gonna be phenomenal —
history caught in a loop
merry-go-rainbow —
unicorn boys
La vita, talvolta, gli appariva come un continuo déjù-vu. Portava con sé una schiera di coincidenze, di passi e di tasselli, che avrebbe giurato di aver già conosciuto. Molto dipendeva dall'Occhio, tanto beffardo quanto sinistro: sviscerava le trame future ancor prima che potesse averne sentore, in una cornice trapunta di volti, di voci e di promesse nascenti. Quando le palpebre gli tremavano, il battito del cuore accelerava e il respiro si rendeva difficoltoso, sapeva di essere prossimo all'oblio del momento. E, benché avesse sperimentato le conseguenze peggiori, aveva cominciato a prendervi gusto, nell'accezione di completezza. Diventava un modo, di solito, per mettersi alla prova: interpretare i segnali, catturare i richiami più vividi, infine anticipare il tempo con consapevolezza. Un po' come un'indagine, si diceva. Eppure, gli ultimi giorni erano stati bizzarri: né visione né assalto d'ogni genere, oltre la costante, atipica sensazione di gustare note zuccherine tutto intorno. La bocca, curiosamente, si era tinta di dolcezza. Gli s'era impressa l'aspettativa di qualcosa di prezioso, un'occasione giocosa e tuttora indefinita. Giocava con il carillon d'incanto che aveva acquistato tempo addietro ad un evento, ammirandone così la danza degli Alati, dei Thestral e di tante, coloratissime creature magiche; la musichetta di sottofondo, un po' malinconica, cullava il dormiveglia e ingentiliva la notte. Oliver sentiva d'essere in sospeso – gli occhi velati d'insonnia, il cuore aggravato dalle ultime vicende. La solitudine non gli era mai piaciuta, pur trasformandola in un vessillo: gli mancava Penny, gli mancava la sua famiglia, gli mancavano le vecchie abitudini. Mentre il carillon s'acquietava nel giro finale di un tuono alato, una gabbianella gli piombò letteralmente contro il petto, sgusciando dalla finestra fino al dormitorio. Gli bastò poco, leggendo la missiva, per cogliere la beffa della vita: un déjà-vu, una via d'andata e di ritorno, magari
una coincidenza. Il gusto zuccherino, sulle labbra, si accentuò, lasciandolo ancor più di stucco dell'enigma che la lettera gli aveva appena svelato. Era sicuramente già in estasi.
❖ Camillo era una scatola delle meraviglie, l'aveva capito da moltissimo. Se tornava indietro nel tempo, ad uno dei loro primi incontri, avrebbe potuto ricordare una bambola voodoo, una striscia di sangue e una porzione di patatine per una puffola pigmea, non necessariamente nello stesso ordine. La loro amicizia aveva un ché di singolare, che non aveva mai avuto modo (non come Oliver avrebbe desiderato) di svilupparsi meglio. Cominciavano a riavvicinarsi, e la pergamena ne era testimonianza: intimamente, poi, Oliver sentiva d'esserne felicissimo, un po' perché si crogiolava all'idea di un'avventura, un po' perché – egoisticamente, forse – era grato che Camillo avesse organizzato qualcosa per il suo compleanno. Non sapere
cosa, non dettagliatamente, era anche più elettrizzante. Occhiali rossi a forma di cuore, camicia color blu notte con giacca di jeans, una serie di spille colorate (una del Comitato, una dell'associazione pro Thestral, una per il Club delle Mandragore, giù di lì), jeans a sigaretta, converse alate (letteralmente), e via. Non mancò l'appuntamento, strappandosi agli auguri di passaggio di concasati e di conoscenti. Voleva che la serata, in effetti, fosse soltanto per loro e sì, in parte credeva d'essere su di giri. Gli piaceva, ancora, staccarsi dallo stereotipo che s'era auto-creato, e vivere un po' di tempo come un normalissimo, folle ragazzino che compiva gli anni. La lettera di risposta era stata un
sì a caratteri ingigantiti, con un ringraziamento svolazzante subito sotto e una carezza per la gabbianella. Il giorno seguente, in attesa dell'amico, Oliver non aveva nulla di particolare con sé: una torta, un cupcake, una bottiglia di champagne o di vino, nulla. Non aveva in programma di festeggiare, ecco. Si era ripromesso, però, di recuperare qualcosina strada facendo.
«Ripetimi dove stiamo andando.» Conevenevoli a sé, aveva salutato Camillo con un colpetto affettuoso sulla spalla, che si era reso subito un mezzo abbraccio. La domanda circa la direzione finale, in ogni caso, era stata inutile: il viaggio fino a Manchester, infatti, non aveva fatto altro che rafforzare il senso d'aspettativa. Stringeva il Ticketbow – il biglietto del luna park magico – come un tesoro, rimirandone di continuo i colori, i contorni e la cornice brillante. Che fosse un parco giochi l'aveva capito, ma era ben lontano da afferrarne l'incantesimo che lo governava. La nota zuccherina, in effetti, lo mandò in visibilio e gli diede conferma d'essere in un luogo che avrebbe lasciato il segno. Agli scambi con l'uomo all'ingresso della struttura, Oliver era già fin troppo distratto – attratto, invece, da colori, musiche e voci in lontananza. Colse in ritardo, leggermente, le parole di Camillo. Arrivavano dall'Olanda, aveva detto. Anche lui? Si limitò ad annuire con un vigoroso cenno del capo, accostandosi rapido all'altro.
«Amsterdam.» Avrebbe potuto fare di meglio, ne era consapevole. Perlomeno, aveva accentuato la parola. Sfilò via prima di ogni replica, rigirandosi il bracciale arcobaleno al polso e sollevandolo come un premio di una caccia alle meraviglie.
«Non sto nella pelle, è uno spettacolo!» Sorrideva, in effetti, proprio come un bimbetto.
«Tu come l'hai scoperto? E, soprattutto, cosa succede se perdiamo i bracciali? Mi sembra di essere in un sogno ad occhi aperti. Fammi strada, mio giovane unicorno.» Parlò velocissimo, voltandosi di qui e di lì come se convinto di avere un solo momento per vivere tutto il mondo intorno.