. Potrebbe essere il riflesso del vetro dei barattoli nei dintorni, forse del manico di ferro dei secchi o, perché no, dello stesso pomello della porta. Oltre il colore, però, è la salsedine – o quanto più vi assomigli – a trattenermi.
La pietra, mi dico, è spesso viva, trattiene segreti ben più preziosi del previsto. Penso alla Stanza delle Necessità, al modo in cui mi sia apparsa dalle mura. Immagino un velo, uno d'ombra, uno d'incanto: e rimuoverlo, strapparlo, renderlo trasparente e finalmente visibile. Forse è fantasia, ma... devo tentare. Direziono così la bacchetta verso la parete dalle macchie azzurrine, favorito dagli ultimi pensieri e dall'intenzione. La formula, in silenzio, è priva d'accenti, ma risuona in me come una speranza nitida.
«*Verto Lucidus Voglio che la parete si sveli da sé, voglio passarvi oltre.
 
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view post Posted on 21/7/2023, 10:53
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Ed eccoci qui, Oliver. In un modesto quanto maleodorante cubicolo adibito a magazzino per le pulizie e allo stoccaggio di materiali più o meno utili al mantenimento dell'Acquario.
Il tuo sguardo curioso si avventa famelico su ogni dettaglio, concentrandosi sulle boccette misteriose, sugli scaffali, sul muro. Ma è l'odore del mare a muovere i tuoi passi e la tua bacchetta. Quell'odore di salsedine, di creature ittiche che da sempre ti affascinano. Tu, però, non ti accosti ai tonni, ai plimpli marini, ai pesce pagliaccio e perché mai dovresti farlo? Anzi, la domanda è: chi diamine vorrebbe essere un tonno?
No, no certo: tu miri in alto e come biasimarti può, quest'eccentrico Fato?
Non fai grande fatica a rendere malleabile alla tua Magia la materia di cui è composto l'umile muro. Colpito dall'incantesimo, ecco che l'intonaco si sbriciola della sua solidità e ti mostra cosa nasconde dietro di esso.
Potremmo dire, mio caro Grifondoro, che non tutti i luoghi sono come la tua amata Hogwarts, come quella Stanza dietro cui, voi studenti, combattete ardentemente.
In questo caso, però, la tua deduzione ti premia: al di là della parete e delle sue crepe, ecco una debole e tremolante luce bluastra provenire da una lanterna. Essa è posata sopra una piccola scrivania ingombra di fogli, calamai, piume e... e secchi di pesce. Sissignori, secchi di pesce da cui, probabilmente, deriva quest'odore pungente. E anche piuttosto pieni: vedi persino spuntare code immobili, teste dagli occhi vuoti. Ma c'è di più: c'è un toast sbocconcellato appoggiato sopra un libro ingombrante che svetta sopra tutto il gran caos che regna sul povero tavolo. Quando volgi lo sguardo a destra, ecco che noti un pagliericcio con una consunta coperta appoggiata sopra. E guardando verso sinistra...

« E tu cosa diamine ci fai qui?! » Una voce roca, sorpresa ed irritata. Dietro di te un uomo con un berretto e una tuta da lavoro grigia tiene un mocio in una mano e un bidone nell'altra. Non si accorge inizialmente del muro trasparente, ma forse coglie qualcosa, quando la tua concentrazione viene meno e il luogo nascosto scompare. Batte le palpebre confuso e lascia cadere il bidone con un tonfo sordo. Poi ti addita.
« Per le chiappe di Merlino! Cosa diavolo stai facendo?! » Infine ringhia, ti minaccia con il manico di legno dello spazzolone. Se abbia visto oppure no ciò che si cela dietro lo sgabuzzino ancora non è chiaro. Ciò che invece sono lampanti sono le sue intenzioni.
 
