Prima e ora, Privata

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Triste, come chi ha perso il nome delle cose.

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Codice«PRRRRIMA ERO UN».
«Un?»
Camillo aveva un'ora da buttare e per qualche strana ragione, ignota, invece di piazzarsi in un bar come un cristiano qualunque, facendosi coccolare dal profumo del caffé e dal lieto sapore dei dolci freschi di pasticceria, si era lasciato trascinare da una nostalgia lacerante, ficcandosi a forza in un anfratto di Nocturn Alley. Ancora ricordava i meravigliosi momenti da Magie Sinister – meravigliosi per dire – ma quel che gli era balzato alla mente appena imboccata la vietta, era che, per quanto malfamata, la gente che la frequentava tendeva a non piantar grane. Nessuno cercava rogne dove alla prima rottura di palle potevi beccarti una fattura potenzialmente mortale, lontano dagli occhi vigili della Legge. Paradossalmente, era un luogo piú tranquillo dei quartieri a sud.
«PRIMA».
«E fin qui tutto cristallino».
Le grida acute della bestia parevano quasi umane, ma erano altresí stridule, sgraziate. Breendbergh aveva un cesto di frutta comprato al mercato e un coltellino dalla punta arrotondata con cui la sbucciava lentamente. S'era appoggiato ad un muretto dai mattoni familiari, per l'aspetto e per il tocco scomodo e audace alla base delle spalle; inconsciamente, era finito proprio dove le reminiscenze della sua infanzia l'avevano accolto con un calore inaspettato. Il retrobottega si affacciava proprio dove stava addestrando il suo pappagallo.
Un cubetto di pera, sulla punta di quell'innocua lametta, veniva sventolato come una promessa. Il premio che avrebbe volentieri elargito, in cambio di un compito ben svolto: formulare una frase.
«PRIMA ERO UN S». Poi un garrito. Cru?
«Un ssss?» Sibilò, facendo ondeggiare ancora una volta il cubetto di pera.
L'ara, dal magnifico piumaggio ricco di colori e sfumature, aveva inclinato il collo, puntando con lo sguardo la polpa succosa che gli veniva offerta, come un alfiere in fianchetto che puntava una torre lasciata appesa sulla sua diagonale. Qualcosa nella sua testolina scattò.
«Prima. ERO UN SERPEVERDE!»
«Bravo!» A quel punto Camillo staccò il pezzo di pera dalla lama e lo porse alla creatura, premiando il suo schiamazzo con un boccone succulento offerto dal palmo della propria mano. La bestia in tutta risposta lo massacrò con il becco prima di inghiottirlo.
«PRIMA ERO UN SERPE. VERDE». Un altro cubetto. Un altro boccone.
«Vedo che impari in fretta». Camillo sorrise all'ara, che lo guardava goloso, aspettandosi di ricevere altri pezzetti di frutta per le sue grida.
Il tassorosso ne preparò un altro.
«E ora?» Gli aveva insegnato cosa dire.
«MI SSS. ERO UN SERPEVERDE» Niente risposta esatta, niente cubetto.
«E adesso?»
«Mi sto abituando».
Camillo preparò un secondo pezzo di pera, questa volta una mezza luna. S'era detto che con una posta piú alta in palio, forse l'uccellaccio avrebbe iniziato a fare sul serio.
«A cosa?» Gli occhietti si fissarono sulla frutta, dal sapore dolce, dall'aspetto invitante. E la seguivano, con un'ondeggiare del collo che andava di pari passo con l'ondeggiare della mano del suo padrone.
«MI STO ABITUANDO A QUESTO NUOVO CORPO!».
«Bravissimo, fatti sotto». Il palmo aperto, la mano protesa verso quella sporgenza di legno su cui l'ara si era appollaiato. Il becco sfracellò piano la frutta, prima di raccoglierla.
«Prima cosa? E adesso?» Due domande. Due risposte. Una frase di senso compiuto. Il premio, questa volta, erano due belle fette dall'aspetto allettante, per stuzzicare la sua golisità.
«PRIMA ABITUANDO».
«No!» Stava mischiando tutto.
«PRIMA ERO UN SERPE. UN SERPE VERDE. MI STABITUANDO… A QUESTO CORPO».
«Ci siamo quasi». Gli porse un solo pezzetto di quanto promesso. Il pappagallo, nervoso, rifiutò, ma scese comunque sul suo avambraccio.
«PRIMA ERO UN SERPEVERDE. MI STO ABITUANDO A. A QUESTO NUOVO CORPO».
Tutto giusto, poteva andare. Gli diede quanto tacitamente pattuito, per intero. Dovette pestarlo con una zampa e beccarlo piú volte prima di mandarlo giú, ma salvo qualche incidente di percorso – sbrodolò un po' di succo di pera – riuscí a mangiare tutto.
Camillo di frutta era pieno zeppo, il tempo da perdere non gli mancava. Doveva solo allenarlo sulla consistenza, cosí che Thalia potesse ricevere l'ennesimo pennuto postale. Povera ragazza, s'era detto. Un trauma alla volta, in quel costante crescendo, l'avrebbe condotta sul sentiero della follia.
E avrebbe continuato a mandargliene, finché non si fosse degnata di rispondergli.

