Il Fwooper d'Oro

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view post Posted on 4/6/2023, 20:46
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iornali di ogni angolo del mondo magico sfidano il tempo in una gara alla stampa: gocce d'inchiostro come fontane, pergamene in successione, piume già caricate e pronte all'occorrenza. Hanno un titolo che svetta a caratteri cubitali, in un modo o nell'altro tratta lo stesso tema: Il Fwooper d'Oro. Mesi di attesa – e di giustifiche, di scuse a mezza voce – che hanno visto rimandare la cerimonia più in voga, amata e vissuta del panorama musicale magico: un mese, un altro, un altro ancora, da Dicembre a Febbraio, e via oltre le stagioni.
Perfino io, che ho seguito le vicende da vicino, ho creduto fino ad oggi di essere alla mercé di una beffa di poco conto, una trama sinistra e caotica che ha deluso tanti di noi. Non ho saputo neanche cosa scrivere, sulla rubrica musicale che curo per la Gazzetta del Profeta: il premio è stato rimandato per... problemi tecnici, l'allergia da poltrona, un litigio tra i giudici, o cos'altro? Ad oggi, lo ammetto, non mi è molto chiaro, e mi resta una manciata di eventualità che non vale la pena ripercorrere. Come tanti, anch'io ho lasciato correre, dopo un po' ho perduto la speranza. Il ticket d'oro, un dono che mi era stato recapitato in passato, è rimasto a lungo tra le pagine del taccuino, uno che porto sempre con me. Di tanto in tanto l'ho ripreso, l'ho rimirato con nostalgia, poi l'ho riposto al sicuro. Il Fwooper stilizzato in superficie mi ha lasciato soltanto promesse infrante – per me, che ho atteso questo evento da tutta una vita; e per una persona cara, che avevo coinvolto nell'aspettativa più vivace.
Eppure, il desiderio non è mai scemato per davvero. Ticchettare il grammofono, indugiare lungo le trasmissioni radio e pedinare le dinamiche dei cantautori più gettonati del paese, tutto questo è stato parte di una routine che non ho mai dimenticato. Oggi, di scatto, il Profeta mi ha contattato – un gufo veloce, una missiva di poche frasi, infine un sogno ad occhi aperti. La voce di Celestina, mio idolo, ha annunciato ufficialmente la ripresa della cerimonia; vi ha aggiunto informazioni, una data concreta, un luogo conosciuto: sabato, ore ventuno, al Teatro Magico di Diagon Alley. Ho il cuore in visibilio fin da allora, pochi giorni addietro. E, ad oggi, non ricordo di aver fatto altro, oltre lanciare pugni in aria, saltare su un piede e sull'altro, infine stringere un anello argenteo e colpirlo con un'energia atipica.
«Camille» ho chiamato il suo nome, rivolgendomi al vuoto del dormitorio; agli occhi del mio Fwooper – uno reale, in carne ed ossa – sono apparso folle, forse più del solito. Non ricordo quante volte abbia ripetuto la stessa parola, sono certo però che ad un momento la voce della Tassina mi abbia risposto. E io... sì, non sono stato chiarissimo. Ho masticato frasi, comunicando attraverso gli Anelli dei Gemelli – un dono prezioso, proprio dell'altra.
«Il Fwooper è atterrato, la cerimonia, la premiazione, il prossimo sabato Ho continuato per un po' sulla stessa scia, coinvolgendo poi i concasati di rientro e scoccando un bacio sulla guancia perfino a Penny, tanto perplesso per il periodo di silenzio che ci coinvolge. Con Camille, purtroppo, sono stato confusionario, ho avuto l'accortezza di suggerirle di ripristinare il ticket d'oro: le informazioni principali sono comparse lì, per tutti. Per me è stato un entusiasmo unico, che si è trasformato presto in tensione: la conta dei giorni, la scelta circa l'abbigliamento elegante, i pronostici per il vincitore o la vincitrice. Ad ora, ecco, non saprei dire come sia arrivato alla sera della cerimonia. Stamattina ho segnato l'ultima croce sul calendario, accorgendomi di essere finalmente a sabato. Da lì in poi è stata una giostra – cuore, mente, tutto.

Se torno indietro nel tempo, a quand'ero bambino, riesco a ricordare uno dei miei primi sogni nel cassetto: vincere il Fwooper d'Oro. Con tutta probabilità non sarà mai così, e negli anni ho ridimensionato la prospettiva: partecipare alla cerimonia del Fwooper d'Oro. Credo sia stata la mia famiglia a trasmettermi una passione tanto profonda per la musica: a sei anni stringevo la chitarra di legno di nonno Paul, a otto conoscevo già tutti i brani di successo di Celestina Warbeck. Ora, in effetti, non sono cambiato poi tanto: lavoro part-time in uno store musicale magico, scrivo per una rubrica dedicata ai cantautori e alle band di spicco, e potrei continuare sulla scia. Diventa qualcosa che mi scorre in sangue, parte integrante di una vita intera. Così, è difficile per me restare fermo, in piedi accanto ai cancelli di Hogwarts. Mi sposto avanti e indietro, in passetti caotici e impazienti; mi stringo meglio il cravattino a farfalla, lascio scivolare le mani sulla giacca elegante – nera, in raso, con alamari e bottoni color rubino e una piuma autentica di fwooper che spunta dal taschino. Il suono dei mocassini, altrettanto di gala, scatta sull'acciottolato; porto distrattamente una mano tra i capelli, i ricci più ribelli brillano al chiarore delle prime stelle. Inspiro a fondo, gli occhi che indugiano lungo il velo della notte in esordio. Camille non è mai in ritardo, lo so bene. Il problema, in effetti, è che io sia in largo, larghissimo anticipo. Devo fermarmi, ne sono consapevole. Non voglio sgualcire l'abito, ho preteso perfino che Cassandra – il mio Fwooper – volteggiasse a pochi metri da me, senza piombare sulla spalla o sulla giacca in generale. Non sono sicuro che seguirà il nostro viaggio, la mia attenzione però è altrove. Dietro di me, in attesa, c'è un'automobile, è una sorta di limousine: color inchiostro lucente, finestrini in vetro, un guidatore in livrea poggiato alla portiera. Mi guarda come a giudicarmi, forse si chiede perché sia proprio lì.
«Mr Brior, vuole fare un tiro per i nervi?» mi chiede. E... mi fa ridere, inconsapevolmente. Mr Brior suona così altolocato, eppure sapevo dell'arrivo dell'altro per via della Gazzetta del Profeta. Scuoto la testa, rifiutando.
«Appena ci siamo, guidi più veloce che può.»
Si porta la mano alla testa, un gesto lampante.
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Ama, ama follemente, ama più che puoi e se ti dicono che è peccato ama il tuo peccato e sarai innocente. (William Shakespeare - Romeo e Giulietta)

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È
una monotona giornata come tutte le altre, almeno all'apparenza. Sono appena tornata in Sala Comune dopo una stancante giornata di lezioni, al solito vengo accolta dal parlare concitato dei concasati riuniti in gruppetti: c’è chi racconta agli altri le disavventure che gli ha costretti a ritardare l’ingresso in aula, le conseguenti punizioni; c’è chi si perde nel più leggero e frivolo gossip e chi invece pensa diligentemente ai compiti per l'indomani. Mi lascio scivolare sulla poltrona, la mia preferita vicini al camino, la tracolla scolastica viene abbandonata con indifferenza ai suoi piedi. Affondo piacevolmente nel morbido cuscino dello schienale, una posizione già più rilassante e comoda rispetto allo stare piegata sul banco per prendere appunti. Appena pochi secondi dopo mi riscuote una voce, chiama il mio nome con chiarezza. La riconosco subito, ma resta flebile nella confusione finché non avvicino l’anello del gemelli al volto.
«Ehi Oliver!» il suo entusiasmo mi travolge inaspettatamente come un fiume in piena, mio malgrado ci metto più del dovuto a realizzare cosa l'ha scatenato: la data ufficiale della cerimonia del Fwooper d'Oro, rimandata ormai da mesi dagli organizzatori.
Il prossimo sabato. Più vicina di quanto mi aspettassi.
«D-davvero?» domando incredula, gli occhi spalancati dallo stupore. Scatto su come una molla, abbandonando la mia seduta con rinnovata energia e poco mi manca per mettermi a saltare sul posto come una bambina che ha mangiato troppo zucchero «Ma-» tento di formulare una frase di senso compiuto «Ma è fantastico!» presa io stessa dall’euforia forse uso un tono troppo alto, il resto dei presenti si zittisce di colpo e comincia a fissarmi come fossi un’aliena.
Come dar loro torto?
Con un mezzo sorriso imbarazzato filo immediatamente nella mia stanza, accendo la radio che tengo sul comodino. Giusto in tempo, stanno finendo d’intervistare Celestina Warbeck a riguardo. Annoto svelta i dettagli – dettati dal Grifondoro poco prima – su uno stralcio di pergamena, attaccandolo poi in bella mostra sulla testata lignea del letto. Anche se, in tutta onestà, non credo di poterlo dimenticare così facilmente.

Finisco di sistemarmi davanti allo specchio della toeletta, la spazzola liscia con cura i capelli ora sciolti e liberi di sfiorare con delicatezza le spalle.
Lo sguardo vaga per la stanza, controllo che tutto sia a posto, di non aver dimenticato niente d’importante: soprattutto il biglietto. Sicura di poter finalmente uscire, mi allungo e recupero la pochette dalla scrivania. È in tinta con l’abito scarlatto, consigliatomi da Juliet e che, a detta sua, mi calza come un guanto. Non voglio fare tardi, il passo si fa affettato varcando la soglia. I tacchi ticchettano sul pavimento, battono il ritmo cadenzato della mia camminata.
«Oh oh dove vai tutta in tiro?» m’imbatto in Abigail all’ingresso della tana e mi blocco, mi squadra curiosa «Privilegi da Prefetto?» ingenuamente lo dice con serietà, io quasi le scoppio a ridere sonoramente in faccia.
«Ti assicuro che l’unico vero privilegio di noi Prefetti è un bagno privato al quinto piano, quindi no. Mi spiace deluderti…» un ghigno malandrino compare sul mio volto. Mi diverto a prenderla in giro, anche se in realtà un fondo di verità c’è «Ti prometto che ti racconterò tutto, ma adesso devo proprio scappare.» mi congedo definitivamente e le do le spalle, mentre raggiungo il corridoio dei Sotterrai la sento replicare ironicamente in lontananza «Ti conviene, Donovan, altrimenti…» non saprò mai che minaccia intende mettere in atto, scaccio le parole con la mano, come si fa con una mosca fastidiosa e cammino fino all’esterno. Lì dove il chiarore delle stelle bacia la pelle, l’aria quasi estiva invece la carezza piacevolmente. Chiudo gli occhi un istante e l’assaporo, in sottofondo solo lo scricchiolare del ghiaino che segna il sentiero. Probabilmente, nel silenzio, annuncerà la mia presenza a chiunque si trovi nei paraggi.
«Ciao piccoletta!» l’espressione si addolcisce nello scorgere Cassandra volare in alto, sopra di me. La sua minuscola figura anticipa le altre, volteggia con eleganza lungo il percorso fino al cancello della scuola «Quindi è vero?» esordisco portando l’attenzione su di te con fare indagatore, le braccia incrociate al petto «Un Fwooper chiacchierone mi ha appena confidato che stasera è…la gran sera ammicco con decisione verso l’amichetta piumata «Allora, emozionato?» io un po’ lo sono, ma cerco di contenermi, altrimenti corro il rischio di risultare fuori luogo in un contesto tanto formale «Hai già fatto qualche pronostico?» sono sinceramente curiosa di scoprire a chi verranno assegnati i vari premi. Ho già fatto una lista personale e chissà se ho azzeccato qualche nome, anche uno solamente.