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view post Posted on 21/7/2023, 12:37
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Appena la parete si sgretola sotto i miei occhi, la memoria volge indietro nel tempo. Ha il peso di un tornado, una fitta al cuore che ignoro a stento: un dipinto d'intonaco e legno, un tuffo oltre la Stamberga Strillante, infine un collegamento sufficientemente stabile. Forse, penso, è la cornice dietro il passaggio che consuma la nostalgia del momento, perché la mente è infida e unisce in tasselli tutto quello che catturo con lo sguardo. La lanterna diventa la stessa torcia della capanna nel bosco, la luce soffusa – come onda marina – muta nel riflesso del chiaro di luna sul tetto divelto; soprattutto... il giaciglio con coperta, di sfuggita, mi riporta al letto di fortuna della bambina che ho incontrato e che, tuttora, mi toglie il respiro. Per la prima volta dopo anni, infatti, penso a lei – Hannah. E mi sento terribilmente in colpa ad aver dimenticato le sue condizioni, così come l'impatto che ha avuto su di me, sulla mia vita. Hannah, la bambina Veggente, è un'eco che ho creduto di aver perduto per sempre. Forse involontariamente, forse per necessità – è un colpo dritto al petto, maturato com'è da una tessitura di richiami e simbologie che il tempo mi ricama attorno, perfino in esagerazione. C'è così tanto di me, in quest'avventura, che il mio passato sente il dovere di fare capolino, e compromettermi. Mi accorgo di stringere la bacchetta magica, nella mano destra, come una frusta. Le dita stridono sul legno, avvinghiate come tentacoli; e il cuore, ancor prima d'acquietarsi e invitarmi a procedere, s'arresta in difetto all'ascolto di una voce sconosciuta, ora proprio dietro di me.
*No, dannazione* è il pensiero che mi devasta e che, parimenti, rende i sensi nuovamente vigili. Volgo di scatto, dimentico perfino di nascondere la bacchetta. Potrei apparire come una minaccia, lo so bene. Eppure... mi manda in bestia l'idea di essere arrivato fin qui per poi essere respinto con nulla di fatto. Per un istante penso possa essere Patrick Bellamy, un incontro che potrebbe facilitare la mia ricerca e che finalmente mi darebbe un soffio di speranza. Invero, l'uomo veste abiti lavorativi – un secchio, una scopa tra le mani. Dettagli, questi, che si aggiungono alla consapevolezza di trovarmi in sgabuzzino. Ma è il battito di palpebre, l'anelito confuso sul volto dell'altro (per me, forse per la stessa parete) che mi lascia intendere sia qualcuno solo d'ostacolo. In altre circostanze avrei consumato ogni energia pur di trovare un punto concorde. Perfino il nome di Aurelia sfuma come una soluzione, ma non potrei mai metterla in difficoltà. Potrei sbagliarmi, eccome. Voglio assecondare i sensi, voglio osare.
Ha una scopa, non una bacchetta. Sfrutto l'istante con un'intensità tale da trattenere il respiro. La presa sulla mia, d'abete, è sicura, diretta e ferrea. Non potrebbe essere diversamente, perché tutto – in me – è in tensione. Appello la pietra, in visione: mura, roccia, un mantello spesso e rigido che immobilizza, spezza l'equilibrio, annulla ogni movimento. Sfido l'aria, allora, in un movimento della bacchetta verso l'alto – una frustata, una linea che taglia il vento. La direzione, naturalmente, è l'uomo di fronte.
«*Petrìficus vi associo la prima parte della formula magica, in parallelo. Benché silenziosa, onde evitare d'offrire consapevolezza all'altro, l'accento dovuto è limpido in mente. Cerco di catturare la figura, privo d'incertezza e di titubanza: necessito, desidero questo traguardo, e sento di essere ad un incrocio decisivo. La bacchetta volge sull'altro come a fissarsi stabilmente, stringerlo in una morsa priva d'eguali. La formula restante, allora, è conclusiva e comprensiva d'accento studiato: «*totàlus
Se anche i miei occhi tradiscono rimorso, il mio cuore è impaziente e deciso. Avrei potuto ferire l'altro, metterlo fuori gioco in modi che contrasterebbero perfino con la mia etica, eppure... voglio bloccarlo, solo per poco, il tempo di sparire dai suoi ricordi. Se l'Incantesimo della Pastoia ha effetto, infatti, tento di scattare avanti, allungando le braccia pur di afferrare il corpo immobilizzato dell'altro prima che cada via. Non è mia intenzione ferirlo. Non è mia intenzione ferire nessuno. Non posso correre alcun rischio però, né per me né per Aurelia. Devo agire indisturbato, è l'unica soluzione valida. Muovo il Bracciale di Damocle, un artefatto magico che è sempre al polso. Mi affido allo stesso come in sostegno, mentre provo a sistemare l'uomo alla meglio, sul pavimento. In ogni caso, riuscendo o meno, il mio obiettivo è la sua memoria: nessuna traccia, affatto. Dirigo la bacchetta verso la tempia sinistra, stabilizzo il contatto. Traccio così un semicerchio verso sinistra, opposta alla destra che mi è dominante. Quello che ha visto fin'ora deve sparire, si tratta di pochi frammenti: la mia presenza, l'eventuale parete in magia. Pongo tutto in risalto, in pensiero. Fisso il ricordo, lo distruggo in volontà.
«Oblivion» è il richiamo, in voce decisa. Scelgo di pronunciarlo, questa volta, affinché il processo sia nitido e repentino. Nessun errore, nessun passo falso.

