46A Queensway, Appartamento di Horus Sekhmeth

« Older   Newer »
  Share  
view post Posted on 9/5/2023, 21:56
Avatar


Group:
Dipendente Ministeriale
Posts:
12,018
Location:
Trantor - Settore Imperiale

Status:


46A Queensway
Bayswater ▴ Westminster ▴ London


L'appartamento di Horus si trova a Bayswater zona ovest di Londra all'interno di Westminster, non molto distante dalla omonima fermata metro e centro multietnico. Il quartiere si colloca fra Notting Hill e il Kensington Park.
L'edificio che ospita l'appartamento era un tempo un grande magazzino del 1911 che è stato poi acquistato da un imprenditore Babbano suddiviso in 3 piani (Horus è al secondo) e ristrutturato.
Dietro l'edificio vi è un piccolo giardino simile ad una corte, una particolarità in una zona come quella; qui Horus ha pagato un extra per avere un box dove parcheggiare la sua moto.

L'appartamento è di circa 45 mq ed era stato abitato precedentemente da un' interior designer Babbana e perciò la casa è quasi totalmente arredata. Non è il classico stile che si immaginerebbe per lui, ma è semplice e di buon gusto: i colori sono neutri, c'è molto bianco e una tale quantità di luce che Horus è rimasto più colpito da questo, che da qualunque altro dettaglio.
L'esterno, come quasi tutte le case del quartiere, è in stile vittoriano, con una porta grigio scuro e battenti in ottone. Le case sono principalmente a schiera e quasi tutte stuccate di fresco, dando all'intera zona un'aria pulita e ricercata.
Entrando nell' androne, si accede direttamente ad una scala (chiaramente senza ascensore) che porta ai tre piani.


Piano terra
Soppalco
Terrazzo
Planimetria



Dalla porta di ingresso si entra in una piccola anticamera da cui si accede, sulla sinistra, alla cabina armadio di modeste dimensioni, ma ben attrezzata (cui Horus ha applicato un incanto estensivo per renderla un po' più agibile). Vi è anche una piccola scrivania richiudibile al cui interno c'è un solo cassetto spesso chiuso con un Colloportus, che contiene le lettere di Osiris ed il cubo di legno rubati a Villa Cavendish.
Oltre l'anticamera ci si trova subito in un ampio open space con un piccolo tavolo tondo e due sedie (non gli capita mai di voler invitare più di un paio di persone che, di solito, si limitano a Ned Lynch ed Isabella Cunningham), un divano a due posti, una poltrona che crea un angolo lettura con una piccola piantana che illumina proprio la seduta e, in una zona rientrata, una cucina.
Numerose librerie a parete e mensole contengono libri che Horus ha prelevato dallo studio di suo padre e acquisito nei viaggi, insieme ad alcuni reperti disposti in una vetrina (ancora semi vuota, ma in procinto di riempirsi). Vi sono inoltre alcune foto che ha scattato durante i suoi viaggi e polaroid di quando era piccolo insieme a sua madre o ai nonni; le foto di Osiris che, a Villa Andromeda erano ben in vista sulla mensola sopra il letto, sono ora chiuse dentro uno spesso quaderno incastrato fra due ingombranti diari di viaggio. Horus non le guarda mai.
Due grandi finestre ad arco, alte fino al soffitto, riempiono la casa di luce.
La cucina è praticamente nuova perché Horus non è capace a cucinare più del limite indispensabile per vivere. Sua madre ha tentato disperatamente di insegnargli qualcosa, ma come per gli incantesimi curativi, Horus è indubbiamente negato. Preferisce comprare da asporto ciò che più gli va. In ogni caso, con l'aiuto di Isabella (e, di tanto intanto, dell'Elfa Domestica Brit) ha imparato a prepararsi almeno i pasti base.
Essendo un edificio di Babbani (Horus è l'unico mago che vi abita), è presente la corrente elettrica che per ovvi motivi Horus non ha potuto staccare. Dopo qualche iniziale perplessità, ha imparato ad utilizzarla e la trova ben più comoda di candele ed incantesimi di luce.




Una scala conduce al soppalco dove è possibile trovare la camera da letto, un armadio a muro e un bagno con doccia walk-in. Non essendo state previste finestre nel bagno originario, Horus ha incantato il soffitto per creare un lucernario che riflette il tempo e riempie di luce l'ambiente.
Lungo i muri liberi del soppalco vi sono altre librerie e, fra di essi e ben nascosto, un diario. È in gran parte scarabocchiato perché, pur non essendo molto scritto, Horus detesta leggere i suoi sfoghi passati, ritenendoli appartenuti ad un periodo lontano da ciò che è ora.
Il letto è sempre in ordine e questa è una delle regole principali che Horus segue in casa sua, da sempre: un letto disfatto, infatti, è in grado di metterlo di cattivo umore e di fargli sembrare tutto in disordine. È la prima cosa che fa al mattino, quando si sveglia (solitamente molto presto, un po' per abitudine, un po' perché va spesso a correre nel vicino Kensington Park).
Per la maggior parte delle volte, come quando era ad Hogwarts, Syr, la lucertola, dorme sul comodino.

Un piccolo balcone ad L dà sulla strada trafficata, ma è stato incantato in modo che risulti sempre vuoto ad occhi Babbani. Spesso, durante le sere fresche d'estate, Horus si mette fuori a leggere o a strimpellare la chitarra che ha cominciato a imparare a suonare. Ogni tanto qualche vicino curioso si affaccia sentendone il suono ma, non vedendo nulla, si limita a fare spallucce associandolo a uno dei tanti locali che riempiono il quartiere.
Su un lato riparato c'è un piccolo trespolo dedicato ad Hybris quando ha voglia di riposare un po', talvolta sfruttato (quando è vuoto) anche dai gufi postini che consegnano le missive. Ecco, questo in effetti tende a incuriosire qualche vicino che si stropiccia gli occhi perplesso quando gli capita di veder svolazzare qualche gufo in pieno giorno.
Ra, neanche a dirlo, si rifiuta categoricamente di usare il trespolo e, quando non è lontano per qualche volo solitario, si trova più a suo agio fra le fronde di qualche faggio in Kensington Park. Ciononostante quando Horus è fuori viene a posarsi sulla sua spalla o sulla ringhiera.
Il balcone, così come il resto della casa, ha diverse piante come un piccolo olivo, dell'edera e una pianta di gelsomini. Sono lo zampino di Ainsel che ha ben pensato di riempire l'appartamento con una quantità di piante decisamente eccessiva (per lui ci vuol poco) per i gusti di Horus. Pur non essendo particolarmente ferrato nel giardinaggio e in Erbologia, in cui lei invece è un asso, Horus prova a fare quel che può seguendo i consigli di sua madre. Se ne prende cura perché le ricordano lei e casa sua nel Somerset.





Code © HorusDON'T copy

 
Top
view post Posted on 5/1/2024, 13:50
Avatar


Group:
Dipendente Ministeriale
Posts:
12,018
Location:
Trantor - Settore Imperiale

Status:


– Preludio –
24 yrs – cursebreaker – Home

Le afferro i fianchi e ghigno dopo l’attacco ferino dei miei morsi ai danni –tanto per cambiare– del suo collo. Le ho concesso, di tanto in tanto, dei baci che lei ha ricambiato con la stessa moneta: furenti. Sfioro il mio labbro con la lingua laddove i suoi denti sono affondati e, allo stesso modo, premo le dita maggiormente nella carne.
« Ora me la paghi. » Sussurro crudele, appoggiando la testa sul cuscino per pregustarmi la vendetta.
Ma non faccio in tempo a riscuotere il mio pegno, non subito almeno.
Dei tonfi alla porta riempiono il silenzio che ha seguito i sospiri, ma io non vi bado. Faccio scorrere le dita tra le ciocche dei suoi capelli e la spingo in avanti premendo sulla nuca per riappropriarmi della sua bocca.
« Lascia stare, è il vecchio del piano di sopra. » Sussurro al suo orecchio, in risposta alla sua domanda. Il buon vicino è solito cercarmi per scroccarmi del sale o dello zucchero nella classica scusa di chi, invece, vuole solo fare due chiacchiere. Di solito mi presto volentieri, mi fa tenerezza, peccato che al momento io sia piuttosto occupato. Il bussare si ripete, sempre più insistente ed io, ostinato, continuo ad ignorarlo. La mia mano stringe la sua coscia nuda scivolando sotto la stoffa della gonna, ma comincio ad essere infastidito.
« A’ stronzo, lo so che sei in casa, infame. APRI! »
Il boato di una voce familiare mi fa spalancare gli occhi che tenevo socchiusi in un’espressione sorniona. Sussulto vistosamente.
« Porca puttana! » Esclamo con un’enfasi ragguardevole.
Se prima stringevo il Gattaccio con il desiderio di averla più vicina a me, ora, sempre per quei fianchi, la sollevo con facilità e la lancio di lato, dritta sul materasso come una Pluffa.
Mi catapulto giù dal letto cercando in fretta e furia la maglietta che, mannaggia a te, non so dov’è.
Isabella, nel frattempo, continua la sua opera di disturbo della quiete pubblica.
« AOOOO MI APRI??? HOOOOOR!!!! »
« Arrivo! » Quasi scivolo sull’ultimo scalino e incespico in avanti con un’imprecazione decisamente colorita.
Toh, eccola la maglietta.
Brutalmente lanciata sopra la penisola della cucina, l’acchiappo velocemente mentre brancolo nel tentativo di rimetterla, consapevole che tu mi prenderai per il culo per il resto dei miei giorni.
Finalmente apro la porta, cogliendo Isabella in fallo con ancora il pugno in procinto di colpire l’uscio. Tiro indietro la testa, in automatico, per evitare che mi finisca dritto sul muso.
« Ma che sei scema? Che cazzo ti urli? » La rimbrotto, parandomi davanti a lei per nascondere il salotto e, chiaramente, il soppalco. Prego mentalmente che quella scimmia della Rigos non s’affacci.
« Ma sei scemo tu, rincoglionito. Non dovevamo cenare insieme? »
Certo che dovevamo cenare insieme, accidenti.
« Sì, ecco, ho avuto un contrattempo. »
Un contrattempo vestito con una gonna di pelle.
Isabella incrocia le braccia e i bicipiti si gonfiano, minacciando botte. Poi vedo che il suo sguardo scende dal mio viso arrossato al colletto della maglia. Seguo i suoi occhi e impallidisco. L’etichetta fa capolino dicendo: “cucù!”.
Porca vacca, è al contrario.
« Ah. » Un sorrisetto complice si dipinge sulle sue labbra carnose. Le sue iridi nere brillano come ossidiana. Mi ricompongo con una velocità disarmante e incrocio anch’io le braccia. Mi è difficile ammettere che le sue sono quasi più grandi delle mie.
« Non è come pensi, ero in doccia. » Mi affretto a negare con le sopracciglia alzate.
« Come no. » Arriccia il naso in una smorfia e batte il piede a terra. « Se non fosse che non ti porti una donna a casa manco a pagarti, non ti crederei. » Ridacchia, scuotendo la testa e facendo ondeggiare le lunghe treccine che le adornano il capo. Io trattengo un sospiro credendo di essermela scampata. Illuso. Poi preme un palmo sulla porta e la spinge, vanificando le mie speranze di avergliela data a bere.
« Vabbè su’ fammi entrare, c’ho fame e devo andare in bagno. »
Isabella è forse l’unica –dopo Nieve– che faccio entrare in casa. Solo che, al contrario della Rigos, sono stato io a permetterglielo. In realtà succede molto più spesso che io vada a casa della mia amica, un po’ perché ci sono sere in cui non voglio stare da solo, per via dei miei incubi, un po’ perché… non so cucinare niente. Cioè, a parte delle uova strapazzate e delle patate lesse. Solo che non posso camparci. E poi, ogni tanto, Isa ha bisogno di una mano con Emma e in quanto suo padrino, mi tocca andare. Non mi piacciono i bambini, ma lei è speciale.
« Sì, ehm… » Il problema è che ora mi ha preso in contropiede e faccio un passo avanti, verso di lei, cercando di richiudermi la porta dietro. Non posso nemmeno usare la scusa del casino.
Uno: non ci crederebbe mai.
Due: tenendo conto del disordine che regna imperante in casa sua, figuriamoci se le interessa.
Lei, però, agile come una gazzella, allunga il piede proprio fra lo spazio fra il pianerottolo e l’angolo della porta.
« Bro… cosa diamine stai nascondendo? »
ODDIO.
Il sorriso che stavo paventando si gela e diventa sempre più simile ad una colica.
« Niente! » Ok, lo so, non sono credibile, ma ci provo, cercando disperatamente di tirarmi la maniglia dietro. « Non ho niente in casa. Che dici, andiamo al cinese? » Entro in scivolata con una scusa piuttosto plausibile. A meno che Benin non venga a portarmi le provviste, da bravo viziato quale sono, è raro che io vada a comprarmi qualcosa. Isabella mi guarda dal basso verso l’alto.
« Horus. Sei in tuta. Non usciresti in tuta nemmeno a buttare la spazzatura. »
Ma mannaggia la miseria, accidenti alla Rigos, ma non può avvisare? Lei e le sue maledette gonne di pelle?

– You only see what your eyes want to see, you're frozen when your heart's not open –

Code © HorusDON'T copy



Edited by Horus Sekhmeth - 10/2/2024, 19:03
 
Top
view post Posted on 6/1/2024, 13:06
Avatar

entropia.

Group:
Grifondoro
Posts:
3,688

Status:


– Erumpent –
18 yrs – Chaos – Humanoid's Apartment

Una composizione di ghigni, sussurri e minacce malcelate colma lo spazio del soppalco. Sfregano le carni, si cercano le pelli. Le migliori intenzioni inneggiano distanza, le azioni caldeggiano un annullamento che inizia dove finisce l’altro.
Rido piano al suono delle tue promesse di vendetta, mentre con le labbra sfioro i fili di fuoco che ti adornano il capo. Sai che mi diverto, che non smetterò mai di provocarti, che ti darò il tormento fino a ipnotizzare quel po’ di coscienza che ti rimane, confondendoti. È per questo che le mie cosce, i miei fianchi, la mia nuca si muovono tra le tue mani. Non avrai posa finché non sarò paga del piacere che ti ho strappato.
«Chi è?»
Lascio la tua bocca, il corpo teso, all’erta. Come il gattaccio che pensi io sia, tendo le orecchie per decifrare il rumore. Un nubifragio di timori mi assale, tenendomi lontana dalla richiesta delle tue labbra sulle quali poso, gentile, i polpastrelli. Mi rilasso solo quando menzioni il vicino. Allora, mi sciolgo come lo zucchero fa nel tè e rido. Non ti ho mai detto di aver parlato con l’uomo gentile con cui condividi l’edificio e di essermi spacciata — in tempi tutto fuorché sospetti — per la tua fidanzata. L’avevo completamente dimenticato, ma non starò di certo qui a confessare i miei peccati e a cospargermi il capo di pece di mia spontanea volontà. Se mai lo scoprissi, avremo modo di confrontarci.
«Sei sicuro non sia la moglie?» ironizzo, sul viso l’espressione più birbante del mio repertorio. «Non è che la mia visita a sorpresa le ha fatto saltare il turno?!»
Una gonna di pelle e sei fuori gioco. Dev’esserci un neurone allergico — in senso positivo, pare, se di allergie buone ne esistono — che perde i sensi quando entro in casa con i fianchi avvolti nel tessuto scuro cui sei tanto suscettibile. Mettiamola così, se fosse una Corrida, tu saresti il toro e io il drappo rosso che viene fatto sventolare di fronte al grugno. Non mi stupirebbe, quindi, se avessi fatto male i calcoli e non ti fossi reso conto del passare del tempo, lasciando in attesa un’altra…
“A stronzo! Lo so che sei in casa, infame. APRI!”
Ecco, appunto.
Blocchi la mia reazione — o, meglio, la posticipi — perché la tua si manifesta con una rapidità impensabile. Nell’arco di un attimo, salti in aria come un petardo e mi spedisci sull’altra metà del letto senza compiere il minimo sforzo. Non so dire se sia più divertita dalla situazione — perché, Dio, Horus, non aspettavo altro che un’occasione del genere per prenderti per il culo da qui alla fine dei tempi! — o smarrita per la celerità con cui si stanno svolgendo gli eventi. Mi alzo per seguire le tue mosse e…
Sekhmeth, Sekhmeth, Sekhmeth! Che tu e la donna che sta dall’altro lato della porta siate benedetti!
Devo reggermi al soppalco con una mano e avvolgermi lo stomaco con il braccio per non cascare giù sul pavimento del salotto, quando ti vedo inciampare sull’ultimo gradino e eseguire una parabola in avanti che nemmeno gli Erumpent durante l’accoppiamento. Mi accartoccio su me stessa, piano, sdraiandomi a terra con le lacrime agli occhi e ripromettendomi di modificare il tuo nomignolo. Da Umanoide a Erumpent, del resto, è un attimo! Anche perché, volendo essere precise, condividi con l’esemplare lo stesso impeto animale a letto. Aspetto assai gradito alla casa, molte grazie.
Gli scambi successivi tra te e la tua interlocutrice mi sfuggono. Sono troppo presa dal dolore agli addominali e dal tentativo di sopravvivere ai frame in successione dell’insuperabile momento cui ho assistito per curarmi di quello che sta accadendo a ridosso dell’ingresso. Quando rinvengo dallo stato pietoso in cui le risate mi hanno gettata, fin quasi a smascellarmi, raccolgo gli abiti e mi rivesto.
È a metà scala che l’urlo della donna mi raggiunge. Riecheggia nel salotto, nella cucina, nell’appartamento tutto. Non sfido a credere che un’impronta della sua voce sia rimasta perfino sui vetri del bagno.
Sembra incazzata, realizzo e non so fino a che punto si metta bene per me.
Getto una rapida occhiata alla bacchetta, agganciata alla coscia ma inutile per colpe che non sappiamo attribuire. Dunque, sciolgo le spalle e indosso gli anelli. Anche stavolta, se uno scontro ci sarà, dovrò cavarmela con quello che madre natura mi ha dato.
Osservo le mani ingioiellate.
Farà male a me ma anche a lei!
È con il solito atteggiamento del cazzo — quello dei guai grossi, da Nieve dei bassifondi e contrattazioni poco raccomandabili — che raggiungo la porta semi socchiusa. Dallo spiraglio, Sekhmeth, intravedo il tuo corpo frapporsi come un muro tra l’esterno e l’interno. Ma perché la stai facendo così lunga? Siamo persone civili: ci incontreremo, saluteremo e daremo il cambio. E, se fosse una di quelle gelose e un po’ lagnose, le farai passare tutti i problemi togliendole i vestiti.
Alzo gli occhi al Cielo e vado a recuperare una delle sedie di casa. Non ti piacerà, mio caro Erumpent, ma la situazione va sbloccata. Ti mostro che non ce l’hai d’oro e che noi donne siamo brave a condividere. Posiziono il pezzo di mobilio a una giusta distanza dalla porta, più che altro per assicurarmi che non ti venga in mente di aprire d’improvviso e farmi cadere a terra come un sacco di bubotuberi. Poi, salgo e mi ergo in tutta la mia statura.
«Ehi!»
Parlo con più stordimento di quel che vorrei. La ragazza la cui identità è finora rimasta nascosta è… Be’, non c’è un solo aggettivo che userei per descriverla! Diciamo che andrei dritta a parlarle, se la beccassi in un bar. Ghigno. Forse non è detto che debba andarmene, dopotutto…
«Piacere di conoscerti! Sono Nieve. Vi lascio andare a cena, se l’energumeno qui mi fa passare» dico, rivolgendomi a lei. Solo dopo mi sporgo in avanti e aggiungo: «Me lo ricordavo diverso il tuo vicino comunque, Umanoide».

