Merry-Go-Rainbow, Privata.

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CodiceManchester, ore ventuno.
Vi era tutta una serie di artifici magici nascosti a chi il dono della magia nemmeno sapeva cosa fosse. Incantesimi di cammuffamento, disillusione e deterrenza di ogni sorta, sviluppati per le piú ovvie ragioni, per far sí che i babbani non ficcanasassero in faccende che non gli competevano e che non scorrazzassero liberamente per luoghi a loro preclusi. Lo statuto internazionale di segretezza, del resto, aveva imposto alla comunità magica quella che era una norma di buonsenso. Ma mai, e vi dico mai, prima di allora, Camillo si era imbattuto in una stranezza simile, l'ennesima prodezza che, per la sua natura assurda, nemmeno era riuscita a sfiorare le sue fantasie piú goliardiche. Eppure chi l'aveva preceduto si era macchiato di una deliziosa gherminella, una beffa che, una volta svelata, aveva strappato una fragorosa risata al Tassorosso. Fortunato, per nascita, perché la natura aveva voluto che nelle sue vene scorresse sangue d'altrove.
«Ti piace, eh? Pensa che l'ho scoperto una settimana fa. Dicono che al proprietario stiano sul gozzo i maghi britannici».
Oliver ne era stato immediatamente informato, almeno in parte, perché all'olandese era sembrata la sorpresa perfetta per il suo compleanno, al punto che con un discreto anticipo gli aveva fatto recapitare una lettera dai toni vagamente misteriosi. Un semplice invito a tenersi pronto per la sera del quindici maggio e che, se non fosse stato possibile, il giorno seguente o il primo libero in agenda sarebbero stati perfetti.
Lo sguardo balzò rapido dalla figura dell'amico ai due biglietti di cartoncino che teneva in mano. Due tele costellate di forme e colori incantevoli, sfumature dorate e tinte arcobaleno a impreziosire le stampe ballerine in bassorilievo. La fila si era rapidamente scremata ed il bigliettaio s'era fatto immediato, prossimo, inevitabile. Non voleva farlo aspettare.
«Due ingressi serali, grazie». L'aveva guardato con un sorriso contorto, che prometteva divertimento; un divertimento sfrenato, conforme alla natura del luogo, mentre gli porgeva i "Ticketbows" – cosí si chiamavano, per via del ritaglio ad arco in cima alla contromarca.
«Il tuo inglese è ottimo, da dove arrivate?» Un uomo robusto, con due baffi chevron castani e la testa calva gli aveva domandato con un fare fin troppo serio, che non si addiceva per nulla alla sua camicia bianca e alle sue bretelle caleidoscopiche.
«Dall'olanda, signore». Lui sí, Oliver d'altro canto non aveva l'aria di essere olandese. Nemmeno Camillo, a guardarlo bene, ma poco importava. L'uomo sorrise e con un colpo di bacchetta li trasformò in due bracciali, due accessori intrecciati con fili di plastica luminescente dai colori cangianti e in moto continuo, che richiamavano la natura del parco. Li porse ai due giovanotti.
«Benvenuti al Merry-Go-Rainbow, vi auguro una piacevole serata e ricordate di non perderli».
E fu in quel momento che il parco sembrò veramente accendersi, in uno spettacolo che appariva come un sogno arcobaleno in una nuvola di smog. Avrebbero presto scoperto che quello era tutt'altro che smog, vapore dal sapore dolciastro e dal profumo di caramello, e che il clima cambiava man mano che si visitavano aree differenti di quel luogo; che – in alcune – si diceva addirittura piovessero fili di zucchero dal cielo come gocce leggere e affusolate.
«La tradizione vuole che la prima giostra sia quella dei cavallini. In questo caso… degli unicorni sembrerebbe. Sei carico e pronto?»
Gli occhi del buon vecchio Breendbergh si posarono sul viso di Oliver, con una smorfia bizzarra ed incuriosita a scomporgli i tratti, coronata da un sorriso malevolo, come a suggerirgli che da lì in poi le cose si sarebbero fatte movimentate. Nel mentre s'era allacciato il bracciale sulla sinistra.
Come in tutti i parchi a tema, il carosello era la prima giostra ad accogliere i visitatori, così da poterli introdurre gradualmente alle altre meraviglie celate oltre ad essa. Era una tappa obbligatoria, considerata la sua vivacità. Gli unicorni, statue, attendevano i cavalieri quasi scalpitando, ma avrebbero iniziato veramente a galoppare una volta che questi fossero montati in sella. Fortunatamente non c'era fila.
Dietro l'imponente - quanto estrosa - attrazione, altre si stagliavano in tutta la loro distante magnificenza. Tra le luci intense che disturbavano il cielo notturno come schiamazzi iridescenti, già si poteva intravedere una mostruosità fatta di ferraglia, tinta di mille sfumature, con delle curve pericolanti e ripide discese a mettere sull'attenti chi si soffermava ad ammirarla. E presto sarebbe giunto il loro turno di lasciarci l'anima, non prima però di aver adempiuto agli obblighi che le tradizioni del tour comandavano.

 
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view post Posted on 3/6/2023, 17:15
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La vita, talvolta, gli appariva come un continuo déjù-vu. Portava con sé una schiera di coincidenze, di passi e di tasselli, che avrebbe giurato di aver già conosciuto. Molto dipendeva dall'Occhio, tanto beffardo quanto sinistro: sviscerava le trame future ancor prima che potesse averne sentore, in una cornice trapunta di volti, di voci e di promesse nascenti. Quando le palpebre gli tremavano, il battito del cuore accelerava e il respiro si rendeva difficoltoso, sapeva di essere prossimo all'oblio del momento. E, benché avesse sperimentato le conseguenze peggiori, aveva cominciato a prendervi gusto, nell'accezione di completezza. Diventava un modo, di solito, per mettersi alla prova: interpretare i segnali, catturare i richiami più vividi, infine anticipare il tempo con consapevolezza. Un po' come un'indagine, si diceva. Eppure, gli ultimi giorni erano stati bizzarri: né visione né assalto d'ogni genere, oltre la costante, atipica sensazione di gustare note zuccherine tutto intorno. La bocca, curiosamente, si era tinta di dolcezza. Gli s'era impressa l'aspettativa di qualcosa di prezioso, un'occasione giocosa e tuttora indefinita. Giocava con il carillon d'incanto che aveva acquistato tempo addietro ad un evento, ammirandone così la danza degli Alati, dei Thestral e di tante, coloratissime creature magiche; la musichetta di sottofondo, un po' malinconica, cullava il dormiveglia e ingentiliva la notte. Oliver sentiva d'essere in sospeso – gli occhi velati d'insonnia, il cuore aggravato dalle ultime vicende. La solitudine non gli era mai piaciuta, pur trasformandola in un vessillo: gli mancava Penny, gli mancava la sua famiglia, gli mancavano le vecchie abitudini. Mentre il carillon s'acquietava nel giro finale di un tuono alato, una gabbianella gli piombò letteralmente contro il petto, sgusciando dalla finestra fino al dormitorio. Gli bastò poco, leggendo la missiva, per cogliere la beffa della vita: un déjà-vu, una via d'andata e di ritorno, magari una coincidenza. Il gusto zuccherino, sulle labbra, si accentuò, lasciandolo ancor più di stucco dell'enigma che la lettera gli aveva appena svelato. Era sicuramente già in estasi.
