Fiocchi di glassa e cristalli di zucchero, Cucine - Privata

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view post Posted on 2/9/2023, 17:50
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[Era una notte d’acqua a catinelle –
andavo in giro senza le bretelle.. all’improvviso vidi un cimitero –
com’era nero, oh! com’era nero!
Ma saltellando di tomba in tomba.. vidi una bionda, mamma mia che bionda!
Era il fantasma della zia Gioconda –
che ripuliva la sua tomba nera e fonda!]



Adeline canticchiava – uno di quei motivetti tutti suoi che spesso le rimbalzavano tra le pareti della scatola cranica, creando eco e melodie secondarie e ripetute che duravano ore, giorni, settimane intere.
Canticchiava ma – china su uno degli ampi banconi da lavoro delle cucine del castello - decorava anche in maniera particolarmente attenta e precisa una bella torta al cioccolato bianco e lamponi – rotonda, con uno strato esterno di creme e panna levigate e bianchissime e con delle delicate decorazioni a ghirigori fatte con la cioccolata raffreddata, frutta e scaglie dorate (gli eleganti decori solo sui contorni però, e questo perché la parte centrale – rimasta inizialmente libera, bianca come la carta – avrebbe avuto.. il suo precisissimo scopo).


[I vermicelli freschi di giornata –
la rosicchiavan come l’insalata.. in testa aveva un grosso gatto nero –
era il re, era il re del Cimitero!]



Si era alzata alle quattro quella mattina (il che forse spiegherebbe anche l’opinabile litania che si ostinava a canticchiare sottovoce - naaaah) solo per scendere silenziosa quanto un’ombra giù in cucina, iniziare a preparare la sua torta e – beh, arrivare a quel preciso momento, pronta, in tempo.
Le tempistiche erano in effetti, nel loro piccolo, cruciali.
Entro l’ora della colazione sarebbe dovuto essere tutto pronto – e vi dirò, l’interno marmorizzato rosso oro non era stato poi così semplice da preparare – soprattutto quando la docente aveva deciso all’ultimo minuto di voler far cambiare il colore al pan di spagna e alle creme interne dopo ogni morso o forchettata (dal rosso rubino intenso all’oro brillante, a ripetersi) e aveva aggiunto per quel pizzico di nonsochè carino e gioioso, le codette di zucchero colorate nelle creme.

[Ma questa storia ha un significato –
è come mettere il vino nel bucato.. è come dire buonanotte al muro –
e poi lavarsi i piedi col cianuro!
La-la-la-lalalalla! ..]



Con una minuscola sac a poche e qualche colpo di bacchetta, la londinese aveva ad ogni modo completato l’opera puntuale: aveva osservato soddisfatta il risultato di tanto impegno – si era premurata con gli elfi domestici che arrivasse al destinatario come previsto (nonchè persino dell'eventualità per cui la strega invitata, più tardi, non sapesse raggiungerla) e - beh dopo un’ultima occhiata, una delicata spolverata di minuscoli brillantini argentati era andata ricoprire le decorazioni esterne di cioccolato bianco e zucchero, già di per sé candide in effetti – ma così, avrebbero ricordato proprio.. Nieve la neve (?) nella sua versione più dolce.
E là, scritta sì con la glassa – ma la calligrafia era quella curata di Adeline – spiccava al centro della torta, tra i decori di cioccolata, i lamponi e le pagliuzze dorate, un nitido: ”Mi raggiungeresti nelle cucine per le 17.30? Adeline Walker”
.. Quanto zucchero e apporto calorico impegno, per un invito.

***



Svariate ore dopo, Adeline Walker stava tornando nelle cucine della scuola.
Aveva svolto e concluso gli impegni previsti per quel sabato mattina – peraltro fuori pioveva e, con grande gioia di Regn, dopo aver coccolato per un po' il suo Augurey questo era uscito per un lungo volo sotto le nuvole colme di pioggia.
Il suo canto l’aveva accompagnata per quasi tutta la discesa lungo la torre di Astronomia, dopodichè..

[Era una notte d’acqua a catinelleeee -]



***



Londra scosse appena la testolina dorata, cercando di concentrarsi.
Erano quasi le 17.30 e se la sua ospite (?) si fosse presentata puntuale, a momenti avrebbe varcato la piccola entrata di quel magico mondo nascosto che erano le cucine di Hogwarts.
C’erano un paio di banconi sgombri tutti per loro, infinita strumentazione pulita e a loro completa disposizione così come letteralmente l’intera dispensa del castello – diversi campanelli di elfi trotterellavano in giro nel loro perpetuo brusio e movimento e Abith ogni tanto lanciava qualche occhiata alla docente per sbirciarne i gesti – ma nel complesso era un sabato pomeriggio tranquillo.
A dirla tutta, era Adeline in realtà l’unico elemento frizzantino e lieve come le bollicine di una qualsiasi bevanda zuccherina - mentre saltellando da una parte all’altra del suo angolino della cucina rimetteva in ordine e ricontrollava cose che erano già perfettamente in ordine e decisamente non da ricontrollare - voleva che ogni dettaglio fosse ai limiti della perfezione – e comunque anche il suo bel grembiule azzurro pastello già legato sopra ad uno dei suoi classici vestiti chiari la metteva se possibile ancor più di buon umore.
Aveva inoltre stretto tra le braccia, un soffice oggetto ripiegato ordinatamente e dal delicato profumo di sapone e fiori bianchi.
Un’ultima piroetta e lo sguardo di mare e di bosco era saettato sull’ingresso, stringendo appena il fagottino bianco.
-Quanto ti piace la cioccolata da uno a dieci?!-
..Sì, aveva saltellato appena proponendo a bruciapelo la fatidica (?!) domanda alla Rosso Oro, non appena ne aveva scorto la figura.
Ma il sorrisone lieto e lo sguardo tanto luminoso quanto pacifico e quieto al contempo, forse l’avrebbero tranquillizzata comunque - come in fondo sperava che fosse.




La torta compare in Sala Grande appena Nieve si siede per la colazione, proprio sotto il suo naso :*-*: :<31:
Se non avessi mai ruolato la discesa nelle cucine o volessi comunque sfruttare la possibilità che è divertente - Abith (l'elfa domestica che ha adottato Adels - nel senso che l'elfa ha adottato la strega, non il contrario :ihih: ) si occuperà di far apparire dei dolcetti che levitano in giro e ti guidano :dance:


Edited by Adeline Walker - 2/9/2023, 20:50
 
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view post Posted on 6/9/2023, 16:32
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I am the storm that never leaves
È un martedì mattina pigro come un altro, di quelli che faticano a ingranare perché siamo tornati da poco a scuola e lo strascico delle vacanze si fa ancora sentire. I volti di chi mi circonda trattengono il velo sonnacchioso di Morfeo: a impedirgli di cadere a picco sul piatto della colazione, solo il sostegno delle mani. Il tè, il caffè e lo zucchero sono il carburante che gli elfi domestici hanno messo a disposizione per accelerare il percorso verso la ripresa della coscienza. Poi, vengono le uova e soprattutto il bacon con il suo profumo appetitoso, che induce a impugnare la forchetta perfino chi vaga nei metafisici corridoi dell’incoscienza.
Allontano la tazza di tè e la ripongo sul tavolo, dopodiché porto una boccata di crostata ai mirtilli alle labbra. Istintivamente irrigidisco le spalle e lo stomaco si contrae. Detesto mangiare in presenza di altre persone, ma il protocollo della scuola non mi consente l’intimità di un pasto in solitudine. Nonostante i molti anni trascorsi a Hogwarts, tuttavia, non sono ancora riuscita a scacciare il disagio che m’assale ogni qualvolta l’impressione di essere osservata nell’atto del mangiare intossica i miei pensieri.
È un bene che la mia attenzione venga presto catalizzata altrove. Sbarro gli occhi con la forchetta ancora a mezz’aria: una torta riccamente decorata appare davanti ai miei occhi, là dove un istante prima stava la fetta di crostata. Schiudo le labbra e batto le palpebre. Impiego qualche secondo di troppo a leggere la scritta che, se possibile, accresce il livello di confusione nel quale sono precipitata.
«La prof ti manda una torta?» fa una voce alla mia destra, sconcertata.
«A quanto pare…» rispondo, nel mio tono e nei miei gesti visibile il disorientamento.
«Hai fatto qualcosa di buono evidentemente» continua Francine, passandomi un coltello. «Che dici, vediamo se se la cava in cucina?»
Le sorrido, impugnando la stoviglia. «Be’, sarebbe un peccato non farlo, direi» rispondo, fingendo naturalezza.
In realtà deglutisco nella speranza di ingollare tutto il mio disagio. La Walker non può saperlo, ma mi sta mettendo al centro dell’attenzione proprio in uno dei momenti peggiori della giornata: i pasti.

⚜️

È così che dovrebbe essere. La vita, intendo. Occhi chiusi, musica nelle orecchie e la brezza autunnale che ti accarezza il viso. Seduta a gambe incrociate tra due colonne del cortile interno, mi godo la fine delle lezioni con animo leggero. Non ho fatto un cazzo ovviamente, se non tentare di camuffare la mia incapacità di usare la bacchetta, ma ho smesso di crucciarmene. Affronto quest’anno scolastico con una disposizione d’animo differente, ovverosia con la consapevolezza di voler vivere due esistenze separate: qui voglio assecondare ogni barbaro istinto, nei salotti che richiedono la mia presenza sarò invece la dama che si prevede che io sia.
Apro gli occhi e sussulto. Francine sta muovendo le mani davanti al mio volto per attirare la mia attenzione. Spengo il congegno inventato da nonno Gaspare e il mondo esterno torna a investirmi con i suoi suoni.
«Ciao, Francine! Dimmi pure.»
«Non dovresti essere dalla Walker a quest’ora? Quella torta merita un minimo di rispetto» mi dice, puntandomi il dito contro il naso.
Estraggo l’orologio da taschino che mi porto dietro come un vecchio signorotto della media borghesia. Cazzo, sono in ritardo!
Salto giù dal muretto e raccolgo la tracolla, facendola passare sopra la testa. «Ti bacerei, Francine, ma non avrei abbastanza tempo per farlo come si deve. Rimandiamo a più tardi» le dico, lanciandole un soriso malizioso.
La osservo un istante di troppo. Schiude la bocca per la sorpresa, gli zigomi si arrossano, poi mette una mano al fianco e alza l’altra per mostrarmi il dito medio proprio mentre ho iniziato a correre all’indietro per allontanarmi da lei. La mia risata echeggia nel cortile.

