Dove e quando?, Privata.

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view post Posted on 14/9/2023, 17:11
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Triste, come chi ha perso il nome delle cose.

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CodiceCiondolava senza meta in mezzo a quello che sembrava essere il principio di un'apocalisse annunciata. Alla fine qualcuno c'era finito davvero nei cespugli, ma era troppo alterato per capire se ci fosse finito a vomitare o se fosse in dolce compagnia. Ripercorrendo i ricordi a ritroso, le istanze di studenti nei cespugli sbucavano dai meandri di un quarto d'ora di vagabondaggio come funghi. Andava di moda, si disse, lasciare qualcosa nella vegetazione: il cuore o la dignità, in base al mood della serata.
Pensò, raccogliendo quel poco di lucidità che gli rimaneva, che sarebbe stato difficile trovare la professoressa di pozioni nel bel mezzo della rigogliosa vegetazione di Hogwarts e che sarebbe stato piú probabile – per deformazione professionale, supponeva – trovarci quella di Erbologia.
Barcollava, occultato, da ben piú di un quarto d'ora, ma quella fetta di orologio era stata spesa a cercarla in un perimetro verdeggiante nel quale ne percepiva l'assenza. Rinunciò, mentre qualche Lazzaro improvvisato si risollevava da un groviglio di foglie e malessere come nulla.
Il respiro corto, tagliato a spicchi dalle sostanze. I continui urti di chi non lo vedeva si facevano beffe della lentezza dei suoi riflessi. Qualche spallata di troppo, il terreno sotto ai piedi che sembrava sciogliersi sotto il peso dei suoi passi. Leopoldo. Dov'era Leopoldo? Anche lui era saltato nei cespugli a darsi alla pazza gioia, abbandonandolo al suo destino. Si sentiva solo.
Traballava un passo alla volta, usando ogni superficie verticale come una stampella per reggersi in piedi. Che disastro. Si sentiva tanto decadente, quanta era la decadenza succeduta ad una serata meravigliosa, come da protocollo. Finiva sempre così quando ci si divertiva, qualcuno per forza di cose doveva rompersi e trasformarsi in una rottura, almeno per gli altri. Lui era piombato nel baratro indecoroso che accoglieva i superstiti di ogni eccesso.
Fece una lunga passeggiata, ondulante, con la vista appannata a sbeffeggiarlo per le sue scelte di vita discutibili. Più il battito del suo cuore rallentava, più il panorama iniziava a perdere i propri dettagli ed i propri confini. Luci e forme. Un quadro impressionista che gli dava l'impressione di essere… beh, un deficiente. Avrebbe riso se avesse avuto abbastanza fiato nei polmoni. Invece continuò a marciare, e avrebbe continuato – si era promesso – senza mai fermarsi. Non finché non avesse incontrato Adeline.
Così si lasciò alle spalle il giardino, l'atrio, il giardino e l'atrio di nuovo. Poi qualche scala che non seppe dire dove portasse e a cui cambiare faceva sicuramente piacere, ma un po' meno dopo la promessa di essere demolita per la frustrazione. Il corrimano lasciava che le mani corressero, mentre lui scavalcava i gradini a passo d'uomo, ritrovandosi sbilanciato in avanti.
Era come se fosse lì – lì dove, poi? – ed allo stesso tempo come se non ci fosse. Scendeva e saliva come un'anima in pena. Imboccava questa o quell'altra scorciatoia. Questo o quell'altro corridoio. Questo o quell'altro passaggio. Tutto, celato agli occhi di chi aveva la sfortuna di cavarsela peggio di lui con la magia, di quadri e fantasmi vari e di tutte le cose animate che altrimenti gli sarebbero state d'aiuto.
Si lasciò il giardino alle spalle, non sapendo come ci fosse tornato e si lasciò alle spalle anche qualche altra scalinata. Era dal primo anno che non si perdeva ed ora si era smarrito, letteralmente, sì, ma anche sul piano metaforico. Che piano era, quello metaforico? Il terzo, forse.
Si era ricordato di essere entrato nella stanza delle necessità, perché necessitava di un sorso d'acqua, di lavarsi mani e viso, ma non si ricordava quando, si era solo assicurato di non lasciarsi testimoni alle spalle, perché nessuno lo vedesse idratarsi.
Poi si era lasciato il giardino alle spalle e di nuovo qualche gradino, qualche Aurispico forse, qualche disgraziato che si era accasciato prima di arrivare alla sua sala comune per riposare, nel modo che si confaceva ad un cristiano che voleva dormire in santa pace.
Quando trovò la professoressa Walker, non seppe dire dove l'aveva trovata, né quando. Ma sapeva di averla trovata perché così gli avevano detto le persone nelle pareti, il vento fresco, la pennellata d'azzurro del suo vestito e il gouache luminoso dei suoi capelli biondi. E quei due puntini, come il blu delle tempere morbide con cui si dipingevano le onde frizzanti e il verde dei cespugli che ospitavano piú alunni di quanti ne ospitassero i dormitori. Era notte? Era giorno? Era passata mezz'ora o era già mattino. Non capiva più nulla.
«Adeline!» La salutò per richiamare la sua attenzione, con un sorriso gioioso e gli occhi entusiasti. Il volume della voce basso, per non fare troppo baccano ed il tono un tantinello vivace. Respirava piano, seguendo il ritmo di un cuore che batteva lento e costante. Da qualche parte si era appoggiato con disinvoltura, per nascondere che non riuscisse a starsene sulle proprie gambe senza un supporto. Sentiva la mano accarezzare i mattoni ruvidi e i mattoni ruvidi che gli davano dello sciocchino, accerezzandogli la mano a loro volta.
«Stai bene?» Le domandò. Come non fosse stato lui quello in punto di morte.
Morire era una bella seccatura, specie quando ti rovinavano le aspettative. Gli doveva scivolare addosso una doccia, o forse era lui che doveva scivolare in una doccia. Solo così avrebbe potuto lasciarci le penne, stando a quanto gli aveva detto una zingara una manciata d'anni addietro. Si domandava se fosse anche lei nei cespugli; ormai il dubbio l'aveva ciccato in pieno e sentiva di aver bisogno glielo ripetesse. Era davvero terribile quando ti rimaneva una certezza nella vita e poi, tutto d'un tratto, questa veniva a mancare. Terribile.