 
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Qualsiasi cosa stesse accadendo fuori il retrobottega non poteva in alcun modo essere affar suo. Sinister aveva riversato qualcosa di appiccicoso su quel pavimento e le grida che sentiva dall’esterno erano a malapena un’eco distante rispetto al ciaf ciaf aggressivo prodotto a contatto di quella roba con la suola delle Converse. Puzzava in modo abominevole e non seppe dire se fosse servito a qualcosa legarsi la camicia della divisa in faccia a fare da filtro o se, molto banalmente, avesse solo finito con l’abituarsi a quell’odore pestilenziale; in ogni caso, ci stava sguazzando dentro, letteralmente. Ormai da ore.
Tutto aveva avuto tristemente inizio quella mattina, con l’arrivo di un cliente apparentemente come tanti altri. Mantello nero, lungo fino alle caviglie, e cappuccio leggermente a punta tirato su a celare il viso. Alto quanto un gigante, al punto da ritrovarsi coinvolto in un’accesa discussione con le testoline essiccate che Sinister teneva appese sul soffitto quando, entrando, aveva rischiato di sbatterci contro. Notando l’improvviso entusiasmo del suo scorbutico e indifferente capo alla vista di quella figura misteriosa, Draven si era mosso dalla sua solita postazione dietro il bancone con la scusa di andare a calmare le testoline offese.
“Questa storia non può andare avanti!”
“È così indecoroso, Draven. Fa qualcosa!”
“Ogni volta che entra quel gigante è sempre così.”
Avevano preso a lamentarsi, ma si lamentavano sempre per ogni cosa, per cui il Serpeverde era abituato a non dargli peso e, piuttosto, ad assecondarle per farle calmare. Erano in grado di generare un gran casino quando qualcuno le offendeva e a Draven piaceva il silenzio. Solo dopo qualche istante si era reso conto di quanto avessero lasciato intendere alcune di quelle lamentele… A differenza delle solite, queste in riferimento al gigante erano sembrate ricorrenti. Anche se lui, in tutti quegli anni, non era mai stato presente durante gli scambi commerciali tra Sinister e i suoi più fidati collaboratori, quell’alta figura doveva essere uno di questi. Si era voltato verso il bancone, improvvisamente curioso di saperne di più, ma a quel punto i due erano spariti nel retrobottega. Quando Sinister ne era emerso, dopo uno scoppio assordante, completamente ricoperto da quella melma appiccicosa, non aveva detto altro se non: “Pulisci prima di andare via”.
Qualsiasi cosa fosse stata la consegna ricevuta dal gigante, non aveva funzionato come avrebbe dovuto. Ne era certo solo per via dell’espressione adirata che aveva notato sul viso di Sinister prima che si materializzasse via; altrimenti, non averebbe mai dato così per scontato che l’uomo non fosse interessato a un qualcosa dall’esito appiccicoso e fetido. Aveva strane passioni, che non giudicava finché non spettava a lui porvi rimedio.
Dopo un paio d’ore passate a lanciare vari Tergeo sul pavimento che, presumibilmente per via della consistenza troppo densa di quel liquido, si era rivelato quasi del tutto inutile, aveva preso uno straccio, rimediato un secchio e, con l’improvviso ricordo di “canta usignol” dal cartone di Cenerentola che aveva visto almeno una decina d’anni prima e mai più, si era armato di pazienza e olio di gomito. Si era tolto la camicia per avvolgersela intorno al viso a mo di maschera, per filtrare almeno in parte quell'odore nauseabondo. Non aveva trovato nulla da usare o trasfigurare per procurarsi dei guanti e, accompagnato da frequenti conati, si era fatto coraggio: straccio a terra ad assorbire quella roba, strizzarlo nel secchio, ripetere fino a riempire il secchio, gettarlo nella latrina di Sinister che tanto non aveva un odore migliore, ricominciare.
Aveva dovuto chiudere il negozio. Non aveva la minima idea delle condizioni in cui sarebbe tornato al castello.
Dopo ore di lavoro, si fermò un attimo; non per riprendere fiato, visto che ossigeno non ce n’era, quanto per riposare le braccia. E in quel momento di assoluto silenzio, quello che era stato un fastidioso ma distante grido perpetuo gli arrivò dritto nelle orecchie senza filtri: “Prima ero un Serpeverde. Mi sto abituando a questo nuovo corpo.”
Senza pensarci due volte, attraversò il retrobottega vischioso e raggiunse la porta. L’aprì con una spallata per non contaminare la maniglia, non badando minimamente al fatto che fosse a petto nudo, con la camicia della divisa avvolta malamente intorno al viso, quella roba vischiosa e dal colore ambrato avvolta intorno alle mani e fin quasi ai gomiti, probabilmente emanando l’odore peggiore che si possa immaginare.
Alternò lo sguardo tra Camillo e il pappagallo. Avrebbe voluto chiedere cosa cazzo stesse accadendo, perché avesse tanta frutta con sé da poterla rivendere a un mercato, o perché il suo pappagallo continuasse a gridare come un ossesso di essere stato un Serpeverde, se avesse davvero portato a Nocturn Alley uno studente trasfigurato… Ma rimase in silenzio a fissarli. Basito, forse sotto shock per via dell’assurdità di quella giornata.
Appoggiando il viso verso una spalla, fece leva e si abbassò la camicia.

Mi accendi una sigaretta? Ho il pacchetto in tasca.
 
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CodiceQuando Draven sbucò dalla porta del retrobottega, Camillo e il pappagallo lo guardarono. Pareva basito, sconvolto; un pizzichino audace, nel presentarsi al loro cospetto mezzo nudo, ma in fin dei conti nudità per nudità, quella non era una dinamica nuova tra loro. Per quanto poco potessero aver interagito nel corso degli anni.
L'ara aveva inclinato la testa per sondarlo a dovere, quasi come se per lui avesse avuto un'aria familiare. Breendbergh invece l'aveva guardato, un po' come guardavi la rana che ti compariva in giardino mentre ti facevi gli affari tuoi e con i suoi occhi stralunati se ne stava lì a giudicarti, senza farlo davvero. Poteva importare ad una rana delle questioni degli uomini? Esisteva, semplicemente, sbucata fuori da chissà dove senza un reale motivo.
Il motivo, s'era detto inizialmente, era che il pappagallo doveva avergli proprio rotto il cazzo a furia di gridare come un disperato. Successivamente s'era reso conto che, per il modo in cui era conciato, sembrava stesse scappando da qualcosa. Glielo suggerí l'odore nauseabondo che gli sfiorò le narici.
Aria di casa.
Evitò la battuta sull'averlo beccato con le mani nella marmellata. Quella piú che marmellata sembrava il contenuto dei vasetti da conserva in cui weaboo e umpa lumpa vari tenevano le statuette di my little pony. Quello maturato per bene nel ripetuto susseguirsi di pratiche indicibili, che potevano durare anche mesi, se non anni. Il popolo di internet aveva una creatività tutta sua, un estro che in parte riusciva a comprendere e in parte no. Lungi da me il voler approfondire ulteriormente questo dettaglio.
«È passato il tizio alto, dico bene?» Domandò apatico, osservando le mani impastate da quella poltiglia giallognola con fare un po' troppo serio, almeno per gli standard di chi lo conosceva. La richiesta di cavargli fuori una sizza dalla tasca passò in secondo piano, prima c'era una questione fetida da risolvere.
«Stendi le braccia in avanti e lasciale molli, se è ciò che penso, quella roba è nociva e tra un po' inizierà a sbucciarti la pelle come se tu fossi una cipolla, uno strato per volta. Da quanto tempo ce l'hai addosso?»
Fu imperativo, ricordandosi un episodio spiacevole di vita vissuta. O forse lo stava confondendo con un altro? Doveva aver rimosso metà delle malefatte che quell'ultra-rincoglionito cronico del boss aveva combinato nell'arco della sua permanenza a Magie Sinister come Garzone.
«Serpeverde!» L'ara intanto si era espresso, molleggiando incuriosito sull'avambraccio di Camillo.
«Sì, è il tuo prefetto, lo abbiamo capito…» l'olandese gli aveva risposto, posando il coltellino nel cesto di frutta e recuperando la bacchetta dal taschino interno della giacca.
Se Draven avesse deciso di dargli retta, Camillo avrebbe puntato la bacchetta sulle sue braccia, tracciando un'onda lenta da sinistra verso destra e pronunciando mentalmente la formula Lìmos. Controllando il getto perché gli ciccasse le braccia e basta, senza schizzare altrove – scarpe, vestiti, faccia – così da non ritrovarsi un garzone cementato vivo. Il principio alla base della sua scelta era tanto stupido quanto efficace, il fango si mischiava alla sbobba e si solidificava con essa. Ma era un passaggio fondamentale da seguire, perché se avesse provato a far sparire quel liquido con un evanesco, avrebbe buttato via mezzora per ogni singolo agglomerato di melma a sé stante. Ovviamente, con l'imposizione mentale, aveva reciso l'intenzione di ferirlo, perché anche se si trattava di un incantesimo offensivo, dall'alto della sua esperienza a cazzeggiare e scoprire si era reso conto di poter piegare alcuni incantesimi al proprio volere, specialmente quelli piú semplici.
Un bel gesso a presa rapida. Glielo avrebbe rimosso in un secondo momento, una volta che si fosse del tutto indurito.
«Il vecchio bastardo mette ancora le lame a scatto nei bauli?» La buttò, lì, per fare quattro chiacchiere e riempire il tempo, magari distraendo Draven da un probabile attacco di ipocondria. Al suo posto, conoscendosi, si sarebbe tranciato le braccia considerate le premesse. Era da un po' che non entrava in bottega, ad essere onesti, ma visto l'andazzo non si aspettava le cose fossero cambiate granché. Intanto avrebbe osservato l'evolversi della situazione, anche per capire se la morsa dell'incantesimo avesse iniziato a procurargli qualche fastidio.
«VECCHIO BASTARDO!» Nel mentre, il pappagallo faceva quello che sapeva fare meglio: ripetere ogni stronzata che sentiva. Magari questo non lo avrebbe spedito a Thalia, salvo non si fosse comportato bene da lí fino al momento della decisione finale.
«Aspetta… è ancora vivo?»
Tornò a guardare il garzone in viso, con un sorriso che pian piano ergeva malevoli gli angoli delle sue labbra, neanche ne stesse tramando lui stesso l'omicidio. Se si era licenziato c'era un motivo.
«Prima ero un corpo».
«A quanto pare…»