⚜️

Quando raggiungo i sotterranei —Dio, com’è stantia l’aria qui!—, è con sorpresa che mi trovo di fronte un cupcake. Sì, un cupcake. Levita all’altezza dei miei occhi e sembra chiedermi udienza. Il perché sfugge a voi quanto a me.
Arriccio labbra e sopracciglia. Nulla che appaia così per caso a Hogwarts può dirsi normale. In particolare, nulla di commestibile che venga lasciato casualmente in giro non è sospetto. E io ho la benché minima intenzione di finire in infermeria. Così lo schivo, pronta a dirigermi verso l’aula di pozioni, ma una caramella sovradimensionata appare poco dopo dietro il primo dolce, seguita da un’infinità di leccornie che avrebbero reso felice Emma Woodhouse se non fosse sparita senza lasciare più tracce.
Ma che diamine…
L’improvvisa imboscata ha come effetto la messa in discussione delle mie convinzioni. Ferma sul posto, arrivo a chiedermi per quale ragione abbia pensato che la destinazione più opportuna fosse l’aula di pozioni e non l’ufficio della professoressa. Mi maledico mentalmente. Sono già in ritardo e mi toccherà arrivare fin sulla torre di astronomia per non mancare l’appuntamento.
Muovo un passo in direzione delle scale che portano al piano terra, ma il cupcake mi si para davanti.
«Ma ce l’hai con me, cosino di zucchero?»
Muovo mezzo passo indietro per evitare che la glassa mi finisca sul viso e non so se sia frutto della suggestione o cosa, ma ho la sensazione che quello abbia chiamato i rinforzi perché d’un tratto sono circondata da una girella, un bombolone e un enorme leccalecca color arcobaleno. Arretro di nuovo senza capire cosa stia succedendo, finché il pensiero della torta non titilla le mie sinapsi. Possibile che..?
«Non può essere…» mi dico. Non farebbe mai una cosa del genere. La Walker ha sicuramente cambiato il modo di fare lezione e ha reso Pozioni una materia meno lugubre, ma rimane comunque una docente. Quanto sopra le righe può essere? «Allora, la smettiamo, carnet di carie ai denti? Vediamo dove dobbiamo andare, ma statemi lontani o vi cospargo di sale. Intesi?»
Non sono certa che sia frutto della mia minaccia o (più probabilmente) della mia resa. Sta di fatto che la richiesta di una tregua funziona. E, intanto che mi avvio e supero l’aula e qualche sgabuzzo dimenticato da Gazza, valuto quali tecniche mettere in atto se tutto questo bailamme si rivelasse una fregatura ad opera di uno dei burloni della scuola.
Posso solo menare, niente magia, sospiro, già pronta a rompermi di nuovo le nocche e a scalciare come se da ogni colpo dipendesse la mia stessa vita. Sono veramente una randagia.
Il tragitto zuccherino termina di fronte a un dipinto a motivo fruttato. Accanto a una pera rotonda e dall’apparenza succosa, levita una caramella bianca e rossa che non mangerei nemmeno sotto tortura. Rido, non so se per l’esasperazione o per reale divertimento.
«Apriti sesamo?» bisbiglio ancora in preda al riso, i polpastrelli che saggiano le labbra. Ma il dipinto non mi parla, né la pera comincia a sculettare per indicarmi cosa dovrei fare a suon di reggaeton. Getto il capo all’indietro. Ma perché mi ficco sempre in situazioni inverosimili? «Ma che- Lasciami in pace, oh È tornato all’attacco, il maledetto cupcake. Compio un balzo a destra per evitare che mi impiastricci il volto. Stupida glassa! «Se non fossi sicura che mi manderesti dritta al secondo piano, ti mangerei solo per il gusto di fartela pagare. Così, come una vandala» lo minaccio, simulando la poca grazia con cui mi divertirei a ingurgitarlo, sporcandomi mani e viso.
Chiaramente incurante di fronte alla mia spietatezza, quello continua a spiaccicarsi contro il derrière della povera pera. E io lo guardo a tratti meravigliata, a tratti esilarata, a tratti incapace di determinare se stia assistendo al suicidio di un dolce e se sia il caso di intervenire. Per un meccanismo puramente istintuale, allungo la mano verso il punto in cui si è schiantato e rimuovo un po’ di glassa con la punta delle dita. Per l’ennesima volta, il gesto mi costa un sobbalzo.
Un’apertura nella pittura mi consente di scoprire ciò che di Hogwarts mi era ancora ignoto; ed è con stupore che mi ritrovo a provare per la prima volta dal mio ritorno a scuola la stessa sensazione di calore delle esperienze da matricola. Ecco che mi pare di sentirla di nuovo, liquida e palpabile, la magia che spesso sfugge al mio controllo. Non mi sono avveduta, nell’emozione del momento, di aver impugnato la bacchetta; di averne ricercato il tepore, la complicità.
Mi ridesto e inspiro. Dimentica dell’appuntamento con la Walker, mi lascio travolgere dalla scoperta. Sto sorridendo, mentre faccio ingresso nelle cucine e osservo gli elfi affaccendarsi in vista della cena. Sgambettano felici e precisi in uno spazio che profuma di buono, di casa. Per reazione, il mio stomaco si contrae —stavolta per la fame, non per il suo contrario.
«Gesù incoronato!»
L’esclamazione mi sfugge di bocca prima che possa trattenerla, o rimodularla in modo più confacente alla mia natura di strega. È solo che, nello stato di trance in cui ero caduta e persuasa com’ero che Adeline Walker mi stesse aspettando nel suo ufficio, proprio non ero pronta a un’accoglienza così briosa.
«Buonasera, professoressa» correggo il tiro, sorridendole e battendo le palpebre con smaliziata civetteria. Un visino pentito può essere un primo passo per accedere al perdono, no? «Scusi il ritardo, ma è stato complicato capire che tutta questa storia dei dolci fosse opera sua. Però, il cupcake molesto ha funzionato» aggiungo, più loquace di quanto sarei di norma, specie in presenza di un’insegnante.
Tutta la situazione mi mette a disagio, ora che ho il tempo di rendermene conto. Per questo, fingo di lasciare il passo a un’elfa solo per rinfoderare la bacchetta senza essere vista. I motivi per una richiesta di colloquio potrebbero essere molti e, stando ai recenti sviluppi della mia carriera accademica, non direi che ce ne siano di positivi.
«Mi piace molto» rispondo alla sua domanda, assecondando l’andazzo informale della conversazione. «In inverno, io e mio nonno abbiamoavevamol’abitudine di berne spesso davanti al camino o fuori in cortile, quando nevica. Come mai me lo chiede?»

Sono qui per questo?, vorrei sapere.

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Scusa il ritardo, ma lavoro e ululati (:fix:) hanno reso più lunga del previsto la stesura del post. :<31:
 
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view post Posted on 10/9/2023, 19:15
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Era così contenta che la Rosso Oro si fosse presentata – era anche del leggero sollievo quello che ora le riempiva i polmoni? – che dire che l’animo di Adeline Walker fremeva frizzantino – era quasi una svalutazione del tutto.
-Non c’è alcun problema per il ritardo – figurati!-
Le aveva infatti risposto trillando di rimando sorridente, dondolando appena sui talloni, le braccia incrociate dietro la schiena.
Il cupcake molesto era sicuramente opera di Abith – le cui orecchie appuntite svettavano inconfondibili, almeno per la docente, vicino ai fornelli poco più in là: la ex Bronzo Blu sarà stata anche tutto zucchero e glassa, l’elfa d’altrocanto.. più Londra la conosceva, più aveva l’impressione che sotto quel caratteristico servilismo della specie si celasse (non poi così tanto ormai, quantomeno con lei) un bel caratterino tutto pepe.
Come se si fosse sentita fischiare le orecchie da quei pensieri specificatamente indirizzati a lei, Abith si sporse appena dalla sua postazione, per sbirciare guardinga i movimenti della docente e della sua ospite.
Adeline la vide stringere appena il suo strofinaccio, l’elfa a metà tra l’apprensione e quella ferma e senza vie di fuga consapevolezza che quel pomeriggio non sarebbe stato un “pomeriggio tranquillo” – che poi, ne aveva più avuti da quando quell’iperattivo-mezzo-disastro-vivente della Walker aveva iniziato a lavorare in quella scuola?
Mannaggia a lei e a quella volta in cui l’aveva aiutata su per quelle scale in cui era graziosamente scivolata – facendosi quasi una rampa intera di culo fondoschiena.
Umani. Tzk.
Ad ogni modo – lo sguardo di mare e di bosco carezzava lieve i lineamenti della giovane strega, iperattivato sì – ma anche iperassorbito ed attento come suo solito alla sua interlocutrice.
La cioccolata le piaceva – e l’immagine che la Rosso Oro diede ricavandola da un incantevole ricordo condiviso con il nonno scaldò il muscolo cardiaco di Adeline – un po' per il contenuto in sé, un po' per quella piccola condivisione non esplicitamente richiesta - che per Londra aveva il sapore ed il valore di un vero e proprio piccolo tesoro da custodire con particolare delicatezza.
-Ti ringrazio Nieve.-
Le rispose quando fu il suo turno di parola, sorridendole gentile - perché quando dicevamo che Adeline Walker non dava per scontato niente di ciò che poteva esserle offerto o meno da parte di terzi - beh, intendevamo proprio niente - incluso anche questo genere di piccoli dettagli che (hai voglia di chiamarli “dettagli” a detta della londinese) ben distinguevano in realtà un semplice e secco “Sì” da un’immagine tanto personale e dolce come.. la cioccolata, in effetti.
-Te lo chiedo- aveva ripreso ad ogni modo l’istante successivo, dondolando ancora appena sui talloni -Perché mi farebbe piacere la tua compagnia ed il tuo aiuto, oggi, qui in cucina.-
Sventolò appena nell’aria una mano indicando l’angolo a loro dedicato, con i banchi sgombri, la strumentazione a disposizione ordinata e pulita ancora per poco - sempre sorridente, lo sguardo luminoso pieno di scintillanti aspettative per quel pomeriggio e per quella specifica strega.
-Farebbe piacere anche a te?-
Sgranò d’improvviso appena gli occhioni, ricordandosi cosa ancora stringeva nella mancina, un pensierino semplice per la Rosso Oro:-E uh! Guarda, ho portato questo per te.-
Le porse il fagottino dal profumo di sapone e fiori bianchi.
Una volta srotolato, si sarebbe rivelato essere un grembiule bianco, simile a quello che Londra aveva già indosso (sebbene il suo di un azzurro pastello) e con alcuni delicati ricami ai bordi differenti da quelli floreali di Adeline: quelli per Nieve ricordavano la neve in effetti – ben lungi dall’essere a conoscenza dei ricordi con il nonno, Londra così come per le decorazioni esterne della torta di quella mattina si era semplicemente lasciata incantare dal colore tanto speciale dei capelli della Rosso Oro – e dal suo nome, perché da brava secchionissima con anni e anni di solitudine passati solo ed esclusivamente sui libri ex Bronzo Blu, Adeline se la cavava piuttosto bene con le lingue straniere – e i nomi delle persone, in particolare, la affascinavano da sempre.
-Nel taschino c’è anche un elastico.- era tornata con le braccia incrociate dietro alla schiena e ancora dondolava appena sui talloni, il sorriso mite tra le labbra, in fremente attesa: la realtà era che la strega, a dispetto dei ruoli, a dispetto delle mura scolastiche, a dispetto di tutto accidenti era liberissima di voltarle le spalle, ringraziarla e cari saluti a tutti.
Ma Adeline sperava così fortemente che non fosse quella la sua reazione – che probabilmente la frizzantina e lieve agitazione-mista-speranza era palpabile nello spazio che le separava.
-In realtà puoi anche scegliere tu il piatto sai – quello che preferisci magari – dolce o salato che sia – un intero menù volendo!-
Respirò a fondo, silenziosa, riempiendo i polmoni di aria tiepida e profumata – lì nelle cucine permeava ogni cosa, in qualunque momento della giornata – e il gesto la tranquillizzò appena.
-Potremmo anche preparare dei cupcakes e.. vendicarci su di loro per quello molesto di prima!-
Suggerì infine abbassando appena la voce con ilare tono cospiratorio, schioccando nell’aria un occhiolino.
Chissà se, in tutta quella marea di parole – possibilità zuccherine o meno – assurdità giostrate in una cucina piuttosto che tra le quattro rigide mura di una classe.. fosse passato quello che infine, era il vero proposito e messaggio di Adeline.
Quello proprio che le veniva dal cuore.
 
