Blurred Lines, privata

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view post Posted on 28/9/2023, 00:17
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Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts

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Non gli importa se dovrà aspettare
è certo. ottiene sempre ciò che vuole. Alla fine della giornata gli resta ciò che era ieri e ciò che sarà domani; l’ansia insaziabile dell’essere sempre la stessa persona e un’altra.



Non sono mai stato così entusiasta all’idea di tornare a casa. Hogwarts è sempre stato il mio porto sicuro dal momento in cui ne ho varcato le soglie. Sin da bambino odio l’atmosfera che, invece, si respira a Londra. Specialmente nell’appartamento in cui sono cresciuto.
Quest’anno è diverso, però. Perché la prospettiva di passare sei settimane con Megan, senza tutte le costrizioni che la scuola ci impone, mi elettrizza.
D’altronde, negli ultimi tempi il mio astio nei confronti delle proibizioni nel castello e la presenza di studenti che non riesco proprio a tollerare non ha fatto che crescere a dismisura. Sono poche le persone che sopporto, ancora meno quelle con cui riesco a condividere ossigeno senza farmi salire il crimine. Per via della divisione tra case, i compiti, le lezioni e il lavoro, il tempo a disposizione da passare insieme a Megan è sempre troppo poco. È la prima volta che ci si apre l’opportunità di passare tanto tempo insieme, potenzialmente ogni giorno fino al primo settembre, visto che – ignorando le lamentele di Sinister – ho anche ridotto all’unghia i miei turni in negozio.
A causa di ciò, un po’ come i bambini che attendono entusiasti l’arrivo dei regali di Natale, non ho dormito un cazzo. E ho un gran mal di testa.
Ho passato la notte a fissare il soffitto, grato di essere riuscito a calmare l’ira funesta di Megan di ritorno dal ballo. Lontano dall’ansia sociale, da quel clima opprimente che non mi aveva fatto ragionare, con gli strascichi di una paranoia paralizzante che a malapena mi avevano consentito di parlarle, sono riuscito a tranquillizzarla. E non so nemmeno io cos’ho fatto per riuscirci.
Arrivati davanti l’imponente portone d’ingresso del castello, dopo aver sistemato le cose tra gli stand, il ricongiungimento non è stato dei migliori. Con lo sguardo basso e i pugni stretti, mi ha sbraitato contro una serie di cose che nemmeno ricordo, che lì per lì ho pensato non fosse il momento di affrontare e ho rimosso, per paura di doverle gestire. La mia indole procrastrinatrice ha rimandato qualsiasi fosse la conversazione che dovevamo avere. Non so, di preciso, cosa del mio atteggiamento l’abbia placata, ma dopo un accenno di pianto per rabbia e un paio di coccole si è calmata. Il whisky aveva preso il sopravvento e il viaggio fino alla torre di divinazione è stato addirittura divertente, anche se le cosce pigramente poco allenate risentono tutt’ora dello sforzo di averla portata in spalla fino in cima. Mi sorprende, a posteriori, non essere arrivato fin lì con il fiatone. Forse merito dell’aver smesso di fumare già da diversi mesi.
Ecco. Ora che ci ho pensato mi andrebbe proprio una delle mie sigarette speciali per scaricare un po’ di pressione. Al contempo, penso solo di aver bisogno di dormire.
Mi alzo dal letto prefigurandomi Megan seduta in una delle cabine del treno e io che, finalmente, ho il miglior sonno della mia vita appoggiato sulle sue gambe, con lei che mi accarezza i capelli e mi parla per allietare i miei sogni.
Mi butto in doccia, sistemo le ultime cose nel baule appena torno in camera e mi accingo, poi, a uscire. Tengo in mano la gabbia di Donut che ancora dorme. E non è l'unico: è talmente presto che in dormitorio non c’è ancora il solito via vai di mocciosi rachitici che si trascinano bauli più grossi di loro.
Attraversando la Sala Comune deserta mi sento improvvisamente… strano. Non so perché, ma pur continuando a sentirmi su di giri per l’estate che mi si prospetta, percepisco un qual senso di malinconia lasciandomi alle spalle tutto ciò. La fine di un altro anno. Mi avvicino al giro di boa, quasi a metà del mio percorso scolastico e poi, tutto questo, non sarà altro che un ricordo.
Il Barone Sanguinario mi offre un’ultima partita a gobbiglie prima della partenza – perfettamente consapevole di averla vinta facile contro di me, considerando tutte le amare sconfitte subite nell’ultimo paio d’anni – e a malapena mi accorgo che, col passare dei minuti, la Sala Comune ha iniziato ad affollarsi di primini. È lo stesso Barone a deviare la mia attenzione dal gioco per farmela porre sugli studenti.
Sbuffando, così da rendere subito chiara la scarsa pazienza di cui dispongo al momento, mi rimetto in piedi e do un’occhiata all’ora. È tempo di andare. Mi riavvicino al mio baule e mi accingo a uscire, dando per scontato che i presenti mi seguiranno perfettamente ordinati fino alla stazione di Hogsmeade.
Agli eventuali ritardatari ci penseranno i docenti o Mike. Sinceramente, non me ne interesso.
Raggiunto il treno che ci porterà fino a Londra, entro per primo e occupo subito la prima cabina libera che trovo, all’incirca la decima, ma ho smesso di contarle quasi subito per noia. Poso il baule e torno indietro per consentire alla marmaglia di serpi di iniziare a salire a due a due per accomodarsi senza fare casino. Mi posiziono di guardia fuori dalla cabina che ho deciso di privatizzare e attendo pazientemente di vedermeli sfilare davanti tutti, a parte un paio che mi fanno cenno di aver deciso di mettersi a sedere insieme a dei Tassi in una cabina prima della mia.
Per quanto mi scocci fare da babysitter, provo una certa soddisfazione nel vedere questi ragazzini che mi danno retta. Almeno finché li tengo d’occhio; sono pienamente consapevole che appena li avrò persi di vista faranno il cazzo che gli pare. Ma, a quel punto, non sarà nemmeno più affar mio.
Do un’ultima occhiata sia alla mia destra che alla mia sinistra per assicurarmi che non ci siano più primini Serpeverde in corridoio. Di studenti in generale ce ne sono ancora pochi, siamo arrivati prima di tutti gli altri. Meglio così.


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view post Posted on 4/10/2023, 23:14
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Lei rifiuta sempre di capire, di sentire;
ride per coprire il terrore di se stessa.Ha sempre camminato sotto gli archi delle notti e ovunque Lei è passata, ha lasciato l'impronta di cose spezzate.



Il sole fa capolino da dietro le alte montagne. I raggi accarezzano la superficie del paesaggio, minuto dopo minuto; distendendosi, come una coperta calda, sciolgono la rugiada e illuminano la superficie del Lago Nero.
Il giorno della partenza è arrivato e nella Torre Ovest del castello la Sala Comune Corvonero si è già animata di chiacchiere e rumori di bagagli trascinati, o chiusi di poca grazia.
«Megan!»
Sento chiamare il mio nome mentre salgo le scale, seguo le voci dei miei genitori al piano di sopra. Lo spazio che mi accoglie lo ricordo a malapena, mi sembra la vecchia casa a Lambeth ma non ne sono poi così sicura. Mi giro a guardare in fondo ai gradini e Paul mi attende da basso allungando la mano: «Megan, vieni con me» dice supplichevole. Ha la mia stessa età ne sono sicura, è più alto dell’ultima volta che l’ho visto e sebbene le caratteristiche fisiche non mentano sulla sua identità, il tono della voce mi riconduce a Draven. È lui che mi sta chiedendo di raggiungerlo, è lui che mi sta pregando di non farlo... Ma cosa?
Non capisco.
Una fitta mi colpisce il centro esatto dello stomaco, voglio scendere ma in qualche modo i miei passi si muovono nel senso contrario e non posso oppormi. Il grido strozzato si blocca nella gola, forse vorrei dirgli qualcosa ma non so cosa esattamente. La mano tesa è un appiglio dal quale rifuggo, nel quale avrei voglia di perdermi e non ritrovarmi mai più. Eppure, non c’è modo affinché io riesca ad afferrare quelle dita; continuo a salire e il pianto riga le guance, mentre le grida di Eloise e Carl rimbombano nelle pareti che ora si sciolgono come cera bruciata dalle fiamme.

«Megan!»
Sento scuotere le spalle e il cuore arrivare in gola. Dischiudo le palpebre e in una frazione di secondo metto a fuoco il grazioso viso di Grace a pochi centimentri da me.
«Hai bevuto troppo ieri, eh?» Mi sorride maliziosa.
Mugugno qualcosa d’incomprensibile e faccio leva sui gomiti. Le tende del baldacchino si aprono e la luce mi costringe a strizzare gli occhi e a portare il dorso della mano a coprire il bagliore che bacia la mia pelle.
«Che ore sono?» chiedo biascicando.
«Le otto e mezza e hai un mucchio di cose da fare» squittisce Grace guardandomi con aria di rimprovero e posando la bacchetta sul ripiano del suo comodino.
I piedi toccano il freddo pavimento di pietra, rabbrividisco e mi allungo per indossare la lunga veste da notte prima di fare leva sulle gambe e sparire in bagno.
Lascio chiudere la porta dietro di me con un pesante tonfo. Poggio le mani sul lavandino e mi guardo allo specchio. I capelli arruffati incorniciano il viso pallido ancora segnato dal trucco lavato via velocemente. Tiro la pelle con l’indice destro per lasciar svanire il segno del cuscino sulla mia guancia, ho avuto davvero una pessima serata e i postumi li sento tutti.
Il mio corpo è intorpidito da capo a piedi e mi trascino a malapena come se fossi schiacciata da un peso invisibile. La notte non deve essere stata delle migliori, forse la maggior parte tormentata dagli incubi che sono grata di non ricordare. L’ultimo però lo ricordo e ancora sento l’angoscia chiudermi la gola.
Mi spoglio lasciando cadere i panni a terra. Entro in doccia, l’acqua gelida raffredda i miei pensieri. Vorrei stare qui a lungo, lasciarmi torturare dalle gocce che, come minuscoli aghi, colpiscono la pelle e la bruciano lasciando chiazze rosse sulle spalle, collo, gambe...
Non ho voglia di tornare a casa.