 
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view post Posted on 4/6/2023, 19:27
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Lo sguardo rimase impassibile sui due. La voce atona quando espresse di aver bisogno di una sigaretta, di quell’abitudine che lo riportasse, in qualche modo, alla realtà. Sentiva il peso del pacchetto nella tasca destra dei pantaloni ricordargli che non era stato trasportato in un mondo parallelo in cui la sua ipocondria era alimentata dagli esperimenti del suo datore di lavoro. Non poteva preoccuparsi anche di un Tassorosso e dei presunti metodi alternativi con cui si dilettava a testare le sue capacità trasfiguratorie. Semplicemente, non ne aveva le energie necessarie: poteva solo fumare. Aveva speso ogni grammo di energia a rimuginare sui mille modi in cui poter uccidere Sinister e rubargli l’attività come pegno per avergli reso quella giornata, e tante altre, un vero incubo.
La cosa più triste di tutte era che non esisteva altro luogo adatto in cui poter lavorare mentre proseguiva con gli studi. Con quel suo caratteraccio e l’incapacità di tollerare le folle, Magie Sinister si presentava come l’unico negozio in grado di accontentare l’indole del serpino e, al contempo, l’esigenza di mantenere una quantomeno decente indipendenza economica. Gli consentiva di comprare le sigarette senza fare affidamento sulla sua tutrice.
Non ebbe la forza nemmeno di pensare al perché o al come Camillo potesse essere a conoscenza del tipo alto, causa scatenante del tutto e si limitò ad annuire.
Era così afflitto da non riuscire a essere pienamente lucido nemmeno quando il Tassorosso ipotizzò la tossicità di quella materia vischiosa che aveva sulle braccia.

Da ore. – rispose, con lo stesso tono senza vita degli istanti precedenti. “E speravo di morire prima di entrarci a contatto” fu il pensiero che ne seguì. Forse per un barlume di lucidità, non entrò minimamente in panico; se si fosse davvero trattato di qualcosa di così nocivo come credeva il ragazzo di fronte a lui, avrebbe dovuto ritrovarsi spellato già da mezza giornata, almeno. Ciò non toglieva il fatto che, per via della consistenza e dell’odore, avrebbe voluto strapparsi di dosso lui stesso la pelle pur di liberarsene. Come minimo avrebbe dato fuoco ai vestiti, una volta risolto il problema.
Seguì le indicazioni del Tassorosso e sollevò le braccia, distendendole davanti a sé. Non per questione di fiducia, ma perché tanto peggio di così non gli sarebbe potuta andare. Aveva provato di tutto e, se Camillo davvero conosceva un modo per togliergli di mezzo quella roba, ne avrebbe accolto volentieri anche eventuali conseguenze disastrose. Il massimo che poteva succedere era che gli amputasse le braccia. Magari faceva meno male che darvi fuoco per ripulirne l’epidermide.
Dopo l’incanto di Camillo, sentì quel liquido denso indurirsi e pressare contro le dita e gli avambracci. Una sorta di gesso per le ossa rotte. In quello stato non avrebbe potuto fumare comunque senza aiuto, ma perlomeno non aveva più quell’odore pestilenziale sotto il naso.

Parli del gigante o di Sinister? – chiese poi, avanzando di un passo verso di lui, con le braccia ancora distese davanti a sé, immobilizzate. Alternò lo sguardo tra loro e il viso del Tassorosso, in una tacita richiesta di concludere il lavoro e donargli l'agognata libertà.
Era bravo nel multitasking mentale, ma per quello emotivo sapeva concedersi una preoccupazione la volta. Continuare a ignorare il pappagallo era, quindi, inevitabile perché aveva bisogno di risolvere quel disastro ambientale e igienico prima di qualsiasi altra cosa.
Iniziò, però, a percepire un velo di curiosità, sia per le condizioni del pennuto che per via delle cose che il Tassorosso sembrava sapere sulla bottega, il suo proprietario e, evidentemente, anche sulle varie figure dalla morale discutibile che la frequentavano.

Sinister ci seppellirà tutti.
 
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Codice«Da ore. MI STO ABITUANDO». Il pappagallo si era espresso, prima di grattarsi un'ala con il becco. Iniziava a mischiare parole nuove alle frase brevi che Camillo aveva provato ad insegnargli. Il che era sia un bene che un male. Gli piaceva che fosse un chiacchierone, ma nuovi stimoli rischiavano di compromettere irrimediabilmente il training per cui tanto si era sbattuto. Ripeteva. Non a comando.
«Capisco. L'hai assaggiato?» Il Tassorosso aveva fatto una domanda all'apparenza stupida, con una naturalezza disarmante. Intanto verificava lo stato di solidità del gesso improvvisato, con uno sguardo colmo di curiosità. Curiosità scientifica. A discapito dell'odore nauseabondo e dell'aspetto poco promettente, se quella sbobba non era quella che spellava e si poteva ingerire, voleva dire che in certo senso ricadeva nella classe dei "cibi". Un concetto tanto distante dal buon gusto, quanto utile se interiorizzato a dovere. Non si espresse ulteriormente su Sinister.
«Affari tuoi comunque». Concluse, simulando una schiettezza che poco aveva a che vedere con la sua natura di ficcanaso. La bacchetta puntata contro di sé, l'incantesimo di disillusione e farlo sparire nell'etere. Esteso pure alla bestia, perché altrimenti il semplice atto di celarsi alla vista del prefetto, sarebbe stato tradito dalla presenza dell'Ara sospeso nel vuoto, posato sul suo avambraccio come fosse stato il suo trespolo, un segnalatore della posizione del proprio padrone. Per lui la faccenda si sarebbe chiusa lì. Puff. Svanì.