Chino infine educatamente il capo, un cenno rispettoso di saluto che rivolgo all’autista che ci scorterà fino a destinazione.
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eguo le geometrie di fumo del sigaro dell'autista, un po' come fonte di distrazione. Mi affascina il modo in cui si congiungano in veri e propri anelli, dissolvendosi subito in gocce di luce: il cielo, stasera, è color malva, mescola in sé le tinte più vivide del tramonto e le note marine della notte; è una tela di stelle e di ombre soffuse, che consuma il tempo in nostalgia. La stagione estiva, infine, è arrivata anche da noi, e tutto sommato non avrei potuto chiedere di meglio. In altre circostanze avrei ammirato il panorama – colori cangianti lungo il profilo del Castello di Hogwarts. Ora, però, il mio cuore è altrove, e la mente è in visibilio. Continuo a camminare da un punto all'altro, finché m'impongo di fermarmi. Il volo di Cassandra è una favilla purpurea, ma lo sguardo corre già verso Camille. La vedo arrivare, scendendo il sentiero che ci è familiare: avanzo di poco, come ad andarle incontro. Le porgo una mano a mo' di galanteria, e sorrido con trasporto, le guance addolcite dalle fossette.
«Sei in perfetto orario e sei incantevole.» È un complimento che sento sincero, fin nel profondo. D'altronde sarei sciocco a pensarla diversamente: Camille, stasera, è elegantissima. Per di più, mi piace che in parte – curiosamente – entrambi mostriamo un richiamo al colore rubino; il fwooper, in alto, fa scattare il becco come in approvazione. L'entusiasmo, ad ogni modo, scorre sottopelle – sorrido, sorrido con tutto me stesso.
«Non mi sembra ancora vero, è un sogno. Ci pensi che tra pochissimo saremo nella stessa stanza di Celestina Warbeck? E non solo.» Vorrei trattenermi, continuare con i convenevoli più gioviali, eppure l'agitazione è in agguato. Non lo ammetto ad alta voce, ma ho timore di tornare indietro, di scoprire ovvero che sia stato tutto un errore. Ho paura di ricevere un gufo che annunci che la cerimonia sia stata annullata, di nuovo. In breve, un po' condizionato, sollevo gli occhi verso il cielo e i dintorni, un po' come ad assicuarmi di essere soli: nessuna lettera, nessuna minaccia all'orizzonte. Ho bisogno di partire, di viaggiare. Finché non sarò al Teatro Magico, non crederò che sia tutto reale; è un'inquietudine, questa, che Camille potrà scorgere rapidamente in me. Come posso nasconderla?
«Mr Brior, Miss Donovan, possiamo andare.» La voce dell'autista mi raggiunge in salvezza, sono immediatamente grato e annuisco con vigore. Lo ringrazio con altrettanta cortesia, già più elettrizzato; la limousine è in attesa, un'ombra brillante dai finestrini in vetro. Mi accosto alla portiera per aprirla, uno scatto metallico e via. Torno rapidamente con lo sguardo verso Camille, facendole segno di procedere volentieri per prima.
«Dopo di lei, Miss Donovan Ci prendo gusto, spinge anche a me a sorridere. Quando sarà pronta, la seguirò: la limousine appare come un'autovettura babbana, all'esterno; gli interni, invero, tradiscono l'impronta magica: i sediolini sono in pelle, più larghi e più ampi del previsto, con un paio di file che si fronteggiano. C'è spazio per un tavolino, un paio di calici di vetro e una bottiglia di prosecco.
«Il viaggio non sarà lungo, mettetevi comodi.» L'autista – ho dimenticato il nome, sono pessimo – ci comunica dal posto di guida, poco più avanti. Un vetro divisorio, possibile d'oscuramento ad un colpetto di bacchetta, mostra un rettangolo dei dintorni scolastici; con un cenno verso Camille, le chiedo indirettamente se ci siamo, se possiamo partire. Sembrerebbe un trasporto piuttosto comune, anche inusuale per chi come noi maghi e streghe, eppure... basterà poco per scoprirne la differenza. La limousine, in effetti, è in grado di volare, rendendosi invisibile presto agli occhi dei cittadini di sotto. Il Villaggio di Hogsmeade è una cartolina, pian piano che prendiamo quota. I miei occhi, però, sono tutti per un taccuino che recupero dal taschino e che, rapidamente, mostro alla Tassina.
«Le categorie principali saranno le seguenti: Album Migliore dell'Anno, Canzone Migliore dell'Anno, Miglior Artista Emergente, Fwooper alla Carriera...» snocciolo alcuni titoli, alcuni più altisonanti degli altri. Seguono, sulle pagine, ritagli di giornale di cantautori, band e artisti musicali, alcuni in fotografie animate prese da varie riviste.
«I Figli del Sole sono molto ambiti, ma tifo soprattutto per .shey. Tu hai preferenze?»
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Ama, ama follemente, ama più che puoi e se ti dicono che è peccato ama il tuo peccato e sarai innocente. (William Shakespeare - Romeo e Giulietta)

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llungo a mia volta la mano, stringo con gentilezza la tua quando me la porgi per accogliermi. A seguire, ti dedico un piccolo inchino – forse un po’ impacciato – come ringraziamento ai tuoi complimenti. Le guance che, per un istante, assumono il colore acceso dell’abito. Il tempo di risollevarmi e si attenua, sul volto si dipinge un’espressione felice simile a quella di un infante. La stessa felicità che illumina anche le iridi all'idea di partire per questa desiderata avventura.
«Non credo di aver realizzato, non del tutto almeno.» per me quest’opportunità è tutt'ora un sogno, mi sveglierò solo quando mi ritroverò davanti Celestina e gli altri protagonisti in carne ed ossa a sfilare sul palco del teatro «Sappi che sarai costretto a rifilarmi un pizzico!» affermo convinta «Così mi convincerai che non è solo un’illusione!» una sorta di terapia d’urto, la pelle che si lamenta per confermare ciò che sta accadendo «E io sarò pronta a contraccambiare, se si renderà necessario ovviamente.» accompagno l’affermazione con una leggera pressione delle dita attorno alle tue, sperando di contenere il nervosismo che lasci trasparire. Espongo poi entrambi i palmi, per esplicitare il fatto che il rimedio più “doloroso" non ancora imminente.
L'autista ci avverte che è giunto il momento di andare, il corpo freme d’impazienza e non lo nego; quindi anch’io non me lo faccio ripetere due volte.
«È strano, ma potrei abituarmi a questi nuovi appellativi Mr Brior scherzo con te con naturalezza e spontaneità. Accetto infine il tuo invito silenzioso e salgo sull’auto prendendo posto, a sottolineare il movimento è il delicato fruscio della pelle che ricopre i sedili. Mi accorgo subito di quanto sia più grande e spaziosa che all’esterno, rimango imbambolata qualche secondo per guardarmi attorno, scoprendo nuovi dettagli ad ogni battito di ciglia. La redazione della Gazzetta ci ha proprio viziati stasera, ne sono meravigliata al punto che la bocca si schiude lievemente senza emettere un fiato. Mi rendo conto di sembrare una sciocca, scuoto piano la testa per riprendermi dallo stupore. Poggio la schiena e mi rilasso in attesa di partire, mentre cominciamo ad innalzarci butto uno sguardo fuori dal finestrino. Il paesaggio, le case del vicino Villaggio di Hogsmeade e le persone diventano piccole con l’aumentare della quota. Da questo punto di vista la sensazione è quella di viaggiare a bordo di una scopa, ma senza il fastidio di correnti d’aria indesiderate e soprattutto senza il disagio della scomodità del mezzo. Il mondo che ci circonda perde forma e definizione, comincia a sfocarsi quando prendiamo velocità. Io, invece, torno a concentrarmi sulla nostra piccola bolla e ciò che mi mostri. Gli occhi scorrono rapidi tra foto e ritagli di giornale, ognuno dei quali racconta la storia e l’unicità di ogni singolo candidato alle varie categorie.
«In questo caso credo di essere fin troppo di parte, .shey mi ha conquistata quando è venuto a suonare ad Hogwarts!» uno dei primi artisti a cui mi sono affezionata musicalmente parlando, che ascolto spesso nei momenti no per tirami su di morale «Mi è difficile persino scegliere una sua eventuale canzone da premiare.» ammetto con sincerità.
«I Figli del sole però sono la scoperta dell'anno!» mi trovo a concordare «Hanno dei sound così particolari che non possono lasciare indifferenti, sono una novità assoluta per me.» i suoni tribali trasmettono emozioni primordiali, è inevitabile rimanere coinvolti nel loro incantesimo «Penso si giochino il mio favoritismo assieme a beh…Zenzy una maniera affettuosa di chiamare Mr. Gingerbread, ormai lo trovo un nomignolo estremamente adorabile e lo sottolineo giocosamente nel pronunciarlo «Il suo album è stato la colonna sonora delle mie vacanze natalizie, lo adorano tutti a casa!» le labbra s'incurvano, un sorriso dolce scaturito dai ricordi «Immagina addobbare l'Abete a ritmo di “Pretty My Party”…» lascio il resto come sottinteso, una scena da visualizzare esclusivamente a modo tuo, con uno stereo acceso come filo conduttore. Io e i miei cugini, ad esempio, ci siamo trovati a battere i piedi a tempo mentre cantavamo a squarciagola, le decorazioni che sfuggivano alla presa nella frenesia del momento e rotolavano caoticamente in giro per il pavimento.
«Comunque non escludo di rimanere piacevolmente sorpresa da altri cantanti o gruppi durante la cerimonia, sai?» non voglio dare niente per scontato, magari le carte verranno rimescolate persino con premiazioni inattese su cui nessuno scommetterebbe.
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orse è il distacco da terra, forse la lontananza dal dedalo di stradine verso il sobborgo magico, forse sei tu – le tue parole, le tue battute. Sento la mente caotica, d'un tratto più distratta di quanto non sia mai stata fino ad oggi, e in effetti sono sul punto di accettare un pizzico, anche piccolo, a patto che mi dimostri di essere qui, ora, in carne ed ossa. Eppure, è un pensiero di passaggio, uno tra tanti. La tua sola presenza, in macchina, è la conferma di cui ho bisogno: il Fwooper d'Oro è sì un sogno, ma uno reale, o perlomeno prossimo ad esserlo.
Ho la pelle d'oca, il batticuore, le gote velate di una tinta più accesa, e mi accorgo di scandire l'esordio della conversazione con movimenti ripetuti: passo la mano tra i capelli, sistemo il cravattino, sfoglio febbrilmente le pagine del taccuino. Cerco di concentrarmi, cambiando tuttavia posizione sul sedile della limousine – ho scelto di sedermi di fronte, sfruttando il vantaggio di una macchina che è tutta per noi, almeno stasera. Posso osservarti meglio, specchiare la mia frenesia – e la mia passione per l'evento – in te. Sono emozionato, ho atteso questa cerimonia da tutta una vita; mi rimetto, allora, agli scambi che ci accomunano: torno ai ritagli di giornale, riprendo controllo e ti passo, se accetti, tutt'altra serie di fotografie. Anche se in cuore e in mente sono altrove, in questa cornice sei con me, e non perdo nulla di quanto dici.