Lascio il baule davanti al portone principale, il guardiano si occuperà di caricarlo sulla carrozza trainata dai Thestral. Preferirei di gran lunga farmi una passeggiata fino ad Hogsmeade, in completa solitudine, ma come Caposcuola dovrò scortare quelli del primo anno e, sebbene non sia una novità per me, oggi ne avverto il disagio. Non vedo Jean da qualche ora, ho trascorso gli attimi successivi al ballo - prima di tornare nella mia stanza - da lei a raccontarle ciò che avevo visto quella stessa sera. Non con poco stupore avevo scoperto che era venuta a gestire parte degli acquisti dell’Ars Arcana e che Timothy mi aveva mentito.
Che idiota! pensai.
Che idiota! Ripeto ora che mi è tornato in mente.
Varco la Sala Grande nella speranza di trovarla ma mi accorgo che solo la metà degli studenti del primo anno siedono sulla lunga panca di legno e mi sorridono non appena avanzo verso la loro direzione.
«Buongiorno Miss Haven! La signorina Grey è già partita con l’altro gruppo» mi dice un giovane e brillante studente del secondo anno, Zed Miller, al quale sorrido e annuisco senza dire nulla.
Lo sguardo poi indugia al tavolo dei Serpeverde, gli attimi necessari per accertarmi che Draven non è lì. Abbasso gli occhi sulla tazza fumante di caffè doppio, ma prima di poterne solo assaggiare un goccio sento una mano sfiorare i capelli, tirandoli appena, e un sussurro che mi fa avvampare di rabbia.
«È già andato via... Un vero peccato non credi? Questo fa parte di chi le cose non se le sa tenere». Stringo i pugni e non mi volto nemmeno a guardare il viso di Abigail che ridacchia occupando qualche posto più in là lungo l’asse della seduta insieme a Kate Butler, studentessa del settimo anno; quest’ultima non dice nulla.
La testa inizia a girarmi e il dubbio si stilla nella mia mente come il più temibile dei tarli su un albero secolare: è giunta la fine, penso. Forse Abigail ha detto tutto a Draven e lui non vuole più saperne di me. Poi, una mano si poggia sulla mia e di scatto mi volto dall’altra parte.
«Lasciala stare, Meg. È una bambina e non si arrende al fatto che Draven stia insieme a te» Grace mi accarezza la mano e le dita si rilassano al suo tocco, «non capisco perché non la smette» chiede a se stessa scuotendo la testa, «è davvero triste il fatto che si convinca che da questo comportamento ne ricaverebbe qualcosa».
Ritraggo la mano, il sangue torna a fluire lungo le dita che erano impallidite dallo sforzo e allora Grace torna a guardarmi.
«Va tutto bene?» Chiede.
«Oh, sì sì… Beh» respiro profondamente, vorrei dirgli davvero come mai Abigail ha questa ossessione nei miei confronti. Sono certa che le piaccia Draven ma sono ancora più certa che finirà per rovinare ogni cosa.
«Credo che la finirà con questa scena prima o poi», è ciò che spero.
Grace alza le spalle e si intrattiene con una ragazza del terzo anno di fronte, io di rimando bevo il mio caffè e rubo due biscotti alle mandorle prima di mettere in un tovagliolo un sandwich con bacon e frittata, poi riempio un bicchiere d’asporto con del caffè caldo chiudendolo attentamente.
«Abbiamo una carrozza che ci aspetta e un treno da prendere, forza» mi alzo esortando gli studenti del primo anno mentre le risate accentuate alle mie spalle lasciano scorrere un brivido lungo la schiena.
«Scegli la carrozza giusta, Haven!» dice gridando Abigail. Mi volto a guardarla questa volta, mentre immagino che soffochi con quel pezzo di pane che mastica con insolenza.
«Ti aspetto» rispondo di getto; sono certa che sia una minaccia.

Il viaggio non è dei più tranquilli, pochi minuti mi separano ormai dalla destinazione e i pensieri continuando a tormentarmi. Ho tentato di intrattenermi in una banale conversazione con una studentessa incuriosita dagli anelli che porto sulle dita; sono scesa nei particolari descrivendole i principi magici, elencato i posti dove li ho acquistati e, tuttavia, niente è riuscito a distogliermi dalla convinzione che tutto possa essere finito tra me e Draven e che non abbia avuto modo di giustificare le mie azioni.
Alla fine mi ritrovo ad osservare il paesaggio e mi raggomitolo tenendo le braccia salde alle ginocchia. Poggio il viso sugli avambracci e seguo i movimenti al di là del vetro senza guardare veramente. Socchiudo gli occhi, il chiacchiericcio indistinto mi culla e per qualche minuto cado in un sonno leggero. Poi, la carrozza si ferma e apro gli occhi; le gambe scivolano sulle assi di legno e mi alzo in piedi.
«Uno ad uno nel treno! Non ammassatevi però che devo contarvi» dico agli studenti che mi superano. Tutti mi salutano augurandomi una buona estate ed io mi limito a sorridere e a ricambiare con circostanza.
«Mi accompagnerà Signorina Haven? Ad Hogsmeade per l’anello?» l’ultima della fila è proprio la bambina con i lunghi biondi capelli ricci con la quale mi sono intrattenuta durante parte del viaggio; nei suoi occhi nocciola individuo la speranza di un “sì” e allora annuisco e con le dita accarezzo i suoi capelli in un gesto affettuoso.
«Certo, Miriam, con piacere» sorrido e lei arrossisce, poi mi dà le spalle e insieme a tutti gli altri varca la porta del convoglio.

I passi attraversano lenti lo stretto corridoio dell'Hogwarts Express e per ogni carrozza mi spingo a curiosare alla ricerca di Draven. Lo trovo all’altezza della nona e decima carrozza - ho perso il conto - e il cuore manca di un battito per l’agitazione. Ingoio il nodo in gola e mi spingo ad aprire la porta scorrevole che ci separa. Gli sorrido timidamente: «Si può?» dico con un sorrisino imbarazzato mentre con una mano tengo il pannello di legno e faccio spazio al grande baule incantato che varca la soglia subito dopo. Un colpo di bacchetta e lo posiziono nella bauliera sopra ai sedili.
«Ti ho portato qualcosa da mangiare e da bere; niente di dolce, ovviamente» tolgo il mantello, lo poggio sui bagagli che Draven ha deciso di accatastare in lungo e largo sul sedile opposto a dove se ne sta comodamente seduto.
«Il viaggio è lungo e sono certa che tu non abbia fatto colazione, vero?» Mi avvicino e lo faccio con cautela, ho bisogno di capire se c’è davvero qualcosa che non va o se è tutto ok tra noi. Poso il sacchetto con il sandwich e il cartone con il caffè d’asporto al suo fianco mentre riduco sempre di più le distanze.
«Ti dispiace?» sussurro un filo dalle sue labbra mentre tento di strappargli un tenero bacio.


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view post Posted on 8/10/2023, 22:51
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Non gli importa se dovrà aspettare
è certo. ottiene sempre ciò che vuole. Alla fine della giornata gli resta ciò che era ieri e ciò che sarà domani; l’ansia insaziabile dell’essere sempre la stessa persona e un’altra.



Trovo rassicurante il silenzio che mi assale in cabina. A porte chiuse si sente poco o niente di ciò che mi accade intorno. È come se la mancanza di sonno e certezze non fossero nemmeno più chissà quale problema, ma so che si tratta di un momento effimero. Passerà e, presto, insieme al caos degli studenti entusiasti, tornerà a valanga tutto ciò che mi porto dietro da settimane…
Mi tengo impegnato.
Sistemo la gabbia di Donut su una delle rastrelliere. Approfittando del fatto che stia ancora dormendo profondamente e si trovi, quindi, impossibilitato ad aggredirmi come suo solito, insinuo una mano tra le sbarre per assicurarmi di non aver dimenticato il suo cuscino preferito. Tiene talmente tanta roba nella sua cuccia che ho sempre timore, durante gli spostamenti, di dimenticare dei pezzi. Il cuscino c’è: è a forma di topo. Forse, considerando l’effettiva presenza di topi domestici nel castello di Hogwarts, avergli regalato quel coso non è molto educativo; ma chi se ne frega. Nonostante sia ridotto a brandelli, non abbia più la coda e gli manchi un occhio, non ho mai sentito di un topo vero con tali ferite di guerra in tutti questi anni di scuola. Posso stare tranquillo che non sia un serial killer.
Dorme appollaiato su una mia t-shirt. Sempre la stessa da anni, quella che indossai il giorno in cui andammo a prenderlo a Il Serraglio Stregato insieme a quella strega di Lilien, quando ancora si comportava vagamente come una nonna per bene.
Sotto di lui poso la borsa scolastica. Tolgo la spilla da Prefetto dal petto e la nascondo al suo interno.
Direi che il mio lavoro qui è finito. Mi ritengo in ferie.
Lì di fianco, a occupare un intero sedile, ci piazzo il baule. Lo distendo sui sedili di sinistra in modo che occupi più di metà dello spazio. Un vecchio trucco babbano, seppur cafone, per lasciare intendere a chiunque possa venire in mente di entrare qui che non c’è posto.
Sfilo la toga e la ripiego alla bell’e meglio, ossia appallottolandola, per inserirla di forza da un angolo aperto del baule. Prima o poi dovrò ricomprarlo, inizia a soffrire i primi segni dell’età. È difettoso, si chiude a stento e, quando si chiude, l’angolo destro in basso resta sempre un po’ aperto. Dev’essersi gonfiato con l’umidità; non è che manchi nel dormitorio Serpeverde, anzi.
Mi liscio la t-shirt, che sgualgita era e sgualgita rimane, poi mi accomodo sui sedili di destra.
Non ho niente da fare nell’attesa che arrivi Megan e il treno si riempia dei soliti schiamazzi molesti.
Ora che ho tempo di riflettere con calma e sento lo stomaco brontolare, segno che alcune priorità stanno prendendo il sopravvento tra mente e corpo, oltre a pentirmi di non aver fatto colazione, mi rendo conto che chiuso in questa cabina 3x2 completamente da solo finirò per impazzire.
Mi rimetto in piedi. Le mie Vans rosso bordeaux fanno scricchiolare un’asse sul pavimento in parquet. Quanto cazzo è vecchio questo treno a vapore?! Non sarebbe mai considerato a norma di legge dai babbani.
Mi affaccio in corridoio. Il suono della porta scorrevole mi rimbomba nelle orecchie. Quando non dormo, divento iper-sensibile ai suoni. Sarà un lungo viaggio. Intravedo altri studenti bazzicare tra dentro e fuori le varie cabine che mi precedono e seguono. Evito i loro sguardi come si tende a evitare il vaiolo di drago...
Sto solo cercando la signora del carrello.
Temo sia troppo presto per vederla già in giro.
Oltretutto, se la mia pessima memoria selettiva non mi inganna, su questo treno vendono solo dolci. Di ogni tipo, certo. Un vasto assortimento con un presumibile incantesimo estendibile nel carrello per poter accontentare i gusti di tutti, tranne i miei.
Lo stomaco brontola di nuovo, forse offeso dal fatto che seleziono con troppa schizzinosità cosa intendo ingerire.
Richiudo la porta scorrevole con un tonfo e torno a sedermi sui sedili di destra, distendendo le braccia sul poggia testa. Riesco quasi a coprire in lungo, per l’intera estenzione, il sedile a tre posti. Credo di essere cresciuto ancora. La toga mi arriva a mezzo polpaccio già da qualche settimana. I pantaloni della divisa sono corti sulle caviglie, le camicie corte di maniche. Anche le scarpe, per quanto ammorbidite dall’usura, mi stanno un po’ strette.
Quando sarò a Londra mi farò misurare da Eliana. È piuttosto alta, più o meno come Megan, e perlomeno non piccola e minuta come mia madre a cui, per poter arrivare a toccarmi sulla cima della testa, temo serva una scaletta.
Incrocio le luuuunghe braccia al petto e scivolo sul sedile per potermi appoggiare con la nuca al poggiatesta.
Forse potrei dormire. Fingere di non essere cosciente quando Megan arriverà, così da godermi solo la parte bella del viaggio insieme a lei, tra coccole e baci.
Qualcosa mi fa comprimere la bocca dello stomaco. E non è la fame.
È simile alla sensazione che ho provato ieri sera e nelle ultime settimane tipo a giorni alterni. È una sorta di consapevolezza di aver mandato tutto a rotoli; anche se non so come o, più probabilmente, non so accettarlo. Sensi di colpa? Io non provo sensi di colpa. Mai. Al massimo, rimorsi e rimpianti risolvibili, sparsi qua e là…
Uno sbuffo mi sfugge incontrollato dalle labbra mentre chiudo gli occhi.
Forse riesco ad addormentarmi e il tempo sembra passare velocemente. Forse è per una strana sensazione da dormiveglia e in realtà sono trascorsi solo pochi minuti. Fatto sta che non passa molto, prima che senta aprirsi le porte.
Gli occhi si riaprono carichi di aspettativa. Sento già le labbra pronte a tendersi in un sorriso per accogliere l’arrivo di Megan. Improvvisamente dimentico dell’idea di fingermi morto. Rialzo la testa e rivolgo la mia attenzione sulle porte scorrevoli.
Tutto svanisce con un battito di ciglia e la messa a fuoco sulla figura davanti a me. Non è Megan, è una delle sue compagne di stanza. Quella petulante.

