opalescence —
reflecting iridescence from the surface
london aquarium —
May, 15th birthday
Nelle mie visioni, forse più simili a sogni, sei tempesta. Governi il respiro delle onde, scivoli tra le stesse, sei una danza che non ha inizio né fine. Assumi forme che non ho mai catturato, ruoti all'infinito – tu, noi, il tempo stesso – in un mulinello caotico: di sabbia, di conchiglie, di bolle d'acqua. Trascini con te il maremoto, suoni del ritmo estremo dei ciottoli salmastri, tessi intorno un intricato, incantevole gioco d'incastri – venature ramate, rosate, argentee. Hai il mondo, sulla tua pelle. Ti disegni da sé, privo d'aiuto, perché sei forza antica. Sveli una geometria che brilla, brilla d'ogni giorno che ci tiene separati, di ogni istante in grado di arginare il presente. Eppure, sei nitido. In modi che non riesco ad afferrare al volo, non subito. Mi mostri un sentiero che hai raccolto tu stesso, in prima linea. Sei un vessillo, un flutto che avanza e mai ritrae. Ti si accosta, in confusione, il capannello delle mie promesse infrante, dei miei rimorsi, e soprattutto dei miei sogni nel cassetto. Ti ho cercato in anticipo, nel futuro. Mi piace immaginare tu sia stato sempre vicino, accanto a me. Mi piace immaginare tu sia stata l'illusione ultima, l'immagine di un desiderio così grande da non avere concretezza. Voglio credere, oggi, che tutto sia destino. E voglio fingere, ancora, di avere un tempo misterioso, di avere una trama indefinita anche per me. Voglio credere tu sia in attesa – di me, del mio arrivo. Voglio crederci con tutto il cuore.
Benché opalescenti, le mie visioni guidano i miei passi. Oltre la folla di turisti, oltre la bambina che insegue le meduse. Oltre, oltre, oltre. Diventa una costellazione di luci e di sospiri – diventi, tu,
universo. Inseguo il nuoto di un delfino, gli sorrido distante come se potesse comprendermi; solletico il vetro dell'acquario, tamburello un motivetto di passaggio – è in dispersione. Il soffitto, il pavimento, tutto è una cupola azzurra: il cielo, al London Aquarium, è fatto d'acqua. Le creature marine, rapide, si trasfigurano in punti di stelle, e io chiudo gli occhi, inspiro, mi godo l'oblio dei sensi. Sono un'alga, una madreperla, un ciottolo sul fondale della teca. Sono parte del tutto, dissolvendomi d'un tratto – in percezione – dalla giacca di jeans che vesto con leggerezza. Se non fosse per il cicaleccio di voci tutto intorno, mi sembrerebbe di perdermi di continuo.
«Ciao» è una bambina che mi riporta al momento. Mi stringe la mano, l'afferra veloce. Mi guida avanti, con gli occhioni traboccanti di gioia. Io la comprendo, ora più di ogni altro giorno. Comincia a cantilenare di tutto e di più, i delfini, le orche, le murene che ha visto. Mi dice di voler essere una sirena, di aver letto una fiaba, di voler vivere tra gli abissi. E io, un po' sognante, un po' distratto, l'ascolto davvero. E mi piego sulle ginocchia, e le cerco le mani, e le stringo a me, al petto. Ha i boccoli rossi, fiori d'arancio. Ha le labbra piene, il sorriso vivido. Si chiama Layla, dice. La bambina è il mio tempo.
«Shà, némé Layla.» La mia voce è ruvida, graffia l'aria. Ti svelo di saper parlare con le Sirene, di averne conosciuta una, di averla amata. Ma la piccolina trova tutto buffo, e ride, e ride di me. O forse, chissà, ride con me. Le faccio un occhiolino, finché una donna adulta (forse la madre, mi dico) torna a recuperarla, la acciuffa con un soffio di paura e di giustifica verso di me. Ci salutiamo. Io, la madre, la bambina. Il delfino, la teca, l'aquario.
Mamma, dice Layla. Mamma, lui parla con le Sirene. La tua voce mi fa sorridere, mentre sparisco oltre la porta segreta. Basta un colpetto di bacchetta, come da prassi, e una manciata di falci presso la biglietteria finché la parte magica dell'acquario mi accoglie, e mi nasconde. Banchi di remora volteggiano intorno, si allontanano e si ritrovano in arabeschi luminescenti; sento una guida nominarli
custodi dei naviganti, sorprendendo anche me. Ho un libretto stretto sotto il braccio, le pagine consunte perché sfilate, lette e rilette di continuo:
Allucinanti abitatori degli abissi è il titolo. Svettano cartine geografiche, disegni e schizzi d'inchiostro. C'è un tentacolo che vuole prendere la punta dei miei stivaletti, avvinghiandosi al vetro di basso. C'è tutto, di me, in questo luogo. Voglio che ci sia anche tu. Mi sembra di tornare agli abissi, fino a ritrovarmi. Cerco in largo, finché spero di avvicinarmi ad una guida. Il mio tono s'addolcisce di gentilezza.
«Buongiorno, mi saprebbe dire dove trovare Patrick Bellamy?»Acquisto ticket aggiornato.