❖ Camillo era una scatola delle meraviglie, l'aveva capito da moltissimo. Se tornava indietro nel tempo, ad uno dei loro primi incontri, avrebbe potuto ricordare una bambola voodoo, una striscia di sangue e una porzione di patatine per una puffola pigmea, non necessariamente nello stesso ordine. La loro amicizia aveva un ché di singolare, che non aveva mai avuto modo (non come Oliver avrebbe desiderato) di svilupparsi meglio. Cominciavano a riavvicinarsi, e la pergamena ne era testimonianza: intimamente, poi, Oliver sentiva d'esserne felicissimo, un po' perché si crogiolava all'idea di un'avventura, un po' perché – egoisticamente, forse – era grato che Camillo avesse organizzato qualcosa per il suo compleanno. Non sapere cosa, non dettagliatamente, era anche più elettrizzante. Occhiali rossi a forma di cuore, camicia color blu notte con giacca di jeans, una serie di spille colorate (una del Comitato, una dell'associazione pro Thestral, una per il Club delle Mandragore, giù di lì), jeans a sigaretta, converse alate (letteralmente), e via. Non mancò l'appuntamento, strappandosi agli auguri di passaggio di concasati e di conoscenti. Voleva che la serata, in effetti, fosse soltanto per loro e sì, in parte credeva d'essere su di giri. Gli piaceva, ancora, staccarsi dallo stereotipo che s'era auto-creato, e vivere un po' di tempo come un normalissimo, folle ragazzino che compiva gli anni. La lettera di risposta era stata un a caratteri ingigantiti, con un ringraziamento svolazzante subito sotto e una carezza per la gabbianella. Il giorno seguente, in attesa dell'amico, Oliver non aveva nulla di particolare con sé: una torta, un cupcake, una bottiglia di champagne o di vino, nulla. Non aveva in programma di festeggiare, ecco. Si era ripromesso, però, di recuperare qualcosina strada facendo.
«Ripetimi dove stiamo andando.» Conevenevoli a sé, aveva salutato Camillo con un colpetto affettuoso sulla spalla, che si era reso subito un mezzo abbraccio. La domanda circa la direzione finale, in ogni caso, era stata inutile: il viaggio fino a Manchester, infatti, non aveva fatto altro che rafforzare il senso d'aspettativa. Stringeva il Ticketbow – il biglietto del luna park magico – come un tesoro, rimirandone di continuo i colori, i contorni e la cornice brillante. Che fosse un parco giochi l'aveva capito, ma era ben lontano da afferrarne l'incantesimo che lo governava. La nota zuccherina, in effetti, lo mandò in visibilio e gli diede conferma d'essere in un luogo che avrebbe lasciato il segno. Agli scambi con l'uomo all'ingresso della struttura, Oliver era già fin troppo distratto – attratto, invece, da colori, musiche e voci in lontananza. Colse in ritardo, leggermente, le parole di Camillo. Arrivavano dall'Olanda, aveva detto. Anche lui? Si limitò ad annuire con un vigoroso cenno del capo, accostandosi rapido all'altro.
«Amsterdam.» Avrebbe potuto fare di meglio, ne era consapevole. Perlomeno, aveva accentuato la parola. Sfilò via prima di ogni replica, rigirandosi il bracciale arcobaleno al polso e sollevandolo come un premio di una caccia alle meraviglie.
«Non sto nella pelle, è uno spettacolo!» Sorrideva, in effetti, proprio come un bimbetto. «Tu come l'hai scoperto? E, soprattutto, cosa succede se perdiamo i bracciali? Mi sembra di essere in un sogno ad occhi aperti. Fammi strada, mio giovane unicorno.» Parlò velocissimo, voltandosi di qui e di lì come se convinto di avere un solo momento per vivere tutto il mondo intorno.
 
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view post Posted on 10/6/2023, 10:03
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CodiceLa domanda sulla scoperta del luogo strappò una risata – nervosa, ma non troppo – a Camillo. Vedeva Oliver gasato come non mai e quel suo atteggiamento bizzarro, il suo animo frizzante, contribuiva a far sì che l'entusiasmo fosse ricambiato con altrettanta intensità. Non gli avrebbe detto tutto. Non gli avrebbe detto la reale motivazione per il quale si era ritrovato a razzolare in quell'area di Manchester, ma in fin dei conti era felice che le cose fossero andate com'erano andate, per via di quella piacevole scoperta. Calzava a pennello con i festeggiamenti per il compleanno dell'amico.
«Ero in zona e l'ho visto. Tu dirai: "beh, banale" ed in effetti per me è stato abbastanza banale. Ma poi ho indagato e ho scoperto una cosa strana chiedendo informazioni ad un membro dello staff. A quanto pare il proprietario se la cava alla grande con gli incantesimi di disillusione, al punto che non l'ha esteso semplicemente ai babbani, ma a tutti coloro che hanno sangue dagli UK nelle vene. È un bel mistero, soprattutto perché ha deciso di nascondere il parco in bella vista, pare quasi una grandissima beffa».
Spiegò, lasciandogli intendere tutte le implicazioni del caso. Innanzitutto: perché aprirlo proprio a Manchester? In secondo luogo – anche lui se l'era chiesto – quale ragione portava una persona a compiere un gesto tanto folle, come quello di precludere l'accesso a chi abitava proprio nell'area in cui il Merry-Go-Rainbow era stato costruito. Oliver si sarebbe accorto presto che la maggior parte dei visitatori proveniva dall'estero, per via del mix variegato di lingue parlate ed etnie. Maghi e streghe inglesi, gallesi, scozzesi e del nord-irlanda non mancavano, ma erano in netta minoranza rispetto a chi veniva da altre parti d'Europa e del mondo. Il che suggeriva che non venisse nemmeno fatta grande pubblicità a quel luogo di meraviglie, almeno nel Regno Unito, ma era anche vero che nessuno si poneva problemi per chi, nonostante fosse escluso, riusciva a venirne a conoscenza. Le vie erano appunto due. O l'invito, o un potere magico ed una mente abbastanza forti da soverchiare quell'ostacolo. «Possiamo indagare se vuoi, ma prima è meglio che ci facciamo qualche giro, sia mai che chi fa troppe domande venga cacciato».
Le premesse erano state buttate in tavola, rimaneva comunque una questione da risolvere.
«Il braccialetto penso permetta alla security di distinguere chi è entrato dalla porta d'ingresso e chi si è imbucato, ma non ti saprei dire con certezza».
Camillo sorrise all'amico, roteando quell'accessorio colorato intorno al polso, scrollando la mano. Se agitato si illuminava ancor di piú, come se l'essere messo in moto attivasse una qualche sorta di dinamo magica.
«Via agli unicorni, ne abbiamo di cose da vedere stasera!»
L'invito del tassorosso precedette una mezza corsetta in direzione della giostra. Temeva si formasse fila tra un discorso e l'altro – in realtà, quella non era una delle giostre piú gettonate: il parco era famoso per altre attrazioni piú adrenaliniche e al di là di qualche famigliola allegra, nessuno si era degnato di considerare il carosello con gli unicorni. Non dovettero nemmeno attendere.
«Scegline uno». Nella sfilza di "statuette" dei quadrupedi presenti, spiccavano alcuni esemplari particolarmente saturi di tinte particolarmente accese; ve n'erano alcuni piú sobri e modesti, per il loro aspetto. Nel complesso formavano un discreto ma variegatissimo maneggio. Non ve n'erano due uguali.
Camillo montò in sella a quello rosa, con le macchie nel pelo dalle sfumature cerulee e di lampone, adiacente a quello che il festeggiato aveva designato come suo destriero. La sella era di pelle vera, abbastanza rigida ma comunque comoda per via dell'imbottitura. 10 secondi alla partenza, cosí era stato annunciato.
Con entrambi in sella alla creatura di simil-plastica, quando la giostra dorata fosse stata messa in moto, i cavalieri e i loro compagni avrebbero iniziato a ruotare intorno al carosello, immersi in uno spettacolo di luci proiettate dai faretti in alto alla giostra. Una danza di fuochi dorati sul soffitto, dai toni caldi, tanto da accarezzare la pelle e sentirne il tepore. Ma quello, avrebbero scoperto, era solo un trucco per distrarre i cavalieri dalla magia che stava avvenendo sotto al loro naso, mentre il loro sguardo era rivolto all'insù, attirato dall'intricato gioco di forme e colori che le lampade proiettavano. Poi, di colpo, il buio. Neanche un giro compiuto e la trasfigurazione si manifestò, coinvolgendo la giostra per intero.