Poi, nell'istante successivo, mentre sul viso di Camillo tornava a comparire un sorriso che non prometteva nulla di buono, si rivelò nuovamente a Draven, pennuto compreso. Questione di un secondo, due al massimo, giusto il tempo di gustarsi la sua espressione. Per quanto, immaginava, l'apatia fosse una costante in quell'interazione, non gli sarebbe dispiaciuto veder l'altro fare un mezzo infarto. Desiderio che, data la dinamica, probabilmente sarebbe rimasto entro i confini della propria fantasia. Non era il tipo di persona che abbandonava gli altri nella melma – letteralmente – specie dopo avergli complicato la vita.
Due colpi di bacchetta per l'Evanesco, prima su un blocco di fango solido, poi sull'altro, se le circostanze lo avessero permesso.
«Come ti senti? Più o meno unticcio di prima?» Gli avrebbe quindi domandato, curioso, valutando con il suo stesso sguardo l'andamento di quella procedura. Se non ci fossero state complicazioni, la miscela di limos e sbobba avrebbe dovuto fare un bel viaggetto di sola andata verso il nulla.
Ad una risposta o un cenno positivo, avrebbe corrisposto un ulteriore quesito. «Serve altro?»
In ballo c'era ancora la questione delle sigarette: il morituro voleva che fosse il tabagismo a mieterlo come una spiga e certo non si sarebbe messo a fargli la paternale su quanto facesse cagare quella roba. Era arbitrario e da ipocriti, considerato che anche lui cercava a modo suo di crepare, e finché il serpeverde voleva suicidarsi per gli affari suoi, a lui non gliene fregava granché. Certo non si sarebbe reso complice della sua dipartita, con le mani libere avrebbe potuto pigliarsi la tanto agognata pagliuzza da sé.
Se la procedura non avesse funzionato, si sarebbe offerto di fargli da rubinetto, sparando getti d'acqua pulita dalla bacchetta affinché si lavasse le mani. C'era anche l'opzione di raschiare via la melma con il coltellino che aveva nel cesto della frutta, magari utilizzando la parte della lama piatta – anche se dubitava che l'altra potesse fargli qualcosa in piú di una grattatina.
Tra le varie opzioni che si diramavano nell'inesorabile susseguirsi degli eventi, c'era anche quella dell'amputazione degli arti. Se nulla si poteva fare contro l'amalgama fetida in cui era immerso fino alle braccia, immaginava preferisse affidarsi alla chirurgia, piuttosto che vivere una vita con l'odore della putrescenza addosso.
E comunque, al netto di tutta la questione, restava dell'idea che non era affar suo, specialmente se la questione andava oltre le proprie competenze.
Tante incognite, tanti possibili scenari. Lui si sarebbe preso una mela dal cesto che abbondava di delizie, intenzionato a fare un mezzetto con l'ara.
«Vuoi un frutto del diavolo? Alcuni ti danno dei superpoteri, a patto che rinunci per sempre alla possibilità di nuotare» Gli avrebbe buttato lì l'offerta, con quel suo solito vizio di fare riferimenti alla cultura di massa babbana. Riferimenti che, per questioni di copyright, non verranno menzionati e spiegati in questa sede. Già di quei tempi Camillo collezionava gironi infernali come figurine, da buon narratore, almeno io ci terrei a stare il piú lontano possibile dai tribunali.
«Frutto»
«Ora arriva»
«Prima ero un serpeverde. Ora sono sempre-... verde»



Edited by Camomillo - 14/6/2023, 11:36
 
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view post Posted on 23/6/2023, 12:05
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Forse, l’inaspettato incontro con il Tassorosso era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. Ogni volta che sbatteva le palpebre per semplice riflesso incondizionato, poteva vedere dietro di esse i frammenti del proprio limite di sopportazione superato già diverse ore prima. Si definiva un ragazzo paziente, ma dall’apatia autoimposta dalla frustrazione del momento capì di non avere più molta indulgenza da esprimere. Dunque, aveva solo due opzioni a disposizione: restare apatico, imponendosi di rimuovere presto dalla propria memoria quell’esperienza; esplodere di rabbia e distruggere il negozio solo per ripicca, magari facendo in modo che il pappagallo stridulo restasse vittima dell’esasperata reazione.
Inspirò una grossa boccata d’aria che sapeva di quell’odore rancido ed espirò, praticamente sbuffando, con le braccia ancora distese davanti a Camillo.

Certo che no. – gli rispose, storcendo il naso in una smorfia. Quasi offeso che il Tassorosso potesse pensarlo capace di mangiare quella roba. Quale persona sana di mente avrebbe provato a farlo?! Al massimo, qualcuno che poteva avere desideri di morte; e per quanto Draven avesse nei confronti della vita un certo senso di inadeguatezza, amava troppo se stesso per pensare, anche solo per un momento, di fare qualcosa che come conseguenza avrebbe potuto nuocergli in alcun modo. Era oculato, accorto, responsabile e fin troppo riflessivo. Un adolescente atipico, da questo punto di vista; in un certo senso apatico nelle pulsioni tanto quanto lasciò a vedere in quella circostanza.
Le braccia ancora distese dinanzi a lui, lo sguardo spento ma fisso negli occhi del ragazzo… Finché non lo vide sparire.
Ne seguì un momento di realizzazione piuttosto impulsivo, che non era proprio della sua indole. Probabilmente provocato dall’assenza di pazienza, reagì con un mezzo giro su stesso, con tutta l’intenzione di andare a sbattere di violenza le braccia contro l’uscio della porta sul retro fin quando i gessi non si fossero rotti.
Se solo lo scherzetto di Camillo fosse durato cinque o dieci secondi di più, si sarebbe ritrovato ad assistere a una specie di tentativo di autolesionismo.
Ma il ragazzo riapparì, così veloce com’era prima scomparso. Due colpi di bacchetta sulle braccia di Draven, che non esitò ad affidarsi di nuovo a lui – che tanto, peggio di così, non credeva gli sarebbe potuta andare – e poi rialzò lo sguardo sul suo viso. L’espressione, nonostante il groviglio di pensieri tra rabbia repressa e frustrazione, non era minimamente mutata nel lasso di tempo che era intercorso dalla prima occhiata che Draven aveva posato su di lui e il suo pappagallo fino a quel momento: assoluta, per quanto apparente, indifferenza e apatia.
Si tastò le braccia; sembrava pulito, non più oleoso o appiccicoso. Puzzava di carogna, ma era abbastanza sicuro che nessuna magia avrebbe potuto migliorare quella condizione, all’infuori di quella generata da un rabbioso sfregamento di acqua e sapone. Non aveva senso, a quel punto, ripulirsi anche i pantaloni e le scarpe; forse avrebbe potuto rimediare dei vestiti per cambiarsi prima di tornare al castello. Non aveva, però, alcuna intenzione di tornare sul retrobottega e impelagarsi di nuovo in quella roba.