– Ma nel bosco di me c'è un rumore incessante, lo faccio da parte, tu sei la mia voce –

Code © HorusDON'T copy

 
Top
view post Posted on 8/1/2024, 21:27
Avatar


Group:
Dipendente Ministeriale
Posts:
12,018
Location:
Trantor - Settore Imperiale

Status:


– Preludio –
24 yrs – cursebreaker – March

È il mio peggior incubo, questo.
Mi batto sonoramente una mano sulla faccia quando assisto alla scena peggiore che mi potesse capitare questa sera.
Isabella spalanca gli occhi e punta il dito oltre la mia spalla. Ho capito cosa stava succedendo un attimo prima che accadesse: ho sentito il casino della sedia strascicata, ma essendo io uno stupido illuso avevo sperato fosse Nieve che si andava a nascondere da qualche parte. E, invece, eccola qua, spavalda come sempre a fare la sua solita entrata in scena rumorosa e plateale. Alla mia amica –o aguzzina– c’è voluto un attimo per inquadrare la scena; ha dovuto allungare il collo per capire la fonte della voce perché io sono un metro e novantadue, la nana è alta un metro e sessanta. Poi però la comprensione ha illuminato i suoi occhi ed è saltata sul posto come una ragazzina al concerto delle Sorelle Stravagarie.
« NOOoooOOOoo!!! » La voce di Isabella è un ululato di toni variabili che rimbomba in tutto l’androne e giù per le scale. Non mi stupirei se la tipa al piano di sotto si fosse attaccata con l’orecchio alla porta; e non voglio pensare ai due vecchi di sopra!
« NOOOOOOOOO!!! » Ripete lei ed il suo braccio oscilla puntando la faccia di Nieve, poi torna a guardare me, poi lei con un’espressione incredula. I bracciali dorati che indossa tintinnano e a me sembrano le campane del giorno del giudizio. Un ghigno larghissimo le compare poi sul viso e mi tira una pacca così forte che riemergo dalle mie mani con un gemito.


Isabella Cunningham
« NON CI POSSO CREDERE BRO, BRAVO! » Poi, la deficiente, tira su i pollici inanellati in direzione del muso di Nieve che spunta dalla porta.
Sto facendo un sogno orribile, non è così? Deve essere così perché altrimenti dovrei lanciarmi da una finestra e sono sicuro che sopravviverei più a quello che a questa situazione di merda.
« Ma bravo di che, cretina, entra dentro prima che mi buttino fuori dal palazzo. » Impreco massaggiandomi la spalla offesa; con l’altra mano l’acchiappo per il colletto della maglietta e la lancio dentro casa, aprendo la porta con un calcio. È un bene che Nieve abbia posizionato la sedia dietro, perché l’avrei fatta cadere di sicuro.
Isabella si catapulta dentro, o dovrei dire che io ce la catapulto dentro, e mi sbatto velocemente la porta alle spalle. Poi vado da Nieve e la tiro giù senza troppe cerimonie, afferrandole la manica.
« Vieni giù tu, maledetto gattaccio »
Ed è qui che mi pento amaramente di ciò che ho appena detto. Mi porto repentinamente la mano alla bocca, poi guardo verso Isabella che mi fissa con gli occhi spalancati, la comprensione è un lampo sul suo viso.
Scuoto impercettibilmente la testa: ti prego, ti prego non dirlo. Non dire che quando parlavo della “gatta randagia” che avevo trovato, mi riferivo a lei.
Isabella apre la bocca, io sono pronto a scartare e a scappare. La guardo avvicinarsi al rallentatore a Nieve che la supera di diversi centimetri. Fa strano: Isabella così massiccia, nonostante mantenga la sua femminilità, e Nieve, sottile come una Veela, un giunco al vento. I loro colori, bianco su nero, sono un contrasto che mi contrae lo stomaco. Vederle insieme mi fa uno strano effetto e, in realtà, mi scopro di esserne parecchio infastidito. È come se i due mondi collimassero tra loro e si schiantassero sonoramente, nell’ennesimo impatto imprevisto. Non ho mai voluto che si incontrassero perché Nieve è una parentesi isolata che non avrebbe dovuto subentrare nella mia quotidianità.
« Non ci credo, wow, sei la prima che si porta a casa mi sa, complimenti, complimenti! »
Sbotta in una rumorosa risata mentre le prende la mano per stringergliela. Io osservo la scena con una smorfia di fastidio. Sbuffo di sollievo: se non altro non se n’è uscita con qualche frase molto, molto più controversa che mi avrebbe messo decisamente nei guai. Ho già concesso al Gattaccio la splendida visione di me che scivolo e mi metto la maglia al contrario. Anzi, a proposito.
« Smettila di fare ‘ste scenate, Isa. » Borbotto con la voce attutita dalla maglietta che mi sfilo.
Lei mi scocca un’occhiata veloce col sorrisetto che le storce ancora la bocca e poi, senza lasciare le mani di Nieve, agita il capo con gaiezza.
« Ciao Nieve, io sono Isabella! Sono un’amica di Hor » I suoi occhi luccicano come pietre e io davvero non capisco il motivo di tutto questo entusiasmo. Non è la prima volta che mi vede in compagnia di una donna. Ok è a casa mia, e allora?
« Sì, molto bene, avete fatte le presentazioni, perché non ti levi e dal cinese ci andiamo domani? » Incalzo, spazientito.
« Ma sei matto? Posso restare? » Spavaldissima, Isabella fa l’occhiolino a Nieve ed io, di tutta risposta, arrotolo la maglietta e gliela schiaffo sul collo. Lei sobbalza e grida, poi si gira per tirarmi un altro pugno che io evito al volo balzando agilmente all’indietro. Vedi che sono servite le lezioni di boxe con quel Babbano? Il mio medio si alza in un’eloquente segno di vittoria, ma la mia mente fa una malvoluta associazione con quando Nieve tentò di colpirmi con il mio casco. Il labbro si arriccia mentre scaccio il ricordo via dalla mia testa. Noto, però, che il suo viso si oscura per un attimo quando torna su Nieve. Le lascia le mani, poi rimane in silenzio ed io aggrotto le sopracciglia perché questo non promette nulla di buono.
Poi, assottigliando gli occhi e allungandosi verso di lei prorompe con:
« Ma tu… sei maggiorenne? »
« ISABELLA MA CHE CAZZO! »

– You only see what your eyes want to see, you're frozen when your heart's not open –

Code © HorusDON'T copy



Edited by Horus Sekhmeth - 10/2/2024, 19:04
 
Top
view post Posted on 10/1/2024, 13:56
Avatar

entropia.

Group:
Grifondoro
Posts:
3,688

Status:


– Erumpent –
18 yrs – Chaos – Humanoid's Apartment

Amo essere me in questo momento. Mentre tu perisci sotto i colpi (metaforici e non) della tua amica, io devo limitarmi a godere dello spettacolo dal privilegio dalla prima fila. L’ho vista solo un’altra volta, colei che scoprirò a breve chiamarsi Isabella, ma sento scattare qualcosa tra noi nella feritoia che ha consentito ai nostri sguardi di incrociarsi oltre la tua spalla lesa; e non è la serratura, per fortuna. So già che mi piacerà molto, molto, molto più di te. Del resto, se è in grado di tenerti così sugli spilli e di assestarti pugni del genere — provo un doppio sollievo, ora che l’ho vista, nel sapere che non arriveremo alle mani —, non potrebbe essere altrimenti.
Un intermezzo perfetto, questo, e non pensavo l’avrei mai detto di una brusca interruzione, posto che c’è un solo motivo per cui mi arrischio fino al tuo appartamento la sera — o, atipicamente in questo caso, il pomeriggio. Devi essere parecchio agitato se la tiri dentro l’appartamento con così poco riguardo e mi batto il cinque mentalmente per la sveltezza d’ingegno che mi ha risparmiato una brutta caduta; ma forse anche un bel tête-à-tête con la tua amica.
Non ti conoscessi, Umanoide. Non ti conoscessi…
Scendo con un saltello, concedendoti di tirarmi per la manica e ridendo del tono con cui mi apostrofi. “Vualà” aggiungo in accompagnamento al mio atterraggio, giusto per dare alla scena quel non so che di mascalzone di cui proprio non si può fare a meno. Permaloso come sei, i dispetti fai fatica a digerirli già di consueto. In un momento come questo sono peperoncino sugli occhi. Eppure confido che le cose si evolveranno abbastanza in fretta da non rendere i miei calcolati interventi che piccole pennellate d’autore. Queste, almeno. Sul futuro non so fare promesse.
Mi si avvicina, lei, e confermo la mia prima impressione. È bella con quei suoi occhi limpidi, le labbra carnose, la pelle scura, le treccine lunghe e fitte attorno al viso. Sento il suo profumo, la femminilità che emana da lei, il vigore del suo corpo allenato.
Cazzo, Umanoide, se tutti i tuoi amici sono così, le cose si fanno davvero interessanti!
Lascio che prenda la mia mano e afferro la sua con l’altra, lo sguardo intenso. Di solito, in un locale, una Nieve Rigos che guardi così qualcuno significa guai — un bel tipo di guai. In casa Sekhmeth, però, mi vengono offerte informazioni che portano quegli stessi occhi a soffermarsi sui lineamenti della sola altra persona presente nell’ingresso. Alzo le sopracciglia, eloquente.
Ah, è così? Sono la prima che porti a casa tua?
Ma mi sto solo divertendo. In realtà, le cose non stanno proprio come crede la tua amica. Sono stata io ad intrufolarmi in questo appartamento, scassinando la serratura, e sempre io a tornare una seconda volta per usarti come valvola di sfogo per i miei demoni, prima, e i miei appetiti poi. Non che tu ti si sia mai sottratto, eh, ma la leggerezza dei nostri incontri è una costante sulla quale non nutro alcun dubbio. Non ci sono significati nascosti dietro il sesso schietto cui ci abbandoniamo. Questo, però, Isabella non lo sa e non penso di volerglielo confessare tanto presto.
«Sul serio? Mi ha detto che lo fa spesso e che, di solito, le presenta anche agli amici» rispondo, battendo le palpebre con simulata sorpresa, come se fossi di fronte a una novità che mette sottosopra l’intera impalcatura delle mie convinzioni. Sto approfittando della situazione e, Dio, se mi piace! Allaccio una ciocca di capelli dietro l’orecchio e modulo un lieve imbarazzo. «Questa… Questa è una novità!»
Intervieni un’altra volta, Umanoide, e non so se tu ti renda conto di quello che stai facendo, ma commetti un errore madornale. Non dovrei ridere probabilmente. Ciononostante, mi è impossibile resistere quando ti osservo disfarti della maglia, tirarla alla ragazza e mettere il mostra i souvenir che ti ho lasciato addosso. È una mappa fitta fitta di marchi che svettano sulla pelle dorata senza lasciare spazio ai dubbi, ricoprendo tanti più centimetri di pelle quanto più gli occhi si spostano da un lato all’altro del tuo corpo. Non ho risparmiato nulla: le spalle, i fianchi, il petto, il ventre, perfino le braccia. Il riso basso che mi coglie è nulla in confronto al brillio degli occhi che illumina la stanza.
«Piacere di conoscerti, Isabella, davvero». In tutti i sensi, vorrei specificare, ma civettare con una tua cara amica — peraltro in tua presenza — mi sembra troppo per un’unica sera. «Penso anch’io che dovresti restare» faccio in fretta a concordare con lei, passandole confidenzialmente un braccio attorno alle spalle, quando tu tenti di cavarti fuori dalla situazione con fin troppa fretta. Cos’è tutta questa premura? Non vuoi divertirti un po’ anche tu e scoprire quanto andiamo d’accordo, io e la tua amica? Ghigno. «Sei già stato così cafone da dimenticarti della serata. Non vorrai anche rimandare!»
Torno a battere le palpebre velocemente con fare innocente, a tratti ovvio. Non è da buoni amici, né da bravi padroni di casa trattare così un’ospite. Non posso mica insegnarti tutto e tu non puoi sempre nasconderti dietro la corazza per giustificare i tuoi modi rudi. Sono qui soltanto per le tue capacità di amante, ma è chiaro che qualche tirata d’orecchi male non possa farti. Se nel dartela mi spetta anche l’onore di godermela, chi sono io per rifiutare.
Sciolgo Isabella dalla presa — un nome italiano, rifletto, che le calza a pennello — appena in tempo per lo studio cui mi sottopone. Non capisco da subito la ragione dell’ispezione. Mi limito a mantenere lo sguardo fermo e l’espressione curiosa; e a ridere, quando la domanda viene finalmente alla luce.
«Sì. È che lui li porta male» le faccio presente.
L’eco della tua precedente imprecazione è solo la ciliegina su una torta ben guarnita, di quelle che piacerebbero tanto a Oliver Brior.