Prima gli unicorni avevano assunto una consistenza cosí reale da far sembrare a chi gli stava in sella fossero effettivamente creature in carne e ossa; che quel materiale plasticoso in cui alcune linee ondulate erano state scolpite per simulare il pelo ed il crine della bestiola, non fosse piú solo plastica, ma un manto autentico. Camillo accarezzò il dorso dell'animale e ne sperimentò l'inaspettata setosità. E finalmente, quelle gambe da statua, dapprima bloccate in una posizione fissa, avrebbero iniziato a trottare, in un moto assurdamente realistico – tanto che sospese l'incredulità e si abbandonò per qualche istante all'idea si trattasse di un unicorno vero.
Infine le luci tornarono nuovamente protagoniste di quell'esperienza. Questa volta un arcobaleno trionfante di sfumature vivide e brillanti si accese dal basso, facendo risaltare la meraviglia di un pavimento fatto di nuvole chiare e corpose, battute silenziosamente dagli zoccoli di quei peculiarissimi quadrupedi. Era un po' come se, prendendo vita, si fossero alzati in volo, liberi in un cielo di promesse sfumate con le tinte piú incantevoli che la ruota dei colori avesse da offrire.
Una brezza piacevole accarezzava la pelle, mentre il tetto della giostra accendeva pian piano una volta celeste fatta di tanti puntini luminosi. Stelle nel cielo notturno, vicine e distanti, che formavano costellazioni mai osservate prima.
L'olandese si voltò verso l'amico, con un sorriso incredulo – e vagamente spaventato – a tracciare sul suo viso la sorpresa. Con gli occhi indagatori che andavano a caccia delle emozioni che l'altro stava provando, curioso di scoprire cosa ne pensasse di quella prima tappa.
«Allora, che ne dici?» Gli avrebbe chiesto, con un volume della voce che avrebbe dovuto - in teoria - sovrastare le risate divertite dei presenti e la musica di accompagnamento, una sinfonia gloriosa ed orecchiabile, una composizione tutto sommato rilassante ma non per questo noiosa, a base di sintetizzatori. Per lui, se quelle erano le premesse, se quella era una delle giostre meno gettonate del parco, non avrebbe davvero saputo cosa aspettarsi dalle altre.
Mentre formulava questo pensiero, senza che se ne rendesse conto, una piccola statuetta dell'unicorno che aveva cavalcato comparve sul bracciale, come un pendaglio leggero che ne rispecchiava in tutto e per tutto le proprietà. Ad ogni giostra, un nuovo ornamento si sarebbe aggiunto a quell'accessorio unico, come un momento di pura estasi catturato durante la loro avventura. E cosí, come per gli unicorni di quel carosello, alla fine del tour del Merry-Go-Rainbow, mai sarebbero esistiti due bracciali identici.

 
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Merry-Go-Rainbow custodiva fin dal nome l'aspettativa d'ogni sogno nel cassetto, una promessa di grandi avventure. Perfino il biglietto d'ingresso – il Ticketbow – era una prova inconfutabile, così brillante, colorato e vivace da infondere subito allegria. Oliver lo stringeva a sé come un tesoro, lo tenne in effetti a lungo, anche dopo aver superato i controlli, ricevuto il bracciale ed essere ufficialmente al luna park. Gli dava l'impressione d'essere privilegiato, perlomeno per la sera – e non soltanto perché festeggiava il compleanno. La cornice di giostre, di voci ridenti, di lampi di luce arcobaleno, tutto gli s'offriva in regalo, uno solo per lui (e che, un po' egoista, non avrebbe voluto affidare a nessun'altro). Rimase imbambolato, già oltre i passi iniziali. Cercava di trattenere l'intera visione d'insieme, di gustare appieno il caleidoscopio che gli si svelava in magia: per un attimo, a buona ragione, sentì d'essere trasportato lontano, oltre il presente. Avrebbe giurato d'essere capitombolato in un'illusione, una potente, che...
«Aspetta, Camillo.» Il dubbio gli s'impresse in brivido, il sorrisetto gioviale d'un tratto consumato dall'eventualità di essere in errore. Con tutta probabilità aveva interrotto l'altro, inserendosi tra una battuta e l'altra di un argomento di gran lunga più interessante. Quello dell'amico, s'intendeva: l'idea che il parco giochi potesse celarsi agli abitanti britannici, d'altronde, non era cosa di poco conto. C'era una parte di lui che credeva fortemente vi fosse un'impronta enigmatica sotto, un'indagine che avrebbe potuto mandarlo in visibilio; aveva perfino il dubbio che fosse la stessa zona che in passato era stata ingombrata di paperelle di gomma, tutte stregate in modi sorprendenti e caotici per i babbani di passaggio. Intimamente, però, aveva un cruccio più grande, che avrebbe potuto spegnere ogni gioia in un batter d'occhi.
«Non è opera di un Sognisvegli o cose simili, vero?» Aveva parlato con un filo di voce, quasi preoccupato di concretizzare la preoccupazione; non era sicuro, in effetti, d'essere stato ascoltato dall'altro, si collegò in ogni caso subito al resto.
«Scherzi, non voglio più uscire da qui.» Con il ticket arcobaleno finalmente al sicuro nel taschino, scoccò un'occhiata al bracciale luminoso e partì a sua volta verso il carosello. Comprendeva d'essere stato sciocco, con le incertezze. Non aveva bevuto né mangiato, il viaggio era stato realissimo. Gli bastò poco per averne consapevolezza, la giostra degli unicorni gli apparve in un turbinio che nessun artefatto avrebbe potuto riprodurre. Vi girò attorno, un passo dopo l'altro – l'espressione attonita, il cuore scattante sottopelle. Tornò immediatamente bambino, un tuffo verso l'infanzia più felice; gli sembrò di essere alle feste cittadine, di correre a perdifiato con il suo migliore amico. Erano sensazioni che aveva già provato e che, per molto, aveva creduto d'aver perduto. Non rinunciò alla partenza, affatto. Né provò imbarazzo, scorgendo così tanti bambini.
Adocchiò l'unicorno rosa di Camillo, scegliendone uno altrettanto formidabile ma non troppo lontano – uno lucente, il manto costellato da linee alterne, argentee e avorio. All'apparenza risultava piuttosto semplice, benché gli zoccoli fossero intagliati nella forma di stelle e il corno, sporgente dalla fronte della statua, apparisse incastonato come una mezzaluna. Gli ricordava una costellazione in atto, una creatura giunta dall'universo.
«Ouah, doja njëbrirëshin zebër!» La voce di un bimbetto lo raggiunse di spalle, quand'era oramai già in sella all'unicorno. Gli sorrise, voltandosi e salutando con una manina; l'occhiataccia severa, il broncio e i piedi calpestati del piccolino, però, gli lasciarono una strana sensazione. Cos'è che aveva detto? La giostra partì al galoppo, in un'esplosione di luci e colori. Oliver dimenticò presto ogni altra cosa, attratto com'era dalla cupola tinteggiata di meraviglie. Si sollevò per moltissimi metri, più di quanti credeva possibile; per un attimo ebbe l'impressione di fuggire la giostra stessa, di perdere di vista tutti gli altri e rintanarsi tra le stelle, un punto luminoso a sua volta. L'unicorno gli risultò vivo, una creatura addolcita dal firmamento; il corno brillava in modo insistente, lasciando scivolare di tanto in tanto sbuffi di polvere lunare: uno, due, tre, infiniti frammenti luminosi. Non avrebbe saputo dire se per merito proprio o meno, l'unicorno però lo guidò verso il sentiero di Camillo. Oliver vi si allungò sul dorso, carezzando la testolina della statua e ticchettando una volta sul corno. Un mantello di stelle, in dissolvenza, tentò d'avvolgersi ai cavalieri sottostanti, come l'amico.