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view post Posted on 15/9/2023, 13:06
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I am the storm that never leaves
Non sembra arrabbiata né sul punto di rifilarmi una cattiva notizia. La professoressa Walker ha l’aria entusiasta di una persona che abbia aspettato a lungo questo incontro e che a stento riesca a stare nella propria pelle. Dev’essere per ciò che una vampa di calore si emana dal ventre e, risalendo lungo busto e spalle, s’infrange sul viso. Un pizzicorio appena percettibile mi avvisa che la metamorfomagia ha sentito.
Lei aspettava me. È felice che io sia qui. Perché?
Non ha alcun senso, mi dico con rigido raziocinio. Non c’è nulla che possa aver fatto per attirare la sua attenzione —di positivo almeno— e non abbiamo mai avuto un’interazione che possa giustificare quanto sta accadendo. È per questo che il calore, da balsamico, si tramuta in opprimente. Non sono in grado di individuare il pericolo, men che meno la sua origine, ma lo percepisco approssimarsi con l’intenzione di scottarmi la pelle.
«Lei vuole che io l’aiuti in cucina?» domando, gli occhi grandi puntati sul viso innocente della docente.
Eccola, la punizione! È tutto infiocchettato e quieto, ma non si tratta di altro che di un castigo. Immagino sia per la mia scarsa concentrazione a lezione, per il panico che mi prende ogni qualvolta mi trovo di fronte a un calderone —o a una pergamena da riempire, o a una creatura magica, o a un compagno su cui eseguire un incantesimo, o a una pianta da potare se è per questo. Come faccio a spiegare a un intero corpo docenti che il mio cervello non collabora e il cuore comincia a battere talmente forte che temo il collasso da un momento all’altro?
Il viso della Walker, però, rimane dolce e la sua voce carezzevole; e io mi chiedo se questo stato d’allerta non sia un’arma ingenerosa da sguainarle contro, un modo che uso per proteggermi e con cui travolgo chiunque mi si avvicini, anche e soprattutto gli innocenti. D’altronde, non si è mai vista una punizione a suon di cioccolato in cui l’insegnante è disposto a passare il tempo insieme a te; a scontarla insieme a te. Cazzo!
Inspiro. Senza accorgermene, sono sprofondata nella condizione di sperdimento che mi rende incline a saltare le lezioni; e a mettere su la maschera della menefreghista quando, invece, decido di rimanere. Abbasso lo sguardo. La mano destra sale inevitabilmente al septum, là dove il dorso delle dita carezza il metallo freddo del piercing. Non l’ho indossato per più tempo del previsto, ma le abitudini sono dure a morire. Torno a sfiorarlo quando sono in difficoltà, proprio come facevo in passato.
Respira, Nieve! Va tutto bene.
«Io non sono bravissima. So preparare solo qualche zuppa. Le cucinavo d-da piccola. Non sono nemmeno delle ricette» abbozzo, sommersa dai ricordi.
Sto parlando di Ỳma e delle brodaglie messe insieme per sfamarci. Mi scappa un sorriso quando la mia mente recupera l’immagine della vecchietta sciancata entrare nella casupola dove abitavamo e sollevare tutta su di giri un sacco con pezzi di squalo putrefatto —“Oggi si mangia come le regine, bambinaaa!”. Non credo che al palato della Walker farebbe bene scendere nei meandri della cucina della mia infanzia.
Gli occhi chiari tornano a cercare quelli della professoressa. Pensare a Ỳma è bastato ad attenuare la malinconia di cui si erano vestiti. Adesso, brillano di una luce che ricorda gli schizzi d’acqua delle cascate islandesi; la mattìa inimitabile —per molti incomprensibile— della donna che mi ha cresciuta.
Allungo il braccio e prendo il grembiule, dispiegandolo. Profuma di buono come nonna Lucrezia. Mi scappa un ennesimo sospiro pensando a lei. Spero tanto stia bene, di non mancarle troppo. Batto le palpebre e do una scrollata di spalle per non rimanere impantanata nel guado dei miei problemi. Se lo facessi, la Walker sparirebbe di nuovo in uno sfondo opaco e non credo se lo meriti.
Indosso l’indumento e lego i capelli. «Scelga lei, ma forse dovrei dirle una cosa. Non so se stiamo cucinando per altri oppure no. In ogni caso, a me non piacciono le cose troppo dolci come le caramelle o i fagottini alla burrobirra, o la burrobirra». Dovrei aggiungere che non amo neppure mangiare in presenza di altri, men che meno di chi non conosco. Mi dico, però, che sarebbero troppe informazioni da dare e non vorrei spegnere il brio che le vedo in volto. Lo farò solo se le mie supposizioni sulla punizione sotto mentite spoglie si rivelassero vere. «Tutto qui!»

Sto mentendo. Con me non è mai “tutto qui”.

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view post Posted on 16/9/2023, 12:45
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-Lei vuole che io l’aiuti in cucina?-
Annuì rapidissima, muovendo su e giù la testolina dorata con così tanto muto entusiasmo da ricordare quei bambini che sì, li vogliono sul serio quei biscotti al cioccolato o quella bicicletta nuova fiammante, gli occhi grandi e luminosi.
In effetti, ci mancò proprio poco che battesse anche velocissima le mani, dondolando appena con il busto, gioiosa.
Che Adeline Walker apparisse a dir poco cristallina rispetto alle emozioni provate e al suo caotico mondo interno – ormai questa era una certezza.
Ma la realtà era anche che poco le importava di quanto trasparisse o meno dai suoi lineamenti, gesti, voce – tutto ciò che davvero le interessava.. in quel momento, stava proprio lì di fronte a lei.
E in effetti “stava lì di fronte a lei” con questi occhioni sgranati, un – che cosa era a vibrare nello spazio tra di loro, cosa risuonava e riempiva l’aria insieme al profumo dolce delle cucine – era incomprensione? sconcerto – timore – ansia da prestazione – dubbi?
O era qualcosa di più aggressivo – ma ben celato in tal caso – magari insofferenza, menefreghismo, voglia di fuggire da lì senza voltarsi indietro – qualcosa, o forse un po' più di qualcosa, era giunto persino alle orecchie della londinese – solitamente tanto isolate dal mondo sociale circostante sotto certi aspetti.
La realtà era anche che – ben lungi dal poter ancora comprendere per davvero quella strega Rosso Oro - Merlino, a malapena poteva tirare giù qualche ipotesi ed elaborare qualche pensiero personale in proposito – Adeline Walker per motivi tutti suoi, per il solo fatto di essere Adeline Walker.. era semplicemente desiderosa di accoglierla e conoscerla, così come lei e unicamente lei avrebbe scelto di presentarsi, agire, farsi conoscere.
Nieve poteva anche considerare quel luogo, quel tempo, una parentesi tutta sua – una bolla neutrale, indiscriminata e non giudicante – entro il quale semplicemente essere e fare.
Tutto qui.
E con Adeline, era davvero “tutto qui”.
-Io non sono bravissima. So preparare solo qualche zuppa. Le cucinavo d-da piccola. Non sono nemmeno delle ricette.-
Lo sguardo basso, un piccolo gesto di autoconforto – altro riempì lo spazio tra le due streghe, e Adeline sorrise quieta alla sua studentessa, replicando tranquilla:-A te piacevano? E soprattutto ti piacerebbe provare a riprodurle insieme a me?-
Sull'essere bravi o meno per la Walker non c'era neanche minimamente da discutere, non era assolutamente il punto - ma neanche "un" punto - motivo per cui a suddetto diede tanta importanza quanto effettivamente ne meritava: meno di zero.
Poco dopo, il piccolo sorriso tra le labbra e insieme lo sguardo chiaro della Rosso Oro che tornò su quello bicromo della docente, ampliarono il muscolo cardiaco di Londra stessa - anche se, seppur gesti tanto lievi da scaldarle l’animo, non sufficienti ad ogni modo a convincerla che la Grifondoro avesse effettivo piacere a riprodurre quelle ricette.
Adeline stessa sorrideva all'immagine e ricordo di un semplice toast con marmellata alle fragole – piatto con cui era sopravvissuta per settimane intere durante l’infanzia, quando abbandonata dalla zia per la prima volta – ma di certo non avrebbe mai voluto proporre tale “ricetta” a qualsivoglia persona – più che altro per lo stato d’animo inquieto, amaro e buio in cui sarebbe sprofondata in pochi attimi appena.
Ascoltò attenta le parole successive di Nieve, mentre silenziosamente commossa lasciava che lo sguardo di bosco e di mare si riempisse dei movimenti di quel piccolo – ma per lei grande, enormemente significativo - gesto che vedeva la strega lì di fronte accettare il grembiule, e quindi quel suo peculiare invito a farle compagnia quel pomeriggio: -Cucineremo per il semplice piacere di farlo, nessuno si aspetta qualcosa da noi, oggi.- attimo di pausa -"Nessuno".. noi incluse, in effetti.-
Normalmente, l’essere liberi da aspettative sia personali che altrui alleggeriva di parecchio eventuali responsabilità e pesi percepiti – Adeline non si faceva problemi in realtà a sottoporre spesso e volentieri le proprie sperimentazioni al primo malcapitato Camillo coff coff ma al momento il suo unico interesse era la Grifona lì davanti a lei.
Sorrise ancora alla strega, scrutandola curiosa: -Ordunque niente dolci e niente burrobirra soprattutto!-
Ridacchiò contenta, lo sguardo ancora luminoso.
-Potremmo incontrarci a metà strada.-
Metaforicamente e non. Non le avrebbe fatto fare tutta la fatica da sola – questo mai.
-Potremmo preparare una tua zuppa - e per accompagnarla.. i miei panini caldi!- sorrise radiosa, dondolando appena sui talloni, le mani giunte al petto.
Era contenta ma voleva comunque lasciare a Nieve assoluta libertà di scelta.
-Oppure se volessi tenere le tue ricette segrete.. che ne dici di un paio di pizze?-
E il sorriso si illuminò ancor di più.
Da che mondo era mondo.. la pizza piaceva a tutti, no?
 
