TW: linguaggio esplicito, necrofilia
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| 24 yrs – cursebreaker – Londra » ??? |
▼ M4 - Motorway Non mi aspetto una reazione tanto pacata. Quando la sento scavalcare silenziosa il guardrail ho il volto in direzione della strada, opposto al suo sguardo. Sussulto quando allunga la mano sulla bocca ferita e mio malgrado devo girarmi. Non sono intenerito dalla concessione che mi ha fatto. Si rende conto di essere una rompi cazzo? Buon pro le faccia. Se continui a preservare, non sei nemmeno degna di un perdono. Ma è il dispiacere nel suo gesto fin troppo gentile a sorprendermi. Eppure… non ci riesco, non riesco ad ammorbidirmi. Ribadire di non essere una buona frequentazione lo trovo un commento patetico ed ebbro di vittimismo.
Lo so che sono troppo duro con lei: io stesso ho detto che tutti soffriamo e io ignoro cosa abbia passato.
« Non mi sembra che tu mi abbia inviato un Gufo… » Borbotto, sfuggo il suo sguardo. Questa bambinata mi sfugge dalle labbra come una parolaccia scappata ad un ragazzino davanti al suo genitore. Stringo la presa sul metallo del guardrail. « Le amicizie possono continuare e sopravvivere anche se silenti. » Ribadisco.
« Io non sono così, Nieve, io non ragiono come te. Lo so che quella Nieve e quell’Horus non ci sono più, che siamo cambiati…» Taccio un instante e il tempo trascorso e tutto ciò che ho affrontato e che mi ha cambiato mi caracolla addosso e le lascio il tempo di continuare. « Profondamente, ma… »
Arriva all’improvviso, silenzioso come i passi di un lupo in un bosco. Si insinua, come un brivido che corre lungo la spina dorsale, si cristallizza nelle vertebre.
È una mano fredda che risale la pelle, l’accarezza quasi, come quella di un amante, come la punta di una lama che è pronta a sfregiare, a tagliare ogni lembo di carne. Cola lungo la schiena, una goccia d’acqua che stilla da una fonte sconosciuta, ma brucia, arde, corrode. Non è acqua, è acido.
È l’odore che mi stringe al collo come un cappio, si sostituisce a quello dell’asfalto e dei gas di scarico, a quello del sangue.
L’odore della putrefazione.
Mi si appanna la vista e alzo gli occhi verso Nieve, ma non la vedo, non ci riesco più. Non vedo più lei, non vedo la moto, non vedo l’autostrada. All’interno di una tempesta, vedo lampi che mi attraversano come scosse elettriche. Flash di immagini, di odori, di voci. Non si rende conto, Nieve, di ciò che ha evocato, dell'immagine che, ingenua, ha presentato alla mia mente, all'argomento che mai, mai, mai avrei voluto affrontare, ad un ricordo che avevo dimenticato.
Schiudo le labbra, d’improvviso la gola è secca, strozzata da un grido che non ho emesso. Il sapore della nausea mi cinge lo stomaco che mi stringo convulsamente.
Nieve non ha idea di cosa ha scatenato involontariamente. Non ha idea di cosa ha risvegliato nella mia mente, un ricordo che per anni ho tenuto in fondo al cassetto delle memorie, così in fondo da averlo totalmente dimenticato. Era stata Emily a rinchiuderlo lì, ad aiutarmi a non toccare più la chiave, a seppellirla come un cane con l’osso. Erano stati i suoi baci, le sue carezze, il suo corpo caldo, il profumo dei frangipani, a guarirmi dalla paura. Torna, ti prego, torna, ne ho bisogno ancora.
Indietreggio, col volto deformato dalla paura, dal ribrezzo. Mi tocco la bocca, trascino il poco sangue rimasto con le dita che mi osservo con le mani tremanti. Alzo di nuovo la testa, le pupille sono dilatate da ciò che vedo di fronte a me.
Lui è lì. A cavalcioni tra la terra ed il fango, tra gli effluvi della Morte, in una bara scomposta dalla violazione.
Lui è lì, con quelle labbra che io ho baciato solamente la sera prima, con la lingua che io ho saggiato con la mia. Con le sue mani che hanno stretto le mie spalle ed il mio viso.