«Hai assolutamente ragione per .shey, credo che la presentazione in pubblico al Ballo di Hogwarts abbia fatto la differenza. Sai, per arrivare più rapidamente al cuore dei giovani.» Ho una polaroid, attaccata con una spilletta sulla pagina che fermo sul taccuino. Svela la figura di .shey, danzante tra creature d'aria intorno – scintille di colore, l'incantesimo del popolo del sottobosco. Il Ballo delle Fate è per me memoria preziosa.
«Ha un ché di mistico, non saprei spiegarlo meglio. Forse è Chemistry la mia canzone preferita di .shey, ma Radio Strega Network ha annunciato che si esibirà in una versione acustica di Fairies. Chissà, come pensi che potrà essere?» Immagino uno spettacolo di fate, di folletti, di pixie – frammenti di notte, di luce e di bosco. Qualsiasi cosa sarà, il mio cuore è pronto.
«Mai» – lo sottolineo, accentuando con un sorriso di puro, immediato divertimento – «mai avrei immaginato di trovare un'appassionata così forte di Mr Gingerbread, invece. Sai, ti ci vedo a prepare omini di pan di zenzero cantando it's ginger baddy / are yo talkin' / be my guest / no my candy Oh sì, Pretty My Party ha catturato anche me, non posso negarlo. Mi accorgo d'essere arrossito, già solo dal soffio caldo lungo la gola e le guance. Ho cantato... velocemente, vero, non mancando però di ticchettare a mo' di rapper sulla bottiglia di prosecco che mi è accanto. Alla fine, un po' per riprendermi, stringo la stessa come un salvagente, e schiocco le dita affinché i calici di vetro giungano in volo tra noi. Ho gli occhi curiosamente abbassati, d'un tratto rapito esclusivamente dal prosecco.
«Facciamo un brindisi veloce?» ti chiedo subito. Il taccuino, ora, è sul tavolino che si sospende tra noi, un intaglio di legno e di vetro. Oltre i finestrini della limousine, di scatto, sfavilla una fiammella che trattiene il tramonto lungo la notte. Scompare e riappare in volo subito dopo, in un guizzo violetto che le nuvole inghiottiscono veloci.
«Guarda un po' chi ci segue.» Alla fine torno a guardarti, un po' meno imbarazzato di prima. Ho tanti altri commenti sulla cerimonia cui assisteremo, procediamo veloci oramai a molti metri d'altezza, il cielo non ha più ostacoli.
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view post Posted on 13/6/2023, 17:41
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ondivisione. La condivisione, almeno per me, è il principale filo conduttore finora. Condividere ogni singolo momento – lungo o breve che sia – di quest’esperienza con te, poter scherzare insieme e parlare liberamente di cosa più ci appassiona. Non riuscirei a chiedere di meglio, non esiste niente di paragonabile a mio avviso. Cerco i tuoi occhi mentre conversiamo l’una di fronte all’altro, sicura di leggerci lo stesso identico entusiasmo che provo io. Forse – senza rendermene conto – mi esprimo in maniera fin troppo concitata, completamente assorbita dai nostri pronostici e dalle rispettive aspettative sull’evento a cui stiamo per assistere. Mi allontano dallo schienale del sedile, avvicinandomi al tavolo e spostando lo sguardo su ciò che mi porgi. Nuove polaroid che tengo delicatamente tra le mani, le sfoglio con attenzione – una ad una – scrutandone le figure animate che custodiscono senza smettere tuttavia di ascoltarti.
«Chemistry è pura magia!» una favola che provoca brividi a fior di pelle, non conosco un altro modo per definirla. Risollevo il volto fino ad incrociare il tuo, lo spostamento rende visibile uno scatto di Celestina, probabilmente rubato ad uno dei suoi ultimi concerti «Peccato non l’abbia scelta per l’occasione in effetti, ma Fairies in acustico ritengo possa ricreare la stessa atmosfera ipnotica!» m’incuriosisce scoprire come hanno progettato l’esibizione. Già assaporo la dolcezza di una melodia rallentata, resa delicata da un’orchestra o dall’artista stesso che si mette in gioco in solitaria, a tu per tu con il pubblico in sala.
«Come credo che sarà eh?» mi faccio riflessiva, immaginando un qualcosa di ben diverso da ciò che ricordo dal ballo scolastico «Se penso al palco lo vedo come un angolino buio di bosco, la cortina di alberi che copre le stelle.» lo associo perfettamente all'idea che ho di questa particolare versione, più intensa della classica «Sullo sfondo, invece, luci di vari colori sparse qui e là.» estremamente semplice come visione, ma d’effetto secondo me «Un po’ come le lucciole che spuntano dal prato, insomma.» una cornice eterea e delicata degna del popolo fatato «E .shey al centro ovviamente, magari suonerà lui stesso uno strumento…» non so su quale puntare. Archi? Fiati? Qualcosa di più incisivo come le percussioni? L’indecisione si rispecchia nel tamburellare delle mie dita sulla superficie sospesa tra di noi. «Pianoforte?» sparo d’improvviso la prima opzione che mi viene in mente «Chitarra?» forse quella che preferisco, conferirebbe la stessa intimità di una serata attorno ad un falò «Chissà, ma in ogni caso sono convinta che sarà fantastico!» non ho dubbi sul suo talento, incanterà tutti quanti.
Così com’è indubbio quanto adoro Mr Gingerbread «Per la barba di Merlino!» faccio schioccare il pollice e l’indice per rafforzare l’esclamazione, un lampo guizza nelle mie iridi «Mi hai beccata, colpita e affondata!» dipingo una faccia colpevole, come se mi avessi appena colta in flagrante a pasticciare con il barattolo di marmellata «Dovrei imparare a dissimulare meglio.» aggiungo infine con falso disappunto, che sfuma in divertimento mentre si fa vivida la scena quotidiana che mi presenti. Un freddo e tranquillo pomeriggio d’inverno passato in cucina a preparare biscotti, in sottofondo lo stereo a fare compagnia «Oh ti assicuro che la farina finirebbe ovunque, tranne che nell’impasto!» ho l’aria di qualcuno che sta per dare una dimostrazione pratica per assodare la sua tesi «Scent of cinnamon/here is the party/come with me/the night is spicy…» ti faccio eco proseguendo la canzone, il piede che batte il ritmo. Arrivata all'ultima strofa non resisto è rido di gusto, mentre muovo la mancina a mimare il disperdersi di una nuvoletta bianca verso il tuo volto. Di solito non amo dare sfoggio delle mie “doti canore” davanti alle persone, non quando sono fuori dalle quattro mura domestiche. Il perché ti sarà senz’altro chiaro: la voce non è stridula – non è quello, infatti, il problema –, ma come provo ad intonare qualcosa diventa nasale. Risulta strana all’inizio, lo so, quindi non ti biasimerei se mi prendessi in giro. Appena prendo coscienza del danno schiarisco la gola, sperando di cacciare via l’imbarazzo che sento mi attanaglia. Per fortuna la distrazione si palesa in fretta, l’arrivo di un paio di flûte e la proposta di un brindisi.
«Sì, direi che meritiamo di festeggiare come si deve!» raggiante, accetto volentieri mentre le dita avvolgono lo stelo di quello più prossimo a me.
Ma non siamo soli ad alzare i calici, si aggiunge a noi un ospite piuttosto gradito «Sarà la vera star della serata, dobbiamo riconoscerlo!» il tono con cui lo dico sembra quasi quello di una mamma orgogliosa. Le piume violette della piccola Fwooper si mimetizzano con le sfumature del cielo, un quadretto suggestivo donato dalla natura «Farebbe un figurone se sfilasse sul red carpet!»
Faccio ticchettare il vetro del finestrino per salutare Cassandra, comunicandole che l’abbiamo notata.
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ltre il vetro del finestrino, il cielo mi ricorda un tappeto volante. Ricama le tinte del crepuscolo, ora che il tramonto s'appresta a dissolversi; e lascia una veste incorporea, un soffio di stelle, uno spicchio di luna, e una favilla purpurea lungo le ali del Fwooper. C'è un ché di mistico, stasera. Qualcosa che porto già nel cuore, che mi rende in pace e in estasi di pari modo. Forse, mi dico, è la cornice del sogno. Non potrei immaginare di meglio, e siamo soltanto all'inizio. Mi piace, in effetti, cesellare il ricordo con commenti giocosi, le nostre voci che s'armonizzano – l'una all'altra, insieme. Chemistry, uno dei brani di .shey più di spicco, mi riporta alle notte estive, alle danze eteree di fate e di spettri; la tua visione – in anteprima – è tangibile, per me. Si adagia al battito di palpebra, invita il passo d'oltre. Ora, infatti, .shey è per davvero sul palcoscenico: un bosco, una terra promessa, un angolo spirituale, e lucciole, e stelle, e fuochi fatui. Ti interroghi, allora, sullo strumento che .shey sceglierà, e il tuo gioco è parte integrante della mia presenza. Mi chiedo, d'un tratto, se sia un'illusione.
«È un flauto» ti dico, incastonando il commento in pausa. Mi sembra d'essere già in sala, di volgere l'attenzione verso l'artista e perdermi, perdermi in desiderio. Il tempo si ristabilisce, questione d'attimo. Il seguito mi lascia di stucco, in senso vivido: credo sia forse una delle prime volte che ti senta cantare, forse l'unica. Hai una voce che mi piace, mi cattura. Suona singolare, e in generale mi diverte che tu conosca Mr Gingerbread tanto bene. Le mie mani, rapide, ti omaggiano in un vero e proprio applauso.
«Ecco a voi, signore e signori, la vincitrice del Fwooper d'Oro dell'anno!» Continuo così, in modo ironico. Il bicchiere di prosecco stretto delicatamente, un sorso, e un altro. La musica dipinge il viaggio nel migliore dei modi. Il gusto frizzante mi pizzica la lingua. Consumo l'attesa con altri aneddoti – Glenda Chittock che potrà vincere il Fwooper alla Carriera; la band The Hobgoblins con un album prossimo all'uscita; l'annuncio del grande ritorno sulle scene di Emily Vannet.
«Senti questa, sono stato ad un concerto di Emily Vannet tanti anni fa. Presentava l'album Fly with me, babe. Forse ricordi, uno dei brani si intitola proprio Api Frizzole. Ha distribuito così tante caramelle che molti, incluso me, si sono ritrovati con un'intossicazione di pungiglione di celestino. Immagina l'intera folla sospesa a mezz'aria, sai, per l'effetto magico.» Il riferimento è allo spettacolo, vi ho scritto anche un articolo (benché alle prime armi come giornalista). Ti sorrido, un po' in imbarazzo per aver preso parte a mia volta all'evento. Nel frattempo, la limousine sembra finalmente avviarsi verso la discesa: è un tremito leggero, una vertigine vivace, che coglie il mio petto. Mi sporgo oltre, cerco di abbassare il finestrino affinché l'aria fresca della sera ci colga in saluto; il cielo è in striature violette: in picchiata, è già pronto ad oscurarsi. Sono emozionato, ora più che mai. Recupero il taccuino, mando giù l'ultimo sorso di prosecco e sistemo via, in tavolino, calice e bottiglia. Ho le mani che tremano, lascio scivolarle sulla giacca come a togliere ogni piega. La voce dell'autista conferma d'essere arrivati, Diagon Alley è un reticolo di luci; forse catturo le cupole della Gringott's, la via principale, infine...