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La Walker ha gli occhi di colore diverso. Non diverso rispetto agli altri, particolari. Intendo dire che ne ha uno verde e uno azzurro. Non me n’ero mai accorta a lezione, troppo presa a nascondere me stessa e le mie incapacità di studentessa. Adesso che siamo qui, nelle cucine dei sotterranei, e ci troviamo così in intimità, mi stupisco della sua gentilezza e dei particolari che la rendono Adeline Walker.
Il sorriso si amplia sul mio volto. Le ritrosie non sono del tutto svanite —in fondo, sono di fronte a una professoressa e sento comunque il distacco imposto dai ruoli. Ho solo deciso di darle una possibilità; di vedere cosa vuole da me; e di assecondare quella gentilezza entusiasta che trasmette il suo sorriso. Non è semplice imbattersi in qualcuno come lei, specie a Hogwarts. Soprattutto, non è facile per me che non ho una bella nomea.
«Mi piacerebbe cucinare una delle zuppe della mia infanzia» le confesso, gli occhi infusi di nostalgia. Non parlo mai dei giorni vissuti in Islanda. Da quando non frequento più i nonni, non ho più nessuno con cui parlare islandese —ho insegnato a nonna Lucrezia i rudimenti e, nel tempo, è diventata sorprendentemente brava. Così, fare un tuffo nella persona che sono stata, insieme a qualcuno che sembra pronto ad assecondarmi, basta a mettermi a mio agio; a convincermi che questo tuffo nel passato valga la pena di essere affrontato. «La preparavamo con funghi di bosco, pane…»
Mi fermo un attimo. Scocco uno sguardo alla cicatrice spessa sul dorso della mano destra e istintivamente chiudo le dita in un pugno. Non potevamo permetterci nulla, io e Ỳma; e nessuno ci dava niente come punizione per le ruberie che ci permettevano di sopravvivere. Soltanto qualcuno aveva pietà di me e, di tanto in tanto, mi dava un piatto di agnello con le patate da mangiare sui gradini di casa sua; o un po’ di zuppa di pesce; o un pezzetto di dolce per le feste. In quei casi, la mia balia non si lamentava mai se non la chiamavo per dividere il bottino. Era sempre felice all’idea che io mangiassi più di lei.
Ci sono giorni in cui penso di prendere una carrozza e tornare a Borgarbyggð. A muovermi è il desiderio di vendetta. Immagino di attraversare la soglia del panificio e distruggerlo; infliggere al proprietario una pena dieci volte peggiore di quella che ha inflitto a me da bambina; di lasciare che guardi mentre faccio lo stesso a suo figlio. Fino a pochi anni fa, il pensiero non mi avrebbe neppure sfiorata —il passato è passato. Adesso, mi consuma la necessità di ottenere quel genere di giustizia che non passa per un equo processo.
«Dicevo, funghi e pane raffermo. Aggiungevamo acqua, qualche erbetta aromatica ed ecco il nostro pasto da regine» concludo, citando Ỳma. «So che non è un granché, ma non potevamo permetterci le zuppe di pesce o i piatti con l’agnello. Solo ogni tanto aggiungevamo qualcosa, quando avevamo la fortuna di trovarla».
Non mi accorgo della facilità con cui finisco per aprirmi con la Walker. Non mi sono mai vergognata del mio passato, ma non sono molte le persone alle quali sono arrivata così vicina a parlare della mia balia. Invece, è il plurale che danza sulle mie labbra ed è un sorriso quello che non riesco a fare a meno di trattenere. È liberatorio, penso e sento, averla qui con me —così vicina— in un luogo caldo dove sembra che nulla di brutto possa accadere. Rivolgo un’occhiata al camino, che solo alla lontana ricorda il focolare decadente cui ero abituata da piccola. Poi, mi rivolgo alla Walker.
«Ma va bene anche la pizza, se preferisce. I miei nonni sono italiani.»

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-Mi piacerebbe cucinare una delle zuppe della mia infanzia.-
Le si illuminò lo sguardo, inutile negarlo – strano invece che non si illuminò l’intera sua figura, tanto più mentre Nieve prima le sorrideva, poi si inoltrava in quelli che per lei erano chiaramente ricordi dal vago bagliore dorato – o beh, quantomeno fu questo che lo sguardo nostalgico della Rosso Oro fece pensare alla docente.
Funghi e pane raffermo.
La sua studentessa prima si era appena trattenuta, poi aveva concluso la sua cornice, mostrando quel suo piccolo quadro nel complesso, per quello che era.
Adeline la ascoltava, e la contemplava, senza pena o pietà nello sguardo – lei che, pur avendo un passato tanto diverso, per certi aspetti si ritrovava così vicina a quella Grifondoro, e proprio per questo avrebbe odiato intravedere quei sentimenti in occhi altrui.
Più che altro.. la comprendeva.
Profondamente.
A essere onesti, la comprendeva più di quanto le sarebbe piaciuto fare – siamo sinceri, a chi diamine sarebbe piaciuto capire cosa si prova a elemosinare sui pasti, sin da bambini e, ancora meglio, di base non avere neanche la certezza se quei pasti ci sarebbero stati o meno?
Ecco.
Avrebbe potuto vedere questo, nello sguardo di bosco e di mare della pozionista.
-Mai sottovalutare il potere di un buon abbinamento, seppur semplice, e la magia che ne deriva.- le rispose con un bel sorriso tra le labbra, come se fosse tutto ok – perché in fondo, in qualche astruso modo, era tutto ok. Almeno lì. In quel luogo e in quel momento. No?
-E poi il pane raffermo, se bagnato appena e messo a scaldare, può tornare morbido come prima, lo sapevi? E nelle zuppe è anche uno dei miei ingredienti preferiti.-
Il sorriso si fece più mite, così come la voce, meno squillante seppur sempre tranquilla.
Avrebbe distolto lo sguardo e si sarebbe ancorata mentalmente ed emotivamente altrove – ma volle donare a quella ragazza esattamente ciò che era stato appena donato a lei, motivo per cui le iridi bicrome rimasero lì dov’erano, forse meno frizzanti di prima, ma ugualmente cristalline e accoglienti.
Dopo le settimane di pane e marmellata alle fragole, finite le scorte e/o banalmente eccessivamente muffiti gli ingredienti, Adeline aveva passato prima una fase di crudités - punto d'origine di una terrificante settimana di mal di pancia e/o fame atavica per quel niente che riusciva a trovare e tenere nello stomaco – poi, capendo che senza l’acquisizione della skill “cottura degli ingredienti” non sarebbe arrivata al suo settimo compleanno.. i primi intrugli, rimescolamenti, e infine qualche prima rustica zuppa.
Aveva scoperto che il pane tornava morbido se inzuppato e riscaldato perché, dopo che una pagnottina secca e defunta le era caduta per sbaglio in un lavandino mezzo pieno, aveva pensato di “asciugarla” dentro al forno, che peraltro aveva imparato ad utilizzare da poco.
La scoperta della morbidezza riacquisita dalla pietanza era stato il miracolo dei mesi a venire – anche se il retrogusto di sapone, presente nell’acqua del lavello, aveva attenuato un po' i festeggiamenti.
In altre parole, prima dell’attuale cucina di alto livello, ne era passata di acqua sotto i ponti - o meglio, ne erano passati di mal di pancia, panini insaponati, pance vuote, dita scottate e pentole rovesciate.
Ne erano passate di lacrime e di grida al vuoto cosmico, in stanze che più che fissarla di rimando, tanto mute quanto giudicanti.. la passione per la cucina, a dispetto di quella per le pozioni, diciamo che non era stata poi così immediata o quantomeno semplice.
Adeline scrollò appena la testolina dorata, sporgendosi sul bancone lì accanto per afferrare una grossa pentola in metallo: -Nessuna pizza. Io riempio questa con l’acqua – tu puoi chiedere gli ingredienti esattamente come più li preferisci ad Abith.-
Le sorrise luminosa, cercando poi con lo sguardo l’elfa appena citata.
Questa reagì con uno scatto prodigioso, materializzandosi ad un passo dalle due, e con gli occhioni acquosi si concentrò su Nieve.
E mentre Adeline pienava la sua pentola nel lavello lì vicino, si ritrovò a pensare che in fondo.. a un certo punto, tutti i cerchi dovevano chiudersi.