Solo soletto?
Mentre sciolgo le braccia dal petto e mi raddrizzo con la schiena, mi sfugge uno sbadiglio. Il tempismo è impeccabile.
La ragazza inclina la testa di lato e sorride squittendo.

Se hai bisogno di compagnia, non hai che da chiedere.

Sto bene così.

Per ora, quantomeno...
Sostengo il suo sguardo, in silenzio. Sul viso la mia solita espressione impassibile. Non ho niente da dirle. Non ho niente da dirle mai, non solo in questo momento. Ogni volta che mi si avvicina provo ribrezzo, il tono della sua voce mi dà sui nervi. Ascoltarla è fastidioso, risponderle mi indispettisce.

Potresti cambiare idea più tardi.
Con una scrollata di spalle e un altro sorriso scialbo, si gira e se ne va. Lascia anche le porte aperte e il gesto mi fa incazzare più di quando lo fa mia madre uscendo dalla mia camera.
Mi alzo e le richiudo. Di nuovo lo stridio dello scorrimento nelle orecchie, il tonfo delle due ante che si accostano come un’eco nel cervello.
Mi ributto di peso sul sedile. Un altro sbadiglio mi porta a chiudere gli occhi e mi ovatta le orecchie. Chino la testa in avanti e sfrego il viso tra le mani. Resto così per qualche istante, a contemplare le forme caleidoscope di luce dietro le mie palpebre.
Sento le porte scorrere di nuovo e il mio sguardo saetta aggressivamente su di loro. Ho la fronte corrucciata, le iridi iniettate di veleno, ma tutto sparisce nel vedere che stavolta, per davvero, è Megan.
I lineamenti del viso si lisciano, un angolo delle labbra si curva a ricambiare il sorriso timido che la vedo rivolgermi e, prontamente, la testa si muove da sola per annuirle.

Buongiorno... – esordisco, alzandomi in piedi per andare a tenerle aperta una delle porte, così che possa entrare nella cabina più facilmente.
Osservo il suo baule incantato e penso che, nonostante gli anni passati a Hogwarts, non smetterò mai di restare affascinato dalla naturalezza con cui i maghi, non cresciuti tra i babbani, riescano a usufruire della magia anche per compiere semplici azioni: con un colpo di bacchetta, e senza smadonnare nel tentativo di incastrarlo come si deve, il baule raggiunge la rastrelliera in un batter d’occhio.
A quanto pare, la mia mente ha deciso di volermi far concentrare su cose irrilevanti piuttosto che darmi il sostegno cognitivo necessario per affrontare l’elefante nella stanza.
Richiudo le porte e abbasso le tendine, in modo da rendere chiaro a chiunque che quella cabina è occupata. Non voglio sorprese, né rotture di coglioni di alcun tipo.

Sul serio? Grazie. Non ho mangiato, infatti… – le rispondo, stupito, tornando ad appoggiarmi a braccia conserte contro lo schienale dei sedili. Avevo altre priorità stamattina; assicurarmi di avere una cabina solo per noi era più necessario del cibo.
Me ne sono pentito? Ovviamente, no. Ho fame? Ovviamente, sì.
Ma passa tutto in secondo piano quando mi concedo un calmo sguardo su di lei, sulla gonna che indossa, le gambe scoperte, il passo posato con cui mi si avvicina e il seno prosperoso che intravedo dal colletto della felpa quando si china in avanti chiedendomi un bacio.
Resto un attimo intontito.
Questa ragazza ha in mano la sopravvivenza della mia sanità mentale. E di tutto il resto.
Mi ci vuole un istante di troppo per riuscire ad alzare lo sguardo a incontrare il suo, perché eccola lì la parte di lei che mi rende più debole… I suoi occhi. Dove risiedono tutte le sue emozioni.
Mi rendo conto che ho paura, ricordando il luccichio di rabbia e dolore che vi ho visto ieri sera.
Annullo l’esigua distanza e lascio posare le mie labbra sulle sue. Sanno di caffè e sorrido; almeno uno di noi ha già fatto colazione.
La prendo per mano e la spingo delicatamente verso il sedile al mio fianco.

Dormito bene? – azzardo a chiederle, mentre mi volto dall’altro lato per aprire il sacchetto con il sandwich. Sento le parole salirmi in gola, l’impulso spingermi a volerle confessare che io non ho proprio dormito, perché pensavo di essere elettrizzato all’idea di passare con lei tutta l’estate e, solo adesso, mi rendo conto di non aver chiuso occhio per timore di questo momento.

Non volevo rischiare di arrivare tardi e non trovare una cabina in cui starcene per conto nostro. Ho avvisato tutti i primini ieri sera di farsi trovare pronti ancora prima dell’arrivo delle carrozze. Sono stati bravi, anche se non saprei dire se li ho portati tutti o ne ho lasciato qualcuno indietro… – dico, invece, prima di dare un morso alla mia agognata colazione.


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Edited by Draven. - 9/10/2023, 00:15
 
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Lei rifiuta sempre di capire, di sentire;
ride per coprire il terrore di se stessa.Ha sempre camminato sotto gli archi delle notti e ovunque Lei è passata, ha lasciato l'impronta di cose spezzate.



Poso le labbra sulle sue. Il bacio che mi concede lascia fluire i pensieri che riversano in un contesto totalmente estraneo dalla paura che prima li aveva accolti. È come essere accarezzati da una leggera brezza estiva in cima ad una vetta dopo una faticosa camminata: il cuore batte più lentamente ed io trovo conforto.
Appoggio le spalle sullo schienale morbido del treno. Gli occhi si posano in alto dove Donut mi osserva dalla gabbia con gli occhi curiosi e il muso rivolto verso l’esterno, al di là delle sbarre. Tenta di captare odori a lui familiari ma poco piacevoli; da quando trascorro le mie ore nel treno verso Londra con Draven, condividendo la carrozza con lui, non ho più portato con me né Floki, né Damon per il bene di Donut. Ho due animali poco docili, non propriamente inclini alla condivisioni di spazi e alla socializzazione; Donut è stato uno dei pochi ad assaggiarne le conseguenze con Damon, non credo abbia voglia di rivivere quel breve momento.
«Dormito bene?» mi chiede Draven ed io alzo le spalle con un sorrisino appena accennato, poi mi sfugge una risata soffocata alle sue ultime parole: non faccio fatica a credere che possa essersi dimenticato qualcuno per la fretta di occupare una carrozza solo per noi due. «Sono sicura che a Mike non sia sfuggito, puoi stare tranquillo» lo guardo in tralice, poi appoggio le mani accanto alle ginocchia afferrando il bordo del sedile e mi tiro appena avanti staccando la schiena dal tessuto: le gambe si distendono appena e i piedi strusciano lungo le assi di legno, io fisso i miei piedi dondolare.
«Forse ho bevuto un po’ troppo ieri ma il caffè pare aver risolto parecchi problemi» porto una ciocca di capelli che mi copre metà viso dietro all’orecchio ma non mi volto a guardarlo.
Ammetto di provare una leggera vergogna ora che sono tornata ad avere quel minimo di lucidità che mi consente di razionalizzare tutto ciò che è successo ieri sera, spero tanto che il discorso non venga fuori poiché il solo pensiero mi lascia in bocca il desiderio di sentire ancora il sapore del Whisky.
«Tu come ti senti? Come stai?»
Le iridi oltremare si spostano in direzione del vetro, ancora non rivolgo a lui alcuno sguardo. Piego il viso da un lato e mi lascio catturare dal leggero movimento del treno che si fa strada sulle rotaie uscendo dalla stazione. Provo a guardare oltre la linea come per scorgere un’ultima volta il castello ma non vedo che nebbia, il fumo del treno invade la banchina. Sollevo lo sguardo verso l’alto, il cielo è appena coperto da grandi nuvole bianche che appaiono come montagne di zucchero filato, all’orizzonte pare che la pioggia stia cadendo copiosa su parte del territorio scozzese.
«Non ho voglia di tornare a casa» sospiro. Finalmente lo guardo, la testa si gira appena per osservare Draven da quell’angolazione. Non sono affatto pronta a tornare a Londra: rivedere Elizabeth e sottostare alle sue assurde regole mi fa venire la nausea al solo pensiero. Ingoio il nodo salito in gola, cerco di non pensare alle terribili giornate che mi aspettano focalizzandomi sulla consolazione di poter sgattaiolare fuori dalla mia stanza durante una delle sue riunioni, o uscite con i suoi amici, fingendomi la perfetta nipote che tanto si aspetta.
«Sai che sa di te? Mia nonna intendo. Ha trovato una tua foto sul pavimento in salotto e mi è venuta a chiedere chi fossi» rido sprezzante, ricordo quel momento molto bene. Stringo le dita sul tessuto, lasciando che le unghie penetrino a fondo nella stoffa come se volessi strapparla da un momento all’altro.