«Guarda, Camille. Non ho parole.» L'indice ticchetta il vetro, il cielo è una pista: automobili, alcune proprio come la nostra, volgono verso il basso, stregate dalla disillusione per chiunque non sia mago o strega, come noi. Ospiti di gala, ci giurerei, che hanno la nostra stessa destinazione. Mi perdo, il mondo è un'esplosione di colori e di sensazioni. Non saprei dire né come né quando siamo atterrati, non ho più percezione. Il cuore batte così forte, le gote mi si accentuano. La limousine tocca terra, è un contatto leggero; l'autista, poi, apre la portiera, e io mi getto a capofitto verso l'esterno. Mi accorgo d'essere impaziente, perché d'istinto torno verso di te. Allungo la mano, un gesto galante; se l'accetti, è un modo per averti accanto a me. Ti sorrido, ancora, ancora una volta. Intorno si stabilizzano le limousine in una strada indaffarata, le porte si spalancano in successione; sfilano donne, uomini, alcuni giovanissimi, altri molto più grandi di noi: tutti, indistintamente, elegantissimi. Hanno abiti pregiati, colori d'incanto, talvolta giacche, cravatte, vestiti. E tacchi a spillo, cappelli stregati, piume variopinte, e tanto, tanto altro. Se hai stretto la mia mano, Camille, ti accorgerai di come le mie dita stiano premendo con insistenza, come a voler averti vicina, ad avere conferma di non essere in un sogno. Tutto, qui, è vero: il Teatro Magico di Diagon Alley è in festa, file di lampadine, molte volteggianti, delineano il profilo maestoso dell'edificio; davanti sfuma un red carpet, un velo rosso che è impreziosito da colonne color rubino, sulla punta delle stesse scintillano statuette di Fwooper d'oro.
«Vi auguro un'ottima serata, a dopo.» L'autista ci saluta, alla fine. Gli sorrido, distrattamente. Le limousine scappano via per lasciare spazio, e mi accorgo di una folla di spettatori che gridano, innalzano poster, fotografie, nomi di artisti. Le voci aumentano, segno che stia per arrivare qualcuno d'importante; il tappeto, però, è libero.
«Allora, Camille.» ti chiamo. Ti offro subito il braccio, mentre flash di fotografi e giornalisti catturano anche noi. Abbiamo i biglietti, siamo invitati: il red carpet è per ogni ospite.
«Sei pronta?» A te, allora, il passo di danza.
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entirti applaudire, sul momento, mi spiazza ed il corpo si blocca diventando pietra. Lentamente distolgo lo sguardo – ora sorpreso – dal cielo al tramonto, mischiato al piumaggio violaceo della piccola amica come in un quadro d’Autore. Lo porto nuovamente su di te, mi permetto di squadrarti un secondo. Credevo già di trovarti con le orecchie tappate per attutire il suono, invece sono caduta scioccamente in errore.
«Troppo buona la giuria!» mi ricompongo in fretta ed esordisco così. Per stemperare la timidezza che mi assale, come mio solito, cerco di stare al gioco che ormai ci ha rapiti e incantati. Ti sorrido con disinvoltura, chinando il capo con solennità come se mi rivolgessi direttamente al conduttore del gran galà che ci aspetta a breve «Sono davvero onorata. Vorrei dedicare questo prestigioso premio al mio carissimo manager, nonché compagno di folli avventure….» sollevo il bicchiere mentre pronuncio l’ultima parte del discorso, portandolo nella tua direzione «Oliver Brior!» concludo così, lascio che il liquido bagni le labbra per coronare quel piccolo brindisi improvvisato. Le bollicine solleticano la gola, scendono sempre più giù mentre io mi perdo nei tuoi aneddoti. Racconti che s’incastrano come le note che si susseguono sul pentagramma, e io da bravo musicista ne assorbo ogni sfumatura e variazione. Accolgo con curiosità le varie notizie, soprattutto quelle di eventuali ritorni sulla scena con nuova musica. Uno su tutti: Emily Vannet.
«Intossicazione a parte, dev’essere stato divertente!» l’espressione si fa sognante, tento d’immedesimarmi nello scenario che mi descrivi. Dev’essere emozionate assistere ad un concerto, viverlo così, con l’artista che coinvolge i suoi fan a 360° «V'immagino a ballare a mezz’aria, proprio come piccole fatine!» provo a darne una buffa dimostrazione, le braccia ondeggiano goffamente. Passi più o meno delicati, tutti a tempo con la musica. La brezza che guida il pubblico, abbandonato ad essa come un elegante volatile che dispiega le ali per planare. «Sai che ti dico!» un lampo guizza nelle iridi, un’idea un po’ pazza mi frulla per la mente e non esito a proportela «Se stasera sarà tra gli ospiti e – quando la inviteranno sul palco – deciderà di cantarla, ho qualche ape frizzola nascosta in borsa…» ti informo, un colpettino leggero alla pochette per sottolinearlo «In caso ti andasse di replicare, ovviamente!» un occhiolino complice, ti basterà chiedere ed il desiderio verrà esaudito in un men che non si dica.
Mi accorgo presto di come tutto venga scandito in tempi be definiti, il primo capitolo di questo viaggio volge al termine ed un altro se ne apre. Sotto di noi fa la sua comparsa Diagon Alley, è la prima volta che l’assaporo con quest’atmosfera, un quartiere ora cornice d’importanti eventi. Con il mio nome mi riporti alla realtà, sei senza parole e non sai quanto io ti comprenda.
«Per una volta credo di non averne nemmeno io!» la frase esce in un soffio, non sono sicura tu riesca a sentirmi. Intanto gli occhi scrutano frenetici fuori dal finestrino e si godono ogni luce, ogni sagoma ed ogni dettaglio della location che riescono a catturare a distanza, mentre scendiamo di quota «Mi tremano le gambe, sono sincera.» ne prendo coscienza quando scorgo i fotografi, intenti ad immortalare le varie personalità di spicco che sfilano sul red carpet. Tra pochi istanti lo percorreremo anche noi, diventeremo parte integrante della magia. I piedi toccano terra, ad illuminarci non c’è più il sole, ma la luna e qualche timida stella. Ti stringo la mano a mia volta, portandomi vicina a te.
«Grazie infinite, a più tardi!» un ultimo saluto gentile all'autista e il mio braccio cinge dolcemente il tuo. Un sostegno fisico che mi offri, che mi trasporta in un mondo a cui devo abituarmi. È indescrivibile la sensazione che provo nel trovarmi sfiorata dai vicini flash, anticipati da una serie di nomi noti che passano di bocca in bocca. È tutto così nuovo.
«Prontissima!» lo dico con genuina convinzione, con te mi viene naturale «E tu?» osservo il tuo volto, dove credo forse di trovare la risposta. Nell’avvicinarci rimango colpita dalle riproduzioni dorate e scintillanti dei Fwooper, mi chiedo cosa ne penserebbe Cassandra, come reagirebbe vedendo le sculture dedicate ai suoi simili. Biglietto in bella mostra, sono pronta ad entrare in teatro. Lo esibisco all’ingresso, attendendo il via libera dell’addetto prima di varcare la soglia assieme a te, fianco a fianco.
Ci siamo. Un brivido di gioia mi corre lungo la schiena.
«Dunque, temo di essermi già persa.» mi guardo attorno cercando di orientarmi, prendo nota dei singoli spazi che compongono l’edificio. L'interno è immenso, vecchio stile, con le colonne in candido marmo che svettano e sostengono la struttura. Il foyer inoltre è piuttosto arioso, reso tale da un soffitto azzarderei più alto di quello della Sala Grande. Tutto è opportunamente decorato, attorno a noi svolazzano alcuni ologrammi, paragonabili a quelli presenti al ballo delle Orme. Sono anche questi Fwooper, come le sentinelle all’esterno, ma stavolta in movimento «Da dove iniziamo?» dalla mia voce traspare solamente puro entusiasmo. Ci siamo, è tutto reale «Caccia alla poltrona?» potrebbe suonarti come una sfida, una caccia al tesoro rosso che si nasconde, si mimetizza in un luogo tanto vasto. I vari accessi sono celati da drappi color rubino «In effetti non ho ricontrollato che posti ci sono stati assegnati.» non faccio in tempo a rimediare che uno degli ologrammi ci dà il benvenuto, sorvolando le nostre teste «Ops, attento!» non trattengo una risata cristallina.
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Edited by Camille Donovan - 7/7/2023, 21:19
 
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l Teatro Magico di Diagon Alley è un mondo a sé, un luogo che si rende custode di storia, armonia ed eleganza. Mi basta battere le palpebre, una visione d'insieme che colpisce dritto al cuore. L'edificio è sveglio, un'imponente struttura che antichi, deliziosi sortilegi animano in estasi. Le colonne hanno tinte di madreperla e di avorio, risplendono più dei flash delle fotografie e del bagliore serale. Oltre le sfumature del cielo, già prossimo alla notte, il Teatro accoglie la festa che ben conosce: è un convivio, mi sembra, che non ha inizio né fine; è un ritrovo, una tradizione che volge in sogno nel cassetto. Mi sembra di essere un'altra persona, di vivere un'esperienza lontana; infinite, curiose sensazioni s'alternano in petto, mi solleticano le gote in sorriso costante. Gli occhi brillano, assuefatti all'incanto tutto intorno. Com'è possibile che sia perfino più bello del previsto? Mi accorgo di come mi senta volteggiare, d'un tratto vinto dal déjà vu del concerto di Emily Vannet. Mi diverte credere di aver rubato sottobanco api frizzole, così da sospendermi di qualche centimetro da terra. In verità... è il momento. Nulla di più. Non credo d'essermi sentito più felice di stasera, almeno da lungo andare. La bocca tace, s'espande in sospiro caotico; è un battito che procede in frenesia, passo dopo passo oltre il red carpet. C'è un fotografo, un altro, un altro ancora — è un turbinio di luci e di ombre. Cercano perfino noi, Camille. Una fotografia, uno scatto per immortalare il presente, e io mi presto al gioco con tutto me stesso, più che volentieri. Ti cerco meglio il braccio, in carezza; è un gesto d'affetto, per portarci in primo piano.
Se lo desideri, avremo una foto tutta per noi. Una polaroid più grande del solito, con la data e la voce "Cerimonia Fwooper d'Oro" lungo il bordo inferiore: un lampo dorato, proprio come il biglietto che stringiamo entrambi. Ti sorrido, consapevole di non aver più detto una parola; è come se fossi fuori di me, ma è evidente sia in senso buono: l'espressione del mio volto è ridente. Illusioni di Fwooper volteggiano intorno, scintille di porpora che mi ricordano Cassandra. Il cicaleccio di voci è in crescendo, le fila s'inseguono in giochi di colore — cappelli, vestiti di gala. Ovunque, maghi e streghe di classe; hanno uno stile che invidio, poiché impeccabile (benché talvolta un po' pacchiano).
«Al prossimo evento andremo così.» Finalmente prendo parola, è un sussurro soltanto per te. Indico con un cenno del mento in avanti, pochi posti oltre. C'è uno stregone, difatti, con una veste di per sé piacevolissima, color rubino, con un'intricata geometria di ricami splendenti; è sulla testa, però, che indossa una corona di... mongolfiere. O palloncini. Somigliano a frutti grossolani, gialli e arancio, in volo verso l'alto come saette.
«Quinta fila.» Sollevo il biglietto d'oro con la mano libera, subito dopo. Sono posti d'eccezione, senza dubbio. C'è però una sorpresa che ho soltanto accennato e che subito, con espressione furbesca, m'accingo a svelare. Dal taschino della giacca, infatti, recupero un paio di rettangoli di carta, su entrambi è impresso lo stemma della Gazzetta.