Lui è lì che si agita, che infila le sue braccia all’interno del corpo, tra le larve ed i vermi che risalgono sulle sue gambe, sul suo corpo. La vedo l’eccitazione che lo anima, vedo il pomo d’Adamo che va su e giù, mi sembra quasi di udire il suo respiro affannato, i suoi ansimi.
Indietreggio ancora e ancora e ancora. Incespico e cado, ma non sento più nulla.
Mi piego in avanti, premendo entrambe le mani sulla bocca, gridando.
I miei occhi si fanno liquidi, umidi e quando vedo un’ombra, davanti a me, grido ancora.
« NON MI TOCCARE. NON MI TOCCARE! »
Il viso di Eugene mi si para davanti, così delicato. I suoi riccioli rossi, il suo naso sottile, la sua bocca rosa e sfrontata.
Mi strappo la giacca di dosso, la lancio lontana e indietreggio sui gomiti. È sporca, l’ha toccata.
Eugene si avvicina carponi: ha le mani sporche di sangue e grumi d’intestino gli risalgono sul collo. No, mi correggo con orrore, sono vermi.
Mi sale un conato che cerco di trattenere.
Gli manca un orecchio, quello che ho tranciato quando il terrore è scattato, quando Hagalaz è intervenuta. E sta intervenendo. Non me ne avvedo, ma i suoi proiettili si condensano, mi bersagliano.
Sono io il pericolo, è la mia mente il nemico. Uno dopo l’altro si abbattono su di me, ma schizzano in ogni direzione fuori controllo.
« Ti prego vattene… vattene Eugene, vattene. Ti prego… » Supplico, la voce spezzata da una paura ancestrale. Non mi accorgo di aver cominciato a grattarmi convulsamente il collo, gli occhi pieni del panico che non so gestire. È la prima volta che combatto contro qualcosa del genere.
Lo vedo, lo vedo mentre si mette a cavalcioni su di me, si lecca le labbra, si porta la mano al ventre, fino all’orlo dei pantaloni. Si china sul mio viso, scosta i capelli scomposti che mi coprono la faccia. L’altra mano, con dita da ragno, mi ghermiscono la gamba, risalgono l’inguine. Con la schiena a terra cerco di scacciarlo, ma ride, ansima, si struscia su di me. Grido.
Oh Amon, Dio, Dio ti prego, ti prego fallo smettere!
Hagalaz mi ha abbandonato, mi lascia un vuoto che comincia a sfinirmi. Non ho più le forze e mi rannicchio di lato, come un bambino. Non sento nemmeno il profumo dell’erba fresca, non percepisco la sua morbidezza. Singhiozzo e basta, mentre i tagli della Runa mi sfregiano il viso, le braccia, le mani, il collo del maglioncino che indosso è sporco del sangue e della pelle che mi sono scorticato fino alla carne viva.
Sono sporco, penso, sono sporco. Mi ha contagiato, li sento, i vermi, risalirmi e strisciarmi sotto i vestiti. Lui è di fianco a me, ora, sussurra col suo alito fetido di morte.
« Eppure ti è piaciuto… » Ride, folle, mentre mi accarezza la guancia ed io mi rannicchio di più.
« Non è vero… non è vero… sei un bugiardo Eugene… ti prego… vattene… »
Non l’avrei mai detto, nemmeno in quel contesto, nel cimitero, se fossi stato lucido. Mi copro la testa con le braccia e non riesco a respirare. L’odore che sento, nell’aria, nel vento che amo, sa di decomposizione e annaspo. Se solo riuscissi ad alzarmi, a scappare… ci provo, ci provo a pensare ad Emily, ma non riesco. Non riesco perché il cuore sembra volermi spaccare la gabbia toracica, perché lei è lontana, distante, dimenticata.
Eugene si china ancora su di me, mi accarezza come una madre col proprio figlio. Sento i miei capelli inumidirsi del liquor che cola dalle sue dita.
« Va tutto bene, amore mio, va tutto bene. »
Ha la voce di mia madre, ora
– Racin' to the moonlight and I'm speedin' –
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Il plot twist che nessuno si aspettava, manco io ed Horus.