«Come hai osato far entrare in casa uno sconosciuto?»
«Non è uno sconosciuto e dammi quella foto!» avevo urlato con tutta la rabbia in corpo mentre Elizabeth teneva stretta tra le dita dinoccolate la foto stampata di Draven. L’aveva trovata sul pavimento del salone, probabilmente sfuggita a Draven nella raccolta sbrigativa del mio regalo.
«Sei proprio come tua madre: cocciuta, insolente e tremendamente ingenua» aveva risposto tagliente
«Io non sono Eloise e non sarò mai lei. Sei patetica, cazzo»
Uno schiaffo aveva centrato in pieno la mia guancia destra, tutt’ora non so se lo fece per il “patetica” o l’uso di una parolaccia, probabilmente entrambe. Tuttavia, avevo provato soddisfazione nonostante il dolore bruciante sulla pelle. Avevo trattenuto le lacrime a stento, con gli occhi lucidi l’avevo osservata senza lasciar trapelare altro che odio. Le mani stavano tremando, le avevo strette in pugno per chetare la voglia di sferrarle un cazzotto in pieno viso.
«Tu! Come osi parlarmi in questo modo? Oh, non te lo permetto ragazzina! Non ti permetterò di fare gli stessi errori di tua madre: innamorarsi di uno stupido arrogante mago mediocre quale era tuo padre!»
«Io non sono lei» avevo ripetuto con sfida mentre un brivido mi stava attraversando la spina dorsale. «Non puoi impedirmi di fare niente, Elizabeth» avevo pronunciato il suo nome con tale indifferenza che un altro schiaffo aveva centrato di nuovo la mia guancia l’attimo seguente, la sinistra questa volta, facendomi roteare appena la testa di lato. Era stato più forte del primo - ancora lo sento bruciare sulla mia pelle -, le lacrime avevano iniziato a rigarmi il viso arrossato e non avevo potuto frenarle in alcun modo.
«Immagino che tu non voglia che questo ragazzino venga, per così dire, “infastidito”. Dunque, che tu lo voglia o meno, sono tua nonna e fin quando vivrai dentro questa casa non farai niente che io non voglia che venga fatto: intesi?»
Il tono della sua voce ancora oggi mi fa venire i brividi. Calmo, persino era parso comprensivo se solo non avesse risuonato come una minaccia.
Ero rimasta in silenzio.
«Intesi?» Le lunghe dita avevano afferrato poi il mio braccio e premuto sulla carne facendomi male. Allora avevo annuito e poi guardata buttare nel camino la foto riducendola in cenere.


Scuoto la testa e lascio svanire quelle immagini. Sono certa che al mio arrivo in stazione la troverò lì ad aspettarmi, per vedere se ho rispettato o meno il suo volere.
«Non è stata una piacevole reazione, mi ha proibito non proprio indirettamente di smettere di frequentarti» dico con tono apparentemente tranquillo, ignoro la minaccia.
«Sembra che abbia la spiacevole abitudine di paragonarmi a mia madre, un’ossessione verso le sue scelte e un odio viscerale per mio padre» continuo, e avverto lo stesso brivido provato quel giorno scorrermi lungo la schiena.
Non capisco cosa abbia fatto papà, perché Elizabeth lo ritenga colpevole della morte di sua figlia. Ho sempre vissuto il rapporto dei miei genitori come una fiaba e c’è stato un periodo in cui ho sperato di poter vivere lo stesso amore in un futuro lontano. Rivedevo nei loro gesti e comportamenti le scritture dei più bei racconti che avessi mai letto durante la mia infanzia. Viene allora difficile per me immaginare un padre coercitivo, che impone le sue scelte non lasciando margine di libertà e una donna piegata alle sue volontà, come se non avesse altra opzione.
Loro sia amavano, ne sono certa. Eppure, il mistero che si aggira attorno alla loro morte apre il varco a così tante strade che è difficile non poter includere il fatto che mia nonna possa avere ragione.
Rifuggo a quel pensiero, ho paura di lasciarmi convincere. Così, lascio semplicemente che i ricordi portino solo ed esclusivamente il bello di quei giorni ormai andati e mi costringo a non pensare ad altro.
«Mi chiedo se amare qualcuno possa portarti a perdere tutto, anche... anche la vita» abbasso lo sguardo per un istante e un sorriso amaro piega le mie labbra. «Di certo ti porta ad odiare e a non sentire nient'altro che vuoto» alzo le spalle e torno a sprofondare nel tessuto del sedile.
Incrocio le gambe e le mani lungo la gonna. Afferro i lembi, gioco con la stoffa lungo i bordi arrotolandola tra le dita e lascio che la breve tensione sfumi in quei semplici gesti.
«Me ne andrò via di casa, prima o poi...» dico con un piccolo sbuffo. L’argomento mi tocca più di quanto si possa vedere, o immaginare ma sono sempre così brava a nascondere ciò che provo che ormai gli sforzi sono ridotti all'osso.
«In ogni caso non vedo l’ora di scoprirla paonazza in volto quando mi vedrà al tuo fianco a King’s Cross» sorrido e torno a guardarlo con aria di sfida: conosco i rischi ma non me ne preoccupo affatto in questo momento.
«Come mai nessun viaggio in programma per queste vacanze? Mi sarebbe piaciuto vedere altre foto, un tempo lo facevo anche io, sai? Viaggi e foto» scivolo sulla sua spalla.
«Non che mi lamenti del fatto che ti abbia tutto per me, sia chiaro» sollevo appena il mento, gli occhi a cercare quelli di Draven in un breve ma intenso sguardo.


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Edited by Megan M. Haven - 16/10/2023, 21:05
 
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Non gli importa se dovrà aspettare
è certo. ottiene sempre ciò che vuole. Alla fine della giornata gli resta ciò che era ieri e ciò che sarà domani; l’ansia insaziabile dell’essere sempre la stessa persona e un’altra.



Mi sento strano. Non saprei come altro definire ciò che provo in questo momento. È come se fossi a disagio, nervoso in un modo che non ho mai provato prima con lei. Ciò che provo di solito è l’esatto opposto: una tranquillità, nonostante gli alti e bassi, che nessuno mai è riuscito a infondermi.
Mi sento destabilizzato.
Mi è sempre venuto naturale starle vicino. Fare o dire la cosa giusta mentre passiamo il tempo insieme è praticamente istintivo. Per quanto le paranoie e le insicurezze cerchino spesso di mettermi i bastoni tra le ruote, i momenti di esitazione si sono sempre trasformati in un’opportunità per confrontarci e il suono della sua voce mi piace così tanto che starei ore ad ascoltarla, anche se è per discutere o trattare di argomenti che preferirei non affrontare. Mentre, adesso, mi rendo conto di avere una fottuta paura di sentire cosa potrebbe dire.
Nel momento in cui abbiamo lasciato il ballo, ho realizzato quanto mi sia agganciato a questa sensazione nell’ultimo paio di settimane e abbia cercato in ogni modo possibile di evitare di trattare l’argomento. Ho finito col rendere palpabile questa sensazione; c’è come un divisore tra di noi, una sorta di velo che mi impedisce di sentirla seduta vicino a me e mi blocca dal toccarla come farei in altre circostanze, come ho sempre fatto da quando me ne ha data la possibilità. La bacio, sì, ma perché ogni volta ho l’impressione che possa essere l’ultima.
Inizia a venirmi il dubbio che non sia dipeso da lei e mi chiedo, se è dipeso da me, quali cazzo di problemi abbia. Da quando l’ho conosciuta non ho voluto altro che questo, noi due insieme. Lei si è affezionata molto più tardi, ma mi ha detto e ripetuto in numerose occasioni che vuole stare con me, eppure, non riesco ad abbassare la guardia; sto in allerta, in attesa del momento in cui si stuferà di me o capirà che non ho granché da offrirle.
Almeno ieri sera, quando poi si è calmata, è stato quasi normale. Spero accada qualcosa del genere anche oggi.
La tengo d’occhio di sbieco, la osservo mentre distende le gambe e si protrae in avanti con il busto. Guarda fuori dal finestrino e mi chiedo cosa le passi per la testa… Se ciò che esprime a parole sia davvero la forma dei suoi pensieri.
Non dico nulla quando commenta del whisky al ballo, semplicemente perché sono convinto non abbia bevuto per divertirsi, visto l’andazzo della serata e la non volontà di spiegarmi perché l’abbia fatto. Forse ci ha provato e temo di essere stato io a chiederle di non farlo.
Cazzo, ma perché sono fatto così?!
Prendo un boccone enorme che fatico a masticare solo per avere una scusa per continuare a non dire nulla. Non so mentire e… sto bene? Direi di no. Mi limito a sollevare le spalle e annuire, ammiccando al sandwich come a dire “ora che mangio sì che sto bene”. Mi sento un coglione, ma comunque non faccio nulla per evitarlo, anzi; mi nascondo dietro giustificazioni che il mio modo di fare sia dipeso dal pessimo carattere e tanto basta per validare i miei atteggiamenti.
So che non vuole tornare in quella casa degli orrori e, per un attimo, riesco ad associare il disagio tra di noi al suo pessimo umore riguardo l’idea di tornare a Londra. Continuo a stare in silenzio, a mangiare il mio sandwich e a bere il mio caffè. Questo posso comprenderlo anche se, da quando c’è la fidanzata di mia madre nel mio quadretto familiare, la donna che mi ha generato non rompe più le palle come faceva un tempo. Megan non ha questa “fortuna” e, anzi, sua nonna mi sa di vecchia strega arcigna e terribilmente frustrata che più va avanti negli anni più trova metodi innovativi per prendersela con la nipote. Ricordo che quando mi parlò per la prima volta di lei mi imposi di trovarle qualsiasi via di fuga per farla stare in casa il meno possibile. Le regalai delle biglie colleganti a Natale per farla scappare in caso di emergenza e le insegnai a raggiungere casa mia dalla sua per qualsiasi necessità.
Prendo un sorso di caffè e quasi mi va di traverso quando mi confessa che la vecchia stronza sa di noi. Mi volto d’istinto a guardarla, a occhi sgranati. Quando di ritorno dalle mie vacanze di Natale passate in Spagna andai a casa sua, mi preoccupai a morte di cosa sarebbe potuto succedere a Megan se la nonna avesse saputo che aveva invitato un ragazzo. Da come l’aveva posta lei, o da come io l’avevo interpretata, come minimo l’avrebbe gonfiata di botte e la cosa aveva solleticato il mio istinto omicida. È quel tipo di problema in cui vorresti intervenire per fare qualcosa, ma non puoi farlo perché rischieresti di peggiorare le cose… Dunque, te ne stai inerme, in disparte, ad aspettare senza pazienza alcuna che accada una manna dal cielo a migliorarle.
Pulisco le labbra con il dorso della mano in un gesto impulsivo, poi pulisco le mani con un fazzoletto che trovo nel sacchetto. Mi sento in tilt. E siamo a malapena partiti. Cazzo, sarà un viaggio della speranza…
Metto via quel po’ che resta di panino e caffè e mi volto a guardare Megan. Avrei delle domande, che sto ancora decidendo se fare o meno, ma per il momento lascio che mi racconti senza interrompere il flusso del discorso.
Sussulto, chiedendomi se Elizabeth abbia una leva su di lei tale da portarla a convincersi che non frequentarmi sia la scelta migliore. Mi chiedo, inevitabilmente, se non sia questo pensiero ad aver reso le cose strane tra di noi negli ultimi tempi.
Il cuore mi salta un battito nel sentirla parlare d’amore e mi ritrovo a domandarmi se non sia perché, finalmente, si è innamorata di me e ha paura di ciò che prova; forse vuole allontanarmi per questo. Le donne sono fatte al contrario di ogni logica, ma chi cazzo sono io per giudicare?
Annuisco, quando mi riferisce che ha intenzione di andare via di casa. È un pensiero che ho fatto io stesso e sarebbe un sogno vivere con lei, ma non posso permettermelo. Di certo, se andasse a vivere per conto suo, mi ritroverei comunque a passare ogni mio minuto libero da lei; sempre ammesso che non mi lasci prima, per un motivo o per un altro.
Sospiro. Inalo una grossa boccata d’aria che intendo espirare nel silenzio e con discrezione, ma mi viene fuori uno sbuffo. Cerco il suo sguardo, per capire dai suoi occhi quanto sia agitata per tutto questo, quanto effettivamente abbia inciso su di noi e se c’è qualcosa che posso fare per rimediare.