«Hey tu» cercò di chiamarlo, cogliendo la voce dell'altro. Oliver sorrideva, tuttora incantato: le mani battevano un ritmo inesistente, un balletto improvvisato.
«Dico che sia fe-no-me-na-le.» Batté una mano sul fianco dell'unicorno. «Ti ho mai raccontato di avere un Cavallo Alato? Prossima volta ti porto in giro, se ti va. Oh, attento! Dietro di te Indicò un unicorno al galoppo: zoccoli di carbone, criniera in fiamme (ma erano vere?), il manto fitto color cenere... sulla statua cavalcava lo stesso bimbetto che si era rivolto poco prima verso Oliver. E, come allora, aveva l'espressione consumata dalla rabbia. Puntava il dito verso entrambi, ma in linea d'aria Camillo era il primo ostacolo sulla sua strada. Era una furia vera e propria, era evidente.
«Unë të djeg, hajdut njëbrirësh» Forse era una richiesta di gioco.
 
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Codice«Niente sognisvegli amico mio, è tutto vero». Camillo aveva constato al suo bro quale fosse la realtà dei fatti, prima di raggiungere la giostra. Quel posto era reale al 100%, anche se – forgiato da traumi di natura illusoria – anche lui inizialmente ne aveva dubitato. Ma a quanto pareva qualcuno si era divertito a tirare su quell'incantevole baracca e ora spettava a loro, ospiti del parco, godersi tutto il divertimento che aveva da offrire.

Mentre trottava felice sul suo unicorno, sopra quel cielo di nuvole colorate, l'olandese aveva gettato uno sguardo al suo compagno d'avventura, assicurandosi che stesse provando la stessa gioia da cui si sentiva pervaso. Sembrava in estasi e glielo confermò a parole. In più, la chicca sul Cavallo Alato.
Il Tassorosso non ne aveva mai visto uno dal vivo, ma non si era meravigliato del fatto che esistesse veramente. Del resto, il mondo della magia gli aveva riservato la sorpresa di creature ben più inusuali; fece solo in tempo ad annuire, abbozzando un sorriso a labbra schiuse, accettando tacitamente il gradevole invito prima di essere messo in guardia sull'assalto imminente. Le parole di Oliver rimbombarono nella sua testa come una sorta di campanello d'allarme e lui si voltò, assistendo in prima persona a… a cosa stava assistendo di preciso?
C'era un bambino che montava una belva infuocata, un cavaliere dell'apocalisse al galoppo in loro direzione. Gridava parole in una lingua sconosciuta, ma non serviva conoscerla per comprendere quale fosse il significato, quali fossero le sue intenzioni. Aveva scambiato quel carosello per una sorta di autoscontro, gettando al firmamento – a loro, in primis – promesse di morte.
«Olly, schiaccia a tavoletta, quello ci sta per fare!» Espressione colloquiale con cui invitò l'amico ad accelerare, cosa che fece anche lui. La briglia agitata con fermezza, la postura sbilanciata in avanti e le gambe ben strette sulla sella, pronto alla corsa. «Dai dai dai dai che lo seminiamooooo…».
La bestia, quella su cui era montato, aveva iniziato a correre sul dolce sentiero di nuvole come se dalla sua celerità ne fosse dipesa la vita di entrambi. Aveva un modo buffo di spostarsi nella volta celeste: il movimento delle zampe era reale, ma non sentire il suono degli zoccoli che battevano contro una superficie tangibile in qualche modo destabilizzava la concezione che aveva di una fuga a cavallo. Ad unicorno, se vogliamo essere pignoli. Eppure, ogni zoccolata data al morbido telo di batuffoli bianchi, sollevava sbuffi vaporosi come fossero stati soffi di polvere. Sentiva il vento sferzargli il viso, la pelle. Sentiva l'aria che lo accoglieva nel suo abbraccio frenetico, i capelli mossi, le stelle a guidarlo sul sentiero della salvezza. Pure quella musica soave che fino a poco prima gli aveva accarezzato i timpani, pareva la colonna sonora di un boss encounter; ci mancava solo che il fanciulletto indemoniato avesse una barra della vita sopra la testa ed il gioco era fatto.
«Ooooolly, se entriamo in quella galassia forse riusciamo a seminarlo». Invitò l'amico a gettarsi a capofitto insieme a lui dentro un agglomerato di stelle, pianeti e asteroidi che si era manifestato sulla pista in mille tinte dai colori più disparati, con il blu scuro di una notte profonda a fare da tela. Lì, si era detto, sarebbero riusciti a scampare alla furia omicida del bambino Albanese, facendo lo slalom tra i corpi celesti e le nubi astronomiche.
«5 secondi all'impatto - 3… 2… 1…». Conto alla rovescia, approssimativo – non era un fisico, né un cronometro – era solo un ragazzo che con il suo amico correva tra gli astri in cerca di una sopravvivenza per nulla scontata.
La galassia, nella sua spirale puntiforme, emanava un tepore accogliente, una respiro vorticoso di granelli glitterati che si posavano timidamente sulla pelle e sui vestiti, impreziosendoli con pennellate iridescenti, dettagli artistici che si sposavano bene con il gioco di luci e ombre dei faretti.
Poi il vapore, la coltre cosmica che li inghiottì gli diede un attimo per sentirsi al sicuro e accertarsi che anche l'amico fosse lì con lui a fare esperienza di quella meraviglia. Si disse che finalmente si erano lasciati il marmocchio alle spalle.
Ma quando si voltò, le fiamme tornarono a mostrarsi prossime come il presagio di una fine imminente.
A quel punto Camillo si decise che era giunto il momento. Una cosa ed una soltanto sapeva dire in albanese, una frase talmente putrescente da – sperava – disorientare il bimbo gettandolo in lacrime. Quando le corde vocali si sentirono pronte a toccare quelle sillabe malevole, vi fu la comparsa di una figura eterea che montava un unicorno giallo canarino, senza pretese.
Una donna giovane e bellissima, dai capelli neri come lo spazio profondo, un viso dolce e una voce altrettanto tenera. Probabilmente, si era detto, doveva essere la mamma di quel bambino pestifero, per la tenerezza con cui si era rivolta a lui. Nella stessa lingua, tanto per avere un altro indizio sul loro legame.
«Mik, bëhu i mirë, jam e sigurt se ato djem nuk donin të të vjedhin unicornin».
Il bimbo rallentò la corsa e lo sentì lamentarsi in lontananza.
«Oh, nënë, por unë doja zebrën. Por tani dua waffles».

«Olly, forse siamo in salvo…».
Mai dar nulla per scontato, ma volle crederci, mentre si allontanavano da quello che una volta fu per loro la promessa di una rovina annunciata. Strano come un corpo così minuto potesse ospitare una furia tanto spaventosa. Doveva essere lo stesso principio secondo cui il vino buono si trovava spesso nelle botti piccole. Nel dubbio, fu in quel momento che si promise di non avere mai figli.