 
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view post Posted on 14/9/2023, 21:23
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CodiceSono esausta.
Ho ufficialmente esaurito qualsivoglia energia, risorsa e spirito – sono un centesimo della Adeline Walker abituale.
Risalgo le scale – appaiono infinite, eterne – e ho il vuoto in testa, tuttalpiù un fastidioso fischio alle orecchie ed una bruciante emicrania in corso.
Questa giungla mi distrugge.
Ma non ci sono gocciole a rischiarare il mio orizzonte – solo altri scalini prima di raggiungere il mio agognato letto immerso – nel – più - assoluto - dei - silenzi.
Necessito di silenzio, di buio, di dannata solitudine e poi questi stupidi stupidi tacchi mannaggia alla piperina -
Ho a malapena la coscienza sufficiente per guardami attorno – ma il nulla mi circonda e con assoluta tranquillità l’attimo seguente mi sto sfilando questi accidenti di tacchi e sollevando con ambo le mani l’ampio vestito – ora leggermente troppo lungo del necessario dati i centimetri persi con i piedi nudi.
Decisamente più sollevata, continuo la mia scalata badando bene a non inciampare tra i mille strati del mio abito e nella mia mente sempre più dispersa nell’aere.
Camillo.
Il pensiero del mio olandese preferito lampa nella mia testolina dorata con la stessa prepotenza del tuono che segue solitamente i lampi stessi – mi fermo nel mezzo di una rampa di scale – medito sul da farsi.
Dovevamo vederci ma per quel che ne so potrebbe ancora essere in giro – e io sono troppo svuotata da tutto per fare retro front e tornare nella mischia – piroetto su me stessa, ancora indecisa – potrei sempre recuperare i nostri specchietti – potrei appellarlo - potrei iniziare a vagare no sense chiamandolo – potrei scendere nei pressi della sua Sala Comune e.. cosa? Sperare che un batacchio simile al corvo di bronzo che accoglie i Bronzo Blu, magari a forma di tasso, mi chieda se riponga più lealtà nei muffin piuttosto che nei cupcakes?
Ma che accidenti sto pensando –
sto delirando dalla stanchezza -
L’immagine dell’amico che aleggia adesso tra i miei pensieri però, è in realtà più che abbastanza per fungere da piccolo faro e luce, piccolo caldo motore per far sì che la mia mente torni vagamente a carburare e il mio corpo riprenda a muoversi con un certo senso nello spazio.
Camillo, devo trovare Camillo.