«Backstage vip pass.» Via d'occhiolino, finché è il nostro turno d'accedere all'ampia sala principale. Mi toglie il respiro, di nuovo. Mi fermo, bloccando la fila. Con tutta probabilità potrei aver fermato anche te, Camille; ti stringo la mano più forte, come a voler trovare un punto d'approdo. Di fronte, infatti, l'Auditorium è un idillio, è esattamente come ho sognato fin da bambino. S'allarga in una conchiglia circolare, colonne di marmo angelico di lato, e una tela rubino che scivola in onde lungo il sipario. File, infinite file di poltrone, il connubio di porpora e d'oro, il profilo dei Fwooper come decorazione su ognuna. Sollevo il volto di scatto, ti indico in alto, sempre più in alto: è il punto, forse, più affascinante dell'intera stanza; il soffitto è come nei racconti, nelle descrizioni di libri e articoli musicali: è una trapunta d'arte, di effigie di cantautori che hanno compiuto la storia del mondo magico; figuranti che s'animano, in tela dipinta, e che salutano in omaggio i passanti sottostanti. Se solo qualcuno non stesse pressando, dietro di noi, resterei così immobile. Eppure, sento di essere spinto leggermente, un colpetto sulla spalla, un altro, un altro ancora perfino mentre avanzo. Mi accorgo di perdere leggermente la pazienza, finché mi giro indietro proprio mentre cerco posto. Dietro di me, però, non c'è nessuno. Le file si riempiono, la stanza cambia. C'è qualcosa.
«Camille» ti chiamo. Attendo che sia tu a sederti per prima, se mi concedi tale galanteria; e subito dopo, accanto a te, continuo.
«Non senti anche tu questo...» Profumo. Profumo dolce, dolcissimo. Come di zenzero, di cannella, di pasta frolla. Aumenta, istante dopo istante. Le luci s'affievoliscono, le voci si acquietano, c'è una prima sinfonia di violino e di flauto; arriccio il naso, respiro profondamente. Qualcuno mi tocca la spalla, di nuovo. Mi giro, innervosito. Ma...
«Oh diamine, è opera tua?» Un omino di pan di zenzero mi s'arrampica sulla spalla, e un altro, e un altro. Ovunque, la sala è gremita. Cosa succede?
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view post Posted on 18/10/2023, 17:31
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È
tutto perfetto, un sogno vivido che siamo certi entrambi non svanirà sul più bello velandoci di tristezza. Non ci sveglieremo di soprassalto, non in questo caso almeno.
Vengo travolta dalla valanga di stimoli che mi circonda: suoni, spazi sconosciuti con cui prendere confidenza, uniti al chiacchiericcio concitato che fa da sottofondo – maghi e streghe che suppongo siano estasiati quanto noi. E poi ci sono loro, le macchine fotografiche. I flash che le caratterizzano finiscono per incrociare anche il nostro cammino. Mi stringo a te, felice di avere un ricordo tangibile, oltre a quelli che rimarranno inevitabilmente impressi per sempre nell’anima «Dì Cassandra un gioco sciocco diranno molti, un equivalente del “cheese” babbano. Lo dico in un soffio, batto in velocità lo scatto per pochi millesimi di secondo. In contemporanea al “click” le labbra si curavano in sorriso, non tanto all'idea di risultare carina per la foto, ma avviene d’istinto pensando alla splendida serata che stiamo passando.
Un sorriso che fa da riflesso al tuo.
Un sorriso che non mi abbandona quando ci accodiamo alla fila, mi godo ogni istante mentre entriamo nel cuore dell’evento. Quello che colpisce anche me è il potpourri d’individui, ognuno con il suo stile unico ed inimitabile. L’uomo che mi fai notare tu, poi, è talmente buffo che difficilmente me ne dimenticherò. Mi rendo conto di esserne talmente calamitata da fissarlo con eccessiva intensità, riporto quindi rapidamente l’attenzione su di te prima di sembrare terribilmente maleducata «Ci sto!» rispondo di getto, solo tu puoi udirmi, il mio tono infatti si adegua automaticamente al tuo.
«Ma dobbiamo fare le cose in grande, i colori devono essere più…sgargianti ti squadro seria il naso arricciato in una smorfia pensierosa, intenta a riflettere su dei modelli precisi da indossare. La fantasia vola, vedo le nostre silhouette agghindate con l’accessorio in questione «E coordinati, ovviamente!» lo esplicito come se fosse un dettaglio importante, impossibile da trascurare «Viola e lilla, ecco!» solo un esempio, forse il meno appariscente che mi è balzato in mente «Sai che li trovo adatti anche per una nuova gita ad Hogsmeade? T’immagini la reazione di Mike se ci vede ancora piombare in negozio con un nuovo look?» trattengo a stento una risata, che però traspare chiaramente dalla mia espressione.
Passo dopo passo ci lasciamo il foyer alle spalle, il tendaggio comincia a svelare l'ingresso della platea «Quinta fila? Meraviglioso, in pratica tocchia-» m'interrompo quando mostri due rettangoli di carta, leggermente diversi dai biglietti già in nostro possesso «Oh Merlino, il backstage? Ci sei riuscito davvero?» gli occhi sono evidentemente sgranati, increduli anche di fronte alla realtà dei fatti «Non mi capaciterò mai della quantità di assi nella manica che possiedi, Don Brior dono enfasi al nomignolo, a sottolineare un lavoro degno di un gangster esperto. Sul volto compare un ghigno complice, intanto che ti seguo all'interno dalla grande Sala: osservo affascinata l’architettura dell’ambiente e le pregiate stoffe in tinta con le creature che donano il nome alla manifestazione. È immensa e sfarzosa, più di quanto avessi anche solo vagamente immaginato. Mi sento come un billywing, piccola e insignificante in confronto.
Il mio corpo si ferma in sincrono con il tuo, le dita ricambiano la presa e avvolgono più saldamente le tue. Lo sguardo viene catturato e trascinato via, la meta ultima sono le figure che spiccano sulla volta del soffitto. Sono i cantanti che hanno fatto la storia nel Mondo Magico, agitano la mano in saluto e io, come una bimba, con educazione agito la mia. Mi riscuotono solo le persone dietro di noi, in attesa, più o meno frettolose di prendere posto. Anche noi cerchiamo di raggiungere i nostri, ma non c’è modo e maniera di sedersi che ci coglie impreparati un’aria di mutamento.
«Profumo di Natale?» mi viene spontaneo completare così la tua frase, forse perché associo ciò che m’invade le narici agli aromi che permeano le cucine durate la festività. Il fumo speziato che esce dai forni – casalinghi o di pasticceria –, segno che i dolci tipici stanno cuocendo a puntino.
«Ahia!» sento strattonare una ciocca di capelli sulla nuca, riesco a girarmi giusto in tempo per scorgere il colpevole «Ma che-» sono dei perfetti sosia di Zenzy, riempiono la sala passando incuranti sugli ospiti. Uno di loro è salito sulla mia testa, usandola come trampolino per arrivare alla poltrona che mi fronteggia. Se sul momento resto stupita e spiazzata, con il passare dei secondi lo trovo estremamente divertente. Corrono verso il palco, da cui già si sta alzando una sinfonia di violini e flauti. Si radunano in cerchio finché non sembrano un unico corpo, salgono l’uno sulle spalle dell’altro a formare una torre cilindrica dall’interno cavo. Prima che l’oscurità ci inghiotta, ti conduco con gentilezza verso le nostre postazioni, posizionate poco più avanti. Ed è allora che il ritmo degli archi sale di poco e detta la cadenza. Lascia prevalentemente spazio al pianoforte e ai fiati che fanno da colonna portante, mentre gli omini di pan di zenzero si tuffano lateralmente in modo sincronizzato e svelano una presenza eretta su un piedistallo quadrato. È ancora celata dalla penombra quando abbozza la prima strofa:
«Missing ginger in my dough./Can you add a little more?/[…]» canta con voce zuccherina, pare legga un’intima lettera d’amore. Ad un certo punto la base si fa più serrata, il tono della sua voce sale di un paio di ottave e la canzone letteralmente esplode. Tutto diventa chiaro, i riflettori illuminano colui che si sta esibendo: Mr. Gingerbread.
Mentre si volta attacca il ritornello, il pubblico esulta in visibilio «Cookies on me, baby/Let's play in the flour.» avverto brividi di pura emozione lungo la schiena, battono le vertebre come uno xilofono che desidera accompagnare il resto degli strumenti «I feel the icing around us/You choose the flavour/Whatever you prefer.» la percezione è quella di essere cullati in un morbido abbraccio, dà sollievo e serenità. Un cullare che si riflette anche nel lento dondolare del protagonista in scena «It doesn't matter to me/What's important is the chance/To be with you/[…]» a fare da cornice, ancora una volta, sono i biscotti animati. Ormai diventati un corpo di ballo a tutti gli effetti, disegnano coreografie eleganti, fatte di prese – spettacolari angeli in volo – e volteggi leggiadri, seguiti da teneri casquet. Uno di loro si avvicina a Mr. Gingerbread, che lo fa piroettare su sé stesso. I fasci di luce assumono sfumature calde, che passano dal porpora all'arancio, fino al dorato per il gran finale.
«So Cookies on me, baby.» l’ultima sillaba si allunga, nuota sull'onda di un vibrato che mi fa trattenere il fiato. L’artista si lascia cadere all'indietro senza timore, i mini Zenzy sono lì ad accoglierlo. Lo sostengono come una piuma, trasportandolo fino alla parte anteriore del palco. Lo posano a terra, dove incrocia le gambe, piega la schiena e dedica un lungo inchino ai presenti. La musica dell’orchestra scema e viene prontamente sostituita da uno scroscio di applausi e ovazioni, s’impongono e sovrastano qualsiasi altro rumore emesso nei dintorni. E io, non posso esimermi dall’aggiungermi al coro.
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La mia coscienza diceva no, ma il mio cuore diceva fallo. Ha vinto il cuore, quindi ecco "Cookies on me", da cantare su queste note (click). Perdona mi vida loca :ph34r: :<31:
 
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iventa facile, in momenti simili, lasciar correre l'immaginazione. Impiego un battito di ciglia per coinvolgere ogni sorriso alle tue parole, Camille.
Colori sgargianti, viola, lilla, arancio, e via di abiti fuori dall'ordinario — cappelli con piume, pigiama stravaganti, di tutto e di più. La coppia di stregoni di fronte si volatilizza, ognuno diretto — come noi — alle rispettive poltrone. Torno indietro nel tempo, prima che gli omini di pan di zenzero tentino l'assalto di successo; torno ad essere l'Auror Mystère, e tu — come se fossimo di nuovo in libreria — l'incredibile, misteriosa Java. Ricordi, questi, che confermano la vicinanza che provo nei tuoi confronti e che, di per sé, mi suggeriscono di essere in giusta compagnia. Ci sarà un momento, in seguito, in cui penserò a questa serata, al divertimento e alle emozioni che ho provato fin da subito; e ci sarà un momento, com'è ora, in cui continuerò ad essere certo, e contento, d'aver chiesto a te di parteciparvi. Forse è un pensiero ricorrente, uno in grado di distrarmi a sufficienza. In effetti... gli omini di pan di zenzero mi lasciano interdetto. Con un pizzico di lungimiranza avrei potuto giustificare subito la loro presenza, d'altronde in lista d'onore — per il Fwooper d'Oro — vi è anche lui, il prestigioso...