Se mi insegni a farlo per ripulire anche il negozio, non ti segnalo per il pappagallo trasfigurato. Per quanto mi riguarda, più Serpeverde trasfiguri in bestie, meno impegno mi dai in Sala Comune. – commentò, iniziando a sciogliersi dal collo la camicia che aveva sfruttato a mo di mascherina.
La rindossò, con gli occhi impegnati a seguire i bottoni e le asole per un istante, si ritrovò di scatto a rialzare lo sguardo sul viso del ragazzo. Dopo un tempo indefinito passato con quella maschera inespressiva in volto, sentì alzarsi un sopracciglio per le sue parole. Non era abituato ai maghi che facevano cenno alla cultura babbana. Con tutte le cazzate sugli incesti delle famiglie purosangue… Si sorprese. In un altro contesto, forse, un microsorriso sarebbe potuto comparirgli sulle labbra a dimostrazione di quanto gli avesse alleggerito l’animo, seppur per un breve istante.

Come minimo mi rifileresti uno Smile. – rispose, facendo cenno di ‘no’ con il capo, per rifiutare più o meno cordialmente la proposta.
Finì di riabbotonarsi la camicia e, finalmente vestito, più o meno pulito, prese il pacchetto di sigarette dalla tasca dei pantaloni. Ne sfilò una tra i denti e l’accese. Quasi roteo gli occhi al cielo per il senso di beatitudine che gli diede il percepire il sapore di tabacco sulle papille gustative, prendendo il posto di quello occupato dall’odore della melma.

Come fai a conoscere il tipo alto? Il collaboratore di Sinister? – chiese poi, espirando la prima boccata di fumo.
 
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CodiceUno Smile? Camillo non era il tipo che ti rifilava robaccia, anche per una questione di brand. Nel momento stesso in cui avesse tradito la fiducia di qualcuno, che fosse un cliente, un fornitore o semplicemente qualche anima in disgrazia a cui aveva deciso di fare un dono, la sua credibilità sarebbe crollata. Così il suo network. Le voci correvano in fretta tra i maghi ed i passi falsi lasciavano orme indelebili sul sentiero dell'autodistruzione.
«Come preferisci, ma se cambi idea…» se cambi idea la frutta è fresca, altrimenti non piacerebbe così tanto al pappagallo, no? Un pensiero espresso a metà. Non era lì per convincerlo a farsi una scorpiacciata, era lì per perdere un po' di tempo prima di tornare alle sue faccende. Con la testa, i pensieri, si catapultò per un istante altrove, in quel reame dove la lancetta piccola dell'orologio già aveva fatto il suo ineluttabile scattino. Poi sospirò, tornando alla realtà.
«E a chi mi segnaleresti per il pappagallo? A Mike?» Domandò, con la lingua affilata, totalmente noncurante del tentativo di intimidirlo, con il suo solito fare tra l'anarchico e il nichilista. Poi tornò a guardare l'ara, che pareva un po' agitato, non tanto perché avesse effettivamente fame, quanto per golosità. A lui quei frutti piacevano e l'avrebbe presto ingozzato, ma già che si parlava di cibo tornò senza tanti indugi sulla questione tirata in ballo.
«Senti, c'è la possibilità che qualcuno l'abbia ingerito e non sia morto all'istante? Ti aiuterebbe rifletterci e interiorizzare quell'immagine, per quanto… uh? Disturbante?» Spostò lo sguardo sulla figura del prefetto, mentre un soffio di passivo gli faceva arricciare il naso per il disgusto. Odiava i fumatori, ma solo quando fumavano, specialmente in sua presenza. Specialmente in luoghi al chiuso. Già che si trovava lì, all'aria aperta, la combustione del tabacco appena innescata aveva iniziato ad irritarlo oltre misura. Si domandava se il signorinello Shaw fosse "uno di quelli".
Gli artigli della bestia gli si strinsero l'avambraccio, stropicciando la stoffa della giacca scura neanche fosse stato un foglio di pergamena da accartocciare. Nemmeno lui sembrava godersi particolarmente l'odore della sigaretta accesa. Si era ritratto leggermente, sbilanciandosi un po' indietro col corpo e raggomitolandosi come fosse un riccio – per quanto possibile ad un pappagallo. Poi spalancò le ali in uno slancio che quasi schiaffeggiò il suo padrone, come per respingere l'aria impestata dal cancro in formato gassoso, a mo' di ventaglio.
Era un ingombro, lo mandò ad ammalarsi.
«Cortesemente, prendilo un secondo». Porse il braccio messo a gancio verso Draven e diede una piccola gomitata al vento, con fare annoiato ed al contempo lieto di prendersi una pausa dal demonio con le penne cremisi, prevalentemente. Se l'altro avesse voluto accoglierlo, gli si sarebbe poggiato addosso, altrimenti conoscendolo avrebbe trovato un trespolo improvvisato su cui piazzarsi.
Poi con la bacchetta avrebbe puntato la mano libera e compiendo il cerchio richiesto dall'incantesimo, avrebbe enunciato mentalmente la formula Cenam, seguita dal nome del cibo: mela. Niente piatto, decisione volontaria. La mela sparì dal cesto e gli finì in mano. Guardò Draven per capire se avesse inteso dove voleva andare a parare, conscio del fatto che era un secchioncello e che sicuramente conosceva quel sortilegio.
Gli occhi del pappagallo guizzarono verso il frutto succulento ed il meccanismo si innescò.
«PRIMA ERO. MIKE? Cloc».
Breendbergh fulminò la bestia con lo sguardo, intenzionato ad abortire l'esperimento. Se lo avesse mandato a Thalia, era certo si sarebbe incazzata come poche altre volte in vita sua, perché era impossibile fosse così stronzo, doveva solo seguire il copione. E non era una che perdeva la pazienza facilmente, lei, dall'alto del suo trono di compostezza.
Ignorò la belva.
«Il punto è che ci sono due requisiti fondamentali: se riesci a fare uno sforzo di fantasia e immaginarti quella sbobba come cibo… ed è effettivamente ingeribile, puoi svuotare il disastro evocandolo dentro il primo tombino utile» Concluse così il momento "maestrino-di-questo-ca-minuscolo", senza stare a fare tutte le premesse del caso. Senza citare il fatto che gli incantesimi erano mere linee guida, poi stava all'artista piegarne l'esito alla propria volontà. Senza insistere sul fatto che, se ci credevi abbastanza, anche un sasso poteva essere valido ai fini dell'esperimento, bastava visualizzarlo come qualcosa di commestibile; lo sforzo mentale, in quel caso, era oneroso, ma chi poteva dire quale delle due opzioni fosse peggiore tra la fetida viscosa giallastra e una pietra?
Diede un morso alla mela e parlò a bocca piena, tra un morso e l'altro, mandando giú a metà discorso.
«Comunque ho lavorato qui un bel po', conosco il giro, ma mi sono licenziato perché Sinister mi sta sui coglioni e la sua visione imprenditoriale è talmente antiquata da innervosirmi. Scommetto che se entro in negozio adesso – qui buttò giú, si pulì le labbra con la manica buona e con il braccio in moto indicò la bottega – ci trovo gli stessi articoli in vendita quando ci stavo io. Si salva un paio di volte l'anno con gli eventi e i mercatini vari, e solo perché sono i garzoni a mettergli pepe al culo e a farlo sentire un rincoglionito. Ammetto però di non conoscere per nome il tizio alto, ma sono letteralmente affari suoi, di Sinister. Non voglio averci niente a che fare, so solo che questi episodi non sono una novità, per quanto rari. Ai miei tempi ne capitavano di peggio».
Sputò il suo veleno, poi richiamò l'ara sul braccio e gli avvicinò la mela, cosí che potesse beccarne la polpa. Cosa che fece, sbrodolando ovunque.
«Se il piano ti garba e le cose funzionano, posso andarti a prendere al volo qualche prodotto babbano per pulire la bottega, magari un deodorante per ambienti. Intanto ti consiglio di agrumarti le braccia, perché puzzi come la latrina di Trainspotting. Non è una soluzione a lungo termine, ma credo che non ti dispiacerà profumare di arancia o limone».
Non sapeva, effettivamente, che odore avesse quella latrina, giacché l'olfatto mai ne aveva fatto esperienza, ma se doveva immaginarsi quale potesse essere, l'associazione nasceva da sé. Almeno, si disse, ai tempi lui guadagnava bene. Qual era il prezzo della dignità di un uomo? Era una di quelle domande di cui conoscevi la risposta solo dopo aver lavorato a stretto contratto col signor padrone di quell'inferno. E poi in due la vita era piú lieve; un po' la Evans gli mancava.
«Quand'è che lo molli con le chiappe a terra e ti trovi un impiego piú umano?»
«Prima eri umano. Ora. Sei latino».
Glielo concesse, in virtù del suo odio per gli spagnoli.