.. Non saprei dirvi esattamente come - ma Camillo quantomeno lo trovo.
E direi anche che pure Camillo ha contribuito facendo la sua parte nel cercarmi e trovando.. una pianta.
Arresto bruscamente la mia avanzata quando realizzo seriamente l’immagine che mi si palesa di fronte – e per carità di Merlino, io a piedi nudi nel mezzo di un corridoio deserto, il vestito appena alzato e il viso di un pallore lunare data la stanchezza e l’esaurimento da “ho ufficialmente esaurito le mie batterie sociali” di certo non migliora la questione, mettiamola così.
Respiro appena, silenziosa, poi sospiro e sbuffo piano, divertita.
Lieve, ancora nel più completo dei silenzi, mi avvicino al mio maghetto preferito – mentre lui ha appena chiesto alla pianta lì vicino se sta bene.
Gli cingo con leggerezza le spalle, con l’intento di girarlo e ridirezionarlo verso – beh - me, con tutto il rispetto nei confronti della pianta mh.
Gli sorrido con tenerezza e in silenzio interrompo quel contatto, lasciando scivolare le mani lungo i fianchi, stanca - anche se in realtà la mancina sfila in fretta la bacchetta: appello uno degli oggetti entrati in mio possesso in effetti da poco – che appena arriva tra le mie mani..
-Tieni Breendbergh.-
E ricercando una mano del mago, gli consegno – stringendogli poi io stessa con delicatezza il pugno attorno al piccolo dono (perché “Camillo ti adoro – ma per confondermi con una pianta, ecco..”) – il mio pensiero per lui.

.. Per inciso, la metà con il sole.