«Mr Gingerbread!» Concludo, un po' sorridente, un po' esaltato. Ho le mani che tremano, benché io non sia mai stato grande ammiratore di Mr Gingerbread. C'è un ché di fantasioso, in lui, in grado di affascinare anche me. Eppure, ha una cadenza musicale che non rispecchia la malinconia d'insieme cui sono abituato, e assuefatto. Chiunque vi sia dietro la figura di biscotto ingigantito dalla trasfigurazione, di certo ha un tocco di spettacolo; le canzoni hanno un ritmo semplice, molto dinamico, e forse è per questo che attiri un successo in crescendo. A malincuore, mi libero dell'ultimo omino di pan di zenzero con un colpetto sinistro, un po' come quando da bambino giocavo a Calcia-Lo-Gnomo. Non posso fare a meno di divertirmi, notando come l'esercito di Zenzy stia avanzando (anche tu, Camille, sei vittima, ma trovo tutto molto buffo e sì, lo ammetto, tanto piacevole). Alla fine è la torre che realizzano sul palcoscenico ad attirare l'attenzione comune; è come un respiro che s'arresta in sala, ovunque, finché il brano più di spicco del cantante brilla di vivacità in teatro.
«Cookies on me, baby» canticchio a mia volta, un battito di mani che coinvolge poi il resto del corpo; un movimento di bacino, un passo a destra, uno a sinistra, finché gentilmente sfioro anche te, Camille, con un occhiolino che fa scemare l'imbarazzo del momento. Non mi sorprende che tu conosca il brano a memoria, mi hai raccontato d'aver trascorso le festività natalizie con in sottofondo la musica di Mr Gingerbread. Non te lo dico, ma... è solo per te che mi affeziono all'artista, anche se (che orrore!) non ho ancora il suo disco in collezione. Poco dopo le ultime note s'adagiano intorno, un giro di corda e di liuti finché le luci aumentano d'intensità. Il profumo dello zenzero, cannella e pasta frolla si offusca, ma resta dolcemente in ogni punto.
«Secondo te» — inizio, approfittandone — «qualcuno ha mangiato uno dei biscotti?» La musica si ferma di botto, e la mia voce risulta limpida almeno alle file vicine. Qualcuno mi lancia un'occhiataccia, un po' come a dire d'aver assistito alla confessione di un omicida. Di per sé, per fortuna, il palco torna a risplendere come un faro, finché Mr Gingerbread — un omone di pan di zenzero, un vero gigante rispetto ai piccoletti sparpagliati lì intorno — si sposta. Si scorge un lampo di fuoco, una cometa fiammeggiante. Esprime il bagliore di un tizzone in camino, di braci ardenti e di sortilegi in risveglio; invece, è un Fwooper, un volo purpureo che in esplosione luminosa rivela una figura longilinea. Il Teatro Magico rifulge di un battito, e un altro, e un altro in successione; è un applauso così forte, in anticipo sull'identità di chi appare. Ha capelli più lunghi del solito, onde d'inchiostro lucente che scivolano di basso; gli occhi, d'azzurro terso, s'armonizzano all'abito di gala, un tessuto di taffetà cobalto con innumerevoli brillantini in ricamo. S'espande come in coda di sirena, mare in tempesta sul palcoscenico. Solleva la mano destra, ingentilita da gioielli d'avorio e madreperla. Ha la pelle diafana, come ninfa, ed è bellissima. C'è chi si alza in piedi, chi fischia d'ammirazione, e io... io sono tra loro.
«Miei cari, carissimi ospiti.» Ha la voce cristallina, la voce che tutti prima o poi abbiamo sentito almeno una volta nella vita. La magia amplifica il tono, affinché si distingua più dolcemente ben oltre.
«Benvenuti alla Cerimonia del Fwooper d'Oro. A parlarvi, naturalmente, è Glenda Chittock.» La dizione è perfetta, d'altronde... è lei, soltanto lei, l'unica presentatrice di Radio Strega Network. Mi accorgo di essere in piedi, finché Glenda Chittock non invita a prendere nuovamente posto. Ti stringo il braccio, Camille. Ho gli occhi traboccanti d'emozione, finché la presentatrice riprende. Omaggia lo spettacolo, la musica, la tradizione di un evento così prezioso come questo, e continua, continua finché la voce risveglia il sogno che anch'io, fin da bambino, ho custodito gelosamente nel cassetto. Flash, scatti fotografici, flotte di giornalisti allo sbaraglio, Glenda Chittock è al centro dell'attenzione. Batte, le mani: statuette dorate si volatilizzano tutto intorno, come una corona di stelle. Ne prende una, la sala si fa silenziosa. Infine...
«Il Fwooper d'Oro all'Arte della Magisfera, per l'impeccabile, straordinaria maestria trasfigurativa delle proprie esibizioni, va a...» Sorride, lei che detiene il firmamento delle stelle. «Mr Gingerbread!» Ovunque, festoni, fuochi danzanti, battiti di entusiasmo; Mr Gingerbread avanza, un po' goffo, senza mai mutare aspetto d'uomo. Curioso, penso, scorgere un omino di pan di zenzero trattenere a sé la statuetta del Fwooper d'Oro tra le zampette di pasta frolla. Si inchina, finché Cookies on me torna alla ribalta, favorita dall'orchestra di sfondo. Ovunque, scivolano biscotti, zenzero, cannella, finché l'aria trema di magia. Glenda Chittock si avvia di lato, Mr Gingerbread e gli altri via per il backstage... d'impatto, un arcobaleno. Il palco, libero, si anima in antichi sortilegi: un ramo, un germoglio e poi un tronco, e un albero, un altro, un altro ancora; appaiono fiori, gemme colorate, finché la natura si rende rigogliosa come un paesaggio fiabesco. C'è qualcosa. Qualcuno in arrivo.
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Ho amato.
Meraviglioso. +1000 Punti per la canzone.
 
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view post Posted on 28/11/2023, 18:59
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on avrei mai immaginato che un biscotto, trasfigurato da chissà quale misterioso e abile marionettista, fosse capace di rendere tutti così partecipi – grandi e bambini, senza distinzione d’età. L’esibizione è coinvolgente, non si può negare. Impossibile stare fermi e non imitare i piccoli Zenzy che sgambettano qui e là. Divertita, ricambio il colpetto al fianco e canticchio piano anch’io, un’immagine così buffa che rimarrà cristallizzata tra i ricordi più belli. È un fiume gonfio e straripante di entusiasmo che ci trascina, dà assuefazione finché la lenta piena non cala ed è il momento di metabolizzare le prime impressioni «Dal vivo è incredibile, se lo divora il palco.» una battuta che non voleva essere tale, ma che – come direbbe qualcuno – con uno strano tempismo comico si unisce alla perfezione alla tua domanda posta quasi in contemporanea «Oh puoi giurarci, devi ammettere che sono appetitosi!» una risata bassa, il capo che ti indica rapidamente un punto in prima fila, sulla destra «Vedi quel tizio? Quello con la giacca a pois?» mi avvicino un poco, giusto per rendere ancor più credibile l’aria da complottista che ho messo su «Si sfiora i baffi in maniera sospetta, secondo me li sta ripulendo dalle briciole!» ed ecco che vengo fulminata anch’io, il cecchino è la signora con un buffo cappello piumato seduta su una delle poltrone limitrofe. Dovrei pentirmi della mia brutalità, ma non ci riesco. Per fortuna lo spettacolo riprende, permettendomi di ritrovare una certa serietà. Glenda Chittock fa il suo incredibile ingesso, rimango affascinata tanto da osservarla con ammirazione mentre viene accolta con estremo calore. Si rivela una padrona di casa eccezionale, sa farci con le parole, è evidente. Non potevano scegliere presentatrice migliore di lei per l’occasione, elegante e raffinata nei modi. L’evento è appena iniziato, ma già ha un sapore speciale, sa cogliere al cuore lo spettatore con effetti unici. È un’esperienza che non dimenticherò facilmente, il pizzicore sulla pelle lo conferma. E quando sfiori il mio braccio, e i miei occhi incrociano i tuoi, lì capisco che per te è lo stesso. Poso la mia mano sulla tua e, approfittando dei pochi istanti di pausa, mentre Mr. Gingerbread – con il suo meritato premio e i mini Zenzy al seguito – svanisce dietro le quinte, mi accosto al tuo orecchio «Beh, visto che stiamo confessando una serie di omicidi….» il mio lato da “mafiosa incallita” che si palesa «Questa è la canzone che ascoltavamo mentre preparavamo i dolci a Natale.» dichiaro rea, ormai colta con la teglia in forno «In pratica, involontariamente, ha creato la perfetta colonna sonora per cucinare i suoi simili….» è una dichiarazione macabra, può apparire esagerato, ma è la – forse triste – realtà. Le foto con i miei cugini in cucina, pieni di farina, sono la prova schiacciate. So che non hai assistito direttamente al crimine, sarebbe bello il contrario, ma sono sicura che anche gli scatti fatti quel giorno ti strapperebbero un largo sorriso. Mi riprometto, dunque, di mostrarteli alla prossima occasione utile «Ovviamente rimarrà tra noi, non dovrà mai saperlo se lo becchiamo nel backstage poverino.» l’indice corre al naso, pronto a suggellare un patto segreto.
Le atmosfere natalizie intanto, profumate di zenzero e cannella, lasciano velocemente il posto a qualcosa di ben diverso. La natura comincia a farla da padrona, c’è un meraviglioso boschetto con le creature che abitano ad anticipare il nuovo ospite. Sa di rugiada, di fiori variopinti, di lunghe notti estive passate all’aperto a godersi le radure silenziose. Un silenzio che, al massimo, viene interrotto dal delicato fruscio di un ruscello. Lo stesso suono che, adesso, posso ritrovare nelle morbide note di uno strumento a fiato. Il buio cala d’improvviso, fiammelle – azzurre ed eteree – si accendono ai piedi del protagonista di questo fiabesco racconto: Shey. Stringe un flauto di pan, lo porta alle labbra per regalare a tutti la sua dolce melodia. Pian piano aumenta d’intensità, grazie all’aggiunta di una piccola orchestra di quattro elementi – seduti in cerchio, sulla sinistra –, il medesimo strumento è in loro possesso. Ed è allora che l’Artista fa sentire la sua voce, suadente come il miele.
«When the forest sleeps / And the sun goes down.» a dare ancor più pregio alle parole sono alcune fate, spuntano dai cespugli sullo fondo e volano in sincrono attorno alla figura centrale: attualmente si presenta come un ragazzo, indossa un tailleur con pantaloni a palazzo che richiama le sfumature di verde delle piante alle sue spalle, lo sguardo basso e concentrato «Fairies come out / And dance on dew meadows.» il corpo dondola lentamente a ritmo, accompagnato dalle danze dei minuscoli ballerini. Sono leggiadri, i riflettori che sfiorano le ali e li fanno brillare come gemme preziose «I see them / They infect me / And I'm going wild too […]» è facile lasciarsi condurre in altri mondi, l’emozione in crescendo assieme alla canzone che si avvia al suo clou «I fly with them in the spring skies / Above flowery hills / A place where I'm free to be me.» ed è proprio su quest’onda di libertà che Shey inarca la schiena all’indietro, come se stesse davvero spiccando il volo. Rimane immobile però, o così pare. La vera dinamica sta nel mutamento che mette in atto, generando inevitabilmente uno stupore generale. Il pubblico è esterrefatto – in senso positivo –, persino io involontariamente schiudo la bocca per la sorpresa. D’istinto ti cerco, per capire se anche tu hai visto ciò che ho visto io, o è stato tutto frutto della mia fantasia.