 
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Il volo sull'unicorno di stoffa era tutt'altra cosa, una delle infinite meraviglie del mondo magico. Il confronto – soprattutto con il Cavallo Alato – non aveva motivo d'esistere, il senso del gioco in sé e del divertimento sfrenato era tutto lì, in sella. Credersi un cavaliere all'orizzonte, tutto sommato, gli piaceva. Gli donava una cornice originalissima, un ritorno alle origini più spensierate. Quand'era l'ultima volta che aveva saputo lasciarsi andare? Diventava facile, allora, catturare i segni di una felicità preziosa, che a lungo aveva dimenticato: il sorrisetto, il cuore pulsante, il pizzicore d'estasi lungo la pelle. Avrebbe giurato d'essere in un sogno, ancor più che in un'illusione. Correre in fuga, poi, rendeva l'avventura perfino migliore, con un soffio di adrenalina cui non avrebbe mai rinunciato. Partì al galoppo come una furia, un colpo alle staffe e un grido dispersivo tutto intorno; l'unicorno gli continuò ad apparire in carne ed ossa, il manto zebrato tanto morbido da spingerlo a carezzarlo distrattamente. Non avrebbe saputo dire verso quale direzione stesse virando, il volo s'era fatto scattante e presto poté perdere ogni equilibrio; si scoprì emozionato a temere il peggio: una caduta, uno scontro, un capitombolo che avrebbe potuto cambiare drasticamente il momento. C'era un ché di pazzesco, però, che invitava a pretendere di più, a non accontentarsi. Il bimbetto dietro di loro, infatti, gli risultò rapidamente una sfida, più che una minaccia vera e propria. Una corsa contro il tempo e lo spazio, ecco, che ritrovò Oliver come un fantino privo d'ogni controllo. Ovunque volasse, destra, sinistra o in alto, l'unicorno zebrato vorticava in un fascio di luce. Il corno soffiava via un mantello di stelle, alcune così sottili da somigliare a polvere di luna, altre così grosse da manifestarsi come ametiste (o colpi di cannone, perché no). Non era certo che potessero ferire, forse era tutt'illusione della giostra – importava poi davvero? Il furfante, letteralmente in fiamme, non poté raggiungerlo per bene: in parte perché Oliver seguì subito l'amico verso la galassia che aveva adocchiato, in parte perché il turbinio stellare s'amalgamò alle fiammelle dell'altro unicorno. Un'esplosione, quella, che attirò diverse occhiatacce e che mutò la notte in giorno, per pochi frangenti. Non si volse più indietro, immergendosi a sua volta come un puntino tra le stelle. Il Marry-go-Rainbow brillava di promesse, vagabondava tra pianeti e costellazioni indistinte: volare, volare via, volare lontano. Cos'altro avrebbe mai potuto desiderare per il compleanno?
«Ore dieci, atterraggiooo» Si concentrò, in effetti, sulla pista sottostante: l'unicorno allungò il capo come ad assicurargli d'aver afferrato perfettamente, cominciando a virare per poi discendere lungo una processione lunare. Gli ricordava una stella cadente, una scia luminosa in velo notturno. Poco dopo, Oliver gli carezzò il muso e il corno, e gli diede un ultimo buffetto a mo' di saluto. Toccare suolo gli sembrò una certezza cui non avrebbe fatto affidamento. Non c'era più traccia del bimbetto, non aveva seguito la vicenda di salvataggio. Individuò Camillo e gli andò incontro a passo rapidissimo.
«Pazzesco, se abbiamo tempo ci torniamo un'altra volta dopo? Guardati, hai la pelle così colorata da sembrare un Fiammagranchio.» Oh sì, non che lui fosse da meno: il vortice di brillantini e glitter di poco prima aveva lasciato il segno, punti coloratissimi lungo le braccia, le mani e parte delle guance. «Sai, il granchio con le gemme colorate sul carapace, quello che sputa fuoco dal cu–» A briglia sciolta, si fermò d'un tratto solo perché aveva scoperto un banchetto delle meraviglie, un'altro tra i tanti in giro. Lungo la strada, infatti, c'erano botteghe e chioschetti variopinti: hamburger, hot-dog, patatine fritte, gelati e caramelle, era davvero impressionante. Il suo traguardo, però, era un tipetto che realizzava veri e propri capolavori di zucchero filato, sempre coloratissimo. All'apparenza era una cosa comune, ancor più in luna park, ma era il modo in cui lo zucchero cambiava ad averlo incuriosito. Bastava addentarlo, anche solo sfiorarlo, e mutava in una forma dopo l'altra – un'orca, una scimmia, uno yeti.
«Zucchero Legilimante, provare per credere!» Il richiamo dell'omaccione dietro il banchetto, a quel punto, poté spronarlo sicuramente. Con tutta probabilità si trattava di zucchero incantato, eppure... era divertente, poco ma sicuro. Sentiva i bimbetti tutto intorno gridare estasiati: mi ha letto la mente, l'ho pensato io, proprio ora.
«Mostrami i tuoi pensieri, zuccherino.» Via d'occhiolino, Oliver già s'avviava in fila. Non aveva notato, tuttavia, l'avvicinarsi del bimbetto malefico: oltre lo zucchero filato c'erano waffle, eppure... mancava poco prima che finissero, in vetrinetta.
 
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Codice«Aspetta, fammi capire… mi stai dicendo che esistono dei granchi così e io non sono diventato un braccon-. Vi fu qualche istante di silenzio. Sguardo serio. Da dove sparano le fiamme?».
C'era da dire che Camillo era ancora scombussolato dalla corsa folle, sparato al galoppo nel bel mezzo della volta celeste, così come dal turbolento atterraggio che ne era seguito. Eppure. Eppure eppure eppure, sottolineato piú volte, proprio quando si era ormai convinto di averle viste tutte – le creature del mondo magico – Oliver aveva fatto sì che si ricredesse in un istante che parve durare in eterno. Li voleva tutti. Il pensiero di mollare qualunque progetto futuro per diventare allevatore di Fiammagranchi per un istante gli sfiorò i pensieri, ma non fece in tempo a radicarsi perché l'amico si avviò svelto alla bancarella dei waffles e dello Zucchero Legillimante.
Lo seguì a passo svelto, con i granchi incastonati di pietre preziose nella loro scorca carapaciosa che sfumavano rapidamente, lasciando spazio alla curiosità per l'ennesima meraviglia della giornata. Preso il posto in fila accanto a lui lo squadrò, catturando i dettagli della polvere iridescente che si era posata su tutta la sua figura. Irradiata dalle luci arcobaleno del parco gli donava un'aria mistica, spaziale: pareva un personaggio uscito da un fumetto della Marvel, uno di quelli che si facevano la scampagnata dalle profondità dello spazio inesplorato per raggiungere inevitabilmente New York. Solo che non erano a New York, erano a Manchester. Potevano dirsi al sicuro?
«Anche tu sei tutto glitterato, Mr. Brillantino. Mi sa che dissemineremo polveri galattiche per tutto il parco stasera». Gettò quell'osservazione in tavola senza nessuna allusione a sostanze stupefacenti, l'unica cosa stupefacente in quel momento erano loro, modestamente. Sembravano appena usciti dalla festa del secolo e ancora non erano entrati nel vivo dell'avventura. «Chissà come usciremo Merry Go Rainbow una volta finito il tour, immagino finiremo per emanare luci caleidoscopiche».Lampadine ambulanti che rischiaravano il cielo notturno come prismi irradiati da scariche fotoniche.
Scremata la fila si avvicinarono al banco, tanto da poter finalmente ordinare ciò che piú desideravano dall'omaccione.
Breendbergh accolse con una discreta malizia l'invito di Oliver, facendogli un occhiolino prima di ruotare il capo quel tanto che bastava da piantare uno sguardo a dir poco maligno negli occhi del commesso di turno. Una piccola fantasia s'accese come una fiammella, pronta a divampare in un maestoso incendio.
«Io quella roba non la faccio!»
L'omone si era imposto, incrociando le braccia possenti come se col linguaggio del corpo avesse voluto sbarrare la via ad ogni possibile trattativa. Fu solo a quel punto che un piccolo malloppo di Elisabette sorridenti scivolarono verso di lui; lo stava corrompendo.