Edited by Adeline Walker - 26/9/2023, 17:46
 
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view post Posted on 3/10/2023, 20:35
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Rido. Rido piano ma di gusto. Non comprendo la ragione che rende l’Islanda tanto vivida ai miei occhi quando le parole della Walker evocano un altro ricordo, eppure assecondo il movimento ondoso che ne deriva. Mi ha chiesto se so che il pane raffermo può tornare morbido, una volta bagnato e messo a scaldare. Tutto ciò che vedo io è Ỳma, infuriata e senza denti, che ciuccia una crosta particolarmente dura con lo sguardo accigliato. Non avevamo legna da ardere quella sera per mettere a scaldare l’acqua. Se avessimo usato quella gelata, avremmo rischiato una gengivite e un mal di testa di quelli che non si dimenticano tanto presto.
«Scusi» dico alla professoressa. «Le sue parole mi hanno fatto pensare a una persona e non sono riuscita a trattenermi. No, non lo sapevo».
Mi ricompongo, ma la curva sulla mia bocca è più ampia e il brillio nei miei occhi più intenso. Se mi guardassi allo specchio, rivedrei tanto —troppo— della ragazzina che sono stata prima degli ultimi due anni nel mio riflesso; e ne avrei paura. In questa cucina, però, la persecuzione che infliggo a me stessa ha smesso di tormentarmi e la persona che ho di fronte continua a farmi da schermo con la sua aura gentile.
Guardandola, mi chiedo ancora cos’abbia fatto per meritarmi tutto questo. Non sono una studentessa brillante, non ho mai dimostrato un particolare interesse nei suoi confronti, non mi sono di certo distinta per il mio comportamento diligente. Ciononostante, eccomi qui con lei, destinataria di un dolce con i colori della mia Casa per un appuntamento che sa di calore e di famiglia. Perché, professoressa?
«Va bene» acconsento alle sue indicazioni. Quando mi volto, gli occhi grandi di un’elfa mi osservano con la prontezza tipica della specie. Guardarla mi fa pensare a Tilly e pensarla mi ricorda quanto mi manchi. «Piacere di conoscerti, Abith» mi presento, porgendole la mano e afferrando la sua. So bene che gli elfi domestici non sono abituati alla cordialità —l’ho visto con Roth, i cui modi non trasmettevano altro che noncuranza e senso di superiorità— e mi auguro sempre che essere esposti a un gesto garbato li rinfranchi delle eventuali angherie subite. «Sono molto felice che tu sia la mia assistente. Se riuscissi a fornirmi dei funghi, del pane raffermo e qualche erba aromatica come timo e rosmarino, te ne sarei grata. Se c’è, vorrei anche del pepe in grani, delle bacche di ginepro, delle patate e un po’ di latte. Grazie!»
Mi sto discostando dalla ricetta originale, in effetti. Io e Ỳma non ci siamo mai permesse di sperimentare con così tanti ingredienti. Anche li avessimo avuti, non saremmo state capaci di mettere insieme una zuppa così elaborata. Quello che sto facendo è spingermi più in là, forse perché di mancanze ne ho più d’una e di sapori, il mio palato, ha bisogno di sentirne diversi.
Penso in fretta. Mi domando se sia davvero il caso di unire le ricette che conosco, oppure se possa chiedere alla Walker di mettere su un altro calderone per procedere separatamente. Se Ỳma e nonna Lucrezia possano convivere nello stesso piatto, come due linee temporali capaci di unirsi senza sovvertire le regole che governano la mia storia; il mio sottile equilibrio affettivo.
È Abith a interrompere il mio rimuginio. Si fa avanti con i suoi passi cadenzati: davanti a lei, gli ingredienti levitano dolcemente e si depositano sul piano della cucina a poca distanza da me e dalla professoressa. Mi avvicino e allungo le mani senza pensarci, con lo stesso stupore di quand’ero piccina. Sfioro con i polpastrelli la cupola dei funghi, registrandone la consistenza; poi i rametti puntuti del rosmarino di cui percepisco il forte odore; ancora gli intagli della crosta di una pagnotta perfettamente integra.
C’è ancora qualche residuo di terra sull’estremità bassa dei funghi, là dove si aggrovigliano le radici. Nelle foreste della mia infanzia, mi chinavo sulle ginocchia e li osservavo a lungo, toccandoli con l’indice nell’incapacità di staccarli nonostante la fame. Appartenevano alla foresta, soppesavo, non era giusto sottrarglieli. E, poi, com’erano belli! Lo penso ancora. Forse è anche per questo che non amo mangiare di fronte agli altri; per il timore di star commettendo un piccolo crimine.
«Non lo trova bello?» Non mi aspetto di porre l’interrogativo a voce alta, invece lo faccio. Sollevo lo sguardo per ricercare quello della Walker. «Il… Il cibo, intendo». Mi sento arrossire, ma il mio pallore consente soltanto ad un rosa tenue di depositarsi sulle gote. Tutto ciò che riguarda l’atto del mangiare è impegnativo per me. Perfino con Thalia ho affrontato poche volte l’argomento. «Mi piacciono le sue forme» bisbiglio, imbarazzata.

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Edited by ~ Nieve Rigos - 3/10/2023, 21:55
 
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view post Posted on 8/10/2023, 19:29
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La risata di Nieve, per parere personale della docente, illuminò a giorno l’ambiente – più di quanto in effetti avrebbe mai potuto fare Adeline stessa.
-Non ti scusare mai per risate come questa- aveva infatti commentato la pozionista, sorridente -Tuttalpiù, dovrebbero essere gli altri a ringraziarti.-
E con una breve risata cristallina, aveva dato per chiuso il discorso.

Pienando la sua pentola, i pensieri furono lasciati liberi di vagare – ingarbugliati, veloci, selvatici – e tanti approdarono in echi più o meno confusi di tempi ormai andati.
Alcuni inciamparono nelle memorie d’infanzia – altri ruzzolarono giù per ripidi pendii che conducevano a sentirei cupi, angoli bui e gelidi del suo passato – altri ancora invece saltellarono leggeri come grilli in pozze dorate di realtà assai più recenti, dal profumo lieve – dal tocco ancora più delicato.
Adeline non chiedeva poi grandi spiegazioni, in questo frangente, a sé stessa – non domandava, quando si trattava di persone lasciava semplicemente che queste fluissero nella sua vita e basta.
Alcune la colpivano particolarmente, per un motivo o per un altro, e allora si avvicinava, incuriosita, accogliente - altre le venivano proposte apparentemente dal destino – ma spesso e volentieri rispondeva loro nel medesimo modo, con curiosità e gentilezza da vendere, avrebbero detto alcuni.
In ogni caso, erano tutti capitoli scritti della sua storia – e lei li amava uno per uno – non tanto perché la sua storia.. ma perché loro e basta.
La Walker sorrise, senza neanche rendersene conto, mentre coglieva l’estrema educazione con cui la Rosso Oro si approcciava ad Abith.
L’elfa dal canto suo avrebbe sicuramente apprezzato tanto quanto la docente, se non di più – e così sarebbero partiti tra le due infiniti discorsi sul garbo e la gentilezza di taluni – e non di altri – e conoscendo.. beh, entrambe, la Rigos probabilmente da quel giorno in avanti avrebbe trovato il suo cuscino in dormitorio più ben sprimacciato di altri, le coperte meglio tese, i suoi vestiti puliti ancor più profumati, caso mai fosse successo avrebbe perso meno pennini e boccette in giro in grado magicamente di ricomparire al proprio posto, avrebbe trovato più facilmente qualsiasi cosa avesse cercato entro il perimetro della scuola.
La docente d’altro canto non avrebbe potuto di certo elargire punti a caso ma - beh diciamo anche che Adeline Walker non si faceva poi troppi problemi nel spendere e spandere atti di semplice cura e gentilezza per i suoi studenti preferiti – se iniziava a considerare qualcuno sotto la sua ala protettiva, era la fine.
Dai, una cosa buona della sua assenza patologica di confini ci sarà anche dovuta essere no?!
Ad ogni modo – persa com’era tra le sue personalissime e caotiche riflessioni, Adeline si rese conto persin troppo tardi dell’acqua che ben strabordava dalla sua pentola: scrollando appena la testolina dorata chiuse in fretta il rubinetto, poi versò nella vasca del lavello il liquido in eccesso.
Sollevò il tutto, e con attenzione lo portò sul fornello più vicino, che accese.
Sì - la possibilità di dimezzare ogni tempo di preparazione e cottura con la magia c’era.. ma la Walker, preferiva così.
“Alla vecchia maniera” avrebbe detto – più pensando alla sé bambina ancora priva di una bacchetta e della gestione oculata della sua magia, piuttosto che ad altro.
Anche Abith nel mentre si era data da fare – come sempre – e gli ingredienti ora svolazzavano ordinati sino al bancone più vicino.
Adeline si voltò per osservare la sua studentessa, le mani appena poggiate al tavolo dietro di lei:
-Non lo trova bello?-
Quando lo sguardo chiaro della Grifondoro cercò quello della docente, lo trovò – luminoso quanto quieto.
-La natura ha in sé un genere di magia sconosciuto persino a noi maghi e streghe, no? Hai ragione, è bello.-
Si avvicinò al tavolo, sondando gli ingredienti.
-Personalmente mi sono sempre lasciata più incantare dai colori, spesso anche dai profumi.-
Le dita sfiorarono appena le erbe aromatiche, tra le labbra un sorriso lieve.
-Anche se in fondo, ripensandoci.. noi stessi siamo natura, e magia.-
Si voltò riportando lo sguardo bicromo su Nieve, con un muto “non credi?” tra le iridi di mare e di bosco.
-Posso occuparmi io di queste? Ti servono sminuzzate o le vuoi rosolare - ridacchiò leggera, divertita come una bambina -Rosolare, è buffo come si arrotola questa parola sulla lingua.- e ridacchiava ancora mentre indicava timo e rosmarino.
Tutti questi rimandi alle sue prime esperienze in cucina la facevano decisamente saltellare avanti e indietro nel tempo.
Iniziò ad avvicinarsi taglieri e strumenti vari – sfiorandone le superfici come a volerne sondare e saggiare ogni più piccolo dettaglio, un sorriso ancora lieve tra le labbra.
-Ehi, nel mentre ti andrebbe di insegnarmi qualche parola in islandese? Mi sono sempre piaciute le lingue straniere.-
Dondolò appena sui talloni, aggiungendo infine tutta contenta:-Il mio Augurey, in effetti, si chiama “Regn” che dovrebbe significare pioggia in islandese - no?-
 