La scena si anima ulteriormente, gli esserini alati si radunano a gruppetti attorno ai fuochi fatui e danno il via ad un impnotico giro tondo. Si muovono senza regole, come al cospetto di uno scoppiettante e allegro falò «I let myself be carried away by the breeze / I let it cradle my soul.» il cuore batte forte, è persino più intenso di quanto ricordassi «She reads me inside / She knows I've got a rainbow inside of me.» la prima volta che ha catturato la mia curiosità, durante uno dei tanti balli scolastici di fine anno «Iridescent like fairies wings / I want to paint the world with its colors / To show others my point of view / To show everyone who I really am […]» le fate si preparano per il gran finale, si nota dal fermento che le fa vibrare. Sciolgono l’intreccio di dita, volteggiano su loro stesse per poi dirigersi verso la platea, verso di noi. Giocano con i presenti, pretendono le nostre attenzione, come si confà al loro lato vanesio. Una si avvicina a me, mi tira la punta di un orecchio come a dirmi “sono qui”. Naturalmente l’assecondo, con la mancina disegno un saluto gentile prima che si allontani. Il loro tipico ronzio carezza l’udito, crea uno strano mix con il resto della base acustica. La voce di Shey, invece, si perde in un ultimo acuto in chiusura. Di colpo tutto tace, ma solo per un singolo istante. Una pioggia di applausi cade a scroscio dentro il teatro, seguito da una meritata standing ovation a cui mi aggrego con piacere. La ragazza scolpita nell’ebano – che ora sta lì di fronte alla Sala – non proferisce parola però, piega solamente il busto in un sentito ringraziamento.
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Stavolta tocca a "Fairies" di .Shey, da immaginare su queste note (click) :secret: :<31:


Edited by Camille Donovan - 28/11/2023, 19:50
 
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view post Posted on 10/12/2023, 19:20
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otrei restare per ore in questa sala adibita a festa. Ho l'imbarazzo della scelta circa cosa ammirare di più: la volta tinteggiata in magia, il palcoscenico con l'esibizione in arrivo, l'uomo dal vestito a pois. D'istinto cerco la figura che hai appena nominato, Camille. Di certo è una battuta — oppure no? —, ma mi hai incuriosito. Non ti dico che anch'io, tutto sommato, avrei voluto addentare uno degli omini di pan di zenzero in giro per il teatro; avresti accusato anche me. Tra l'altro, il tuo commento successivo è un'autentica delizia.
«Mr Gingerbread, dal palco alla padella.» O giù di lì. Il mio è un sussurro che sfuma via rapidamente, favorito dalla musica in crescendo. L'aspettativa è alle stelle, una parte di me è già certa di chi stia per arrivare sul palcoscenico. C'è un ché di rassicurante, perché è il principio di una Visione che ho vissuto poco addietro. Giravolte di note, in flauto, addolciscono l'esordio di .shey, giacché diventa impossibile evitarne l'assonanza. Non potrebbe essere nessun altro artista, affatto. Il modo in cui si svela al pubblico è poesia allo stato puro, un intreccio d'incantesimo, musica e scenografia d'estasi. Il volo delle Fate è una danza, l'una dopo l'altra verso le fila delle poltrone, tra gli ospiti, tra la folla. Ricordano gocce di colore, un firmamento d'eterna bellezza; volteggiano all'unisono, in nugoli maestosi, alcune perfino più vicine del previsto. Sorrido quando una delle creaturine ti solletica il volto, lo stesso accade per me; una Fata si posa sul naso, mi spinge a soffiarla via — un respiro sottile, che l'accompagna via verso .shey ancora una volta. Fiori d'illusione germogliano in lungo e in largo, a ricamare una tela di bosco e magia.
«I fly with them in the spring skies / Above flowery hills / A place where I'm free to be me»» Sono in visibilio. Il cuore è leggero come una piuma, il respiro s'acquieta come difficilmente ha saputo fare fino ad oggi; è come se la voce di .shey giungesse fin nel profondo, a mo' di carezza. Fairies è tra i brani più belli in assoluto, uno dei capolavori del panorama musicale del mondo magico; per di più... è una delle mie canzoni preferite, complice il fatto che vi associ, in memoria, la vittoria della Coppa delle Case al Ballo delle Fate di Hogwarts. Il soffio di .shey — in Metamorfomagia — solleva un oooh comune, mio pure. C'è armonia innata. Conclude un applauso veramente esteso, traboccante di sincera ammirazione anche da parte mia. Vorrei che l'esibizione riprendesse, che .shey dedicasse a tutti noi almeno un altro brano. Invero, le Fate volano giocosamente attorno, una corona di luce che s'infiamma all'arrivo delle statuette dei Fwooper. C'è chi sorride con partecipazione, c'è chi batte ripetutamente le mani pur durante il discorso di congratulazioni e di omaggio di Glenda Chittock. D'altronde, è risaputo: .shey è in cima alla rosea dei candidati per la Cerimonia, fin dallo scorso anno. Non sorprende neanche me, difatti, la tripletta di statuette che porta via con sé.
«Fwooper come Miglior Artista Emergente, Fwooper per Fairies come Miglior Canzone dell'Anno. Per la barba di Merlino, non è finita!» Il Teatro Magico impazzisce, c'è chi solleva le bacchette in una pioggia di scintille fiammeggianti, di festa e di ringraziamento. Le voci s'accavallano ovunque, è un'esplosione di emozione come poche altre volte al mondo magico. Glenda Chittock, un po' ridendo, un po' imbarazzata, è costretta al Sonorus per concludere la premiazione.
«Fwooper come Miglior Album dell'Anno per Lingua di Fata. Congratulazioni, congratulazioni di vero cuore!» Meritato. Meritatissimo. Mi accorgo di tremare da cima a fondo, mi accorgo di essere a mia volta in piedi. Ho le mani sul petto, il battito accelerato e il volto in fiamme; sorrido con tutto me stesso, con profondo trasporto. Mi unisco all'applauso scrosciante.
«Avrei dovuto prevederlo.» Oh sì, il commento suona bizzarro perfino per me. Ti colpisco leggermente, aggiungo un occhiolino. Poco dopo, .shey scompare in un arcobaleno: le Fate, i Fwooper, oro e luce tutto intorno a sé. La sala continua per molto, finché gli addetti al Teatro Magico fanno sparire a colpi di bacchetta l'intera scenografia finale. Vi appare un tappeto d'azzurro. Una, due, tre... venti ballerine entrano in scena, una dopo l'altra con passetti di danza che la musica allieta delicatamente. Ricorda la melodia di un'opera, il corpo di ballo veste tutù delle tinte del cielo più limpido e vivido, un riflesso d'azzurro marino, di blu e cobalto; sfumano tutte insieme, in acrobazie tanto complesse per l'impronta della magia in atto. La musica cresce, si fa profonda. S'intreccia all'ingresso di una donna in abito lunghissimo, un tutù più largo delle altre ballerine e di certo più luminoso per il candore della tela stessa. Ha una corona di brillanti sul capo, una Coppa d'Oro tra le mani; la lancia in aria e spicca un balzo, s'arresta a mezz'aria come creatura angelica. In discesa, si spalanca una coppia di ali dorate lungo la schiena e lei vola ancora, e ancora.
«Oh Camille, non credevo fossero in programma» ti sussurro, riprendendo subito posto e sporgendomi verso di te. «Sono le Danzatrici Celestine, direttamente da Arkhang... Non ricordo bene il nome, è la Città degli Angeli in Russia. Vedi la Coppa che stringe la prima ballerina? Ecco, la leggenda narra che sia incantata per contenere il sangue angelico. Sono ballerine che girano il mondo, io...»
Shhh. Dietro di me, intimano di zittirmi. Torno allo spettacolo, l'intervallo della Cerimonia dei Fwooper è unico a sua volta. La domanda, però, resta in sospeso: chi sarà il prossimo vincitore?
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Puoi vincere un Fwooper anche tu alla fine.
 
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view post Posted on 28/12/2023, 22:07
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È
un susseguirsi di emozioni, ci stanno letteralmente catapultato in un vortice che ci scaraventa qui e là senza sosta: passando dalla fresca energia di Mr. Gingerbread – con scambi legati saldamente a cari ricordi, che conserverò a lungo e con cura –, fino alla decisa stretta al cuore data da .Shey, con il suo intimo inno dedicato a chi cerca sé stesso. È una botta talmente forte in pieno petto che, per diversi istanti, mi costringe ad estraniarmi. Non riesco a metabolizzare nell’immediato, non ci riesco al punto da non notare il nuovo ingresso di Mrs. Chittock nascosta dalla fuligginosa nube di pensieri. Mi riscuoto alle prime grida di approvazione, mentre vengono elencati i premi ormai in via di consegna. Tutti meritati, non potrebbe essere altrimenti, i festeggiamenti in suo onore lo dimostrano e scacciano ogni dubbio. Festeggiamenti ai quali, inevitabilmente, mi unisco e partecipo con sentito trasporto. Festeggiamenti che – come ogni cosa bella – svaniscono assieme a .Shey al seguito dell’arcobaleno, uno piccolo sprazzo di pace e serenità che solo quei colori – accesi e brillanti – sono in grado di trasmettere.
La breve pausa, il tuo commento al quale non posso far a meno di sorridere «Non so se fossero prevedibili le vittorie, ma sicuramente è il record da battere ora.» lo affermo con convinzione, adesso fremo per scoprire se gli altri saranno in grado di eguagliare tale meraviglia. Non faccio in tempo ad aggiungere altro, la terreità del bosco tramuta nei toni più eterei dei cieli e accolgono una ventina di giovani donne. Le osservo curiosa, in attesa della prima mossa da parte loro. Non si fanno aspettare molto, rivelandosi delle ballerine incredibili e di fama mondiale per giunta. «Oh, guarda lì!» sono come una bambina adesso, lo lascio trasparire senza vergogna. Ti indico una delle Danzatrici che passa sopra le nostre teste, eseguendo quello che assomiglia ad un giro della morte. Con il naso all’insù ascolto con vivo interesse il tuo racconto, la loro storia, immagino le terre lontane da cui provengono e mi sento di dire che in effetti è un privilegio che abbiano fatto tanta strada per allietare la serata «Sangue angeli-» vorrei saperne ancora, ma vengo richiamata anch’io all’ordine dei nostri vicini. La melodia delicata, timida, che fa da sfondo alle acrobazie scema finché – con generale dispiacere – non ci salutano, recandosi con grazia dietro le quinte e sulla loro scia resta solamente il buio. Un buio che, in un battito di ciglia, viene spezzato da un’intensa luce color violetto. Alle orecchie invece giunge un suono artificiale, elettrico e amplificato magicamente che riverbera e riscuote gli animi. Corde che vengono stuzzicate e attirano facilmente l’attenzione, ma chi è il o la responsabile? Il violetto vira ad un blu intenso, come l’oceano, e delinea il profilo di una donna posizionata al centro. Un profilo che diventa sempre più chiaro e rivela finalmente la sua identità.
Non è possibile, mormora qualcuno.
Nessuno probabilmente si aspettava di riconoscere la sua figura, quella di Emily Vannet. Durante il viaggio mi hai raccontato di un suo potenziale riaffaccio sul panorama musicale, ma vederla lì, davanti all’intera platea, rende quelle semplici ipotesi annotate su carta reali e tangibili. Il pubblico è in visibilio, gli occhi si spalancano colmi d’ammirazione.