«Veniamoci incontro, suvvia». Provò a tentarlo ed in un certo senso ci riuscì. Alla fine l'uomo decise di andargli veramente incontro, non proprio a mezza via, ecco; si sbilanciò tanto poco da rischiare di deluderlo e mentre lavorava i filamenti zuccherini, come a tessere una tela scabrosa, quello che ne uscí fu soltanto una piovra con un paio di tentacoli messi a formare un enorme cuore sopra la sua testolina appuntita. S'era buttato sulla simbologia, in quella che lo stesso olandese considerava una scappatoia raffinata.
«Prendo anche una vaschetta di minicrepes con il cioccolato bianco e l'amarena, gli ultimi tre waffles che avete e una bottiglietta di coca-cola. Se non avete la cola mi accontento dell'acqua. E ovviamente quello che prende il mio amico». Altre Regine e galeoni vennero aggiunti al conteggio di quelle che aveva già offerto in sacrificio per corromperlo, così da saldare tutto sia per sé che per Oliver. Ovviamente aveva intenzione di codividere, guai a morire per un'overdose di dolci proprio all'inizio della serata.
Poi avrebbe atteso di scoprire cosa fosse uscito dalla fantasia di Mr. Brillantino, e di osservare nuovamente all'opera il mastro dolciaio, se fosse stato nell'interesse dell'amico aprirgli la mente.
Finito il giro di acquisti, si ritrovò con la sua piovra in mano e dei sacchetti pieni di leccornie, ma soprattutto si ritrovò nuovamente il demonio alle spalle. Non c'aveva fatto ancora caso, ma pareva sul punto di mettersi a frignare, mentre dai suoi discorsi capiva solo una parola. Waffles.
Che gran dispiacere, aveva finito gli ultimi.
Si voltò, neanche fosse uscito direttamente da "L'Esorcista", prima ruotando il collo e poi il resto del corpo, come una civetta, piantando uno sguardo nefasto negli occhi del fanciullo.
A quel punto il bimbo si era fermato, in una sorta di paralisi indotta dalla figura di un adulto che non sembrava avere buone intenzioni nei suoi confronti. E invece, contro ogni aspettativa, Breendbergh si abbassò, piegandosi sulle ginocchia per poterlo guardare meglio in faccia.
«Se alla tua mamma non dispiace, te ne do uno io di Waffle». Alzò gli occhi verso la donna, che a sua volta gli mostrò un sorriso gentile e un lieve cenno del capo in segno di assenso. Non capiva se comprendessero l'inglese, ma il linguaggio del corpo era universale, un po' come la parola Waffle. Porse il sacchetto al bimbo ed il suo sguardo si illuminò, lasciando scivolar via tutta l'intenzione di piantar grane che l'aveva accompagnato sin dalla giostra degli unicorni. Ora pareva in qualche modo soddisfatto.
Era meglio colpirli quando meno se lo aspettavano.
Un colpo di tosse per schiarirsi la voce e le corde finalmente vibrarono quelle parole infauste che la lingua aveva ben pensato di trattenergli in gola. Un sussurro, modulato con un' intonazione severa.
«Mos harro të qëndrosh i hidratuar!»
Neanche sapeva cosa volesse dire, ma sapeva dirlo. Sua madre rise e Camillo accennò un ghigno da burla, prima di risollevarsi sulle gambe e rivolgersi ad Oliver.
«Cosa dici? Ruota panoramica con annessa scorpacciata?»
In effetti il piano cena più panorama aveva il suo fascino. Non avevano ancora mangiato e già l'acquolina in bocca iniziava a lanciargli un forte segnale: recuperare le energie prima di scaraventarsi a bordo delle giostre piú adrenaliniche. Sperando di non vomitare.
A quel punto, se Mr. Brillantino fosse stato d'accordo, sarebbero andati in cerca della mega struttura. Non sarebbe stata difficile da trovare, bastava andare a zonzo col naso all'insù. Era… vistosa.

 
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Oliver era goloso, poco ma sicuro. C'erano stati giorni, in passato, in cui fare tappa fissa da Mielandia era diventato un bisogno primario, ancor prima che un piacere. Era stato una spina al fianco dei concasati – per Juliet, soprattutto, alla quale puntualmente chiedeva di portare sacchetti di api frizzole, di rientro dal turno lavorativo presso la pasticceria del villaggio magico; e per molti, moltissimi altri: i compagni di dormitorio, tra l'altro, avevano fatto l'abitudine alle bizzarre cene, o spuntini a tarda notte, a base di cupcake coperti di glassa, fette di torte all'amarena e cookies al caramello. Il banchetto dello zucchero filante gli apparve come in miraggio, letteralmente. Se la voce del negoziante poté attirarlo pari al canto di sirena, il turbinio dolcissimo che s'aggirava tutto intorno gli risultò un'autentica trappola. Non pensò neanche una volta di passarvi oltre, non per fame... più per capriccio, tutto sommato. Come avrebbe mai potuto rinunciarvi? Oltre lo zucchero legilimante (che si appuntò di provare il prima possibile), la vetrinetta zampillò in attenzione alla stregua di un sortilegio: waffles, biscotti più grandi di un pugno, girelle di liquirizia, soprattutto...
«Caramelle gommose.» Soffiò l'ultimo commento come un bimbetto perduto tra i sogni, occhi aperti volti verso le meraviglie del luna park. Le vedeva tutte in fila, forme, colori e geometrie di delizia: orsetti, coccodrilli, squali variopinti, e denti di vampiro, maxi cuori, ciliegine e burrobirre zuccherine in miniatura. C'era soltanto l'imbarazzo della scelta.
«Sei innamorato della Piovra Gigante del Lago Nero oppure–» Non mancò di acciuffare la richiesta dell'amico: lo zucchero filante vorticò fino a districarsi in una schiera di tentacoli – la raffigurazione adamantina di un polpo. O almeno così gli sembrò, finché non adocchiò una sorta di cuore in risalto. Con Camillo, però, tutto poteva essere, e in effetti si affrettò a sollevare le mani in segno di resa.
«Preferisco non chiedere. E comunque, Mr Brillantino mi piace. Sarà il mio nome per i night club, organizzerò io la prossima uscita.» Accadde poi rapidamente, la frazione di un battito di ciglia. Si accorse di aver richiesto a sua volta lo zucchero filante, presto già trasfigurato in forme disparate: un cavallo alato, una palma con noci di cocco (un po' osé all'occhio vispo, bisognava ammetterlo). Eppure, Oliver si ritrovò capitombolato altrove. Catturò l'immagine riflessa di una spiaggia, una lunghissima battigia di sabbia bianca oltre onde cristalline. Il guizzo di un costume – era Camillo che lo indossava? – con tanti unicorni coloratissimi in ricamo, e infine un lampo di fuoco che lo riportò al momento. Questione di secondi, il tempo di un'occhiataccia dal venditore.
«Allora, Diamantino, ci sbrighiamo o no?» Gli scoccò un sorrisetto confuso, con un cenno del capo altrettanto enigmatico. Oltre lo zucchero filante, che rimase curiosamente nell'immagine di una palma di cocco, snocciolò un paio di rapide richieste: caramelle gommose in un sacchetto, una dietro l'altra a colpi di indice; e una lattina di limonata ghiacciata, soltanto perché seguì lo stesso esempio di un tipetto prima di lui. Voltandosi indietro, desiderò ringraziare Camillo ancora una volta, accorgendosi però del bimbetto imbestialito (e temendo più per lui che per l'amico, in effetti). Strinse i denti all'idea che la frase in lingua straniera di Camillo potesse essere un insulto, portò il sacchetto di caramelle e lo zucchero filante al petto – entrambe le mani a mo' di difesa. Tuttavia, si risolse in un sorrisetto, e gli parve ancor più mistico di poco prima.