Edited by Adeline Walker - 14/9/2023, 22:42
 
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view post Posted on 15/9/2023, 19:56
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CodiceUna pianta? Sul serio, doveva piantarla.
Quando realizzò lo spiacevole malinteso si sentì in colpa per aver disturbato la pianta, che se ne stava lì tranquilla a farsi la sua fotosintesi o qualunque altra cosa le andasse di fare. In realtà si sentiva piú in colpa nei confronti della professoressa Walker, perché in effetti lei non era una pianta. Nessuno, lì ad Hogwarts, lo era veramente. Al di là di quanto piacesse agli studenti proporre analogie sulla vegetazione e la crescita personale. Avrebbe preso a caso Niahndra, per dirne una.
Adeline non era una pianta, se lo ripeté tra sé e sé, mentre ancora sulle spalle sentiva l'eco del tocco delicato con cui lei l'aveva richiamato all'attenzione, e nel petto un peso di un discorso che mai sarebbe riuscito a pronunciare in quello stato.
Ma quando vide Adeline – e realizzò fosse proprio Adeline – la sua espressione si ammorbidì e riuscì a raccogliere un minimo di forza, un pizzico di equilibrio, quel tanto che bastava per stare in piedi senza doversi aggrappare a qualcosa.
«Oh, Adeline, buonasera!» Nella sua voce c'era la stessa fatica che traspariva dagli occhi stanchi, ma sereni, e non per questo un'allegria meno genuina. Era Adeline e non una pianta. Se lo ripeté, contento come un segugio di averla finalmente trovata – di esser stato trovato, in realtà.
«Stavo facendo pratica per salutarti come si deve, mi fa un po' male il pensiero di andarmene, ora. Volevo che fosse…» . Mentì, con l'abilità di quelli che si spacciavano per le compagnie di luce e gas e cercavano di propinarti un contratto obbrobrioso. Quelli che bussavano ad ogni porta senza distinzione, allenati dalla lunga scia di anziani rivoltati psicologicamente come calzini, a cui avevano irrimediabilmente rovinato la vita. Ma la sua era una bugia bianca, o almeno questo si disse per consolarsi. Perché la verità era assai peggiore e si vergognava di ammettere come fosse finito in quello stato.
Non gli piaceva raccontare cazzate alla dolce pozionista, e ne avvertì comunque il contraccolpo, con le guance colorate da una spruzzata di rosso per l'imbarazzo ed il sangue che pian piano, pompato da un cuore sul punto di spegnersi, veniva spinto a scaldargli le orecchie.
Volevo che fosse tutto perfetto, volevo spiegarti tante cose. Saremmo stati entrambi troppo stanchi. Io per organizzare un bel discorso e tu per ascoltarlo. Ma volevo spiegartele come si deve, perché odio nascondere quello che provo.
Ci pensò per un istante, ma non riuscì ad emettere un suono che non fosse un respiro fievole, spezzato a metà. E gli occhi, che dapprima si erano illuminati con una scintilla d'affetto, ora avevano perso il loro bagliore. Le palpebre pesanti si aprivano e chiudevano piano, mentre le iridi nocciola diventavano pian piano piú opache.
Quando si ritrovò un paio di chiavi del cosmo in mano riuscì a schiudere un sorriso, perché trovava buffo il fatto che avessero avuto la stessa idea.
«Grazie» . Non riuscì a far trasparire quanto avesse apprezzato il pensiero. Cosa significasse per lui. Abbassò lentamente il capo, per fissarsi un momento sulla figura di quel sole. Gli infondeva un senso di serenità profusa, un guizzo di speranza che riuscì a donargli qualche istante di autonomia, come la scarica di un defibrillatore che gli faceva ripartire il muscolo cardiaco.
«Ti ho preso anche io un pensierino» . Spiegò in quella che voleva essere una delle sue uscite cariche di energia, e che invece si manifestò come un sussurro delicato.
La mano libera raggiunse una delle tasche dalla giacca e si ritrovò ad impugnare con una stretta debole – e la mano che un po' tremava – la chiave del cosmo che voleva condividere con lei. Anche lui le porse il sole.
«Ti voglio profondamente bene» . Confessò, noncurante della ridondanza espressa in quello scambio di doni. Non contava tanto la natura dell'oggetto in sé, quanto il significato legato ad esso. «E voglio che tu faccia parte della mia vita… anche quando non sarò piú qui» .
Ci sarà sempre posto per te, nelle mie giornate, nei miei pensieri, nel mio cuore e mai mi mancherà il tempo per mantenere la promessa che ti ho fatto.
Che poi, per inciso, alla fine ci era arrivato al fatto che un semplice ti voglio bene non significasse amore romantico. Gli ci era voluto un suicidio per arrivarci, sì, ma pian piano e con i suoi mezzi c'era arrivato. Era questo l'importante.
Si era impegnato per ricambiare, con la stessa leggerezza d'animo ed al contempo consapevole dell'importanza di quelle parole. Frutto dei sentimenti e dei pensieri che a lungo aveva coltivato, e che gli avevano permesso di diventare l'adulto che era. Ormai quasi ufficialmente. Si era detto che se non l'avesse mai conosciuta sarebbe stato una persona completamente diversa; sicuramente peggiore.
Poi barcollò, riuscendo ad aggrapparsi per un pelo al muro di mattoni. Gli occhi fissi nel vuoto per qualche istante e la mente completamente sgombra dai pensieri piú insidiosi. Quando risollevò lo sguardo, sembrava piú sereno, un po' piú stabile. Era l'aria a mancargli, i respiri quasi assenti. Si limitò a lanciarle un sorriso furbo e una mezza linguaccia, che scopriva solo due dei cuoricini iridescenti che Estia aveva tracciato con cura.
«Grazie di tutto» .