«There is something in the air that makes the skin vibrate / It smells of change and good news, yeah. lo stupore aumenta esponenzialmente quando ci rendiamo conto che non è uno dei pezzi già noti della sua discografia, ma è un qualcosa di nuovo, completamente inedito. Al centro della scena ci sono solo lei e un basso che vibra sotto le sue dita esperte, tanto basta per scaldare l’atmosfera.
«Is your life falling apart? / Don't worry, I have the solution.» la sua voce è calda e graffiante, il ritmo che l’accompagna incalzante e spinge le persone a tenere il tempo con i piedi ad ogni reef «Listen to the buzz / Believe me and you won't regret it.» il ritornello esplode, l’Artista con un cenno del capo invita tutti ad alzarsi e scatenarsi nel modo che più desiderano «If the heart buzzes like the wings of a Billywig / Follow him into the flowery meadows / There you will find what you are looking for […]» è come essere ad un concerto vero e proprio, tant’è che si iniziano a vedere i classici effetti speciali che enfatizzano l’esibizione al suo culmine: scintille bluastre zampillano ai bordi del palco, seguiti dal ritorno del corpo di ballo delle Celestine. Agili spiccano il volo sulle nostre teste, chiudendosi poi su sé stesse come fiori al chiaro di luna. Ruotano dolcemente, sfere umane che carezzano l’aria. Una, due volte, e quando l’intreccio dei loro arti si scioglie una cascata di minuscole palline azzurro pastello cade su di noi – tic tic cantano, la pelle il loro tamburello «Non siate timidi, in nome dei vecchi tempi!» ci incalza Mrs. Vannet. Noto allora che qualcuno, attorno a noi, coraggiosamente le ha ingerite. Pian piano i presenti, come a sfidare la gravità, si sollevano dal pavimento e iniziano a volteggiare assieme alle ballerine. Realizzo, quindi: Api frizzole. Ne acchiappo una manciata, un po’ come si fa con i fiocchi di neve prima che tocchino terra e si sciolgano, ponendo fine al gioco.
«Mi raccomando, non esagerare.» ti sussurro. Un occhiolino, un'espressione furba che compare sul volto mentre le metto in mostra sul palmo e te le offro. Accetti? «Non vuoi rischiare un’altra indigestione, vero?» intanto ne porto due alla bocca, lo sguardo ancora posato su di te – uno sguardo che spera di vederti fare altrettanto. Io già ne sento il sapore sulla lingua, frizzante e zuccherino. Subito dopo eccola lì, la leggerezza che solo un paio d'ali sanno donare. Se ti vedrò accanto a me ti afferrerò la mano, cimentandomi in una rapida giravolta. Una delle Celestine si avvicina, ci spinge a muoverci come la nostra fantasia suggerisce: fianchi che ondeggiano, braccia che mirano in alto come a voler toccare il soffitto, persino tante capriole da far venire le vertigini. Qualcuno è perfettamente coordinato, una dote naturale, altri sono più goffi come un signore alle nostre spalle. È un ometto di una certa età, abbastanza pasciuto, che in preda all’euforia ci urta accidentalmente – probabilmente colui che ci ha zittiti. Ma non importa, è impossibile prendersela, è uno spettacolo troppo buffo per mettere il broncio. E poi, lui nemmeno se ne è reso conto talmente è coinvolto.
«Please follow the buzz / It's your new and beautiful future calling […]» stiamo giungendo, purtroppo, al termine. Il coro strumentale sfuma, così come il magico effetto che ci ha trascinati per qualche minuto in un mondo fatto di pura libertà. L’entusiasmo però dilaga incontrollato, ritrovato l’equilibrio collettivo le ovazioni sovrastano tutto e inondano la vera protagonista di questo magico momento, che si inchina e se ne bea lanciando infine un bacio ai suoi ammiratori.
«È stato, oh è stato….» non so come descriverlo, non ho termini in grado di rendere giustizia a ciò che abbiamo vissuto «Incredibile è troppo poco…» pian piano cala il silenzio, Mrs. Vannet prende la parola «Vi sono mancata?» domanda retorica ovviamente, perché il pubblico le risponde con rinnovati calore e affetto «Quello che avete appena ascoltato è il mio nuovo brano, "Listen to the Buzz”.» lo dice con fierezza, colma di gioia, come se si riferisse ad un figlio «Spero vi sia piaciuto, ma soprattutto che vi siate scatenati!» mima un passo di Twist per poi tornare a ringraziare ognuno di noi.
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Ops, inedito di Emily Vannet: "Listen to the Buzz". Da immaginare su questa base (click) :gattello: :<31:
 
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view post Posted on 14/1/2024, 19:35
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redevo di non poter emozionarmi di più, non stasera. Il palcoscenico è un tributo alla bellezza: dalle tinte addolcite d'azzurro e madreperla delle Danzatrici Celestine al bagliore della Coppa Angelica, tutto mi manda in visibilio. Ho come l'impressione d'essere in un sogno ad occhi aperti, forse più un miraggio. Mi pizzico l'avambraccio in modo distratto, per una rassicurazione tutta per me. No, non è illusione. La cerimonia del Fwooper d'Oro è realtà, è tutta per noi. Inseguo il volo d'arte delle ballerine, il turbinio di colore, maestria e luce. Ricordano nugoli di creature alate, forse Celestini, forse Folletti della Cornovaglia. In verità, non ho parole. Non ho più lucidità, in mente. Il cuore prende posto in avanscoperta, si fa largo senza chiedere permesso. E batte, batte forte.
«Il concerto più bello della mia vita.» Commento così, di sfuggita. Ho gli occhi incantati di un bambino, occhi che cercano di catturare ogni cornice. Non mi basta, vorrei gridare. No, non mi basta. Voglio divenire parte del tutto, del palco, dell'Arte con la lettera maiuscola. Quasi in risposta, allora, prendiamo volo... letteralmente. Perché l'arrivo di Emily Vannet scatena una reazione assolutamente prevedibile, e tuttavia incredibilmente vivida. Io... ho la bocca spalancata, le mani tremanti. Mi guardo attorno come in difficoltà, in dispersione con me stesso. Sto sognando? Emily Vannet è forse il tassello più atteso dell'evento, velato dall'incertezza circa la partecipazione. Non avevo idea che potesse esservi per davvero, anche le mie erano soltanto speranze. Sono in estasi.
Please follow the buzz / It's your new and beautiful future calling. Mi accorgo subito, a mia volta, d'essere di fronte uno spettacolo unico, poiché completamente originale. Conosco la discografia di Emily Vannet a memoria, potrei elencare ogni singola canzone. Per di più — e ti sorrido, Camille, perché mi hai letto nel pensiero — ho vissuto un concerto dell'artista, tempo addietro. Non mi faccio pregare, affatto, e via di praline azzurre. L'effetto è conosciuto, i pungiglioni di Celestino ci spingono in alto, sempre di più. Non importa d'imbattermi in un mago grassottello, non importa di ritrovarmi un cappello di piume dritto sul naso (una poveretta poco lontano l'ha perduto, e lo rilancio indietro come in una partita di Quidditch). Vorrei restare così, sospeso a mezz'aria. Ti cerco la mano, Camille. Invito entrambi a seguire il ritmo, a fare una giravolta, e un'altra, e un'altra. Questo è un momento che s'imprime in eterno.
Quando ridiscendiamo, sono in tensione: di quelle preziose, che fanno risalire l'adrenalina alle stelle. In effetti, non riesco a prendere posto sulla poltrona. Ho bisogno che il tempo si dilati, che si freni. Ho bisogno di immortalare il presente, più del solito. Emily Vannet annuncia il nuovo album e finalmente, per me, è una risposta ad una lunga, titubante serie di Visioni. Perché... ti guardo, Camille. C'è qualcosa che non ti ho detto, qualcosa che però ha già attecchito radice mesi e mesi addietro. Sorrido come chi pronto a svelare un segreto che a lungo ha custodito, con difficoltà. Basta un istante affinché Glenda Chittock torni sul palcoscenico, una nube azzurrina e scintillante dietro di sé.
«Miei cari, carissimi ospiti.» Batte le mani, unendosi allo scroscio di applausi in sala. Dietro di lei, le Danzatrici Celestine s'inchinano, la prima ballerina lancia davanti a sé la Coppa Angelica. Cos'è, un atto di protesta? Affatto. D'improvviso, la Coppa s'arresta in volo, un reticolo brillante che rapidamente muta in una statuetta d'oro.
«Il rientro sulla scena più atteso degli ultimi decenni! Emily Vannet vince il Fwooper alla Carriera, bravo, bravo!» conclude la padrona di casa. Il Teatro Magico impazzisce di gioia, Emily Vannet è a sua volta genuinamente sorpresa. Lo si nota dal modo in cui porta le mani al petto, il cuore felicissimo pure per lei. Coglie tra le mani il Fwooper lucente, e via d'inchino.
«Occhi aperti, bambolini. Chocolate Babe è in prossima uscita!» Annuncia il titolo del nuovo album, così, come una bomba a ciel sereno. E io, ora, torno a te. Ho l'espressione buffissima di chi si attende soltanto una reazione, perché... il nome del disco ti riporta qualcosa, Camille?
«La scatola di cioccolatini stregati.» Il mio è un singhiozzo, una frase a metà che si consuma in divertimento. Chissà, potresti ricordare. Certo, è passato moltissimo tempo: era un dono che portava con sé un biglietto. Chocolate Babe. 20 Gennaio, il messaggio non spiegava granché oltre.
«Non posso credere di aver atteso così tanto, mi avrai preso per pazzo ma il regalo portava lo stesso nome dell'album di Emily Vannet perché... doveva rilasciarlo tanto tempo fa, e io avevo già intenzione di prendere i biglietti per il concerto per entrambi. Come abbia saputo del titolo è un segreto. Parola di Don Brior.» Un po' colpa mia, un po' colpa della cantautrice (diciamola tutta). Ad ogni modo, non ho dimenticato: ho soltanto anticipato i tempi, anche troppo. il palcoscenico richiama l'attenzione poco dopo. Glenda Chittock attinge al silenzio, ora ch'è da sola. Si carica di ulteriore aspettativa, finché risuona un gong in lontananza. E un altro, un altro ancora, ricorda il ritmo tribale dei templi antichi. Cos'è, una preghiera in atto? O un momento per rilassarsi? Dall'alto scivola un fumo bianco, intinto d'argento. Porta all'idea di un firmamento in divenire, un tappeto di stelle e pianeti minuscoli, brillanti più delle luci in sala. Il fumo di distribuisce in lungo e in largo, come il soffio di una divinità, finché si mescola sul palcoscenico in figure nuove. Il tamburo si ripercuote ancora, favorito dalle corde d'arpa e lira. Diventa una melodia dolcissima, intensa, che giunge dritta al cuore; è come se infondesse pace.
«Namasté, unitevi al Saluto del Sole.» Le voci riverberano come in eco, e non è chiaro chi stia parlando. Il fumo ha un profumo unico, di foresta e di pioggia, di natura e di vita. Finché la musica prende forma, avanza in note più esotiche. Oltre le nubi di stelle, finalmente si scorgono sei musicisti: abiti di stoffe colorate e lunghe; tamburi stretti tra le mani, nuvole dai riflessi fiammeggianti tutto intorno. Sono sospesi a metri dal palco e brillano, brillano soffusamente. Dietro di loro compare il profilo di una montagna, e di un cielo terso d'azzurro, e poi una terra inesplorata. La magia evoca l'ombra del Cavallo, e una divinità da otto braccia.
Sono arrivati.
Code • Oliver


Già in loop, io... innamorato.
 
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17 replies since 4/6/2023, 20:46   486 views
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