«Cosa gli hai detto? Non ci pedinerà sulla Ruota Panoramica, no?» Notò d'aver sorriso a sua volta, un po' elettrizzato perfino dall'idea di avere un nemico giurato ad un luna park. Quand'è che sarebbe capitato di nuovo? A pochi passi lontano dalla fila di persone, ne approfittò per annuire all'idea della ruota.
«Dovrei essere io a offrirti tutte queste cose, grazie ancora. Promettimi che almeno una torta o un brindisi spetterà a me alla fine. Vuoi un coccodrillo?» Con una mano stretta allo stecchino dello zucchero filante, la lattina in una tasca della giacca a jeans, poté trafficare con il sacchetto di caramelle gommose: in superficie, coloratissimi, c'erano coccodrilli e orsetti, una combinazione che gli apparve deliziosa. Scavò però di lato per una azzurrina, un morso e via di uno squalo di zucchero. Era sul punto di dire che fossero caramelle gommose piuttosto normali, anche se gustose, quando la bocca gli si tinse interamente di blu. Soffiò via d'istinto come quando si ha una gomma da masticare, realizzando una bolla in tinta simile: l'istante successivo, uno squalo in carne ed ossa (naturalmente innocuo) spuntò per magia. Sospeso a mezz'aria, identico in colore e in forma ingigantita allo squalo di zucchero, lasciò ondeggiare testa e coda con un sorrisone di denti aguzzi e una lunga scia di brillanti blu. Oliver si avvicinò per carezzargli le pinne, e scoprì come fosse morbidissimo... e resistente.
«Posso offrirti un passaggio alla ruota, Squaletto?» Sia lui che lo squalo, rapidissimi, volsero la testolina verso Camillo. Poco dopo Oliver già allungava una gamba per sistemarsi al galoppo della creaturina, l'espressione malandrina verso l'altro.
 
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view post Posted on 23/8/2023, 17:31
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Codice«Io, te ed i Night Club, allora è deciso!».
Rispose ad Oliver trattenendo a stento una risata. Quella proposta suonava così allettante. Già se la immaginava l'uscita successiva: di sera, perché i Night Club erano appunto aperti di night, che se ne stavano lì a fare gruppetto con la gente piú bizzarra. Che poi, piccola parentesi, fino a quel momento con i Night Club non aveva avuto chissà quale fortuna, specialmente con uno in particolare che gli balzò repentino tra i pensieri, ma si scrollò quell'idea di dosso. Magari, si era detto, in giro ce n'erano altri meno ostili – non ce la faceva proprio a spendere metà delle sue energie mentali a questionare se ogni sua scelta morale fosse giusta o deprecabile, alla meglio. In quel momento, nello specifico, era così immerso nell'atmosfera del parco che voleva solo rilassarsi, abbuffarsi e provare tutte le attrazioni presenti in compagnia del suo amico.
Diamantino, così ormai era noto alla bancarella, aveva dato sfogo alla propria fantasia e Camillo aveva colto i richiami estivi dei suoi desideri più reconditi manifestarsi attraverso fili di glucosio dall'eloquenza senza pari. S'era detto che ormai erano sintonizzati, perché tra il polpo e la palma si creava un bel quadretto. Prossimo viaggio: un posto caldo – i Caraibi, magari – dove poter prendere il sole sulla spiaggia e rimanere in ammollo come paperelle di gomma su specchi d'acqua cristallini.
«Al bimbo ho detto qualcosa riguardo all'importanza di bere quando fa caldo, credo. Il mio albanese è arr- ma è uno squalo quello?» S'interruppe, ponendo la domanda piú ovvia possibile, a cui si aspettava seguisse un contro-quesito "squale?" e la precisazione d'obbligo "squello". A lui era stato offerto un coccodrillo e dopo essersi sistemato la lattina e tutto l'ambaradan di leccornie tra tasche e taschini, aveva accettato, ringraziando l'amico, per poi ripeterne i gesti. A lui toccò, neanche a dirlo, un coccodrillo, nato da una bolla soffiata nello stile dei mastri vetrai di Venezia. Solo che il suo coccodrillo non volava e non sembrava particolarlmente simpatico, non come lo squalo almeno. Pigro e un po' deluso, gli si svaccò sulla spalla, penzolando come una pelliccia di visone troppo squamosa e gommosa per essere effettivamente visone, mentre curiosava qua e là con il suo muso – letteralmente – lungo.
Camillo guardò il coccodrillo e il coccodrillo guardò Camillo. Poi il tassorosso si rivolse ad Oliver, già pronto per il galoppo verso la loro meta preposta.
«Ahhhh guardalo che scansafatiche, mi sa che vi seguirò a piedi!» Aveva constatato, assaporando le reminiscenze della gomma dolce tra le labbra. Strappò un tentacolo del polipo, lo accartocciò, schiacciandolo e comprimendolo fino a farlo diventare una piccola caramella, poi lo azzannò. Esattamente il sapore che si aspettava. Glissò ogni richiesta e ogni promessa di sdebitamento: era il suo compleanno e in qualità di festeggiato, l'unico compito che aveva era quello di essere viziato, cosa che a Camillo non dispiaceva. In fin dei conti voleva regalargli un'esperienza, senza che lui dovesse far nulla per contraccambiare. Anzi, a dirla tutta lo avrebbe messo un po' in imbarazzo.
Arrivati alla fila per la ruota panoramica, la si poteva ammirare in tutto il suo mostruoso splendore. Ecomostruoso splendore. Splendeva davvero, ed era un ecomostro di luci arcobaleno e metallo pitturato a regola d'arte. Una costruzione che lasciava a bocca aperta chiunque la ammirasse, e che un po' ricordava il London Eye, anche se pareva un po' piú tozza e minuta tracciando ad occhio le dimensioni. Non meno impressionante, certo. Le cabine, a quattro posti, disposti a coppie come gradini, si alzavano lentamente e si prendevano il loro tempo per fare un giro completo del cerchio. Sembravano quelle babbane, con tanto di sbarra di ferro che ti si chiudeva sulle gambe come una trappola per topi, così da non farti cadere rovinosamente al suolo. L'unica differenza stava nel modo in cui erano dipinte che aveva lasciato Camillo vagamente ipnotizzato; la vernice si manifestava come un ologramma in costante mutazione, che dava spazio a colori e forme stupefacenti, in una danza di frattali che incantava il movimento della giostra. Se non fosse stato impossibile, avrebbe detto che la scocca era pannellata con degli schermi a led, ma dato che magia e tecnologia non andavano d'accordo, si abbandonò all'idea che chi le aveva trasfigurate avesse preso il proprio lavoro come un'espressione del proprio estro, lasciando ogni briciolo di sufficienza nella cassetta degli attrezzi. Un delirio rilassante, l'ossimoro di una fantasia febbrile che lasciava stregati.
Faticò a staccare gli occhi dal via vai di cabine e quando lo fece, si accorse che la fila si era scremata e quasi toccava a loro. Rivolse uno sguardo divertito all'amico, comodo a cavallo del proprio squalo di cingomma. «Pazzesco, vero? Chissà se è altrettanto affascinante anche da… beh proviamo».
L'opera era stata ammirata a sufficienza – non scherzo se dico che mandava in pappa il cervello e ti lasciava di stucco, come uno zombie; un modo carino per ammazzare l'attesa durante i tempi di coda – e ora bisognava provarla. Quando la cabina giunse al suolo, invitò Oliver a salire per primo, sul gradino alto insieme a lui. Avrebbe disposto il coccodrillo gonfiato su quello in basso, come se fosse stato un passeggero che si godeva l'attrazione e si era detto che magari ad Oliver andava di fare lo stesso con il proprio famiglio improvvisato. Poi tirò fuori i dolci che aveva comprato poco prima, aprendo la vaschetta e posandola sulla sbarra di ferro come se fosse stata un tavolino pensato apposta per lo scopo.