– Ma nel bosco di me c'è un rumore incessante, lo faccio da parte, tu sei la mia voce–

Code © HorusDON'T copy

 
Top
view post Posted on 12/1/2024, 14:05
Avatar


Group:
Dipendente Ministeriale
Posts:
12,018
Location:
Trantor - Settore Imperiale

Status:


– Preludio –
24 yrs – cursebreaker – Home

Incrocio le braccia al petto con ancora la maglietta stretta nella mano. Non si vede dalla mia posizione –e per fortuna– ma sto stringendo la stoffa in modo convulso. Questo incontrarsi di mondi mi allarma in un modo che non credevo possibile: come fa, Nieve, a non accorgersene? La situazione la delizia a tal punto? Alzo un sopracciglio, mascherando in realtà quanto io sia indispettito.
« Non mi pare ti dispiaccia. » Ribatto con voce di miele alla sua accusa.
Isabella, del resto, è in paradiso. Le voglio bene, veramente tanto, ma non sopporto quando fa comunella con qualcuno per prendermi per il culo. A maggior ragione se quel qualcuno è Nieve Rigos.
« Oh, meno male, ragazzo mio! » Chioccia, lasciando andare la mano di Nieve e pulendosi la fronte da un finto sudore con drammaticità. « Avrei dovuto denunciarti, altrimenti, all’Antimago. »
Ora mi acciglio davvero e piuttosto vistosamente. In realtà questo discorso è uno di quelli che mi sono fatto da quando il Gattaccio ha cominciato a frequentare casa mia più spesso di quanto nessuno dei due si sarebbe mai auspicato.
Il fatto che vada ancora a scuola… lo so che è maggiorenne già da un po’ e che non ci passiamo chissà quanti anni –oddio, ma davvero me li porto male?–, ma il solo pensiero di immaginarmela con la divisa mentre va a lezione di Storia della Magia mi fa storcere la bocca e passare qualsiasi appetito. Cerco sempre di non pensarci, a dirla tutta, ma non sempre riesco a farlo, soprattutto quando non erano ancora iniziate le vacanze estive. Chiaro che il commento di Isabella ha toccato un nervo scoperto e se ne deve essere accorta dal tentennare del suo sorriso. Mi volto e do loro le spalle; non mi sono ancora reso conto di aver appena offerto il fianco al nemico.


Isabella Cunningham
« Oh Gesù! » Esclama e io mi volto sorpreso aspettandomi l’apocalisse e l’ennesima battuta non richiesta. Che, in effetti, per me rappresenta proprio l’apocalisse.
Come al rallentatore vedo Isa fissarmi dal basso verso l’alto; lì per lì, coglione che non sono altro, penso che mi voglia dire qualcosa sul risultato dell’ultima scheda d’allenamento che mi ha dato e che ho finito giustappunto stamani. Poi, però, con orrore e seguendo il percorso fatto dal suo sguardo, mi ricordo improvvisamente di tutti i segni rossi e violacei che quella cannibale di Nieve mi ha lasciato.
Guardo prima Isabella, poi la Rigos e, in fretta, mi rimetto la maglia (nel verso giusto stavolta). Isa scoppia a ridere e la sua risata argentina riempie tutto l’appartamento. Io, di mio, sospiro e alzo gli occhi al cielo. Ecco qua. Ecco perché quell’altra sghignazzava tanto, quando me la sono tolta.
« Non fare finta di stupirtene. » Ribatto caustico.
« Quindi sei tu che lo fai arrivare a lavoro stanco morto e con la camicia abbottonata fino al mento! E brava ragazza! » Ghigna, lanciandosi sul divano e appoggiando le gambe sul tavolino con nonchalance. « Ao bro, ce l’hai ‘na piuma? Se unisco tutti i punti ce viè fuori un disegnino? » Si sganascia. Sono troppo smaliziato per imbarazzarmi, ma sono abbastanza consapevole di essere una delle creature più permalose sulla faccia della terra. Di solito dissimulo piuttosto bene, ma questa sera no.
Uno: mi ha interrotto un momento di cui –sincero– avevo decisamente bisogno.
Due: sono stato colto alla sprovvista.
Tre: queste qui insieme emanano un’aura talmente potente che non sono pronto a tutto questo.
Mi avvicino a passo pesante e tiro una manata alle gambe stese della mia amica, buttandogliele giù dal piano del tavolino.
« Leva ‘ste gambe lerce. » Ordino acido mentre lei si sbilancia per la sorpresa e mi guarda con tanto d’occhi. Che attrice, come se non se l’aspettasse. Poi scocco un’occhiata a Nieve che se la sta spassando come fosse al luna park. Oooh, guardala, come gode. Col cazzo che le apro la prossima volta.
« Ho un’idea. Perché non ve ne andate voi due – a fanculo – da qualche parte e mi lasciate in pace? » Mi dirigo alla porta, pronto a sbatterle fuori. D’accordo, sì, ho cinque anni ma, a mia discolpa, dico che sono già abbastanza nervoso di mio.
Isabella si rimette su a fatica e si sistema le treccine dietro le massicce spalle, poi guarda Nieve con un gran sorriso e la indica con una mano.
« Ma la tua graziosa amica qui ha rinnovato l’invito a cena tutti insieme! Non è così, Nieve carisssssima? » Ride, inconsapevole.
Brutta stronza! Lo sapevi che vengo da una settimana di merda, per questo mi hai chiesto di cenare insieme. Non faccio in tempo a lanciarle uno sguardo di fuoco, augurandomi che capisca, che se ne esce con: « Allora, che si mangia? »
Inevitabilmente mi irrigidisco e serro la mascella. I miei occhi –da Umanoide, come le chiamerebbe il Gattaccio– si posano fugacemente su di lei.
La Rigos non mangia. Non mangia mai qui.
Lo so dal sandwich che le ho lasciato un giorno, dopo che il suo stomaco mi ha svegliato in piena notte, e che mi sono ritrovato nel frigo, intonso.

– You only see what your eyes want to see, you're frozen when your heart's not open –

Code © Horus



Edited by Horus Sekhmeth - 10/2/2024, 19:04
 
Top
view post Posted on 13/1/2024, 19:09
Avatar

entropia.