 
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view post Posted on 1/8/2023, 13:05
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Da quando era diventato Prefetto non aveva mai fatto una segnalazione. Vuoi per pigrizia o per disinteresse, aveva imparato a minacciare a vuoto solo per stizzire il ribelle di turno e inibirlo da qualsiasi ulteriore intento di dare fastidio in futuro. Il suo lavoro si fermava a questo, per cui l’osservazione di Camillo, posta a quesito con quel velo di ironia che gli faceva drizzare ogni terminazione nervosa, lo colse un po’ di sorpresa.
Sì, lo avrebbe riferito a Mike, era il suo Caposcuola. Che cazzo c’era di divertente?
Sorvolando, per l’appunto, sul fatto che non lo avrebbe davvero segnalato, pensava fosse quantomeno consapevole delle procedure scolastiche che prevedevano quel minimo di accortezza. Fai qualcosa fuori dall’ordinario? Viene riferito con l’accezione di una pessima condotta.
Le regole esistono per mantenere ordine. Se proprio proprio le si vuole infrangere, che lo si faccia con un briciolo di criterio e furbizia. Dunque, spiattellare in faccia a un Prefetto un pappagallo presumibilmente trasfigurato non era proprio un guizzo di genio.
Eppure, Camillo gli era sempre apparso parecchio intelligente. Bizzarro, sì, ma non per questo meno brillante.
Forse il suo compagno di merende non era altro che un innocuo animale ben addestrato?
Per via del discorso sulla melma pestilenziale, mise di nuovo da parte, temporaneamente, la questione trasfigurazione.
Aveva già capito che sulle parole e le azioni di Camillo fosse necessaria una certa taratura; doveva solo capire a che livello.
Si tirò indietro quando gli chiese di tenere il pappagallo e un’espressione schifata gli distorse inevitabilmente i lineamenti del viso. Non che avesse qualcosa in contrario a quella specifica bestiolina; semplicemente rinnegava e rifiutava ogni forma di contatto con piante e animali. Già che fosse costretto ad avervi a che fare per le lezioni di Ebologia e Pozioni era parecchio da sopportare.
Indietreggiò e con lo sguardo seguì il movimento del pennuto, che apparve disinteressato dinanzi al suo rifiuto e cercò un altro trespolo a cui affidarsi.
“Prima ero Mike” lo sentì dire e, per un istante, si ritrovò in totale confusione nell’elaborare contemporaneamente quell’informazione, la totale nonchalance di Camillo a riguardo e il suo discorso riguardo la melma.

Non la mangio questa merda! - esclamò innervosito, dirottando lo sguardo dal pappagallo al Tassorosso.
Si passò due dita a sfregare le palpebre chiuse. Con un sospiro spazientito, riaprì gli occhi per puntarli di nuovo sul ragazzo.
Aveva mai avuto una giornata così assurda?
Si lasciò cadere a terra. Tanto era già sporco e puzzolente all’inverosimile. Sentì l’energia evaporare dal suo corpo come acqua su un fornello.
La melma andava tolta, ma non era disposto a mangiarla. Piuttosto la morte. O il licenziamento.
Con un po’ di raziocinio sentì di dubitare che il pappagallo potesse essere Mike, per il semplice fatto che Camillo era troppo sveglio per inimicarsi un Caposcuola con un gesto così stupido fatto solo per noia. Senza tenere in considerazione che la sua Caposcuola lo avrebbe spellato vivo se fosse venuta a sapere una cosa del genere: tutti sapevano che la rossa e Mike avevano una storia. Ma restava l’ipotesi che fosse comunque uno studente a caso trasfigurato, magari omonimo, col solo intento di prendere per il culo qualcuno… e c’era capitato Draven di mezzo per caso. O forse per volontà sconosciute del Tassorosso.
Infine, la questione dell’inettitudine di Sinister mista all’inquietudine generata dai suoi collaboratori. Sì, lavorare in quell’ambiente non era il massimo in senso lato, ma era comunque il massimo per le sue attuali condizioni e necessità.
Fu sul punto di replicare, forse con l’intento di commentare ancora la questione del pappagallo o semplicemente esporre ad alta voce le sue considerazioni sul negozio e il negoziante per cui lavorava, soprattutto alla luce del fatto che gli disse di aver lavorato in passato anche lui lì, in quelle stesse – se non peggiori – condizioni. Ma le parole seguenti del pappagallo lo fecero scoppiare a ridere. Così, all’improvviso.
Forse era sull’orlo di una crisi di nervi o semplicemente aveva superato talmente tanto il limite di sopportazione da non riuscire più a tollerare nemmeno uno di tutti quei fili di pensiero.
Rise proprio di gusto, come gli capitava di fare di rado, con tanto di lacrime a inumidire gli occhi per via di un divertimento che, per quanto esagerato e forse addirittura senza senso, non era abituato a controllare.
Con le ginocchia piegate verso il petto e le braccia ciondoloni poggiate sulle ginocchia, chinò la testa e rise finché non gli mancò il fiato. Le spalle scosse dal riverbero della propria risata, scuotè la testa tra sé. Incredulo di udire quel suono provenire da lui, ma anche per via della situazione in atto.