Quale foto ha trovato? Spero abbia avuto almeno il piacere di godere del mio fisico statuario. – esordisco, in un tono che vorrebbe risultare ironico, ma che palesa incertezza nella mia voce. Di tutto ciò che mi preoccupa, di tutto ciò che vorrei capire, questa è l’unica cosa che riesco a dire ed è una stronzata. Favoloso, direi. Grandioso davvero, Draven. Un fenomeno.
Sospiro di nuovo, stavolta meno platealmente, e nel sentirla appoggiarsi su una mia spalla per fortuna il corpo reagisce senza che ci stia a pensare: alzo il braccio e lo porto dietro di lei, ad avvolgerle le spalle. Vorrei che fossimo sempre così… Scivolo un po' sul sedile e appoggio la nuca sullo schienale.
Non credo sia una buona idea indispettire la vecchia strega con dimostrazioni arroganti, soprattutto considerando che in stazione ci sarà anche la mia di nonna che non vede l’ora di mettere bocca sulla progenie che intendo generare con una futura sposa che dovrà essere di alto lignaggio e cazzate del genere. Mi indispettisce che potrebbe piacerle Megan e il fatto che sia di buona famiglia, sulla carta quantomeno. Vorrei evitare di farla entrare nel suo mirino, così come preferirei restare lontano io da quello di Elizabeth; ma mi sa che è tardi, ormai, per questo.
Mi volto verso di lei e poso un bacio tra i suoi capelli. La stringo un po’ più forte a me e l’altro braccio va a farle sollevare le gambe per posarle sulle mie. Vorrei godermi questo, piuttosto che continuare a rimuginare.

Non lo so. Forse andranno in Spagna senza di me. Tra poco più di una settimana divento maggiorenne, quindi magari non sono preoccupate a lasciarmi a casa da solo. Magari fosse… – dico, accennando uno sbuffo divertito al pensiero. Se davvero le mie mamme avessero intenzione di andare a trovare di nuovo la famiglia di Eliana per conto loro, sarebbe splendido avere casa tutta per me. Per me e Megan. Mi concedo di sognare a occhi aperti e le sue parole seguenti accentuano la vividezza dei miei pensieri. Mi rincuora che abbia espresso di volermi avere tutto per sé quest’estate. A quanto pare, per uno che non aveva mai dato grande valore alle parole, mi ci sto appigliando come fossi su un precipizio. Di bene in meglio.

Me lo sono chiesto, quando siamo stati a casa tua. Ma ho immaginato che non ci fossero foto per via di tua nonna… Non ha senso andare contro i propri figli così. Peggio con i nipoti. Mi dispiace. – commento poi, facendo riferimento a quanto mi ha detto sul rapporto tra sua nonna e sua madre. Nonostante la curiosità e la volontà di volerne sapere di più, non riesco a porle una domanda diretta. Vorrei che si aprisse e iniziasse a raccontarmi, ma al contempo non voglio addosso il peso dei suoi ricordi più tristi in questo momento. Sono uno stronzo egoista; ma che ne sia consapevole non è abbastanza per suscitarmi sensi di colpa e spingermi a cambiare approccio.

Il panino era buono, comunque. Mi aspettavo di veder comparire dell’avocado a un certo punto, ma niente brutte sorprese. Grazie. – aggiungo poi, nel tentativo di cambiare discorso verso una più piacevole leggerezza.


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Lei rifiuta sempre di capire, di sentire;
ride per coprire il terrore di se stessa.Ha sempre camminato sotto gli archi delle notti e ovunque Lei è passata, ha lasciato l'impronta di cose spezzate.



Chiudo gli occhi per qualche istante. Draven mi tiene stretta a sé poi posa un bacio tra i miei capelli.
Sorrido. Una sensazione leggera avvolge il corpo, la mente e quando lui afferra le mie gambe mi raggomitolo all’altezza del suo petto.
«”Giorno tre. Questa è la sera in cui mi hai detto di no”» recito a bassa voce. «Eri carino, lo ammetto» tamburello con le dita sulla maglia, «ma ormai sei stato ridotto ad un mucchio di cenere» alzo le spalle. «Sarà stato per la frase, scommetto» non riesco a trattenere una piccola risata.
Mi concedo un attimo di silenzio, lo sguardo si posa sulla catasta di bagagli sopra al sedile dirimpetto. Ascolto i rumori lontani degli studenti, lo sferragliare del treno ormai partito e il cuore di Draven che batte sotto di me.
«No, non ha alcun senso» dico poi a bassa voce. Un nodo stringe attorno alla gola e minaccia di farmi scoppiare in un pianto silenzioso.
Nella mia mente appare un labirinto di muri spogli: nessuna foto appesa lungo le pareti, né cornici sopra ai mobili nelle ampie stanze. Solo presenze di ottimi materiali rivestiti dal più banale uso umano e oggetti inutilizzati, coperti dalla polvere invisibile del tempo.
Avverto la stessa sensazione che mi avvolge non appena varco l’uscio della porta al numero civico di casa a Kensington.
È rabbia, paura e profonda tristezza. Mi sento in gabbia, prigioniera dei miei stessi sentimenti: l’odio verso mia nonna e il legame che so di avere con lei che frena qualsiasi azione che vada oltre una banale ribellione adolescenziale.
Non posso farci niente.
«Non avere foto dei miei genitori in casa mi ha aiutata dopotutto» il tono è calmo ma resisto ancora contro il pizzicore al naso e agli occhi. È vero: non poterli vedere costantemente, rilegati all’interno di preziose cornici, muoversi aspettando il momento prima dello scatto in un continuo e perpetuo attimo bloccato nel tempo, ha fatto in modo che i loro volti sfumassero negli anni. I sogni sono cessati e non è rimasto che la sensazione del vuoto ai ricordi ormai sempre più lontani. Mi chiedo cosa succederà non appena tornerò a guardarli.
«Beh, sì, fa meno…» una nota d’incertezza spezza quella frase sul finale, «male» concludo qualche istante dopo con un sospiro.
Alzo il mento facendo leva con il braccio per posare gli occhi su Draven, gli sorrido e posò un bacio sul collo e poi uno sulla guancia.
«Non mi porterà via da te, non posso permetterglielo» dico a voce più bassa scuotendo la testa. «Non tenterà di plasmarmi come meglio crede e non riuscirà a fare con me ciò che non è riuscita a fare con mia madre» aggiungo con tono convinto, una scintilla accende le iridi blu oceano.
«D’altronde sono come lei, dovrebbe saperlo» ghigno e le labbra si tendono in una smorfia.
Mi concedo un attimo di silenzio, non ho alcuna voglia di appesantire quel momento. Tra qualche ora sarò a Londra e, nell’ipotesi di essere rinchiusa in casa per tutta l’estate, voglio godermi ogni piccolo istante.
«A proposito di Avocado, ho letto sulla Gazzetta che Hamiko’s Taste ha rinnovato il menù. Dovremmo farci un salto» mi sposto appena, entrambe le spalle poggiano sullo schienale adesso e una gamba torna a terra.
«Ti piacerebbe? Magari possiamo approfittarne in settimana, o per il tuo compleanno» mi concentro sul riflesso del vetro, nell’angolo in penombra scorgo il riflesso delle nostre figure. È bello ciò che vedo, tanto quanto è insolito ciò che provo quando mi è a fianco. Ciò che conosco è la sensazione di paura al pensiero di poterlo perdere, di poter vedere tutto ciò che abbiamo costruito crollare da un momento all’altro. Quel che pare inconsueto è sentire il cuore vibrare nel petto e lo stomaco in subbuglio.
Sposto lo sguardo, non voglio pensare; torno ai bagagli accatastati l’uno sull’altro ma l’inquietudine torna a farsi spazio e mi blocca appena il respiro costringendomi ad inspirare ed espirare con lieve difficoltà. Una parte di me si rifiuta di essere felice ed io sto provando a soffocarla.
«A te piace il cibo orientale? Vero?» chiedo poi con imbarazzo e voce incerta.
«Forse a te andava di fare altro per il tuo compleanno, quindi considerala un’opzione lanciata nell’euforia del momento» dico velocemente, come per chetare la sensazione di difficoltà che provo.
Rifuggo al suo sguardo e mi concentro sul paesaggio provando ad individuare le sagome sfocate, che si rivelano macchie di colori caldi su una tela in movimento.

Poi, uno scatto e la porta della carrozza si apre. Mi volto in direzione dell’entrata e prima ancora che la figura possa avanzare lungo la soglia mi irrigidisco riconoscendone le fattezze.
È Abigail.
Un brivido scorre lungo la schiena, so cosa ha intenzione di fare.
«Scusate, rubo solamente qualche minuto» si poggia con la spalla lungo lo stipite della porta scorrevole e incrocia le braccia. Lo sguardo saetta verso Draven, al quale rivolge un sorrisino che mi fa venire voglia di cavarle fuori gli occhi dalle orbite, poi mi guarda e le labbra si muovono in un chiaro segno di sfida: la metà si alza, gli occhi si riducono a fessure.


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Non gli importa se dovrà aspettare
è certo. ottiene sempre ciò che vuole. Alla fine della giornata gli resta ciò che era ieri e ciò che sarà domani; l’ansia insaziabile dell’essere sempre la stessa persona e un’altra.