Group:
Grifondoro
Posts:
3,688

Status:


– Erumpent –
18 yrs – Chaos – Humanoid's Apartment

«Sissignora! Sono proprio io!»
Non ho un briciolo di pudore nel confermare le supposizioni di Isabella e, anzi, gongolo nell’immaginare Sekhmeth tutto impettito a lavoro per mascherare i segni del mio passaggio. Mi chiedo come faccia a nascondere quelli sul collo, se con un incantesimo o — insospettabilmente — con il make-up.
La battuta di Isa mi strappa una risata. Ho evitato Astronomia come la peste, ma l’idea di tracciare delle costellazioni sul corpo dell’Umanoide mi stuzzica. Prendo mentalmente un appunto. Non mancherà occasione di provare, anche se sono sicura che questo episodio avrà come conseguenza un muso lungo per almeno una settimana. Pochi mesi sono bastati per farmi notare come si irrigidisca ogni volta che il suo orgoglio viene stuzzicato più del suo limite di sopportazione — un limite decisamente basso. Eppure, rimango sorpresa quando lo osservo colpire in malo modo le gambe dell’amica, mettendone a repentaglio l’equilibrio.
Datti una calmata, Erumpent, sono sul punto di dire. Mi trattengo solo perché guardarlo marciare verso la porta con l’intenzione di scacciarci è già abbastanza soddisfacente. Mi rendo conto che il problema derivi dal fatto di essere in inferiorità e con due che non gli stanno risparmiando nemmeno un’oncia di presa in giro. Non l’ho mai visto così seccato da quando le cose si sono appianate — sempre che questo sia il termine giusto — tra di noi. Poi, che mi spetti il primato per le mie abilità nel farlo uscire dai gangheri, ho come la sensazione che non ci siano dubbi.
È normale che, nel flusso di tutto questo divertimento, giunga il momento del contraccolpo. La domanda di Isabella — “Allora, che si mangia?” — ha tutta una serie di implicazioni, per me, che non rendono semplice la mia posizione nel prossimo futuro. D’istinto, i muscoli del diaframma si contraggono e irrigidisco le spalle. Poi, il mio sguardo saetta in direzione dell’Umanoide. Intuisco che ha capito, in generale e non solo in riferimento a questa situazione, e la cosa non mi piace. Implica che ho esposto il fianco al punto da permettergli di cogliere una mia debolezza. Non importa che l’abbia fatto inconsapevolmente. Sono comunque caduta in fallo.
È sciocco che mi stupisca, in realtà. Ritorno all’episodio del sandwich e lo stomaco compie un balzo in direzione del petto. Realizzo una volta di più l’attenzione e la cura serbate in quel gesto; e mi dico che è sbagliato. Sbagliato che qui dentro accada qualsiasi cosa esuli dalle capriole nel letto. Forse, ne comprendo solo adesso il peso effettivo.
Interrompo il contatto tra i miei occhi e i suoi, e la mia mente corre alla ricerca di una soluzione. La fuga sembrerebbe la più plausibile, ma svicolare dopo aver fatto tanto la gradassa significherebbe confermare le supposizioni dell’Umanoide; e battere in ritirata con la coda tra le gambe. Se di orgoglio ho additato lui, devo ammettere che non sono da meno.
Avanzo in direzione del divano e mi lascio andare accanto a Isabella. «Tu di cosa hai voglia?» le chiedo, rivolgendole un sorriso sornione e ignorando Sekhmeth, ivi compresa la sua intimazione a toglierci dai piedi.
Di tecniche per sopravvivere a questo genere di situazioni ne ho già sviluppate. A Hogwarts, del resto, non avrei potuto fare altrimenti a meno di incaricare qualcuno (Thalia?) di raccattare qualcosa e portarmela per mangiare in un angolo remoto della scuola. Ci ho pensato onestamente, ma ho presto preso atto dell’inefficacia della soluzione — troppe complicazioni che avrebbero finito per attirare l’attenzione più della mia difficoltà, una volta affrontata in pubblico. Mi limiterò ad applicare lo stesso stratagemma: fingere di sbocconcellare qualcosa, nascondendomi dietro a un bicchiere pieno e a una conversazione stimolante.
Sei troppo ottimista, canzona una voce nella mia testa.
Non lo ammetto, ma ho la stessa sensazione.

– Ma nel bosco di me c'è un rumore incessante, lo faccio da parte, tu sei la mia voce–

Code © HorusDON'T copy

 
Top
view post Posted on 15/1/2024, 21:32
Avatar


Group:
Dipendente Ministeriale
Posts:
12,018
Location:
Trantor - Settore Imperiale

Status:


– Preludio –
24 yrs – cursebreaker – March

Rimango con lo sguardo puntato su Nieve per tutto il tempo della sua recita.
In realtà mi chiedo se io non abbia sbagliato e se la mia intuizione non sia falsa, edulcorata da tutte le strane manie che il Gattaccio si trascina dietro.
Il dormire ostinatamente in un angolo minuscolo del materasso, ad esempio, o il balzare di scatto giù dal letto ad un movimento improvviso –fosse anche un mio spasmo nel sonno– o lo svegliarsi in piena notte per andare a rintanarsi chissà dove e ricomparire, magicamente, qualche ora dopo. Che poi… se sparisce, perché ritorna? Le faccio così paura? Se così fosse, perché rientra furtiva sotto le mie lenzuola?
Non sono affari miei mi sono detto, ma dall’episodio del brontolio…
Che coglione.
Mi acciglio scuotendo la testa; perché non mangiarlo, quel sandwich? Temeva fosse avvelenato? Sbuffo impercettibilmente mentre attraverso la stanza e mi vado ad appoggiare al tavolo: tanto di farle smammare da qui a quanto pare non se ne parla.
Le vedo far salotto come se fossero amiche da secoli: è incredibile come Isabella riesca a parlare anche con i sassi (una dote, questa, che sorprendentemente ci torna utile anche sul campo), ma non mi stupisce che anche Nieve sia tranquilla e alla mano e in questo non differisce affatto da quella che conoscevo prima. Con me adesso non è così, è ovvio e non la biasimo. O forse sì, un poco. Sono stato duro con lei, ma mi ha portato al limite così tante, troppe volte, che se non sorvolo sull’argomento anche solo col pensiero, mi prendono i cinque minuti perché lei è capace di negare e dipingerti come lo stronzo mostro che non sei. Negherebbe fino alla morte di aver sbagliato lei, di averti spinto oltre il tuo limite. Ha un futuro come Avvomago, penso sarcastico.


Isabella Cunningham
« Maaaa, visto che Hor mi ha messo voglia, io direi cinese! Ti piace il cinese? » Isa intanto chiacchiera, si volta con un gran sorriso verso il Gattaccio che manca poco le si metta a far le fusa. Seguo il teatrino a braccia incrociate.
D’improvviso batte sonoramente le mani e i suoi occhi si allargano, luminosi al calar della sera. È così buffa ed espressiva che devo fare appello a tutto il mio autocontrollo per non ridere e mantenere il mio cipiglio. So che Nieve sta godendo come un riccio, ma tutto questo è veramente troppo per me e se mi viene da sciogliermi, mi ricordo nell’immediato quanto tutto questo mi indispettisca. Non so bene se per gli attacchi ai miei danni o per la situazione in sé.
« Oh! Andiamo da Himiko’s? Ho saputo che hanno rinnovato il locale e c’ho una fame da Crup! » Isa si mette a gesticolare vistosamente, decantando la bellezza del nuovo ristorante asiatico. Ci siamo stati diverse volte e ne siamo rimasti sempre piuttosto soddisfatti (Ned si rimpinza sempre così tanto che ogni volta ci tocca ricordargli che il suo stomaco ha un limite per i nigiri e compagnia bella).
Io torno a guardare Nieve con intensità. Mi chiedo ancora se stia bluffando o se non sia io ad aver preso un fiammagranchio. Il mio istinto dice di no.
« Sì, va bene. » Capitolo infine, alzando gli occhi al cielo.
« Vorrei ben vedè che non ti andasse bene! Me stavi pe’ paccà. » Isabella mi punta il dito contro con tono accusatorio. Poi, come se niente fosse, ammicca verso Nieve.
« Anche se, beh, anche io paccherei lui se tu venissi a farmi visita. »
Sbotto a ridere all’improvviso tanto che Isabella si gira un po’ perplessa. Poi ride anche lei. Onestamente non so nemmeno io perché lo faccio, ma sciolgo la presa dalle braccia e appoggio i palmi sul piano del tavolo, arrendendomi definitivamente. In fondo ha ragione, le ho chiesto io di vederci ed in effetti... sì la stavo per paccare. Involontariamente, però!
« Bene, deciso! » Si sfrega le mani e balza giù dal divano, raggiante. « Si va da Himiko’s tutti e tre! » Vorrei ribattere qualcosa, ma non ce la faccio quindi annuisco. Con lo sguardo non torno più su Nieve perché sono confuso e non so bene cosa pensare. Probabilmente mi ha sempre preso per il culo. O forse, teme davvero che io l’avveleni.
« Bon me ne vado in bagno, te vestiti. » Trotterella verso le scale ma quando sta per posare il piede sul primo gradino, il mio corpo scatta in automatico in avanti.
« LE SCARPE! » Grido severo.
Poi, rendendomi conto dell’errore, rimango immobile e la fisso. Lei, come se niente fosse e totalmente ignara di cosa ho appena fatto, si toglie le Vans e me le tira addosso; le evito per un pelo e la mando a fanculo con la grazia e l’eleganza del mio dito medio.
« Ops! » Ignara, Isabella ridacchia sadica, prima di zampettare in calzini a nuvole blu sopra il soppalco. I miei amici e la mia famiglia sanno della mia ossessione per la pulizia sebbene quasi nessuno, ad eccezione di mia madre e, chiaramente, Isabella sanno il perché. Quella che bonariamente lascio passare come una fissa un po’ stramba, è per me fonte di controllo che mi permette di tenere a bada dei trigger pericolosi. Uno dei quali, tra l’altro, è stato generato da Nieve proprio in quel maledetto giorno in autostrada. Eppure, proprio per questo motivo, ho sempre cercato –nel mio limite– di non farle vedere fino a che livelli posso arrivare. Uno di questi è togliersi rigorosamente le scarpe quando si entra in casa mia. Se posso arrivare a permetterlo quantomeno qui sotto, su, dove dormo, è inconcepibile. Il problema finora non si è mai posto con Nieve perché è la prima cosa che si toglie quando arriva. Adesso, però, eccoci al pubblico ludibrio e per l’ennesima volta mi sono fregato da solo.
Quando sento la porta del bagno chiudersi, ignorando le scarpe scomposte, mi giro verso il Gattaccio.
« Si può sapere cosa stai facendo? » Le chiedo dopo un momento di silenzio, serio.