 
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view post Posted on 16/9/2023, 15:48
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CodiceLo ascolto e lo osservo, riservando alle sue parole e ai suoi gesti, alla sua persona in generale ogni singola particella che mi compone – gli presto attenzione e lotto contro ogni mia fibra muscolare e nervosa, ormai esaurita e svuotata, per far sì che nulla di quel che lui riserva a me, vada perduto.
-Stavo facendo pratica per salutarti come si deve, mi fa un po' male il pensiero di andarmene, ora. Volevo che fosse…-
Ma quale pratica.
Come se gli servisse – come se a me servisse - come se ci credessi sul serio poi.
Ridacchierei, e forse un po' lo faccio, leggera.
Il mio sguardo di bosco e di mare continua a sondarlo – e si stupisce quando un tiepido rossore colora le guance del mio maghetto preferito.
Inclino la testolina dorata in un gesto così consumato, in un curioso studio così abituale e così mio – e le iridi seguono i movimenti lenti del Tassorosso, si concentrano sulla sua aria altrettanto stanca, altrettanto fuori di sé – spersa forse nell’aere come la mia.
Ho poi imparato a voler così tanto bene a quegli occhi color nocciola, che mi si stringe appena il costato a riconoscerne la luce di sfondo sempre più mite, le palpebre lente e il respiro leggero perso nello spazio che ci divide.
Mi ringrazia per il pensiero che gli ho riservato – e quando pochi istanti dopo tra le mani mi ritrovo il medesimo oggetto.. sto ridendo e piangendo al medesimo tempo – abbandono le mie ultime energie nell’universo così, mentre il dorso della mancina rincorre delle lacrime mute sulle guance.
Tra l’altro, non lo sto neanche guardando più, lo sguardo verde e azzurro è completamente assorbito da quella piccola chiave gemella al mio dono – che adesso sto tenendo nel palmo disteso della mano destra.
Dondolo un po' la testolina dorata e solo quando una lacrima sfuggita alle mie dita cade e si infrange sul metallo – stringo il pugno su quello e rialzo il volto.
Cavoli, riguardarlo in viso è decisamente peggio ora – tanto più mentre mi dice di volermi bene e di volermi nella sua vita anche al di fuori delle mura scolastiche.
-Certo che ci sarò – perché - credi che sia facile liberarti di me mh?!-
Gli risponderei questo con finto tono di minaccia e incredulità, ridendo poi come una matta per la presa in giro.
Ma tutto quel che riesco a fare ora è avvicinarmi di un passo – sbuffare appena in quel che sarebbe stato con altre energie e con altri stati d’animo un ridacchiare ilare di fronte al suo sguardo furbetto e quella mezza linguaccia, al netto di un suo barcollamento generale poi –
e in silenzio, leggera come l’aria.. abbracciarlo buttandogli le braccia attorno al collo.
E lì me ne sto per un po', incurante di tutto e di tutti – persino di quel muto dolore, di cui peraltro adesso sarei origine e causa, che ancora ignoro.
E lì me ne sto lieve, senza neanche stringere poi troppo la presa perché – la parte più razionale di me sa bene quanto siamo ben distanti da un addio, ben distanti da – beh – tutto – ma altre parti del mio caotico universo interiore mi muovono e mi commuovono, e mi dicono che se stringessi troppo questo olandese svanirebbe tra le mie braccia – e allora chi sarebbe lo schizofrenico sogno di chi? - e mi dicono che vorrei dirgli quanto sono orgogliosa di lui, e mi dicono che gli voglio più bene di quanto riuscirò mai a trasmettergli, indipendentemente dal numero di abbracci e pensieri, e chili di dolci e riassunti della giornata condivisi tra due piccoli specchietti.
E mi dicono, e mi sussurrano, e mi raccontano altre mille storie passate presenti e future, che parlano solo di noi.
Mi costringo ad allontanarmi per il semplice fatto che so di non poter rimanere qui per sempre – non può lui – non può nessuno di noi due per una miriade di ragioni diverse.
Ho ancora le mani che gli sfiorano leggere le spalle, le braccia tese di fronte a me.
Lo guardo seria e l’unica cosa che riesco infine a sillabare è – [“Volevo che fosse..- - tutto perfetto.”]
-Lo è stato.-
Lo ridireziono con la stessa delicatezza di appena una manciata di minuti prima verso le scale – devo – devo solo lasciarlo andare, alla fine –
e mentre mi da le spalle, sfilo rapida la bacchetta solo per castare un muto incanto che quantomeno lo faccia arrivare sano e salvo in dormitorio.
Faccio appena un passo indietro e so che lo guarderò sino a che non sparirà completamente alla mia vista, probabilmente l’istante successivo all’ennesimo Seocculto.
E alla fine di tutto questo..
Credo tornerò, finalmente, anche io nelle mie stanze –

- non prima però, di aver augurato una buonanotte anche alla Adeline-pianta. Perchè no?



 
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