Troppo concentrato su di me, sul fatto che non voglio nient’altro che tenerla abbracciata per tutto il resto del viaggio, senza pensare che a noi così e all’estate che ci si prospetta davanti, sul momento non elaboro il discorso inerente sua nonna. La realizzazione arriva con qualche istante di ritardo, quando racconta che la mia foto è divenuta cenere. Era una gran bella foto destinata a restare con Megan nei momenti di solitudine, per ricordarle l'approccio super-timido che aveva nei confronti del mio corpo. Penso che sia stata proprio l’idea che potesse sentirsi a suo agio con qualcuno a spingere la vecchia a incenerire l’immagine rappresentante la sua attuale felicità. Le ha dato fuoco? Era acceso nel camino, in quella sera d’inverno in cui la fatidica foto entrò nelle mani di Megan, nell’ampia sala senz’anima di casa sua, abbellita dalla sola presenza di un pianoforte, una libreria da far invidia alla biblioteca di Oxford e un camino, per l’appunto. Ripenso al crepitio delle fiamme che aveva accompagnato i nostri sospiri… Era ancora inverno quando Elizabeth ha trovato la mia foto? Non può essere successo la sera stessa, giusto? È impossibile, cazzo… Sono passati mesi. Megan me ne avrebbe parlato prima, vero? Perché avrebbe dovuto aspettare così tanto per riferirmi l’accaduto? Non è che sia proprio uscito l’argomento adesso. Ci ha pensato di sua sponte e me lo ha raccontato solo ora, quindi dev’essere successo di recente, no? Ha più senso. Magari la vecchia ha incenerito la foto con la magia solo qualche giorno fa. Ma quando l’avrebbe vista e affrontata a riguardo?
Nonostante la mia intenzione di non soffermarci sull’argomento famiglia, Megan continua a parlarne. Sprazzi vaghi e considerazioni, mentre sento il mal di testa prendere possesso della mia mente affollata di tutte le parole che non esprimo ad alta voce.
Dovrei essere felice che si senta così tranquilla con me da voler condividere questi suoi pensieri, ma non lo sono. Non so che cazzo ho che non va. Mi sento più paranoico del solito e sapere di essere nel mirino di sua nonna accentua questo senso di malessere. So che ha passato la vita di sua figlia, la madre di Megan, ad andarle contro per ogni scelta che la donna abbia mai fatto, in primis quella di innamorarsi di un uomo che a lei non piaceva. Non so quali motivi ci siano dietro, ma in ogni caso non ho intenzione di lasciare che la storia si ripeta. Farei di tutto per impedirle di mettersi tra me e Megan; abbiamo già cose da risolvere senza che si impongano nel mezzo anche le sue ossessioni.
L’abbraccio un po’ più forte. Piego il polso e avvicino il dorso della mano al suo viso, ne accarezzo il profilo con la punta delle dita.
Vorrei poterla proteggere. Vorrei poterle dare solo il meglio. Ma non riesco a parlare, mi fa così tanta fatica pensare a cosa dirle in questo momento. E se dicessi la cosa sbagliata? Un’altra stupida battuta idiota da ragazzino senza empatia potrebbe trovare voce.
Mi limito a guardarla. Cerco di incontrare il suo sguardo e spero di trovare nei suoi occhi la sicurezza che percepisco nella sua voce quando mi confessa, come se nulla fosse, che non lascerà che sua nonna la porti via da me. Se ripenso ai giorni in cui dovevo pregarla di concedermi qualche minuto del suo tempo; quante cose sono cambiate da allora. So di essere felice con lei e per noi.
Perché, allora, ho quest'angoscia dentro che mi impedisce di stare bene per ciò che stiamo costruendo insieme?
Ho come l’impressione che dal giorno in cui siamo andati a comprare i vestiti per il ballo di fine anno non abbia fatto altro che parlarmi in modo rassicurante. E la sensazione che questo disagio tra di noi sia partito a causa mia si fa più definita.

No, va bene. Mi piace come idea e mi piace il cibo orientale. – rispondo, con tanto di accenno di sorriso, nonostante io odi festeggiare il mio compleanno; ha un che di entusiasmante l'ipotesi di passarlo con lei.
Ma i pensieri non la smettono di affollarmi la mente. Non ho vie d'uscita e il lungo viaggio davanti a noi non fa altro che sottolineare l'impossibilità di continuare a rimandare la conversazione su noi due. Non credo di riuscire a continuare a girarci intorno, mi sa che devo affrontare la situazione o finirà per logorarmi, e logorarci, dall’interno.

Hey, ehm. Ti ricordi quei lividi a casa mia? Cioè, credo che te li ricordi. Di sicuro, insomma, chi lo dimenticherebbe... E... E ieri sera, è stato strano. Insomma, è da quel giorno a casa che ci penso e sei stata strana in questi giorni, poi ieri eri arrabbiata e con la testa tra le nuvole... Non per darti colpe, ecco, è solo un'osservazione. Però... – inizio a blaterare senza criterio apparente. In realtà, nella mia testa, il collegamento tra gli eventi ha perfettamente senso e avrei voluto riuscire a spiegarlo, nonché entrare nel nocciolo della questione attraverso di esso per provare a parlarci e capire che cosa ci sia successo ultimamente. È il suono della porta scorrevole a interrompere quel flusso di coscienza e, per un brevissimo istante, sono grato dell'interruzione. Riprendo a respirare.
Nonostante l'umore non sia dei migliori, non mi sono spostato da Megan nemmeno di un centimetro. Ho continuato per tutto il tempo a tenerla abbracciata a me e ad accarezzarle il viso, ma non appena i miei occhi mettono a fuoco la figura della Coinquilina Petulante sull'uscio, per qualche motivo mi irretisco: il braccio intorno alle sue spalle resta lì dov'è, mentre l'altra mano la sprona a spostare le gambe da sopra le mie per farla tornare seduta composta.


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Lei rifiuta sempre di capire, di sentire;
ride per coprire il terrore di se stessa.Ha sempre camminato sotto gli archi delle notti e ovunque Lei è passata, ha lasciato l'impronta di cose spezzate.



«È arrivato il tuo momento di gloria?!» dico con un tono sprezzante, a voce bassa, mentre torno a poggiare anche l’altra gamba a terra e mi stringo ancora di più a Draven.
Nascondo la sensazione di angoscia e terrore che inizia ad allargarsi come radici di una pianta dentro un vaso troppo stretto.
«Beh…» Abigail allarga appena le braccia ignorando l’improvviso silenzio. Supera la soglia e lascia la piccola porta scorrevole chiudersi alle sue spalle.
«Grace sta di nuovo facendo l’elenco dei ragazzi più carini della scuola, parla di come ora non pensi più a Noah - sai, il Grifondoro con cui è stata un mese e mezzo e che l’ha piantata il giorno prima del suo compleanno -, e di quanto stia meglio senza di lui ma… Io l’ho sentita piangere disperatamente davanti ad una sua lettera qualche giorno fa: “Ti prego Grace, è finita, vai avanti”. È…» sospira con fare esasperato. La guardo sistemarsi davanti a me, facendosi spazio tra i bagagli, e rivolgere gli occhi al paesaggio al di là del vetro. «È patetica» dice con disprezzo.
«Scusa?» alzo appena il mento senza staccarle gli occhi di dosso. Stringo le mani, le nocche impallidiscono: non sopporto che parli di Grace in questo modo.
Le labbra di Abigail si incurvano verso il basso poi sorride: «A che serve fingere che una persona non ti piaccia solo perché non fa più parte della tua vita? Non pensi sia un po’ ipocrita e patetico?» posa gli occhi grandi su di me, «Me ne sono andata, ero stanca di sentire tutte quelle stronzate» poi sposta lo sguardo su Draven e tende le labbra in un sorriso civettuolo.
Sento le unghie premere sul palmo, desidero prenderla a schiaffi solo per la sfacciataggine con cui ha deciso di irrompere nella carrozza.
«Penso che non si possa giudicare una persona da come reagisce al dolore» rispondo tentando di mantenere la calma. Non riesco a capire se sta trovando una scusa per arrivare allo scopo cruciale di quell’improvvisa visita. L’esistenza di Noah nella vita di Grace è reale, questo dovrebbe calmarmi e sperare che sia l’unico motivo che l’ha spinta a sedersi qui, che sia la verità. Eppure, mi sembra una breve introduzione a quella che si rivelerà una catastrofe già preannunciata da tempo.
Perché adesso?
«Chi lo avrebbe mai detto che avremmo condiviso la carrozza insieme oggi, eh?» dice in tono divertito, ignorando le mie parole. La sua espressione mi lascia incerta: c’è qualcosa che non so? Non guardo Draven ma sento i battiti irregolari e il nodo inizia a stringere la gola.
«Cosa vuoi Abigail?» chiedo fredda.
«Oh, sì…» si volta a guardarmi e questa volta colgo una scintilla che attraversa le sue iridi chiare. Il cuore accelera nel petto; lo sento esplodere e tentare di soffocarmi mentre le unghie premono sui palmi ancora chiusi tra i pugni fermi.
«Sai Confa è partito con qualche giorno di anticipo, te lo ha detto?»
Eccola prendere posizione in scena, rendere reale tutto ciò che aveva immaginato di fare fino ad oggi: dire a Draven di me e di Kevin.
«Avrà avuto un imprevisto.» rispondo. Alzo leggermente le spalle ma la paura inizia a lambire il corpo, la sento attraversare la pelle lasciandomi rabbrividire.
Resisto.
«Quindi non te lo ha detto? Strano, pensavo foste tornati in buoni rapporti… dopo la partita, intendo.»
«No, non me lo ha detto» tengo il punto, provo a non darle alcun piacere: agire con un apparente menefreghismo può essere la soluzione.
«Ah, capisco. Beh, sì, forse dovrei…»
«Andartene?» ribatto interrompendola con tono aspro. Lei piega le labbra in un sorrisino malizioso, il suono di una risata a denti stretti mentre scuote la testa.
Gli occhi tornano sul paesaggio che sfuma in velocità; provo ad immaginare cosa si celi sotto le macchie oltre il vetro, per chetare il senso di inquietudine, ma ciò che vedo è solo la possibilità che Draven si alzi e vada via da qui.
«Avrete modo di incontrarvi, suppongo. Non se la passa bene ultimamente.»
Il cuore accelera ancora e non so come riesco a frenare un brivido che tenta di irrigidirmi. Resto ferma nella stessa posizione, immobile.
«So perché sei qui.» dico con coraggio, affrontando di petto il problema prima che quest’ultimo tenti di spezzare ogni cosa.
Forse è troppo tardi.
«uh, davvero?» risponde Abigail e si accarezza la gamba come a volersi togliere un po’ di polvere dal tessuto dei jeans.
«Strano» continua ad occhi bassi.
«Credi?» chiedo. Non c’è abbastanza aria, le labbra si schiudono appena.
Inspiro ed espiro.
«Suppongo niente che Draven non sappia, giusto? Ho avuto modo di parlargliene» sposta lo sguardo su di lui e alza le spalle, la fronte increspata mostra un’espressione di intesa. «Non preoccuparti, sa del vostro incontro al Campo, cosa è successo mentre eravate insieme…» torna a guardarmi.
No, non lo sa.
Draven ha incontrato Abigail? Sono confusa, sono sicura che stia mentendo… Possibile?
«Non è successo niente.» cerco di rifuggire alla sensazione di vuoto che si aggrappa alle viscere; il cuore brucia forte nel petto.
Smettila! grido in silenzio.
«Uh, davvero?»
Il modo in cui pronuncia di nuovo quelle sillabe mi infiamma; a fatica distendo le mani lungo il bordo della gonna e il dolore tra le dita attenua l’impulso di sferrare ad Abigail una fattura in pieno viso, costringendola ad abbandonare la cabina.
Mi giro di scatto e la guardo. Le iridi oltremare minacciano di riempirsi di lacrime ma resisto alla sensazione che tenta di travolgermi; la sento risucchiare la poca felicità che mi è rimasta, mi accorgo di non avere il coraggio di tornare a guardare Draven negli occhi per paura che lui possa leggere i miei.
Così, rimango in silenzio quel tanto che basta a concedere alla mente di rivivere quell’incontro senza possibilità alcuna di fuggire via.

Mi dispiace, vorrei dire a Draven, mi dispiace per aver scelto di nasconderti ciò che è accaduto quel pomeriggio, ma taccio.
Non riesco a parlare e nemmeno a muovermi, per paura di sentirlo scostarsi e prendere le distanze.
Ho avuto paura di perderlo ed ora ne ho ancora di più.
Vorrei non provare niente.