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view post Posted on 30/10/2023, 21:50
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“Lei è una persona deliziosa. O almeno lo sembra.”
La vecchia Nieve non avrebbe lasciato che un filtro impedisse a un pensiero di venire al mondo. Prima ancora che il mattone d’inizio lavori venisse poggiato sul pavimento per erigere il muro protettivo, il commento sarebbe scivolato come una scheggia verso il destinatario — in questo caso la destinataria — con un sorriso genuino. Adesso, invece, è tutto diverso.
Sono i denti a trattenere le parole, mentre guardo gli occhi cromaticamente in disaccordo della docente. Non posso dirlo perché non so se sia vero e perché non voglio. Allora, mi guardo intorno, ricadendo nei soliti schemi: la fuga, il respingimento. Come io faccia a sopravvivere a questi alti e bassi è un’incognita che non ho ancora decriptato! Temo l’atmosfera di questa cucina, l’amabilità della persona il cui invito ho assecondato, il rischio di dimenticare i propositi con i quali sono ritornata a scuola — mantenere un profilo basso e solitario, nessun coinvolgimento emotivo.
Sbuffo mentalmente e mi do della sciocca poco dopo. È pur sempre un’insegnante. Ha la sua vita, le sue beghe, i suoi interessi come formatrice. Che rischi mai posso correre? Quanto è probabile che questo incontro abbia un seguito e Adeline Walker inizi a curarsi delle sorti dell’orfanella più combina-guai che le sia capitato di invitare nelle cucine di Hogwarts?
Torno a rilassare le spalle e le mie percezioni, prima annullate, si amplificano. C’è profumo di pollo arrosto e patate al forno, di pane al burro e verdure spadellate con erbe aromatiche e spezie. Un appetito primordiale, forse anch’esso evocato dai ricordi d’Islanda, si risveglia dentro di me.
Sospiro, avvolta nel lenzuolo chiaro nonostante — oltre la finestra — il caldo estivo reclami la mia attenzione, indignato. Dovrei soffrirle più degli altri, queste feroci temperature europee, per aver vissuto su un’isola dove il fresco ha imposto il suo dominio molto tempo fa. Invece, è come se un sottile strato di bruma fosse rimasto attaccato alla mia pelle chiara, il giorno che ho lasciato la mia terra — un cimelio affinché non la dimenticassi.
Apro gli occhi di scatto come ho fatto altre volte e nell’arco di un secondo mi ritrovo seduta sul materasso, con i piedi che toccano terra. Guardo dietro di me: il letto è vuoto. Tendo l’orecchio: regna il silenzio. Sembra che Sekhmeth non sia in casa, ma ancora non mi fido.
È sciocco che, dopo tutte le notti e le mattine trascorse in questo angolo di mondo, continui ad attanagliarmi il bisogno di scappare — come se fossi in pericolo e dovessi fuggire prima che sia troppo tardi; come se la minaccia avesse davvero mai trovato terreno fertile in questo appartamento. Che ingrata, Nieve Rigos! Se di dolore ve ne siete inflitti, lo avete mescolato con il piacere come due barbari incapaci di riallacciare i fili della ragione al centro di controllo.
Mi rivesto. Rido quando recupero il vestito sull’ultimo, o primo a seconda della prospettiva, gradino della scala che collega la zona giorno alla zona notte; e gli ultimi indumenti sparsi tra le pieghe dei cuscini del salotto e la cucina. È qui che mi fermo, attratta da un quadretto insolito rispetto alle altre volte. Maniacale com’è, è implausibile che abbia lasciato un piatto fuori posto e anche un biglietto.
Mi avvicino, incuriosita, e allungo la mano. Di solito, non sono una che si impiccia dei fatti altrui, ma nella remota ipotesi che avesse scordato quel sandwich nella fretta del momento posso quantomeno metterlo in frigo per evitare che vada a male. O spedirlo a chiunque spetti per evitare che rimanga a bocca asciutta, se la carta e l'inchiostro dovessero rivelare un indirizzo.
Lo stomaco mi balza in petto quando leggo.

“Mangia.”
«Sì, significa pioggia» esordisco nel tentativo di scrollarmi di dosso il ricordo di più di un mese fa. Il suo strascico è perfino peggiore: mi porta a chiedermi se sia tornato, se stia bene, se sia vivo. «In realtà, l’islandese è una lingua molto ricca ed esistono tanti modi di dire pioggia. Uno dei più antichi è væta, che significa acqua e si presta ad essere usato come sinonimo di pioggia».
La distrazione che mi offre l’argomento è un assist che devo cogliere, se voglio che il pensiero circa le sorti di Sekhmeth — di nuovo così aggrappato alle mie connessioni neurali — allenti la presa e si allontani, perdendosi nel buio dove relego il non affrontabile.
«Vale lo stesso per la parola neve. Si può dire in tantissimi modi: èsnjór, snjóhraglandiehundslappadrífa, skæðadrífa».
Mi accorgo solo adesso, colta da un suggerimento silenzioso di Abith, di aver glissato la domanda della Walker su timo e rosmarino. «Non so cosa voglia dire rosolare» ammetto con trasparenza. «Non sono così brava. Noi le ficcavamo così nell’acqua. Però, mia nonna — le labbra tentennano, quasi che stentassi a riconoscerla ancora come tale — le metteva in padella. Non so dirle cosa ci facesse, però».
Intanto, afferro un coltello e comincio a rimuovere l’estremità con le radici dai funghi. Sorrido. Noi mangiavamo anche quella, impastandoci la bocca di terra. Adoravo, poi, guardarmi allo specchio lurido che avevamo in casa e sorridere con i denti tutti neri.
«Come mai lo ha chiamato così? Con un nome islandese, intendo.»

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Scusa il ritardo, bimba, ma il lavoro mi ha risucchiata. ç_ç
 
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view post Posted on 19/11/2023, 14:08
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La punta delle dita sfiorava leggera uno dei taglieri che più Adeline preferiva di quella cucina.
Il legno era morbido, la superficie rovinata dall’utilizzo quotidiano – sebbene gli strumenti lì dentro, fossero tenuti alla perfezione – i polpastrelli di Londra però, trovavano una qual sorta di rassicurazione e quiete in quei piccoli difetti del legno – e là si soffermavano e giocherellavano, inconsapevoli, mentre i timpani tesi prestavano attenzione alla voce della Rosso Oro.
-Sì, significa pioggia.- - sospiro di sollievo.
Scoprire in quel momento e così di aver da sempre chiamato il proprio Augurey “involtino primavera” o “scemo chi parla” – diciamo che non sarebbe stato propriamente l’ideale.
-In realtà, l’islandese è una lingua molto ricca ed esistono tanti modi di dire pioggia. Uno dei più antichi è væta, che significa acqua e si presta ad essere usato come sinonimo di pioggia.-
Le parole madrelingua della studentessa rimbalzavano nella scatola cranica della docente piroettando su sé stesse, volteggiando sui loro stessi suoni, facendo capriole su immagini e idee che Adeline Walker adorava.
-Vale lo stesso per la parola neve. Si può dire in tantissimi modi: èsnjór, snjóhraglandiehundslappadrífa, skæðadrífa.-
-Aspetta – snjora- snojòrahgla – fffffufufff – padrifa?-
Lo sguardo luminoso ed eccitato di una bambina alle prese con un nuovo luccicante giocattolo – o dolcetto, dir si voglia – era esattamente quello di Adeline in quel momento, mentre fallendo miseramente si divertiva un mondo ad annodarsi la lingua nei vani tentativi di pronunciare come si conveniva o quasi? quel vocabolo.
Accidenti – quel nodo di suoni e pronunce le sarebbe rimasto ingarbugliato tra i pensieri di quella testolina dorata sino a che non fosse riuscito a risolverlo, scioglierlo quanto la lingua, slegarlo con una pronuncia quantomeno sufficiente.
[Accidenti – quel nodo di suoni e pronunce le sarebbe rimasto ingarbugliato tra i pensieri di quella testolina dorata sino] alla fine dei tempi, insomma.
-Significa passare in padella, a fuoco vivace normalmente.-
Rispose ad ogni modo qualche secondo dopo, quieta e sorridente: -Spesso in realtà si utilizza anche una piccola parte grassa volendo – e in generale la temperatura è più alta rispetto a quando si soffrigge, ad esempio - e se in quest’ultimo caso si vuole “caramellizzare” l’alimento, creando una sorta di piccola crosticina attorno alla superficie, tecnicamente rosolando si dà più una nota di “arrostito” al piatto. -
Londra neanche se ne rendeva conto a dirla tutta, ma quando prendeva a spiegare qualcosa - qualsiasi, cosa – la sua voce assumeva una sorta di ritmica e musicale cantilena, che oscillava tra sensazioni di dorata pace – e la più frizzantina gioia ed entusiasmo per ciò che voleva trasmettere, che non riusciva davvero a trattenere.
-Anche per questo è importante la differenza nella temperatura, per soffriggere si parla di un intervallo di calore tra i 120, 140 gradi, per la rosolatura tra i 140 e i 160. Al di sopra, si frigge – ma questa è ancora un’altra storia.-
Merlino santissimo Bronzo Blu inside sino alla fine, mh.
Ma la Rosso Oro nel mentre si stava muovendo, Londra la osservò sorridere tra sé e sé – e nel dubbio prese le erbe aromatiche, avvicinando un coltello affilato a queste ultime e al tagliere già pronto – e prendendo così a sminuzzare con cura.
Il loro profumo le avvolgeva il respiro ed i pensieri.
-Come mai lo ha chiamato così? Con un nome islandese, intendo. -
-La trovo una lingua poetica e complessa. Mi piace molto anche il polacco, l’arabo, e ho studiato anche il latino. Da piccola..-
Rispose senza pensarci, dondolando un poco la testolina dorata e rallentando verso la fine il ritmico moto dell’acciaio sul legno.
-Da piccola ho avuto moltissimo tempo.. libero. E libri di ogni genere e sorta a disposizione.-
Espirò piano, tornando ad osservare la sua studentessa.
-Dunque, scegli:- le sorrise, arcuando le sopracciglia dorate con fare giocoso -preferisci insegnarmi le basi grammaticali dell’islandese con qualche vocabolo base, scrivermi come compito tutte le ricette che ricordi o che puoi bene o male anche ipotizzare, sulla base dei tuoi ricordi ed esperienze o.. mentre prepariamo questa zuppa, ascoltare il procedimento di una delle mie ultime ricette preferite?-
Come torturare gli studenti, pt.1 dolce Adels.
Ma a Londra piaceva un sacco come idea – tanto più nel mezzo di una preparazione come quella – e le piaceva un sacco per più di un motivo in effetti, palese o meno che fosse.
-In altro modo, puoi proporre tu qualcosa.-
 