Aveva ordinato mini-crepes al cioccolato bianco e all'amarena e due waffles. Nella confezione si era fatto mettere due forchette, intenzionato a condividere il manicaretto con lo young Grifondoro.
«Abbuffata e panorama, è necessario». Aveva reso esplicita la sua intenzione, indicando la seconda forchetta, in un gesto che sembrava voler dire "ti prego aiutami". Una richiesta che non lasciava scampo. Prese il proprio waffle e invitò Mr. Brillantino a fare lo stesso con l'altro, proponendogli un cin-cin con il cibo invece di quello classico con la bibita.
La carrozza, nel mentre, si era lentamente alzata, rivelando non solo le meraviglie luminose del parco sottostante, ma i primi accenni del tessuto urbano di Manchester, con le Pennine in lontananza a nord, l'Arena e la Cattedrale intrecciate al puzzle della città. Ciò che la natura aveva offerto, e quello che l'uomo aveva costruito tutt'intorno. Una spolverata di fuochi, come pois sul velo di una notte buia che si infittiva, vestiva Manchester con un tocco di romanticità panoramica. Breendbergh aveva seguito le strade principali con lo sguardo, come cuciture ricolme di vita che si disperdevano tra i filamenti piú sottili, finché la cabina non aveva raggiunto una quota abbastanza alta da non permettergli di distinguere piú chiaramente i vari elementi che li componevano.
La cabina, in tutto questo, aveva iniziato a ruotare lentamente. Ad est offriva la vista dei corsi d'acqua e dei canali, che una volta servivano le industrie e che poi avevano cominciato a pullulare di una vivacità commerciale. Il Museo della Scienza e dell'Industria, che si ergeva sui vecchi siti ferroviari, risaltava in quel paesaggio come un gioiello unico nel suo genere.
A sud l'Università, con il suo bizzarro mix di edifici storici e moderni. Piú in là il "Vecchio Stadio". Ad ovest i quartieri residenziali in continua espansione e la vastità delle aree verdi che offrivano un contrasto rinfrescante dall'asfalto, dal cemento e dai mattoni.
Il Tassorosso prendeva bocconi di panorama a poco a poco, come i morsi che stava dando al waffle incartato, senza rendersi conto che la ruota li stava portando sempre piú in alto. Troppo in alto. Non accennava a fermarsi. Come se avesse smesso di essere una ruota panoramica e si fosse trasformata in un ascensore verso la volta celeste. Mentre formulava quel pensiero, e l'aria sempre piú fresca e diradata cominciava ad imporre la propria assenza, una bolla trasparente era comparsa intorno alla cabina, creando un'atmosfera interna molto gradevole.
Si voltò verso l'amico, con un briciolo di timore nello sguardo. «Sai, ho il presentimento che continueremo a salire. Sei mai stato così in alto?» Domandò, mentre il mondo sotto di loro si faceva piú piccino e la città perdeva la propria identità, sfumando tra gli altri domini della Corona.

 
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view post Posted on 14/10/2023, 16:56
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Intimamente desiderò scoprire di più sul connubio lingua albanese—idratazione, più che altro per un guizzo di curiosità. Camillo, d'altronde, era un luna park vivente, uno in carne ed ossa: di quelli ben fatti, con lucine, giostre variopinte, e tanti, tantissimi misteri. Così come pericoli, pensò. Non s'azzardò ad interrogare l'amico, non più di quanto non avesse già fatto. Ancora non era propriamente convinto di come fosse riuscito a beccare quel mondo dei balocchi in un angolo di Manchester, e... doveva ammetterlo, rendeva tutto più affascinante del solito. Per di più, si scoprì grato di lasciarsi il marmocchio fastidioso alle spalle. Con l'ultimo cenno verso la coppia — madre e figlio —, Oliver trasse un respiro di sollievo. Un po' marcato, in effetti, con tanto di mano al petto e di occhi volti in alto in preghiera.
«Se dovesse inseguirci qualcun altro, gli mandiamo contro lo squalo e...» Squello Il coccodrillo, indicò. Non fu certo di cosa fosse, non subito. Benché le caramelle gommose fossero straordinarie, la magia d'insieme invocava molta fantasia dall'osservatore. All'inizio, purtroppo, Oliver quasi si ritrovò a credere fosse una tartaruga. O un Fiammagranchio, già che c'erano. Invece, il coccodrillo — pigro al punto giusto — trasformò il momento in una festa continua. Infilò il sacchetto di caramelle in tasca, accanto alla lattina di limonata; tutto pur di godersi la scena. Il coccodrillo non sembrava molto collaborativo, perlomeno non come l'altra creatura d'incanto: lo squalo, infatti, portò in risalto le zanne come in un ghigno di beffa. Con un colpettino sulla testa e un altro sulle pinne, Oliver invitò la bestiolina magica a procedere, senza giochi di prestigio o di confronto. Quasi ci rimase male che Camillo non fosse saltato al galoppo lì con lui, ma... l'andatura dello squalo era lentissima, un po' come andare al trotto di una giostra sì scintillante, ma poco affidabile. Gli piacque comunque molto, senza dubbio.
Ne approfittò per mordicchiare lo zucchero filato, pezzetto dopo pezzetto. Alla fine, con lo stecchino vuoto tra le dita e baffi dolcissimi sulla bocca, Oliver si sentì fin troppo in estasi. Adorava ogni singolo istante della giornata, e pensare che la Ruota Panoramica poco lontana fosse la loro prossima tappa gli riempì immediatamente, ulteriormente il cuore. Scese dallo squaletto, gli occhi già verso l'imponente struttura di metallo; era come un gigante arcobaleno, una tempesta di lampi colorati. Seguì Camillo, velocissimo.
«Mi darai anche un bacino sulla guancia?» La butto così, al volo. Il riferimento era all'assetto solitamente romantico di giostre come quelle, ma con tutta probabilità si trattò di un afflusso immane di zucchero al cervello e al cuore; sorrise come un bimbetto finché non prese posto accanto all'altro, rifilando lo squalo (con tanto di zanne luminescenti) sul gradino più basso accanto al coccodrillo. Bel quartetto, sicuramente.
Si lasciò tentare volentieri dall'ennesima offerta di cibo zuccherino, via di forchetta, di brindisi con waffle e conseguente boccone. Assaporare tutto, così si era ripromesso: sensazioni, dolcezze, ogni altra cosa. Si sentì in effetti spensierato, come non gli capitava da molto. Con la salita, la cabina svelò un panorama mozzafiato: luoghi, edifici, scorci del parco giochi e della città di Manchester sempre più sullo sfondo. Rimase sovrappensiero, forse più di un istante. Finché la voce di Camillo lo riportò lì.
«Sono stato molto in alto, con il Cavallo Alato. Ma così in alto non credo.» In effetti... salivano. Salivano di continuo. Senza fermarsi. L'aria, d'un tratto più rarefatta, soffiò altrettanto gelida; la bolla di magia tutto intorno acquietò la situazione, un tepore gentile lungo la struttura. D'un tratto il paesaggio parve sfumare, forse opera di un'altra giocosa trasfigurazione in atto oppure... di un vero e proprio volo. Comparvero puntini luminosi, un velo notturno impreziosito dalle stelle; eppure, c'era altro: illusioni prestigiose, di pianeti, di comete velocissime. Brillarono anelli infuocati, come di spettacolo celato all'orizzonte. In lontananza, una corona di meteoriti in rapido avvicinamento. Erano rocce, alcune luminose, tutte così realistiche da somigliare ad un paesaggio d'universo; e... volavano verso le cabine in sospeso, inclusa la loro.
«Credi... ci colpiranno?» Non aveva notato, d'improvviso, l'apparizione di un paio di manopole — stile joystick babbano — al centro della cabina. I pulsanti si colorarono, mentre tutto intorno le cabine si staccavano: alcune colpite dai meteoriti, altre sfuggenti.
 
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