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Non gli importa se dovrà aspettare
è certo. ottiene sempre ciò che vuole. Alla fine della giornata gli resta ciò che era ieri e ciò che sarà domani; l’ansia insaziabile dell’essere sempre la stessa persona e un’altra.



Sento Megan avvicinarsi di più a me, nonostante l’abbia spronata a rimettere le gambe a terra, e d’istinto mi ritrovo a stringere maggiormente il braccio intorno alle sue spalle. C’è qualcosa della Petulante che non mi piace e indispettisce; ho come l’impressione che per Megan sia lo stesso. Temo che abbia imparato a sopportarla nel corso degli anni perché costretta a stare con lei in stanza, ma oltre questo non mi sono mai sembrate legate, tutt’altro. Insomma: nel quadretto d’angoscia ci mancava solo il terzo incomodo, oltretutto con un tempismo formidabile. Non so se essere sollevato per l’interruzione o infastidito, proprio ora che mi ero deciso a parlare. Non che stesse andando granché bene, c’è da dirlo, ma meglio di niente; sono sicuro che, in qualche modo, pian piano, sarei riuscito a trovare le parole adatte per esprimermi e affrontare il discorso di petto. In qualunque modo sarebbe potuta andare, comunque, mi adagio sulla consapevolezza che la questione è rimandata. Di nuovo. È un problema che il me del futuro dovrà affrontare e di cui il me del presente può temporaneamente disinteressarsi. Di nuovo.
Resto nella mia posizione ad ascoltare lo scambio acido tra le due. Fatico un po’ a seguirle con interesse, mi sembra una conversazione sterile fatta di battutine con il solo scopo di infastidire, da parte della coinquilina, e risposte a tono, da parte di Megan. Con la nuca ancora appoggiata sul sedile, cerco di riprendermi quella sensazione di relax percepita quando ci siamo abbracciati poco fa. Piego la testa di lato, praticamente ad appoggiarmi con la guancia sulla mia stessa spalla, e punto lo sguardo sullo splendido viso di profilo della mia ragazza.
Dissociarmi è tra le mie skills migliori e mi viene immediato nel momento in cui riesco a intrattenermi giocherellando con i suoi capelli: delicatamente, comincio ad arrotolarmi ciocche tra le dita, creo disegni astratti, li osservo, li smonto e ricomincio.
Non riesco a ignorare, però, il modo in cui mi sembra di percepire il corpo di Megan irrigidirsi man mano che quella specie di conversazione prosegue.
Resto concentrato sulla mia arte, ma a un certo punto mi sento in dovere morale di sforzarmi e prestare un minimo di attenzione alle loro parole.
Mi arriva immediato il nome di Confa ed il primo pensiero, ancor prima che sia Abigail a ricordare dell’incontro al campo da quidditch di cui Megan non mi ha mai parlato, va sulla prima partita del Torneo Crownspoon tra Serpeverde e Tassorosso. Una specie di ghigno mi si forma sulle labbra, ripensando al momento in cui lo incontrai da Magie Sinister, mi chiese di fumare insieme una sigaretta e gli promisi che lo avrei battuto se ci fossimo ritrovati di nuovo l’uno contro l’altro in finale. Si rivelò un atleta formidabile e la mia inesperienza non aveva potuto fare granché contro di lui, ma la mia squadra aveva comunque battuto la sua. Non era stato motivo di soddisfazione personale, ma normalmente i competitivi lo sono a 360° e qualcosa, in quel momento, mi aveva dato da pensare che per lui fosse stata una batosta accettare di aver perso, a prescindere da chi avesse il merito della sua sconfitta. Me l’ero fatto bastare. Ma sto di nuovo divagando.
Lancio un’occhiata alla coinquilina, quando ormai Megan mi sembra essersi tramutata in una lastra di ghiaccio. Ho sempre creduto che non mi avesse raccontato di quell’incontro al campo solo ed esclusivamente perché per lei non aveva alcuna rilevanza; insomma, seppur nell’essere asociale, anche io mi ritrovo a interagire con più persone al giorno e di certo non mi metto a perdere tempo quando stiamo insieme per raccontarle di quelle brutte esperienze.

Ogni volta che sei venuta a parlarmi di cose come questa ti ho detto esplicitamente che non mi interessa saperle da te. Se Megan ha qualcosa da dirmi, ci pensa lei a dirmelo. Anzi, sei pregata di non starle addosso e lasciarla libera di fare il cazzo che le pare. Ti ringraziamo per l’inutile servizio reso. Puoi andare. – esordisco, riportando sguardo e attenzione sui capelli corvini tra le mie dita. Cazzo, ha i capelli così morbidi… Come fa ad avere dei capelli così morbidi? O, forse, lo sembrano in maniera esagerata solo perché il resto del suo corpo è diventato rigido come la pietra? Credo che la presenza di Abigail la metta più a disagio di quanto lasci credere.


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Lei rifiuta sempre di capire, di sentire;
ride per coprire il terrore di se stessa.Ha sempre camminato sotto gli archi delle notti e ovunque Lei è passata, ha lasciato l'impronta di cose spezzate.



Nel breve silenzio che si fa largo provo inutilmente ad allontanare l’immagine che mi riporta a quel lontano pomeriggio. Sento la pioggia cadere sulla pelle, accarezzare il viso e scivolare sugli zigomi goccia dopo goccia. Kevin, l’espressione contrita di dolore che sporca la delicatezza dei suoi lineamenti.
Sposto lo sguardo sul paesaggio in movimento, rifuggo ai ricordi ma ogni tentativo resta vano: il sole si nasconde e lascia spazio ad un cielo plumbeo, percepisco l’aria autunnale e l’odore della terra bagnata.
Le dita tremano e le incastro tra le ginocchia per nascondere l’agitazione. E ancora le sensazioni si prendono gioco di me e mi pare di avvertire il tessuto della divisa di Quidditch sotto i polpastrelli e la pressione che fa tremare le punte contro i battiti incessanti del Tassorosso; il respiro che manca, il dolore che provo davanti all’ennesimo addio.

«Sono abbastanza lucido da rendermi conto di tenere davvero a qualcosa al punto da lasciarla andare.»1
Il cuore si stringe al ricordo di quelle parole, poi Draven parla. La sua voce accarezza con calma lo spazio che mi circonda, il battito riprende accelerato e non accenna minimamente ad una calma, persino effimera.
Non nega ciò che ha detto Abigail. Tento di soffocare il fastidio che provo, la rabbia che divampa di nuovo nel mio stomaco. Torno presente, analizzo ogni singola frase. Si sono visti, forse più volte, e lei le ha parlato dell’incontro tra me e Kevin, poi? Cos’altro?
Non oso tornare a guardarli e non trovo conforto quando lui mi accarezza i capelli. Sento stringersi le viscere e lo stomaco, ancora una volta, si contorce. Chiudo gli occhi in risposta per un breve istante, che spero duri in eterno; Draven pone fine a quel discorso senza alcuna possibilità di replica, non sembra incline a dare altre occasioni ad Abigail e almeno di questo gliene sono grata.
Butto fuori un lungo sospiro.
Abigail non si muove, si limita ad un’alzata di spalle e un sorrisino compiaciuto.
«Allora fatti raccontare ogni particolare, Draven. Sono convinta che poi il mio servizio non sarà stato così “inutile”» incalza dopo un momento, il tono della voce suona come una sfida. Scuoto la testa e una smorfia di disprezzo sporca il mio viso.
«Vattene» ringhio a denti stretti. Finalmente torno a guardarla con aria di sfida e faccio leva con le gambe alzandomi in piedi.
Abigail fa lo stesso. Si avvicina mentre io resto immobile: i palmi chiusi lungo i fianchi e i pugni stretti.
Mi sorride. Sento il respiro sulla pelle, le punte dei nostri nasi si sfiorano appena. Poi, lei si scosta e schiocca un bacio sulla mia guancia che non faccio in tempo ad evitare.
«Buone vacanze» sussurra ed io rabbrividisco.
Prende le distanze, mi rivolge il profilo e avanza verso l’uscita senza aggiungere altro.

Un click, la serratura scatta e la porta scorrevole si chiude. Il silenzio torna a farsi spazio, lo sento pesare sulle spalle; il cuore sale in gola e martella nelle tempie.
«Vuoi sapere i dettagli? O ti bastano quelli forniti da Abigail?» domando a Draven. Non lo guardo ancora, di riflesso stringo i pugni nel tentativo di trattenere l’impeto di urlare.
«Dovrai averne tanti dato le volte in cui lei ti ha parlato di me» insisto con disprezzo.
«Assurdo… Cos’era di preciso che facevate? Era un modo per controllarmi?» mi volto finalmente a guardarlo. Il treno smuove la carrozza e sono costretta a buttare la schiena contro il vetro poggiandovi le spalle. Un sonoro tum, non mi scompongo. Le gambe scivolano lungo il pavimento e mi appoggio lungo la cornice di legno al di sotto del vetro.
Gli occhi incontrano i suoi e mi sento annegare.


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1. Kevin Prince Confa, Mental fire allarm.
 
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view post Posted on 23/11/2023, 19:37
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Non gli importa se dovrà aspettare
è certo. ottiene sempre ciò che vuole. Alla fine della giornata gli resta ciò che era ieri e ciò che sarà domani; l’ansia insaziabile dell’essere sempre la stessa persona e un’altra.