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I am the storm that never leaves
Rido piano, poco. I tentativi della Walker di pronunciare parole islandesi è adorabile ed è forse la prima volta che prendo coscienza della complessità di questa lingua. Quando nonna Lucrezia ha assunto le vesti dell’educatrice, sperando di sopperire alle lacune di un’infanzia priva di insegnamenti, ero troppo piccola per capirlo. Ho sorriso dei suoi errori iniziali e credo che questo abbia aiutato a sciogliere il ghiaccio tra noi. Eppure, la presa di coscienza era ancora lontana dall’appalesarsi.
Sono le spiegazioni successive a distrarmi. Apprendo, così, i rudimenti della rosolatura; o forse dovrei dire che, di nozioni, ne ricevo talmente tante da poterci dare un esame. Mordo il labbro per trattenere un sorriso. Dev’essere parte della sua deformazione professionale, appassionarsi in modo tanto intenso ai dettagli della cucina. In fondo, la differenza con la pozionistica non sta che negli ingredienti. Il procedimento vuole ottenere lo stesso finale: un risultato capace di produrre uno specifico effetto.
Mentre l’ascolto, mi chiedo come sia possibile intuire la gradazione della fonte grassa necessaria per la rosolatura. Un termometro è la risposta più ovvia, ma qualcosa non torna. In aula, utilizziamo un termometro semplice, che per la sua forma ben si presta a immergersi nei vari composti. Tuttavia, dalle parole della Walker, ho intuito che la quantità di ingredienti utilizzata è irrisoria. Allora mi domando se esistano diverse tipologie di termometro come ne esistono per i calderoni. Nonostante la curiosità, trattengo la domanda. Gliela porrò a lezione, un giorno che la preparazione ne prevederà l’uso.
Il discorso, invero, vira presto in direzione della precedente metà campo: siamo di nuovo sulle lingue, metaforicamente parlando. Mi sorprende davvero che la professoressa sia così edotta? In parte sì. In parte, l’ho intuito dai suoi modi e dalle sue recenti rivelazioni che, del mondo, ne sa sicuramente più della media delle persone che ho conosciuto.
Come se tu ne conoscessi molte a questo punto della tua vita.
L’Abisso è spietato nelle sue considerazioni, eppure mi rifila la verità che tento disperatamente di nascondere sotto un tappeto pieno di bozzi e avvallamenti. Non vado mai oltre la superficie, non più, e il contatto emotivo mi terrorizza al punto da comportare la fuga. Se ti avvicini troppo, rischi di vedermi andar via. Dovrei affrettarmi anche adesso che le informazioni su di me hanno trovato il modo di prendere aria?
«Mi piacerebbe molto conoscere la sua ricetta preferita» colgo la palla al balzo. Il focus sta dove dovrebbe stare ora — su di lei. «E mi piacerebbe anche vedere come riesce a inserire gli effetti magici nelle pietanze. Esistono incantesimi particolari?»
Mi riferisco alla torta che ha usato per condurmi qui, nelle cucine di Hogwarts. Intanto, dopo aver liberato i funghi dell’estremità inferiore, ho preso a eliminare la terra dal gambo e dalla cappella con un panno — gentile concessione di Abith. Pregusto il sapore della zuppa. Se davvero rosolare le erbe aromatiche può tirarne fuori il sapore in modo tanto intenso, riesco solo a immaginare il tripudio che esploderà in bocca al primo boccone. Il problema è soltanto uno: io non posso mangiare di fronte alla Walker.

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Edited by ~ Nieve Rigos - 4/12/2023, 18:42
 
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view post Posted on 17/12/2023, 17:15
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Avvicinandosi una pesante padella lucente e versandoci al suo interno le prime erbe aromatiche pulite e sminuzzate, una parte della metodica testolina di Adeline Walker operava frenetica cercando di conciliare l’idea base su cui stavano lavorando lei e la Grifondoro, le ricette conosciute i cui ingredienti e fasi di procedimento le sfilavano rapide dietro lo sguardo bicromo e - beh, principalmente i pochi ingredienti con cui stavano effettivamente lavorando e la variabile ignota “gusto originale della zuppa dell’infanzia di Nieve”.
Le piaceva l’idea di cercare di riproporre il piatto scelto dalla sua studentessa, tanto più con il suo aiuto – in termini sia di ricordi che di gesti effettivi – e proprio per questo non voleva allontanarsi troppo dal concetto originario o dalle sue intenzioni.
Da come l’aveva descritta la Rosso Oro la ricetta natale risultava estremamente semplice – ma il pepe in grani, le bacche di ginepro e il latte aggiungevano già qualche nota di sapore in più.
Londra schiuse le labbra per proporre una sequenza di fasi e possibilità di procedimento per cui voleva includere la strega – ma la risposta alla sua ultima domanda acquisì la priorità, almeno per ora.
La concentrazione iperfocalizzata sul piatto in preparazione fu come riassorbita dallo sguardo di mare e di bosco della Walker, e indirizzata ora nuovamente sulla Grifondoro: mentre si sporgeva per portare sul tagliere pepe e bacche, un nuovo sorriso veniva indirizzato a Nieve – e anche se una parte del cervellotico cervellino della docente continuava a tenere d’occhio l’effettiva preparazione e movimenti in atto, un’altra ancora recuperava dalla memoria altri ingredienti e altre preparazioni ancora.
-Una delle ricette a cui sono più affezionata è il pasticcio di carne. E’ stato uno dei primi piatti complessi ed effettivamente più nutrienti e completi che ho imparato a cucinare – prima una volta scuoiato ed eviscerato l’animale mi limitavo a ripulirlo, fondamentalmente tagliarlo e cucinarlo in maniera particolarmente semplice ma - parlava, lo sguardo appena corrucciato dalla concentrazione mentre sgranava appena il pepe schiacciando con il piatto del suo coltello qualche grano e ne ponderava le quantità -beh, diciamo che ho solo.. iniziato da lì un altro tipo di cucina – ecco.-
-Io posso occuparmi delle bacche e iniziare con le patate – appena finisci con i funghi puoi aiutarmi a tagliarle a cubetti? E dopo aver fatto rosolare un po' i gusti possiamo aggiungere queste, insieme ad un po' di latte poco dopo, che dici?-
Le iridi di bosco e di mare saettavano dagli ingredienti alla Grifondoro lì accanto, nel pieno del suo elemento: certo, preparare una pozione sarebbe stato meglio ancora, ma Adeline era felice anche così – e si vedeva.
-La grammatura degli ingredienti dipende dalla quantità di persone per cui si vuole preparare il piatto – ma in ogni caso servono: carne, cipolle, carote, aglio, salsa worcester, rosmarino fresco, vino rosso, concentrato di pomodoro, brodo di carne, patate, tuorli, burro, parmigiano, olio, sale e pepe.- come se stesse leggendo una lista che le sfilava dietro le iridi chiare - Si macina il taglio di carne magra, si rosola con dell’olio e si aggiungono le carote, le cipolle, un pizzico di aglio e di sale – la salsa worcester e il rosmarino in seconda battuta sempre per insaporire – e sempre tutto tritato mh.-
Soppesava le proporzioni tra i grani di pepe e le bacche di ginepro che stava inserendo adesso, dondolando la testolina dorata tutta contenta e non canticchiando tra sé e sé solo perché impegnata nel risponderle.
Era il turno delle patate adesso, bisognava sbucciarle e tagliarle a cubetti.
-Si sfuma con il vino, si aggiunge il concentrato di pomodoro e il pepe – dopodiché si lascia cuocere per circa trenta minuti, a fiamma dolcissima - ma bisogna stare attenti perché la carne non asciughi, perciò bisogna aggiungere un mestolo di brodo ogni volta che si rende necessario.-
Si lasciava incantare dal moto fluido con cui la lama affilata del coltello sbucciava la patata stretta nella mancina, creando spirali di buccia pulita – che, a dirla tutta, da bambina non avrebbe di certo scartato.
D’altronde anche la stessa narrazione di quella ricetta – il solo raccontare di ingredienti, metodi e procedure – la tranquillizzava, acquietando l’animo solitamente frizzantino e inquieto.
Erano litanie rassicuranti, accoglienti nei loro schemi e strutture sicure. Che cos’altro poteva risultare così confortante e rasserenante nella sua prevedibilità e precisione?
Di certo non le persone.
-Ti va di tagliarla a cubetti piccoli appena puoi?-
Chiese sorridendo leggera a Nieve, porgendole il tubero sbucciato e afferrandone un secondo.
-Nel mentre.. si fanno bollire le patate – si schiacciano, si incorporano tuorli, burro, parmigiano, sale e pepe – mescolando con un cucchiaio sino ad ottenere un impasto compatto e morbido.-
Il suo primo tentativo in realtà era rimasto piuttosto grumoso, e la carne alla fine si era asciugata troppo.
-Prendi una pirofila, sul fondo metti la carne una volta pronta e ricopri il tutto con le patate -sopra si spolvera con altro parmigiano e pepe, ed io di solito abbondo parecchio con il formaggio. - ridacchiò contenta passando una seconda patata sbucciata alla Grifondoro e cercando curiosa il suo sguardo.
-Poi si inforna per venti minuti a duecento gradi, e si mangia caldo – ma anche freddo del giorno dopo, io lo trovo comunque ottimo.-
L’ultima patata sbucciata fu direttamente posata sul tagliere e Londra prese a tagliarla a cubetti particolarmente precisi.
Era pignola persino in questi dettagli – e l’improvvisa consapevolezza prima la colpì in testa con una metaforica mazzata – poi la fece ridacchiare divertita mentre si rivolgeva ancora una volta alla Rosso Oro.
-Potresti tagliare le tue più o meno delle stesse dimensioni?- inutile combattere certe parti di sé. E poi esercitarsi nella manualità fine non era mai un male, anzi.
Londra ridacchiò ancora, scrollando appena il capo. Era di buon umore e la compagnia di Nieve le piaceva – anche se forse non avrebbe potuto mettere la mano sul fuoco sul contrario.
-L’acqua nella pentola vuoi lasciarla così o farla diventare un brodo vegetale? Bisogna anche accendere il fuoco sotto la padella adesso. Poi patate, latte e funghi, aggiustando di sale e pepe.- elencò alzando per ciascuna aggiunta un dito della mancina, lo sguardo fisso in quello della strega. Voleva renderla pienamente partecipe e parte attiva, facendole capire ogni singola idea e fase di preparazione – tanto più se la sua studentessa avesse avuto in mente anche potenziali modifiche.
-Una volta ben amalgamati e rosolati questi, andremo ad aggiungere l’acqua – o il brodo – coprendo il tutto per la cottura “definitiva” – non ci vuole molto, tra i venti e i trenta minuti, a fuoco dolce.-
Concluse con un sorriso luminoso, dondolando un po' sui talloni.
Cavoli, aveva parlato così tanto - e al pensiero si imbarazzò appena, sentendo affluire il sangue alle guance e alle orecchie - anche se di fatto aveva “semplicemente” risposto ad una domanda.
Su due.
Una domanda su due.
Ah! - panico.
Londra però si limitò ad avvicinarsi al lavandino, pulirsi le mani - e sfilare la bacchetta puntandola contro il barattolo del sale ancora sul bancone: -Cangio.- sillabò concentrata, osservando poi il colore dell’oggetto mutare nel bel rosso intenso utilizzato anche per la torta riservata quella stessa mattina a Nieve.
-Sono anche incantesimi semplici, spesso combinazioni di alcuni.- aggiunse quindi in risposta alla seconda domanda posta dalla Grifona: -Altri sono più specifici – i libri di cucina ne sono zeppi. Sono fondamentalmente innocui ma utili in questo contesto. Basta pensare al Manina, o al Veronesi.. vuoi provare?-
 
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view post Posted on 5/1/2024, 15:55
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entropia.