Sfrutto il Bracciale di Damocle (permette di usare doppio incanto), è sempre in inventario attivo. Naturalmente le due azioni sono ipotetiche.

 
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view post Posted on 1/8/2023, 17:58
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È la tua accortezza, la tua fanciullesca lealtà a renderti ciò che sei, Oliver Brior. Persino in una situazione di difficoltà, ti preoccupi per il prossimo e ti sporgi a prendere il corpo pietrificato giusto in tempo prima che cada a terra. I suoi occhi si agitano nelle orbite paralizzate, scattano a destra e a sinistra, incapace di muovere altro che quelli. La sua intera figura, del resto, è grigia come la pietra delle mura di Hogwarts dove l'incantesimo della Pastoia va alla grande fra le fatture più usate dagli studenti. È curiosa la scelta del tuo tempismo, perché quando decidi di Obliviare il pover'uomo, lo fai ora, adesso. Certo riesce, vedi i suoi occhi diventare vacui per un momento infinito e solo così sai che anche questo incantesimo è andato a buon fine. Adesso, però, che l'inserviente ancora armato di scopa al suo fianco è immobilizzato e dimentico degli ultimi accadimenti, cosa farai? Sei sicuro di aver scelto per il meglio la sequenza? Forse sì, eri in trappola, in che altro modo potevi forse liberarti? Ma l'esito... beh, l'esito potrai scoprirlo solo nella prossima mossa. Chissà in quale casella di questa curiosa scacchiera ti muoverai.


L'inserviente rimarrà bloccato per 1 altro turno.
 
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view post Posted on 2/8/2023, 19:52
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C'è una parte di me, nel profondo, che segue l'istinto – oltre che un'impronta in memoria. Non è lo stesso, ne sono consapevole, eppure ho come l'impressione di essere già stato in una situazione così. Il grado di pericolo, la possibilità di essere scoperto da un momento all'altro, tutto mi rimanda ad un autentico déja vu. Non è la stessa stanza, e come potrebbe? Il London Aquarium è per me un'esperienza acerba, benché fuorviata dai sogni nel cassetto e dai traguardi che voglio raggiungere. Ma... sono stato in trappola, in passato.
Lo sono stato più di una volta, in condizioni peggiori. Non posso fare a meno di pensare, di scatto, alla grotta in cui sono capitombolato – negli abissi del Lago Nero. Senz'aria, impossibilitato a sfruttare per bene la magia, privo d'ogni sostegno tangibile. Non è un paradosso, allora, che per te – Sirena – io abbia violato ogni confine? La promessa, ora, è identica. Mi pervade in un moto che risveglia i sensi, che mi pone in attenzione. Non c'è titubanza, in me. Non posso tornare indietro, non voglio. Per di più, e forse per la prima volta da molto, moltissimo tempo, finalmente ripristino una parvenza di fiducia in me, proprio in me. Che possa sbagliarmi, che lo abbia già fatto, non m'importa. Tentare, mi ripeto, non è la ragione che attiva il cuore, è soltanto il tramite per una trama più grande. Le mie azioni sono fulminee, un guizzo che s'accosta al pensiero frenetico. Agire, individuare il filo, svelare un sentiero – che sia metaforico o meno, diventa guida. Il mio punto d'aggancio è la stanza che il velo d'incanto cela all'attenzione comune, quanto vi sia dietro la parete dalle macchie d'umido. Nonostante sia stata visibile per pochi istanti, mi ha dato una nuova consapevolezza, oltre che equilibrio. Non può essere lì per caso, e – mi ripeto in un mantra fulmineo – può rappresentare la chiave di svolta. Perché l'inserviente che è con me, ora pietrificato, mi ha lasciato l'idea di scorgere l'arcano per la prima volta. Eppure... c'è un pagliericcio, una lanterna, uno spuntino a metà, oltre il muro. Questa è una prova, forse di una presenza, un nascondiglio. L'identità da giornalista, in me, è matura. Non attendo oltre, non rinnego le mie azioni: ho bisogno di lasciare una tabula rasa dietro di me. Se c'è una cosa che mi rincuora – cui m'aggrappo come un'àncora di salvataggio – è che una porta, spesso, conduca ad un'altra porta. O ad una strada, una connessione. Con un pizzico di speranza potrebbe essere lo stesso anche oggi, per me. Magari perché ingenuo, o troppo sognatore, è stato questo il passo che ha guidato i miei sortilegi, poco prima. Ora che l'altro uomo appare inerme, potrei intrappolarlo, bloccarlo meglio. Potrei celare di nuovo anche me, scappare. Potrei fare tante cose, per mettermi completamente in salvo. Il tempo, l'ho imparato a mie spese, è sottile come una linea d'ombra. Potrei non avere più occasione, nessuna. Tento, invero, di scattare verso la parete – sfrutto il momento in cui gli occhi dell'altro s'offuscano per l'ultimo sortilegio. Se la sua mente è annebbiata, la mia è concentrata fino a costringere il corpo ad una tensione immediata. L'obiettivo, ora, è la parete: attraversarla subito, celarmi, raggiungere la stanza. Mi auguro possa essere un passaggio, dopo averne avuto sentore. Seguire l'istinto, oggi più che mai.
 