Non posso lasciare questo lavoro. Mi servono soldi e avere a che fare con la gente non è proprio il mio forte. Sinister è pessimo sotto ogni punto di vista, ma in questo negozio nessuno si aspetta gentilezza e sorrisi. Nessuno viene in questo letamaio pretendendo di trovare fiori. - iniziò a dire, non appena riuscì a sedare la risata. Si asciugò il viso con il dorso della mano destra, continuando a reggere la sigaretta rimasta spenta a metà tra indice e medio della sinistra.

Posso fare un salto io a Londra a cercare un rimedio per questa roba... - disse poi, rialzando lo sguardo a incontrare quello del Tassorosso. Non aveva intenzione di chiedergli ancora aiuto. Il sorriso di pura ilarità che, gradualmente, assorbì la rassegnazione nel tono delle sue parole; per qualche motivo, oscuro anche a lui stesso, fluirono con estrema facilità.

Hai seriamente trasfigurato quel pappagallo? Non ho la forza di essere un Prefetto lodevole. Non me ne frega un cazzo, in questo momento, di essere esemplare. Sono solo sinceramente curioso.
 
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view post Posted on 7/9/2023, 09:57
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Triste, come chi ha perso il nome delle cose.

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CodiceCamillo vide Draven crollare, prima fisicamente e poi psicologicamente, e si disse che ormai era rosolato a dovere; pace all'anima sua. Comprendeva quanto stressante potesse essere lavorare da Sinister – ne avevano discusso, c'era passato anche lui – e capiva quanto potesse essere stressante avere a che fare con Camillo Breendbergh. Chi meglio di lui, che non poteva strapparsi se stesso di dosso?
Ciò nonostante, riconosceva nel comportamento e nelle parole del signor Shaw una verve masochista, accompagnata da un ronzio di incoerenza, come un'aura distorta che tormentava la figura enigmatica del prefetto verde-argento. Tarli che banchettavano sul dramma della sua confusione. C'erano alcuni punti sui cui desiderava fare chiarezza, non per pietà, né perché gli fosse stato imposto, ma perché pensava che tra esseri umani ci si dovesse aiutare senza fare tante storie.
Gli si avvicinò piano e poi si lasciò crollare a sua volta, ammortizzando il proprio peso con le gambe. Piedi a terra, baricentro sui talloni. Si sarebbe descritto come uno di quei buffi gargoyle che se ne stavano a cazzeggiare sulle cattedrali francesi, se avesse dovuto, e invece ad un occhio esterno sarebbe apparso piú come Gorislav, il simpatico senzatetto a cui piaceva starsene squattato sui marciapiedi a domandare l'elemosina.
«Presta attenzione, Draven». Pon atencion, Draven. Tururururueueueu piruriupirururu 🎶. Lo sguardo era severo, come la sua voce. Si stava per imporre con una autorevolezza a lui innaturale, che proprio non si addiceva a ciò che gli stava sussurrando la sua parte piú emotiva. Ma tutto ciò che ne sarebbe seguito aveva una sua logica. Il pappagallo rimaneva effervescente, ma stette in silenzio. Decise di procedere per gradi e partire dalla questione piú semplice: la sbobba.
«Non ti ho detto di mangiarti quella merda, ti ho detto che va pisciata in un tombino. Se vuoi lavorare in questo baratro e mantenere la sanità mentale, devi imparare a trovare soluzioni ingegnose per problemi complessi. Anche se queste sono poco eleganti, alcune volte». Rivangò il discorso precedente, rendendosi conto che era stato troppo criptico. Il punto è che, se eri abbastanza coraggioso, tutto potenzialmente poteva essere cibo e i maghi avevano un incantesimo apposta per evocare il cibo. Proseguì, con gli occhi spalancati, matto come un cavallo, con quel suo solito modo di fare che "peggiorerà, signora mia, poi non è detto che migliori, ma la speranza è l'ultima a morire, dico bene?"
«Ora mi affaccio, do un'occhiata e poi ti do una dimostrazione pratica di quello che intendevo». Provò a rassicurarlo – probabilmente con scarsi risultati, il Tassofrasso sembrava proprio uno da internare.
«Una volta fatto vedrai il culo del qui presente figlio di puttana scomparire nell'etere e riapparire nel giro di cinque minuti, armato di prodotti babbani per rimuovere ogni traccia del giudizio universale che si è abbattuto nella bottega, perché a quanto pare ai maghi piace sguazzare nel letame e non ci siamo mai degnati di inventare un incantesimo che ci permettesse di ripristinare gli standard igienico-sanitari imposti da quello che in teoria dovrebbe essere un istinto di autoconservazione innato e invece è solo una barzelletta che ci raccontiamo allegramente per non guardare in faccia la realtà». Illustrò il suo grande progetto, la sua visione d'insieme, in uno sfogo che si consumò tutto d'un fiato, poi prese un respiro e piantò il discorso con un'osservazione. «Nel caso in cui ti chiedessi perché siamo così pochi rispetto ai non maghi, sappi che è perché a noi piace dimorare dove caghiamo».
Non c'era disprezzo nella sua voce, solo una rassegnazione furente. A quel punto si sarebbe alzato nuovamente in piedi, pronto ad eseguire passo passo il procedimento che si era imposto. Un movimento lento e controllato, volto anche a non irritare il pappagallo, che sembrava essersi un po' appiattito.
«Un posto in cui nessuno si aspetta sorrisi e gentilezza, eh?» Un posto in cui la vita la subisci e non la vivi per davvero. Era esattamente come se lo ricordava.
Con i permessi necessari e se nulla si fosse opposto al suo ingresso, si sarebbe affacciato quel tanto che bastava per constatare con i propri occhi quanto grave fosse la situazione. Contestualmente, il pappagallo avrebbe gridato in preda allo shock. A a a a. E tante altre a. Una vocale bastava per esprimere quanto quell'esperienza avrebbe demolito lo spirito di una bestia altresì pimpante.
Poi Camillo sarebbe uscito, un tantinello impestato, ovviamente. Avrebbe localizzato con tutto l'autismo che aveva in corpo il primo tombino utile e vi si sarebbe recato a testa bassa, rimuginando su quanto aveva da dire, perché per lui il discorso non era finito. Ma non era il tipo da spendersi in grandi paternali e per di piú avrebbe voluto aspettare ancora un po', per vedere come si evolveva la situazione.
Poi avrebbe puntato la bacchetta verso il punto di scolo, eseguendo la rotazione necessaria per innescare l'incantesimo, immaginandosi quella porcheria nauseabonda come qualcosa di ingurgitabile. Gelatina? Crema? Zuppa? Un mix delle tre, piú olio di fegato di merluzzo. Ma c'era gente che si mangiava di peggio. «Cenam poltiglia». Niente piatto, ovviamente, tocco dello chef. E così, il liquido viscoso e appiccicoso che ancora non era stato rimosso dagli sforzi del garzone sarebbe sgorgato dalla bacchetta in un'impetuosa cascata, dritto dritto nelle fogne di Nocturn Alley. Il pappagallo, risalito sulla spalla, avrebbe osservato la scena, curioso e un po' stordito dal trauma. A cose fatte Camillo sarebbe tornato da Draven, se tutto fosse filato liscio.
«Vado e torno io, ci metto meno. Comunque il pappagallo l'ho creato, avrei voluto mandarlo a Thalia, ma ormai è compromesso. Ho deciso ora che si chiama Mike, per ovvie ragioni».
«Cloc-». Il pappagallo schioccò un verso di assenso, poi si grattò un ala con il becco.
«Ti chiedo la cortesia di tenerlo d'occhio, facci amicizia se vuoi, fai come ti pare. Quando tornerò voglio ritrovarlo vivo e in salute. Se vuoi della frutta fresca è nel cesto, se vuoi che ti porti qualcosa di specifico dimmelo ora perché sto per saltare nel vuoto». L'enfasi malevola suggeriva che era necessario che al suo ritorno il bastardo fosse vivo e vegeto, in loco. Ci teneva a quel pappagallo, perché se anche la missione Thagliatella era stata abortita, aveva altri progetti per lui.
Avrebbe atteso e si sarebbe regolato di conseguenza, Camillo, poi si sarebbe smaterializzato, lasciando lì la bestia a far compagnia al serpeverde.
«Frutta? MI STO abituando». E come ci si poteva aspettare, il volatile avrebbe domandato di essere nutrito.



