L
’espressione di Haru era a dir poco comica.
Incapace di formulare una qualsivoglia risposta umanamente comprensibile, accettò il libro –un tomo dall’aria per niente raccomandabile e
assolutamente magica intitolato ‘Le Mille Facce della Morte’ che la ragazzina si ripromise di imparare a menadito quanto prima possibile– con occhi e bocca egualmente spalancati. Annuì con fare energico alla menzione della professoressa Walker, appuntandosi diligentemente il promemoria mentale di riferirle i saluti del suo strambo, tricardico e fosforico amico.
Questo ragazzo sta fuori come un cornicione, osservò Haru. Amante dei dettagli com’era (specie quando si trattava di effettuare approfondite analisi di
urban types degni di nota), si corresse subito mentalmente, dopo esserlo stata a sentire.
No, non fuori come un cornicione. Nello specifico, il giovane era suonato come un pugile arrivato suppergiù alla dodicesima ripresa.
Sì, poteva decisamente concedersi una deviazione standard approssimativa di una-due riprese.Rendendosi improvvisamente conto della piega poco educata che la faccenda stava prendendo, visto come s’era persa nelle sue (
altamente discutibili) riflessioni, Haru arrossì violentemente. Le cattive maniere le urtavano i nervi come poche cose al mondo. Specie le
sue cattive maniere. Si affrettò quindi a porre rimedio all’imperdonabile
gaffe sociale appena commessa.
Come? Beh,
discutendole altamente, le sue riflessioni. Guardò l’altro dritto dritto negli occhi e gli disse, con estrema serietà,
«Sei davvero suonato come un pugile alla dodicesima ripresa». Sorrise soddisfatta.
Ahhh, molto meglio.Dopotutto, se era pur vero l’adagio che
“hard work beats talent when talent sleeps” che Haru aveva desunto da ore ed ore trascorse ad assorbire documentari sulla fauna sotto steroidi anabolizzanti di consumatori seriali di pillole scarlatte nel corso degli anni, il giovane che le stava di fronte era la prova schiacciante del primato indiscusso del talento naturale quando il suddetto talento era associato ad un primate insonne. Poi,
chiaro, anche la società voleva la sua parte: qualunque sistema capitalistico oppressivo degno del suo nome non avrebbe mai mancato di prescrivere anche una malsana ed immancabile dose di duro lavoro maniacale per garantire la piena realizzazione di quel talento innato. La particolare declinazione di
nonsense genuino che traspariva dalle parole dell’ex Tasso denotava una dedizione alla propria
Arte al contempo fuori dal comune ed innegabile.
La nota di ammirazione che colorava le parole di Haru fu inconfondibile.
La pancia le faceva male dal ridere.
Haru avrebbe voluto dirgli che, a stare con lui, si sentiva stranamente al sicuro, come se potesse sentirsi libera di porgergli la fiammella della sua stranezza con la certezza incrollabile che non solo sarebbe stata accolta a
braci aperte, ma anche fatta divampare in un glorioso incendio di pura e magnifica follia. Avrebbe voluto dirgli che c’era qualcosa di inspiegabilmente rassicurante nella schiettezza impenitente di quegli occhi che le scoccavano occhiate tanto azzurre da sembrare sovrannaturali. Avrebbe voluto aggiungere che pensava di sapere a cosa si riferisse quando parlava di Hemingway in quei termini. Che Lorca avrebbe ridotto il suo
alter ego femminile in condizioni di non dissimile, drammatica disidratazione –se non addirittura peggiore,
che Merlino gliene scampasse. Avrebbe voluto dirgli che non aveva mai ricevuto un mattone così bello e letale in vita sua. Se lo strinse al petto. Checché ne dicesse quell'eccentrico sconosciuto, in quel momento le stava di fatto regalando il trofeo della Casata che li accomunava. La commozione che provava Haru di fronte a quel bizzarro passaggio di testimone non era molto diversa da quella di un elfo domestico affrancato impegnato a ricevere il secondo paio di calzini dal suo padrone.
Si asciugò con il dorso della mano i lucciconi spuntati copiosi agli angoli degli occhi a furia di starlo a sentire. Avrebbe potuto dirgli tutte quelle cose. Scosse la testa, incredula e leggera. Gli regalò uno dei suoi sorrisi grandi e senza riserve.
«Andrei a spaccare vetrine con te», rispose invece con semplicità.
La sua prima visita a Bibliomagic sarebbe stata assolutamente indimenticabile, ne era certa.