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view post Posted on 25/8/2023, 16:28
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In fondo siamo creature nate da istinti primordiali, milioni di anni fa, quando i nostri antenati hanno mosso i primi, storti passi in un mondo minaccioso. Lo sapevi che la prima impronta mai trovata di quello che possiamo definire il "primo prototipo di uomo" era di un essere che stava probabilmente scappando? Da cosa non lo sappiamo, chi lo sa. Forse un'eruzione vulcanica, forse da una bestia. Poco cambia, in fondo: l'essere umano si è evoluto così, a forza d'istinto. Non c'è da biasimarti, quindi, se ti abbandoni ad esso, se volti le spalle ad un potenziale ostacolo per te e il tuo fiuto da giornalista. Ti lanci nel vuoto, verso un muro che potrebbe benissimo farti rimbalzare via come una mosca su una finestra. Eppure non lo fa: invece ti accoglie, ti ingloba ti fa poggiare il piede su un pavimento umido e scivoloso. La parete si richiude dietro di te o forse dobbiamo dire che acquista la stessa consistenza di quando l'hai trovata, quella che anche l'inserviente Magonò vedrà una volta terminato l'incantesimo della Pastoia. Sarà confuso, probabilmente, incerto su ciò che ha visto ma non saprai mai (per ora) se è andato a cercare aiuto o se semplicemente ha posato secchio e mocio per andarsi a scolare l'ennesima bottiglia di whisky incendiario.
Quel che vedi ora, quindi, è proprio ciò che hai già intravisto. Il pagliericcio –che puzza incredibilmente di marcio e muffa– con la coperta sfatta, la scrivania ingombra di carte, il panino sbocconcellato. Ma è se presti più attenzione a ciò c'è sopra il piano di legno mezzo marcito che scoprirai qualcosa di interessante.
Ci sono diversi strappi di giornale tra cui, come puoi riconoscere dall'inchiostro sgargiante e il font scoppiettante, quello de "Il Cavillo" che recita così:

...bilire quanto importante sia per il Mondo Mag...
La coda poco ma sicuro così piccola e...
...formata. Chiaro questo il segno del...
Incredibile Guazzibarbo dei laghi? Ebb...


Un altro frammento dove puoi intravedere una foto stropicciata di colui che stai cercando ai tempi, sicuramente, della sua assunzione viste le poche rughe sul volto e che ti saluta affabilmente con la mano. Dietro di sé c'è una grande vasca dove si intravede una splendida pinna simile ad una criniera, opalescente come una perla che si muove lentamente. Non si vede il muso dell'animale, coperto dalla schiena di Bellamy, ma è chiara la sua natura anche se evidentemente più giovane anch'esso.

Patrick Bellamy, ex vice direttore dell'Aquarium, sezione Magica, di Londra è stato accusato di aver ucciso i cuccioli appena nati del raro esemplare di Ippocampo.
La vicenda, che la direzione ha cercato di tenere nascosta, è saltata agli occhi di tutti quando un gruppo di rice...
Per questo motivo è stato allontanato da...
latitante e...


Oh! Ecco dov'era finito il signor Bellamy e perché Aurelia era tanto in imbarazzo! Che situazione complicata, non trovi? Guardati intorno: non c'è nessun altro e la stanza è semi-vuota. Un bello kneazle da pelare se tornasse qualcuno: non c'è mica via di scampo qua dentro, a parte quella da cui sei venuto.
 