– You only see what your eyes want to see, you're frozen when your heart's not open –

Code © Horus



Edited by Horus Sekhmeth - 10/2/2024, 19:05
 
Top
view post Posted on 17/1/2024, 15:18
Avatar

entropia.

Group:
Grifondoro
Posts:
3,688

Status:


– Erumpent –
18 yrs – Chaos – Humanoid's Apartment

Mi lascio andare più di quanto non abbia fatto finora e il suono della mia risata si mescola a quella dell’Umanoide. Maschero così, dietro il divertimento, il velo di imbarazzo che la battuta di Isabella ha disteso su di me. Di tutti i difetti di cui posso farmi vanto, l’eccessiva pienezza di me ha trovato un terreno infecondo. Non ho mai pensato di paragonarmi alle ragazze popolari della scuola, quelle per le quali studenti e studentesse farebbero carte false pur di ottenerne l’attenzione. E, invero, nessuno ha mai patito una pena d’amore per me, il dispiacere di un sentimento non corrisposto. Semplicemente, non sono quel tipo di persona e non posseggo quella peculiare avvenenza.
Mentirei, però, se fingessi eccessiva modestia. So di non cadere nell’indifferenza. Mi rendo conto degli sguardi che attiro come fa il muschio di Erumpent maschio con la femmina in calore. Colgo i segnali di un possibile interesse e, di quando in quando, li sfrutto per il mio piacere. Ciononostante, credo di non sbagliarmi nel dire che la bellezza non c’entri nulla. È nell’atteggiamento — e negli insegnamenti di Roth — che sta il mio successo, se così vogliamo chiamarlo. Perfino con l’Umanoide, è tutta una questione di chimica che prescinde l’apprezzamento esteriore.
Il commento di Isabella, perciò, mi costringe a scuotere il capo e a rivolgere lo sguardo altrove, verso il paesaggio dipinto sui vetri delle grandi finestre dell’appartamento. La tendenza alla fuga, realizzo, è diventata un tratto peculiare della mia personalità da quando ho perduto me stessa. Inafferrabile non per il desiderio di suscitare malia, ma per il timore di essere presa.
È un bene che la nuova arrivata — in realtà, sarei io quella fuori posto — passi presto alla questione successiva. Non ha intenzione di andare a casa a pancia vuota ed è così insistente che perfino l’Umanoide è costretto a capitombolare, sconfitto. È una bella visione, una soddisfazione che mi induce a cercarlo con lo sguardo e a ghignare. Non si vede spesso un Sekhmeth alle strette, non fuori dal letto almeno.
Isabella abbandona il posto accanto a me sul divano e, quasi saltellando, si dirige verso il soppalco. Istintivamente i miei occhi la seguono, ma tornano presto al punto di partenza nel momento in cui un grido falcia l’aria e irrompe nell’atmosfera distesa di casa Sekhmeth. Non mi sono accorta di aver portato istintivamente una mano al petto, né di essermi alzata di scatto. Non c’è risata che possa spegnere uno stato di allarme della portata del mio, non quando mi trovo nella tana del leone.
È per questo che passa in secondo piano la realizzazione di quale finestra sia stata aperta a dilettarmi — l’ossessione dell’Umanoide per la pulizia e i livelli di mania che, a quanto pare, riesce a sfiorare. Per un attimo, mi dico, ho dimenticato dove mi trovassi e con chi; e, se è vero che stuzzicarlo per spingerlo al limite ha un fascino irresistibile, non cancella il ricordo nitido di chi è stato e di chi sa essere. Ritrovo nella sua posa e nei suoi modi — o, forse, è il filtro della sfiducia a muovere le mie percezioni — il preludio di ciò che è diventato quel giorno al limitare della strada babbana. Dunque, metto insieme i pezzi e avverto il pericolo: le avvisaglie, che finora ho ignorato a beneficio del divertimento, penetrano adesso il confine del conscio.
“Si può sapere cosa stai facendo?”
Più di prima, riscontro nelle sue parole l’urgenza di mandarmi via… com’è già accaduto tante volte, non è vero, Nieve? Qui, certo, ma soprattutto a Borgarbyggð. Allora mi dico che non è cambiato nulla nella mia vita. Ora come allora, sono il mossro con cui nessuno vuole giocare.
Deglutisco il fiele della consapevolezza. Drizzo le spalle. Le braccia pendono ai lati del corpo. Ho inarcato le sopracciglia, impercettibilmente, e la mia espressione è tornata a vestirsi della sottile ostilità che gli uso fuori dai confini di quel letto cosparso di peccati.
«Niente» rispondo e arriccio un angolo della bocca verso l’alto. Ma il piglio sul mio viso è mutato; ha perso naturalezza. Da Nieve, sono diventata Rigos. «Tolgo il disturbo» aggiungo, atona, ma non è a lui che sto parlando, non davvero.
Non c’è traccia di delusione nel modo in cui gli parlo e la mia posa non suggerisce battaglia. È solo che lo spazio tra di noi si è fatto solido, quasi che a separarci non fosse l’inconsistenza dell’aria ma la durezza della pietra. Non so se fosse questo il risultato sperato, ma ancora una volta, nella lotta alla supremazia dell’altro, l’Umanoide ha pareggiato i conti con quell’efficace predisposizione tutta sua nel titillare i miei demoni.
Un talento anche il tuo, non c’è che dire, commento tra me e me con sarcasmo.
Lo sguardo saetta in direzione del soppalco alla ricerca di Isabella. Mi piacerebbe salutarla, ora che ho la certezza che non ci incontreremo mai più. Ma forse è meglio così. Il suo entusiasmo mi costringerebbe a dare spiegazioni che non possono venire al mondo, a pena di tornare indietro nel tempo e dare all’Umanoide quella fiducia che proprio non mi riesce di concedergli. Non si tratterebbe altro che di una conferma, in verità, ché quello ha già intuito tutto con i suoi occhi da rapace.
Quando mi muovo, sono di nuovo un’estranea in questo luogo, che ora è gelido alla mia pelle; chirurgico. E d’un tratto il mondo torna a invertire la sua rotta e si rinnega: non ho mai riso qui dentro, non ho conosciuto agio, non ho trovato conforto in un profumo che non fosse il mio sul pavimento di una cabina armadio.
Percorro il salotto con lo sguardo. È tutto così fastidiosamente sterile, amorfo.
«Salutami Isabella»» continuo ché di istanti ne sono già intercorsi dall’ultima volta che la mia voce ha danzato col pulviscolo, «e dille che mi dispiace, ma avevo un impegno».
Un istinto noto, frutto di un’abitudine oscura, gorgoglia nel pantano delle mie intenzioni. L’immagine del Black Skull, seguita da un bicchiere di Goblingrappa e dai contorni di un viso qualsiasi, di mani qualsiasi, di baci qualsiasi, determina la mia meta. Sono venuta qui per un motivo e, non avendo trovato soddisfazione, il minimo che possa fare è cercarla altrove.
Avanzo finalmente in direzione delle scarpe; le raccolgo; le indosso. Non lo guardo più adesso. Non ne sento il bisogno. A muovermi, piuttosto, è un’esigenza uguale e contraria.
Scruto i contorni della porta, sorrido, la raggiungo. La falce di luce che proviene dal pianerottolo traccia la linea di partenza di una corsa che non è iniziata oggi, ma due anni prima.
Chi fa l’elemosina va via quando non ha ricevuto il suo zellino.

– Ma nel bosco di me c'è un rumore incessante, lo faccio da parte, tu sei la mia voce –

Code © HorusDON'T copy

 
Top
view post Posted on 22/1/2024, 16:51
Avatar


Group:
Dipendente Ministeriale
Posts:
12,018
Location:
Trantor - Settore Imperiale

Status:


– Preludio –
24 yrs – cursebreaker – Home

Ti vedo. Qualcosa muta in te e non puoi negare che la delusione, in un qualche modo, si è affacciata nei tuoi occhi. Eppure non mi appresto a smentirla. Ti studio, come spesso mi ritrovo a fare, anche quando non te ne accorgi; lo faccio quando sei distratta, quando ti rivesti o, invece, quando ti svesti. Quando non mi rivolgi parola o quando invece te ne scappa una di troppo; o quando ti rimetti a letto dopo essere sgattaiolata nella mia cabina armadio e sobbalzi, perché non ti aspetti i miei occhi ad osservarti nel buio. È la mia natura, Gattaccio, non puoi farci nulla. Io osservo, analizzo, registro e poi elaboro: è questo che fa un androide.
A volte, quando ti sento chiamarmi “umanoide”, mi domando cosa avrebbe pensato quel ragazzino sull’Espresso per Hogwarts di tredici anni fa, se avesse saputo che qualcuno lo avrebbe chiamato così. Sarebbe stato entusiasta, ne sono certo; Asimov era uno dei suoi più grandi amici, all’epoca. In realtà, lo è anche ora. Solo che, adesso, non sono sicuro di andare così fiero di questa natura metallica.
Automaticamente i miei occhi si piantano sulla mensola piena di libri al di sopra il divano. Ritrovo la costola di “Sogni di Robot”. L’ho letto così tante volte che, per quanto io sia attento e abbia cura di tutte le mie cose, le pagine sono consumate e la copertina ha i bordi un po’ stropicciati. Potrei ripararlo con la Magia, ma non voglio. Ci sono cose che è bene che rimangano così. Vissute.
Il mio sguardo freddo torna su di te, ti segue mentre silenziosa ti rimetti le scarpe. Non era questo che ti aspettavi, me ne rendo conto. Io, invece, mi aspettavo questa reazione. L’avevo condita, forse, con un po’ troppo pepe: attendevo giusto una battutina acida su quanto io sia stronzo e arrivederci e grazie, alla prossima. Forse.
Ma ti ho vista.
Ti ho vista irrigidirti quando mi è scappato l’urlo in direzione di Isabella; ero convinto fosse la mia fine, il proseguo di una disfatta inesorabile che mi ha visto protagonista di quest’incontro inaspettato e fuori dalle righe, ma non è giunta la tua risata. È giunto lo spegnersi del tuo viso, finora appena arrossato dal riso e –credo– dalla battuta di Isabella.
Ecco, su questo avrei potuto dire qualcosa perché allora sì, che avrei avuto in mano una moneta con cui ripagarti. Tu però sei scattata in piedi, timorosa, come se ti aspettassi che da un momento all’altro io potessi sbranarti. Rimaniamo in silenzio, osservo distrattamente fuori dalla finestra i riflessi aranciati del tramonto, screziato dalle nubi, colorare la ringhiera del mio balcone. Non mi accorgo di star corrugando le sopracciglia; lo faccio solo quando capto il mio riflesso sul vetro. Non mi sono mosso dalla mia posizione eppure il mio viso è cambiato come se mi fossi spostato nel tempo. Sono turbato da questa tua reazione. Da questo tuo modo di dire “tolgo il disturbo”, da questo vuoto pesante che è calato fra di noi.
Vorrei dire che è tutto normale, che è quel che succede sempre. Non ci salutiamo mai con baci e abbracci, figuriamoci; o vai via prima tu, o vado via prima io. Non ci svegliamo mai insieme, è un’altra di quelle regole che ci siamo imposti.
Come il non farci coinvolgere.
E tutto questo cos’è, allora?
Stringo la presa sul bordo del tavolo, quando mi ritrovo a risponderti meccanico:
« Ok. » Sì, certo, te la saluto Isabella.
Isabella che non avrebbe mai dovuto conoscerti, che tu non avresti mai dovuto conoscere.
Perché io lo sapevo, maledizione, che le saresti piaciuta. Lo sapevo che ti avrebbe vista in un qualche strano modo in cui riesce solo lei a scorgere le persone.
Prima di tutti, lei ha visto me e di questo gliene sarò sempre grato.
Sospiro pesantemente, mandando indietro la testa e stringo gli occhi.
Me ne pentirò.
Faccio appena in tempo a pensarlo, quando il mio corpo si muove.
Mi distacco dal mio appiglio con una piccola spinta e raggiungo in pochi passi l’ingresso dove tu hai appena aperto la porta.
Poggio il palmo sul legno, spingo piano, ma deciso. Non voglio impedirti di scappare, se è quel che vuoi perciò non imprimo violenza in questo gesto. Mi limito ad accompagnare l’uscio fino a ridurre quella striscia di luce che viene da fuori.
« Non fare la stupida. »
La durezza del mio sguardo, mio malgrado, cede ad un cenno di morbidezza. Non posso cancellare ciò che sono, Gattaccio, così come tu non puoi cancellare la tua indole randagia.
Ti ho teso la mano tante volte e altrettante tu me l’hai graffiata. A volte sono stato rude e tu hai soffiato; altre volte sono stato gentile –biasimandomi– ma tu hai soffiato e hai graffiato ugualmente.
Non so perché io stia ancora qui, ora, davanti a te. O forse sì, ma non voglio ammetterlo.
« Isabella è la mia migliore amica. » Credo sia chiaro, ma i miei occhi scattano velocemente verso l’alto, in direzione della scala. Abbasso la voce.
« Lei è in grado di vedere… » Tentenno, corrugo la fronte per un secondo impercettibile. « …le persone. È un segugio e sa scovare il meglio di qualcuno. Con me l’ha fatto. » Accenno un sorriso che, però, muore subito quando le mie iridi scorrono il tuo volto pallido, i capelli di neve come il tuo cuore. Ma, soprattutto, svanisce dalle mie labbra quando mi rendo conto di ciò che ti ho appena confessato. Così mi affretto a correggere il tiro, a deviare l’argomento pur non cambiando il punto dove voglio andare a parare.
« È una cogliona. Ma è la persona più bella che io conosca. » Ed è vero. L’affetto che permea queste parole è del resto un rafforzativo piuttosto eloquente.
Piano piano la mia mano scivola via dalla porta. Faccio un passo indietro, ti lascio libera di scegliere. Non ti lascio libera dal mio sguardo, però.
« Tu le piaci, Gattaccio. » Purtroppo. E io mentirei se dicessi che proprio non me l’aspettavo. Mentirei anche nel dire che questa situazione mi sta bene. Odio che questi due mondi si siano scontrati tra loro e siano collimati in un impatto che non avevo previsto nel mio laborioso cervello positronico.
Ma è così, è accaduto.
« Rimani. » Il peso di questa parola mi cade nello stomaco come un sasso che sprofonda in un lago così profondo da non vederne la fine. Mando giù queste poche sillabe e, consapevole che i miei occhi possano tradirmi, mi affretto a distoglierli finalmente da te. Guardo di nuovo la finestra.
È proprio questo che le ho detto la mattina dopo la prima volta in cui è tornata da me. Le ho detto che poteva rimanere se ne aveva bisogno.
« Se vuoi. » Aggiungo, cercando di nascondere quel velo di imbarazzo che per un istante ha minacciato di uscirmi di bocca.
Non voglio che questi mondi continuino a scontrarsi, ma… ma io questa cazzo di mano piena di graffi continuo a tendertela.
Il fatto che tu piaccia ad Isabella, poi, è un maledettissimo problema.

– You only see what your eyes want to see, you're frozen when your heart's not open –

Code © Horus



Edited by Horus Sekhmeth - 10/2/2024, 19:05
 
Top
view post Posted on 26/1/2024, 14:25
Avatar

entropia.

Group:
Grifondoro
Posts:
3,688

Status:


– Erumpent –
18 yrs – Chaos – Humanoid's Apartment

Mi sorprendi, Umanoide. Mi confondi. Scuoti l’edificio delle mie credenze una volta di più e io mi fermo, incapace di andare via; incapace di resistere alla tentazione di decriptarti. Perché è così che ti presenti a me: un enigma complesso, cangiante, del quale fatico ad afferrare il meccanismo. Sfioro una parte di te, ho come l’impressione di comprenderla e il mondo intorno a noi diventa stabile, prevedibile. Le regole che ci siamo dati, tacite ma ferree almeno nelle intenzioni, descrivono i contorni del nostro rapporto. Tu, però, d’un tratto azzardi e mi lasci inerme; e quella stabilità apparente frana. Come di fronte a quel sandwich che non ho avuto il coraggio di mangiare, non per diffidenza ma per paura — paura di concedere, paura di accettare.
Mi volto per guardarti. La distanza che hai frapposto tra di noi è la stessa che, adesso, stai sfidando. Perché? Perché mi chiedi di andare via e poi mi trattieni? Perché ti smentisci e mi scompagini? I miei occhi te lo domandano, mentre il tuo braccio socchiude la porta che io ho aperto. L’hai già fatto. Questo momento l’abbiamo già vissuto, il giorno in cui ho posato le mie labbra sulle tue per zittirti, per non essere costretta a rispondere alle tue domande — “E tu cosa vuoi che faccia questo automa?”. La storia si ripete ora che il tuo palmo poggia sull’uscio e io ti guardo fermarmi, impedirmi di scappare ancora.
La differenza è che, stavolta, mi parli con una morbidezza nuova e i tuoi occhi freddi si scaldano, incatenando i miei. In un momento diverso, avrei pensato che fosse la pietà a muovere la tua richiesta e avrei accusato il colpo. Avrei pensato che ti fossi sentito costretto a raggiungermi: per non essere scortese, forse, o per non dare spiegazioni a Isabella. Ma il tuo accoramento ti tradisce. Il tono partecipe, lo sguardo di mercurio, le reazioni che non sai controllare — né spiegare probabilmente — temperano il gelo del metallo in cui ti sei trincerato, la corazza da automa che Isabella e il tuo confessato affetto sono in grado di smontare.
Sospiro, gli occhi nei tuoi. Indago e ignoro. Ignoro la cura che mostri nei miei confronti, le ragioni che si celano oltre la sua apparenza di semplice cortesia, la verità di cui dovrei prendere atto. Tu resti, imperterrito. Nonostante il mio fuggire e la mia testarda marcia a vessilli sguainati per sostenere la sfiducia, resti e mi sbugiardi. Lasci un cuscino e una coperta nella cabina armadio per non farmi dormire sul pavimento freddo; un post-it con su scritto “mangia”; l’impronta della tua presenza quando torno a letto, scossa.
Stai rendendo tutto difficile, Umanoide. Stiamo contravvenendo al patto.
«Isabella ha buongusto» stempero, un bagliore di impudenza sulle labbra.
Non mi accorgo di aver sottinteso, con questa risposta, che il suo giudizio sia corretto anche su di te. Per come stanno le cose, ci contraddiciamo a oltranza senza il controllo che testardamente ribadiamo di esercitare. Invece, le parole sfuggono e le intenzioni sospingono; e noi cadiamo nella rete che abbiamo schernito con protervia — non correvamo nessun il rischio, non è così?
«E mi piace» aggiungo.
Non ti ho mai concesso la stessa spontaneità, il calore di un’ammissione tanto semplice. Vorresti saperlo? Se mi piaci o meno, intendo. Se alla fine non sono così cieca da ignorare la gentilezza che smentisce le mie rimostranze, le scuse a cui mi aggrappo per starti lontana. E, se così fosse, come reagiresti nello scoprirlo?
Scruto il tuo viso, di nuovo seria. T’imbarazza stare qui, davanti a me; avermi chiesto di rimanere. E imbarazza me non poter negare il calore che sprigiona dal tuo gesto. Non sono abituata all’accettazione, all’eventualità di non essere vista per l’abominio che sono. Lo scoprirai solo in futuro quanto difficile sia stato il mio passato, perché non sono capace di accogliere la carezza che ti ostini a promettere. Il fatto è che non saprei sopportare un rifiuto mascherato da blandizie; il biasimo al quale dovrei espormi per essere stata sciocca e aver meritato lo schiaffo. Lo faresti? Attirarmi in inganno per vendicare l’orgoglio offeso dalla mia violenza, dall’odio che ti ho opposto.
Inspiro. Trattengo il fiato. Mi metti sempre in posizioni scomode, Umanoide — tu e il tuo maledetto istinto di accudirmi. Perché non voglio ammetterlo, ma so che lo fai; che non potrei chiamare diversamente il modo in cui mi studi, elabori, trai le tue conclusioni, infine agisci.
«Ho paura di mangiare in pubblico» confesso, espirando. L’ho accettata la carezza stavolta, che tu sia dannato! «Quindi, non so se ci riuscirò, se sarò una compagnia… facile». Resto, Umanoide. Solo per oggi, mi dico, prima che tutto ritorni come prima. «Potresti fare finta di niente?»
Non avrei mai pensato di rivelarlo, non a te almeno. So che l’hai già capito, che qualcosa deve avermi tradita. Forse ti hanno insospettito le mie pause fuggiasche, quelle che trascorro fuori casa tua prima di tornare a consumarti. Sono le stesse in cui trovo un chioschetto o un localino in zona per mettere qualcosa sotto i denti con la scusa di una sigaretta — “Sia mai che inquini l’aria del tuo appartamento”.
È Isabella a interromperci. Vedo la sua testa sbucare oltre la tua spalla e mi scappa un sorriso ancor prima che parli. «State amoreggiando?»
Dovresti voltarti a vedere l’espressione sul suo viso, Umanoide. È il bambino che ha trovato il nascondiglio dove i genitori tengono le cioccorane. Non smetterà mai di sfotterti per… tutto questo, qualunque cosa sia. E sarei anch’io in difficoltà, se il piacere di vederti di nuovo alle strette non m’ingolosisse tanto.
«Non riesce a starmi lontano» ti condanno.
Lasciami nascondere dietro una burla ai tuoi danni.
Ho appena esposto un fianco. Non fare l’ingordo.