Ritienimi al condizionale e fermami quando vuoi se serve
 
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view post Posted on 20/9/2023, 11:52
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Ammettere ad alta voce di aver bisogno di Magie Sinister fu più liberatorio di quanto credesse. Era un dato di fatto, ne era stato consapevole sin dal momento in cui aveva messo piede in quella bottega. Il piccolo sogno infantile di lavorare in una libreria era andato via via sfumandosi nel tempo, man mano che relazionandosi con i clienti si era reso conto di non essere totalmente a suo agio e immaginare il tutto in un luogo meno lugubre era stato sufficiente a fargli perdere ogni speranza di un lavoro migliore. Nonostante fossero passati anni dal suo primo giorno di lavoro lì, comunque, quando la memoria lo ingannava e non riusciva a ricordare un prezzo o la collocazione di un determinato oggetto, sentiva riemergergli dall’interno l’ansia dell’incompetenza. Come uno tsunami, veniva travolto dalla consapevolezza che in un negozio normale non sarebbe mai riuscito a tenersi il suo posto da garzone. Da che aveva iniziato a lamentarsi, sin da subito, delle condizioni di lavoro da Sinister, non aveva mai smesso, come se nonostante la suddetta consapevolezza ci fosse una piccola parte di lui che sperava in qualcosa di meglio, un giorno. Quindi, finalmente ammettere che no, non sarebbe andata meglio di così fino al giorno del diploma, fu liberatorio. Quasi, addirittura, consolatorio.
Poteva ambire a un lavoro migliore? Assolutamente sì, ma non come garzone, non come negoziante. Era solo una fase passeggera, necessaria per essere indipendente durante gli anni di studio e nient’altro. Avrebbe continuato a ingoiare bocconi amari fin oltre le proprie capacità di sopportazione. Perché gli servivano i soldi, l’assoluta tranquillità emotiva di non doversi fingere espansivo o gentile (cosa che, per via della mancanza di costrizione, lì da Sinister gli veniva discretamente bene e in maniera spontanea).
Ma a proposito di bocconi amari, comunque, forse era questo il suo massimo limite: quella sbobba non l’avrebbe ingoiata per nulla al mondo. Meglio la povertà.
Con lo sguardo fisso sul volto del Tassorosso, lo vide chinarglisi di fronte. Provò rassicurazione in quella posa, in quel suo sguardo. Improvvisamente serio, lucido in maniera invidiabile. Mentre il Serpeverde era crollato sotto il peso di quella sbobba, Camillo ne aveva ricavato una sorta di forza, di soddisfazione, nel rendergli conto di avere la capacità di “trovare soluzioni ingegnose per problemi complessi”. In qualche modo, la logica di quelle semplici parole gli sbatté addosso come una secchiata di acqua fredda. Quell'ammasso di carne depresso che guardava il bizzarro ragazzo davanti a sé con tanto d’occhi, non era Draven; era poco più ciò che rimaneva di un Draven sull’orlo di una crisi di nervi.
Quanto doveva essere bello viversi la vita senza alcun pensiero, sempre perfettamenti razionali, vispi, arzilli…
Gli annuì.
Man mano che il Tassorosso proseguì a parlargli, fu come se le sue parole fungessero da collante tra i vari pezzi dissestati di sé. E si sentì infinitamente stupido per essere crollato così. Per così poco.
Si rimise in piedi subito dopo di lui e ne seguì i movimenti. Avrebbe memorizzato quell’incantesimo quanto prima, nel caso in cui in futuro si fosse ripresentata la necessità di una simile azione; per quanto, sperava proprio di no.

Grazie. – si limitò a dire, prima di annuirgli di nuovo alle sue parole seguenti. Ok che non andava d’accordo con gli animali, in generale, ma pensò che un piccolo sforzo potesse farlo per ricambiare l’immenso favore che Camillo gli aveva appena fatto.
Un’occhiata più attenta nella bottega non rivelò alcun lascito della traumatica esperienza; l’unica cosa era il pessimo, pestilenziale, odore.

Grazie. – ripeté, come un disco rotto, senza sapere bene cos’altro dire.
Non era di molte parole e si rese conto che lo sfogo degli istanti precedenti lo aveva prosciugato della linfa vitale. Era stanco, spossato fisicamente dai vani tentativi di pulizia e mentalmente per tutto il flusso di pensieri che aveva dovuto affrontare.
Rimasto da solo con il pappagallo, appurato da Camillo che non fosse altro che un pennuto qualsiasi, tornò ad accasciarsi sul terreno. Si avvicinò il cestello della frutta e prese una mela.

FRUTTA.

Mangi solo questa roba o ti nutre di qualcos’altro? Boh, vermi…?

PRIMA ERO UN SERPEVERDE.

Si vede dalle capacità neuronali.

 
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