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I am the storm that never leaves
Ho fame e la colpa, se così vogliamo chiamarla, è tutta della Walker. La descrizione che fa del suo piatto preferito inebetisce le mie ritrosie e stuzzica l’interesse del mio stomaco. Non importa che la ricetta porti alla mente il ricordo delle cene trascorse a casa dei nonni in un clima di serenità e gioia. Sono troppo concentrata a immaginare il pezzo di carne ricoperto di salsa Worcester con il contorno descritto dall’insegnante. Non nego che ne assaggerei volentieri un pezzettino o due. La bontà del risultato finale riuscirebbe a distrarmi dai timori che mi colgono durante ogni pasto? Non credo proprio.
Guardo le movenze della donna che ha deciso di convocarmi per una ragione che ancora mi sfugge e che ella non ha ancora deciso di condividere con me. È così competente, così diversa da Ỳma. La mia balia non si perdeva in passaggi troppo complessi. Aggiungeva tutti gli ingredienti nell’acqua bollente e aspettava che si ammorbidissero. Per entrambe, era una tortura sentire il profumo della zuppa ed essere costrette ad aspettare. Ma Ỳma era convinta che ogni tanto ci meritassimo qualcosa di più di vegetali crudi e di un bel mal di pancia. Le patate non cotte erano una chiave di accesso rapida per una bella nottata di crampi.
La Walker, invece, mi parla di passaggi ben incastrati tra loro. Inclino le labbra in un piccolo sorriso: Ỳma avrebbe detto che è una stupida perdita di tempo — “quando lo stomaco chiama, chiama e tu rispondi subito”. Me la figuro con quell’espressione severa che le mutava i lineamenti quando era di fronte a quelle che lei riteneva sciocchezze, con una mano su un fianco e l’altra impegnata a pizzicare l’aria con l’indice. Io, di solito, annuivo in segno d’accordo. Lei era tutto il mio mondo, la sola persona dalla quale potessi apprendere i rudimenti della vita.
«Certo» rispondo all’insegnante, quando mi domanda di aiutarla con le patate. Giacché ho finito di tagliuzzare i funghi in strisce sottili, allungo la mano verso un tubero e faccio del mio meglio per assecondare la richiesta di precisione della Walker. Non sarò mai brava come lei. «In realtà, la ricetta è molto grossolana. Noi buttavamo tutti gli ingredienti nell’acqua calda e aspettavamo che le verdure si cuocessero. Quando era pronta, ci buttavamo sul piatto senza nemmeno aggiustare di sale. La mangiavamo sciapa.»
Sono rilassata mentre descrivo alla donna i passaggi semplici della cucina di Ỳma. L’aiutavo solo ogni tanto, spaventata com’era lei alla prospettiva che mi ustionassi o tagliassi un dito — “Non le so riattaccare le dita, bambina. Fa’ attenzione! Anche se sarebbe una bella aggiunta alla zuppa un po’ di carne”. Io rabbrividivo, spaventata, nonostante il sorriso sdentato di Ỳma avesse un che di rassicurante: non ci tenevo a essere cucinata. La sola idea mi rivoltava lo stomaco.
«Sembra che lei fosse ad armeggiare in-» Si può realmente definire “cucina” un caminetto sgangherato e un tubo di ferro dove appendere un calderone? «Insieme a noi» concludo, evitando di inerpicarmi su per un sentiero che mi costringerebbe a rivelare troppo. «Sa pure che, in questa variante, il latte va messo alla fine per rendere il composto più saporito e che le patate rendono più cremosa la zuppa. Come ci riesce? La domanda è retorica. Non mi aspetto che la Walker mi risponda davvero. Poi, mi sovviene un pensiero. «Pensa che sia sbagliato modificare la ricetta originale? Ho pensato che fosse carino mescolare i passaggi di due ricette leggermente diverse tra loro. Ora mi viene il dubbio di aver commesso un errore.»
È strano. La persona che si muove al mio fianco riesce a infondermi una tale fiducia che quasi non mi accorgo di abbandonarmi ai suoi consigli come farei con una persona cara. È davvero possibile instaurare un rapporto così intimo con un insegnante? Non ho mai pensato che qualcuno potesse avvicinare così a una studentessa. Invece, la briosa Walker sembra voler scardinare ogni abitudine scolastica.
Sospiro, distratta dalle mie riflessioni, così finisco per calcolare male lo spazio tra la patata e il mio dito. «Au» esclamo, portando istintivamente il dito alla bocca per lavare via il sangue sgorgato dalla ferita. «Mi scusi» mi affretto ad aggiungere, guardando alcuni cubetti coperti di rosso. «Non volevo.»
Intanto, come per un assist del fato, sorvolo l’ultima domanda della docente. Non posso dirle della condizione della mia magia.

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Edited by ~ Nieve Rigos - 9/1/2024, 13:38
 
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view post Posted on 20/1/2024, 22:33
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Anche io in realtà – mi chiedo quale parte delle tante di me, mi abbia portato qui e ora - con questa specifica persona al mio fianco – in questo altrettanto specifico contesto.
Non mentivo quando dicevo di far fluire piuttosto tranquillamente le persone entro il turbolento corso della mia vita – io amo le persone e ne sono estremamente incuriosita anche se, a tratti, alcuni loro aspetti mi turbano, spaventano o disregolano spesso e non volentieri.
Al tempo stesso però, rifletto, tendo anche attivamente a muovermi perché le persone si possano effettivamente avvicinare a me – ed io a loro:
perché?
In questo ritmico tagliare, mescolare, mentre mi lascio cullare da questa dolce e rassicurante litania che è poi il preciso schema e struttura della ricetta che stiamo seguendo – mi rispondo anche che –
deve essere quella parte delle tante, di me che ai tempi ha sofferto tanto la solitudine, e che avrebbe venduto l’anima per una voce diversa dalla sua eco nelle gigantesche, e straziatamente vuote, stanze del Manor di famiglia.
Giusto.
Sarà così.
Giusto?
E’ la Adeline bambina che gioisce della semplice presenza di un qualcuno – o è la Adeline adulta che lotterebbe sino allo stremo per evitare il ripetersi di una storia tanto vuota - ma poi evitare a chi - a lei, agli altri - oh, quale presunzione Adeline, avanti -
o è qualcos’altro ancora, una Adeline che per tentativi ed errori tanti, tanti errori se lo chiedeste proprio a lei insegue quella prova che no, sebbene portatrice sana del male - lei può può davvero, comunque, avvicinarsi sul serio alle persone e non per questo ferirle, fargli del male – anzi – portare persino magari qualcosa di buono nella loro vita - e adesso pure l'egoismo - o cos'è questa, esaltazione narcisistica? Che delusione..
O ancora - è forse semplicemente quella Adeline che tiene “banalmente” alle persone, e se ne vuole prendere cura, e come tutti in questo accidenti di mondo – a pelle tende a sentirsi più vicina, meglio con alcune specifiche persone piuttosto che con altre – e fa di tutto per quantomeno provare ad avvicinarsi, e vedere se può funzionare (?) con quelle specifiche persone e non con altre (?) - forse meglio, ora.
Preparare una zuppa non è mai stato tanto introspettivo - accidenti.
Probabilmente – concludo alla fine, tra me e me - sono tutte queste parti di me insieme.
Tutte queste Adeline insieme.

Inclusa quella estremamente autogiudicante che non ci mancava affatto - sebbene non manchi mai.
Un pizzico bonus di disgregazione del sé a questa ricetta. Q.B. proprio.

La voce di Nieve si amalgama bene tra le note ed i passaggi di questa ricetta.
Sorrido alle sue parole, in realtà intimamente commossa dall’immagine che mi propone questa Rosso Oro: spesso si sottovaluta la difficoltà dell’inserire una figura appena conosciuta, ad ogni modo esterna ad un determinato contesto, in una cornice tanto intima e privata come quella del proprio passato e/o della propria famiglia.
-Mi sarebbe piaciuto davvero.-
Le rispondo infatti, sincera.
Anzi, c’è forse sin troppa verità in questa mia manciata di parole – e dato che mi muovo e commuovo alla velocità della luce, dopo aver guardato per un paio di eterni battiti di ciglia la mia studentessa, torno a fissare con incredibile attenzione il mio tubero da tagliare, gli occhioni grandi ed un pizzico più lucidi del dovuto.
Mi limito quindi a ridacchiare alla domanda retorica di Nieve – ma mi faccio seria e pensierosa a quella successiva:
-Seguire schemi preesistenti può essere rasserenante e sicuro talvolta- le rispondo mentre continuo a muovermi e procedere con la nostra ricetta, pensando anche quanto nello specifico io mi faccia tranquillizzare da schemi e strutture già conosciute -Ma così facendo, tra le altre cose, non creerai mai qualcosa di veramente tuo – cosa che effettivamente… hai appena fatto.-
Mi fermo per un secondo e la osservo, sorridendole luminosa: -E questo non sarà mai uno sbaglio.-
Altro battito di ciglia.
-Le stai tagliando un sacco bene queste patate – come i funghi, sei bravissima Nieve.-

Il mio fragile muscolo cardiaco salta un battito ad un Au che l’istante successivo fa volare il mio sguardo sull’origine di quell’esclamazione: non me ne può importare di meno adesso delle patate macchiate, e mi avvicino subito alla Rosso Oro.
-Lo spero bene che non volessi farti del male da sola- butto lì come piccola battuta, tranquilla, anche se sono chiaramente attivata in qualità di ex Medimag – docente di Pozioni – adulto di riferimento – semplicemente Adelineversionemammacerbiatta - e le iridi bicrome inseguono la piccola ferita che vogliono studiare meticolosamente.
-Non ti preoccupare di nulla. Fa male? - Abith senza neanche una parola in ordine di priorità scompare e ricompare nel giro di qualche secondo con una piccola fialetta – è una delle mie mille Rigeneranti che tra la mia cronica goffaggine, le avventure del mio olandese, il mio passato al San Mungo e la passione per i veleni nonchè - beh, la vita in generale, compongono per necessità almeno il cinquanta per cento della mia dispensa personale - dopodichè mentre lei con mezzo schiocco di dita ripulisce le patate e si occupa in questi istanti di pentole e padelle sul fuoco, io con tocco leggero invito la Grifondoro a mostrarmi meglio il dito anzichè nasconderlo in bocca - e le porgo al contempo il flaconcino di pozione.
-Questa dovrebbe essere sufficiente.-
Un sottile ma insidioso, pungente e dannatissimo senso di colpa riesce ad infiltrarsi entro il mio costato – sino a stringere tra le sue spire il fragile muscolo cardiaco che ivi si nasconde:
qualcuno alla fine, si fa sempre del male.
E adesso non saprei neanche dire chi sia a parlare - se la Adeline giudicante, o quella bambina - la portatrice sana del male - quella adulta? sicuramente non la razionale.
-Dovrei essere io quella che si scusa, in effetti. Ti ho portata io sin qui.-
Tutte le parti, tutte le Adeline di qualche interminabile minuto fa ad ogni modo – mi affollano ora nuovamente pensieri ed emozioni, dando adito ad un caos che già quotidianamente mi anima.
Lo sguardo di mare e di bosco sonda colpevole la figura della studentessa:
-Scusami tu, Nieve.-
 
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16 replies since 2/9/2023, 17:50   477 views
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