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view post Posted on 2/10/2023, 17:29
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Il primo dettaglio che noto, superata la barriera che la magia cela al prossimo, è il secchio con i pesci privi di occhi. C'è qualcosa, in questo scorcio, che mi fa rabbrividire: è come se fosse un presentimento, forse semplicemente la risposta all'adrenalina che si mescola alla tensione del momento. Potrei essere scoperto, è questo che mi ripeto in un angolo della mente; è una voce profonda, simile ad eco, che relego altrove pur di concentrarmi sulla stanza. Sono arrivato qui, mi dico, e non posso uscirne senza un percorso. Tutto intorno si riplasmano i dettagli che prima, in uno slancio ancor più frenetico, ho catturato maldestramente; mi allontano di un passo, evitando così che la schiena o perfino la punta delle scarpe possano spuntare nuovamente alla mercé dell'inserviente che ho lasciato dietro di me. Mi ripeto d'essere in solitaria, di poter indagare: affinare i sensi, vincere la paura e ripristinare le strategie che la carriera da giornalista mi ha saputo offrire. Sposto l'attenzione come un cacciatore, benché resti immobile. Sono gli occhi che sviscerano segreti, pedinano le ombre e le tracce più disparate; le palpebre tremano, il respiro s'acquieta: Bellamy, dove sei? Ho bisogno — in modo viscerale, così sentimentale — di avere un punto di contatto, di ritrovare una promessa che ho fatto a me stesso. Il pagliericcio, la coperta disfatta, perfino l'odore sgradevole, tutto è indizio di una presenza. Vi si aggiunge, in conferma, il panino all'apparenza mangiucchiato, e l'intero guazzabuglio di carte e ritagli di giornale. C'è qualcuno, deve esserci. Ho già rimosso l'ipotesi secondo cui questo sia il ripostiglio dell'inserviente che ho incontrato, mi ha aiutato l'espressione di confusione dell'altro alla scoperta del passaggio segreto; potrebbe essere la stanza di un altro lavoratore, all'acquario. Oppure... c'è un moto di speranza, in me, appena accerchio ferocemente l'identità di Bellamy. Lo riconosco immediatamente, fotografie somiglianti sono tuttora nel mio taccuino (io stesso ho seguito le dinamiche della vicenda, la pubblicazione dell'articolo alla Gazzetta). L'impronta del Cavillo sguscia via, sebbene guazzibarbo resta una parola cui spenderei volentieri più attenzione. Invero, è Bellamy che mi attira. Avanzo di un passo, non sfioro nulla. Mi piego appena, però, per leggere meglio, e ritrarmi indietro come dopo una scottatura.
*Non è possibile*, è il primo pensiero che mi balza alla mente. Il cuore si fa greve, perde un battito. Nero su bianco, l'accusa di uccisione dei cuccioli è una forza devastante, per me. Mi accorgo di tremare, di scatto. Il tempo di deglutire, di imporre un giusto ripristino al respiro, finché gli occhi spezzano l'ordine lungo la scrivania; ho bisogno di altro, ho bisogno di una testimonianza, di prove. Mi guardo attorno come in disperazione, quasi vorrei correre indietro — alla ricerca proprio di Aurelia. Il mio primo pensiero è che possa essere finto, che vi sia un errore. Forse... una fonte irrisoria, un peccato d'invidia da parte di altri. Ho conosciuto Bellamy, anche se distante: la passione sul volto, il giorno della schiusa delle uova marine, era unica. Era... è mia, la stessa. Ho paura di gridare, di invocare il nome dell'ex direttore. Se qualcuno mi sente, oltre la barriera? Mi guida, allora, una combinazione d'istinto e di insperata necessità, una trappola che risveglia ogni senso. Inspiro una volta, poi un'altra. Aria rarefatta, di carta stantia, di pesce marcio e di incubo. La mano sinistra, libera, tenta d'accostarsi al giornale, le dita in avvicinamento al volto di Bellamy. La coda della creatura dietro di lui, il riverbero d'argento, il mare, le onde, il moto di un corpo che si inarca all'indefinito.
«Patrick Bellamy.» Chiamo il nome, un grido che ha voce d'arcano. ll tempo è sottile, è una linea che cicatrizza ogni confine, in me è un porto cui m'abbandono. Invoco l'Occulto, mi faccio tramite. Le dita, allora, cercano la figura, vi imprimono contatto.
«Rivelati.» Impongo un comando, è una guida.

Chiedo profondamente scusa per il ritardo.
 
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26 replies since 9/5/2023, 19:12   483 views
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