– Ma nel bosco di me c'è un rumore incessante, lo faccio da parte, tu sei la mia voce –

Code © HorusDON'T copy

 
Top
view post Posted on 10/2/2024, 19:08
Avatar


Group:
Dipendente Ministeriale
Posts:
12,018
Location:
Trantor - Settore Imperiale

Status:


– Preludio –
24 yrs – cursebreaker – march

Non sono sicuro di volerti guardare adesso.
Infilo le mani nelle tasche dei pantaloni come se volessi nascondere i tuoi immaginari graffi che, per quanto io mi ostini a negarlo, a volte mi danno fastidio.
Non posso fare a meno di chiedermi, fissando duramente il balcone, se riuscirai a travisare anche questo tentativo di tenderti la mano.
Mi dico e mi ripeto che non l’ho fatto per te, che non mi interessa se ci sei rimasta male o meno, ma anche la mia testardaggine ha un limite e io per primo sono costretto a fare i conti con una natura che a volte esce fuori dalla corazza mio malgrado.
Mi sto dicendo che è per Isabella che l’ho fatto: è solo perché non voglio che ci rimanga male eppure, mi dico, so che alla fine se ne sarebbe fatta una ragione se mi fossi mostrato abbastanza convincente. “Aveva da fare” avrei potuto mentire oppure dirle la verità, tanto quando mai l’avrebbe rivista? Che obblighi ho verso di te, Gattaccio?
“Non fa parte del nostro patto uscire insieme.” Avrei anche potuto dirle e allora avrebbe capito che tu non sei altro che la mia ennesima distrazione, un nuovo modo per annichilire me stesso e dimenticare il malessere mentale sostituendolo con il benessere fisico.
Avrebbe scosso la testa, mi avrebbe tirato un pugno sul braccio e poi mi avrebbe dato una spinta fuori dalla porta di casa per farmi la ramanzina davanti ad un piatto di ravioli alla griglia che io, puntualmente, non avrei mangiato; non sono nel mood di sentirmi sgridare come un ragazzino. Oppure, valuto, avrebbe capito e mi avrebbe detto un migliaio di cazzate per farmi sorridere. Poi, domani, mi avrebbe fatto la ramanzina. Ecco, probabilmente sarebbe andata così.
«Isabella ha buon gusto.»
Mi volto di scatto perché colto di sorpresa dal tuo tono di voce compiaciuto e ti guardo perplesso e con la fronte aggrottata. Per un momento penso tu ti riferisca a me, poi mi correggo. Ovvio che fai riferimento a te stessa, lo noto dal ritorno del tuo sorriso irriverente.
Sbuffo, stringendomi nelle spalle. A te la tua recita, a me la mia.
Non capisco dove vuoi andare a parare perché in questo momento mi è difficile capire questo improvviso cambio di direzione, ma quel che noto in te è un’incomprensibile calma che rende quell’espressione sul tuo viso meno cupa.
La neve che ti ricopre il cuore è sempre lì ma, guardandoti, mi rendo conto che una goccia d’acqua è scesa nel sentiero intricato delle tue vene, lasciando una scia che deve averti colto di sorpresa. Quasi quanto me, comunque. Prosegui lungo questo cammino in cui se prima riesco a stupirmi da solo, ora sei tu a lasciarmi interdetto.
Confessi con una semplicità tale da lasciarmi per un momento completamente in silenzio, anche nella mia testa. Dovrei congratularmi con me stesso e con le mie capacità di deduzione che, per una buona volta con te, hanno finalmente imboccato la giusta via. Tuttavia non commento, annuisco con il capo con un’espressione più docile. Non so cosa sia mutato, cosa ti abbia spinto a confessarmi qualcosa che fino ad ora hai tenuto ostinatamente nascosta dietro la tua sbruffonaggine, ma accetto di buon grado la tua confessione e per una volta mi rendo conto che la mia mano non viene ferita dalle tue unghie affilate. L’imbarazzo che ho provato si dissipa: tornerà a tormentarmi non appena sarò solo, ma per adesso va bene così.
Allora accenno un sorriso, ironico.
« E quando mai sei una compagnia facile? » Ti rispondo per le rime, ma con l’unico tentativo di smorzare una tensione che percepisco lungo il mio corpo. Voglio anche alleggerire il peso di una confessione che so essere delicata, per quanto incomprensibile fino in fondo per un estraneo come me. Quest’apertura non porterà a nulla di buono, soprattutto perché mi sento sollevato dal fatto che mi hai voluto dire qualcosa di te e che… hai accettato il mio aiuto.
Posso fare finta di niente?
No. Certo che no. Non posso ignorare ciò che mi dici e non posso dimenticare un dettaglio tanto importante. Vorrei, per mia sciocca curiosità, capire perché ti senti così a disagio ma non indagherò. Ho capito che stilli questi dettagli una goccia alla volta, come una resina rara che scende giù lenta da una betulla. Solo che di solito me le sputi addosso tra una discussione e l’altra.
Mi balena il ricordo della storia della te bambina che elemosinava cibo e mi chiedo quanto ci sia di vero: me l’hai urlato quando è cominciato tutto e io a me capita di ripensarci, ogni tanto.
« La distrarrò. » Ti rispondo infine regalandoti un’altra penetrante occhiata, ma ammorbidita dalla tua richiesta quasi timida; ti aiuto, ti sto dicendo, ma non lo ribadirò perché so quanto odi la commiserazione. Per quanto lo neghi, mi incuriosisci Nieve Rigos. La tua storia, il tuo carattere, persino il tuo distorto modo di vedermi. È per questo che ti studio tanto.
.


Isabella Cunningham
« State amoreggiando? »
Sussulto vedendo la testa di Isabella sbucare oltre l’angolo. Sembra una tartaruga e mi scappa una risata divertita. Poi accuso la battuta di Nieve con un rumoroso sospiro.
Il sipario s’è alzato e ricominciamo il teatrino, ma stavolta va bene così.
« Ci hai già interrotto una volta, ora una seconda. Ci prendi gusto? » Replico con un ghigno, stando al gioco. Mentre mi allontano da Nieve e torno in salotto, Isabella sghignazza come un folletto e trotterella da Nieve, passandole un braccio oltre le spalle.
Mi chiedo come faccia il Gattaccio, così ritroso, ad apprezzare l’entusiasmo e il fare così rumorosamente estroverso di Isa. Tuttavia penso che, se piace a me che sono molto peggio di lei, non dovrei stupirmi. Isabella potrebbe conquistare anche l’eremita del Tibet che vive solo con le capre.
« Allora, si va? Muooooio di fame! »
« Lo hai detto tu. Non esco in tuta. Devo farmi una doccia. » Replico, incamminandomi verso gli scalini. Isabella sbuffa rumorosamente e rotea gli occhi.
« E allora buonanotte! »
Io rimango a metà e guardo sia lei che Nieve socchiudendo gli occhi.
Mi fa così strano, anche ora, vederle insieme: guardare questi miei due mondi che si schiantano definitivamente e quello che ha dato la spinta decisiva a questa collisione sono stato proprio io. Il giorno e la notte della mia attuale esistenza, penso prima di rimproverarmi per questa drammaticità.
« Voi andate, intanto. Io vengo in moto. » Concludo. Poi rifletto per un secondo e le punto un indice contro.
« Isabella. Non ti azzardare a ordinare da mangiare finché non arrivo. Sai quanto mi scoccia quando si inizia senza di me. » Questo è un assist che offro a Nieve: per prendermi per il culo e per farle capire che farò finta di niente e non dovrai mangiare da sola con lei.
Non te ne approfittare, Gattaccio.
« Ma certo, so che sei una primadonna! » Isa ride, inconsapevole che la precisazione che ho fatto non è per lei. Sorrido e sparisco oltre il soppalco.

« Vieni tesoro, andiamo a farci una passeggiata fino al ristorante. Quello è lento a prepararsi, ma corre come un matto su quella moto! »
Io, che la sento, scoppio a ridere prima di entrare in doccia.
Oh, vorrei risponderle, lo sa. Eccome se lo sa.

– You only see what your eyes want to see, you're frozen when your heart's not open –

Code © Horus



»»»




 
Top
11 replies since 9/5/2023, 21:56   378 views
  Share