I passi lungo il viale del villaggio sono lenti, cadenzati, beandosi di quel momento di quiete fuori dall’ambito lavorativo, dove il ritmo frenetico è sempre all’ordine del giorno. Presta molta attenzione alle pozzanghere che si sono generate nel corso della notte per via del temporale, e - per lui è che uno spilungone di uomo - non è un problema scavalcare quelle pozze di acqua stagnante.
I capelli rossi sono lasciati liberi, lunghi, che gli ricadono sulle spalle, adagiandosi su quella giacca marrone che porta sopra ad una camicia ricamata con motivi alquanto particolare. La barba è ben curata, non eccessivamente lunga, ma tenuta comunque con una meticolosità certosina. Gli occhi chiari scrutano un po’ ovunque, sempre in allerta, per via della propria professione da Auror, mentre avanza come se niente possa toccarlo.
Con la mancina allarga appena un lembo della giacca, andando con l’altra a rovistare nel taschino interno in cerca del clipper e della scatolina di latta con le proprie sigarette all’interno. E’ proprio all’altezza del cuore, celato dietro alla giacca, vi è appuntato il Distintivo argentato degli Auror, così come la fidata bacchetta è nella fondina in prossimità della propria ascella.
Gesti meccanici, ripetuti ormai in una serie di infinite volte, che apre la scatolina e, una volta afferrata la sigaretta, se la porta alle labbra con una calma serafica, se non una certa dose flemmatica in aggiunta. Sì, insomma, è tranquillo, a tratti addirittura annoiato.
Ed è proprio quando sta facendo scattare il clipper, che una mano lo raggiunge e avverte lo sfioro di alcune dita. Si irrigidisce di colpe, in un riflesso istintivo, in cui la presa sul clipper si allenta di botto, fino ad annullarsi, sfuggendo così alla propria presa e cadendo a capofitto in una delle pozzanghere sottostanti.
Pluff. E il clipper non c’è più.
La voce della donna - perché sì, è una donna quella che sente chiamarlo - lo costringe, infine, a voltarsi e a guardarla. Gli occhi, sulle prime, suggeriscono una reazione genuinamente sorpresa, tant’è che sfarfalla qualche secondo le ciglia, per poi manifestare un tripudio di emozioni, di pensieri. Corruga le sopracciglia, infastidito da quell’essere stato colto alla sprovvista, oltre al fatto di aver perso il clipper, e il tatuaggio - unito alla cicatrice - che ha appena sotto l’occhio sinistro si tende pericolosamente. Poi, però, infine, si ritrova a guardarla con perplessità, di chi si sta sforzando nel ricordare qualcosa, o meglio, qualcuno.
Sfarfalla nuovamente le ciglia, come a volerla mettere maggiormente a fuoco, studiandone i lineamenti che, ad una certa, trova familiari. «
W-walker?» sfiata, in un sussurro, giacché sta tenendo la sigaretta ancora serrata tra le labbra.
Inclina la testa di lato, come a volerla osservare meglio. «
Io… cioè… mi hai colto alla sprovvista…» Wow, che ammissione bruciante per lui! «
Come stai? Non ci vediamo dai tempi della scuola.» E prova così a rimediare quel
quasi scivolone. Per lui, ovviamente, vale quel
quasi.
Scusami per il ritardo. Periodo de caccas.