Un’improvvisa noia prevale sul fastidio e l’angoscia. Non ho alcuna voglia di spendere energie per dare retta a questa tipa. Non l’ho mai fatto e non ho intenzione di iniziare ora solo perché ha invaso la mia cabina per motivi futili, che nemmeno mi riguardano. Qualsiasi cosa abbia da dire, non mi interessa. E nel momento in cui replica alle mie parole, pur ritrovandomi mio malgrado ad ascoltarla per un mero istante, finisco presto col dissociarmi di nuovo.
Forse ha ragione Eliana, con tutte quelle sue stronzate da monaci buddhisti, quando dice che riconosco a pelle l’aura delle persone e che, considerando che la maggior parte mi dà pessime sensazioni di primo acchito, è per questo che tendo a tenermene a debita distanza. Ma qualsiasi sia il motivo per cui sia questa, che l’altra coinquilina di Megan, mi stanno sui coglioni mi interessa ancor meno di qualsiasi cosa facciano o dicano.
Non vi do peso. A malapena do peso alle reazioni di Megan a riguardo, visti gli istanti precedenti e la mole di pensieri e preoccupazioni per noi: roba ben più importante di un dissidio tra concasate. Eppure, sembra che per lei ogni parola detta dalla Petulante sia una tacca in più di nervosismo. È una sorta di crescendo, finché non si irrigidisce al punto da mettersi in piedi e affrontarla di petto, con tanto di pugli chiusi a cercare di sfogare… Rabbia? Frustrazione?
Per quanto mi è costato, psicologicamente parlando, abituarmi all’idea che dovessi fidarmi di Megan per consentire al nostro rapporto di avere successo, non ho la minima intenzione di dubitare di lei. Razionalmente.
Ma allora perché sento formarsi un moto d’ansia sulla bocca dello stomaco che ha il peso di un tradimento?
È come se testa e cuore non stessero andando all’unisono e mi ritrovo, all’improvviso, a non voler pensare male di Megan e, al contempo, a pensare male di Megan… Perché se le parole della Petulante non avessero alcun effetto sulla sua coscienza, così come non lo hanno sulla mia, non avrebbe alcun senso tutta questa sua agitazione.
Fino a pochi istanti fa e con assoluta sicurezza credevo che non mi avesse parlato dell’incontro con Confa al campo di quidditch, e altre robe riferitemi da quella, semplicemente perché non le riteneva rilevanti. Insomma, per quanto io abbia una scarsissima vita sociale, non è che quando stiamo insieme penso a raccontarle di chi mi ha rivolto la parola nel corso della giornata; approfitto del poco tempo a nostra disposizione per stare con lei e pensare solo a lei. Per cui, non ho mai sviluppato curiosità a riguardo e, anzi, piuttosto con lo scorrere del tempo e una sequenza sempre maggiore di informazioni ricevute dalla Petulante, mi sono ritrovato addirittura a infastidirmi. C’è stato un tempo, che percepisco ormai lontano, quando Megan era come una stella irrangiungibile, che potevo ammirare solo da lontano, in cui per avere informazioni a riguardo avrei fatto carte false; non so di preciso quando, ma a un certo punto ho capito quanto sarebbe stato sbagliato farlo. Forse, quando abbiamo iniziato a frequentarci e parlandole ho capito quanto mi piacesse scoprire cose di lei man mano, alle sue condizioni. Dubito fortemente che sia stato per un moto di coscienza, comunque. Più passiamo tempo insieme, più mi rendo conto di non pormi dei limiti con lei; né etici, né di altra natura.
Voglio che sia felice e che lo sia con me. Di tutto il resto non me ne frega un cazzo, non fin quando non portano ripercussioni su di noi.
Nel momento in cui la ragazza avanza verso Megan, per istinto mi ritrovo in piedi anche io. Credo che se Megan volesse fare il culo a qualcuno farebbe molto più male di quanto ne farei io, ma probabilmente lei si sentirebbe anche più in colpa di quanto mi ci sentirei io. Vorrei solo evitare che la situazione degeneri e tornare ad occuparmi di ciò che l’intervento della Petulante ha messo in sospeso.
Prima del suo arrivo avevo sperato di rimandare il più possibile la questione e adesso mi ritrovo a desiderare di tornarci… Cristo, è sfiancante essere me.
Sospiro, quasi sbuffando, e mi ritrovo a contare pecore nella testa per tenermi indaffarato in attesa di quanto altro tempo ci vuole affinché la tipa decida di levare le tende. A trentasette pecore si ferma il conteggio, solo perché si avvicina a dare un bacio sulla guancia a Megan e mi deconcentro; sul mio viso appare una smorfia di puro disgusto che non provo nemmeno a celare. Considerando gli ultimi minuti, dubito fortemente che Megan si senta contenta di un simile congedo.

Non sapevo che… - esordisco, sul punto di commentare l’astio tra le due di cui ero piuttosto all’oscuro, ma mi zittisco di getto appena prende a parlare. Più che altro per il tono allusivo e accusatorio. Quell’accenno di discorso passa in secondo piano mentre, in concomitanza con le sue parole, mi ricordo che, in realtà, non so un cazzo di niente perché lei con me parla poco o niente. Non che me ne lamenti, sia chiaro; non sono così incoerente, considerando quanto poco parli io. Mi indispettisce solo il fatto che non abbia nemmeno esitato a pensare male di me e a dirmelo così, come fosse questa la priorità.
Fisso la sua nuca in attesa che si volti, che perlomeno mi guardi negli occhi mentre continua l’invettiva.

Mi credi seriamente capace di una roba del genere? - mi ritrovo a rispondere di getto, per poi scuotere la testa subito dopo. Con un cenno sbrigativo della mano faccio intendere di lasciar perdere; ora che l’ho espresso ad alta voce, mi rendo conto che non me ne frega un cazzo se non mi dà la stessa fiducia che io do a lei.

Non mi ha mai detto niente di che, solo stupidi gossip a cui non ho mai dato peso, pensando che fossero cose irrilevanti. Perché, se si fosse trattato di cose importanti, me le avresti dette tu stessa, no? - commento, piuttosto, per darle una risposta e, allo stesso tempo, formulare una domanda indiretta per ottenere delle risposte anche io. Ma abbasso lo sguardo, quando finalmente si volta a guardarmi. Perché sono diventato piuttosto consapevole delle mie debolezze e so che se guardassi quei cazzo di occhi crollerei ai suoi piedi come un castello di carte servizievole.


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view post Posted on 10/12/2023, 00:38
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Lei rifiuta sempre di capire, di sentire;
ride per coprire il terrore di se stessa.Ha sempre camminato sotto gli archi delle notti e ovunque Lei è passata, ha lasciato l'impronta di cose spezzate.



««Il punto è che non so di cosa saresti capace!» alzo la voce, non ho smesso di fissarlo ma tremo e poggio entrambi i palmi lungo la cornice per sorreggere il peso e le scosse del treno in corsa verso casa.
«Ha parlato di me Draven, DI ME» puntualizzo con freddezza e il cuore accelera scoppiando nelle tempie. Sono arrabbiata perché non mi ha mai detto niente riguardo queste assurde conversazioni con Abigail ma, ancora di più, lo sono perché non si rende conto di quanto sia grave per me.
«Se avessi avuto un minimo di buon senso l’avresti messa a tacere da subito, ma in qualche modo hai preferito sentire ciò che aveva da dire sul mio conto, ogni singola volta!» alzo le spalle scuotendo la testa, un piglio di delusione si fa spazio sul mio viso.
Non tu Drav…
«Io l’avrei fatto, io non le avrei mai permesso di dire una… Una sola parola sul tuo conto» mi arrendo, il tono della voce vibra di un’improvvisa insolita calma. Provo vergogna; il cuore freme nel petto e temo possa spezzarsi per l’ennesima volta.
Non tu.
«Scusami» faccio leva con le braccia e mi sollevo mantenendo la piccola distanza che ci separa per un secondo soltanto. Lo guardo e sono certa che nella mia espressione si legga il nugolo di emozioni che provo.
Dovrei andarmene.
Trattengo le lacrime e freno l’istinto di superarlo e chiudere la porta alle spalle, lasciando quel momento in sospeso come tanti altri nella mia vita. La sensazione di vuoto si avvinghia allo stomaco e il lacerante bruciore al petto si fa spazio come un vecchio amico.
Vorrei bere, annullare ogni pensiero.
Mi trascino sul bordo del sedile, spingendo la schiena sul tessuto. Non ho le forze per discutere, né interesse adesso che la fiducia è incrinata. Penso chissà quante volte avrà visto Abigail, quante altre si è ritrovato a sentire cose sul mio conto mantenendomi all’oscuro.
«Ho bisogno di un momento» dico arrendevole. Gli occhi tornano a posarsi sul vetro, porto le ginocchia al petto e le tengo strette in un abbraccio.
Tutto diventa buio e sento solo il suono del treno sulle rotaie, lo sbattere di porte appena chiuse, le risate lontane di alcuni studenti intorno a noi al di là delle pareti di legno.
«Perché, se si fosse trattato di cose importanti, me le avresti dette tu stessa, no?»
Non lo so, rispondo silente a quella domanda finalmente, che torna in una eco nella mia testa.
Nel breve silenzio che invade lo spazio sento l’agitazione gravare su di me e come un grosso peso - mani ben salde sulle spalle che mi spingono in basso - mi impedisce di muovermi.
Se ne andrà penso, premo la testa sul tessuto come volessi passare dall’altra parte e sparire.
Inspiro ed espiro, torno a guardarlo.
«Io e Kevin siamo stati insieme per un po’, l’ho incontrato in un momento particolare della mia vita» sento il nodo salire in gola e stringere, «poi le circostanze ci hanno portato a strade diverse e alla fine…» prendo ancora aria, la voce si spezza e sebbene io tenti in qualche modo di reprimere ciò che provo in quel momento, non oppongo alcuna resistenza nel mostrarmi a Draven.
«Alla fine abbiamo deciso di mettere un punto, dare una fine a qualcosa che era rimasta in qualche modo… “sospesa”».
Abbiamo?
Non è così, Kevin ha deciso per noi ed io non ho fatto altro che abbandonare qualsiasi battaglia per trattenerlo e non lasciare che mi voltasse le spalle.
Torno a guardare fuori, nascondo l’espressione di profonda tristezza e mi rifugio in quel piccolo spazio a ridosso del vetro, nell’angolo.
Il pensiero torna di nuovo a quel pomeriggio e per un fuggevole attimo mi chiedo cosa sarebbe successo se solo avessi avuto la possibilità di scegliere.
Resta.
L’ho lasciato andare.
Il nodo alla gola stringe più forte, mi costringo ad ingoiare il vuoto ma la sensazione non si attenua e temo di soffocare.
Abbasso lo sguardo sulla cornice, stringo la presa attorno alle gambe e trovo coraggio.
«Puoi chiedermi quello che vuoi. Ti risponderò, ti dirò la verità ma… Qualsiasi cosa accada sappi che mi dispiace» la voce esce sicura, le lacrime però ora rigano le guance pallide. Le sento accarezzarmi la pelle e con il dorso delle dita tento di asciugarle.
Ti prego… non tu.
Socchiudo le palpebre.
Resta.


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Non gli importa se dovrà aspettare
è certo. ottiene sempre ciò che vuole. Alla fine della giornata gli resta ciò che era ieri e ciò che sarà domani; l’ansia insaziabile dell’essere sempre la stessa persona e un’altra.



Vorrei poter dire che le sue parole mi colgono di sorpresa, ma non è così. Non so cosa mi aspettassi, forse inconsciamente facendole cenno di lasciar perdere volevo proprio esternare il fatto che sapevo già che non si fida di me e di ciò che sarei capace di fare. Insomma, lo so; perché l’unica vera cosa che abbiamo in comune, tristemente, sono i problemi di fiducia. Non la biasimo per questo. Nemmeno lascio che il mio sguardo vacilli; resta fermo e saldo su di lei. Non batto ciglio perché nemmeno io so di cosa sarei capace e temo che lei, invece, una mezza idea se la sia già fatta. Forse vuole rincarare la dose e farmi sentire anche peggio. In altri contesti, se così fosse, le darei anche ragione. Ma non ora. Sta evitando la questione ribaltandola su di me. Questo momento, questo discorso, non riguarda me. Riguarda lei e quel Tassorosso di merda.
È pura logica: se non avesse niente da nascondere, le parole della Petulante non l’avrebbero scalfita. E invece…

C’ho provato. - rispondo seccamente alla sua accusa seguente. Merlino sa quante cazzo di volte ho provato a scollarmela di dosso. Lei, Isla e chiunque sia mai venuto a parlarmi di Megan. Io che nemmeno la nomino in sua assenza per non mancarle di rispetto.
Sospiro e, mentre la seguo con lo sguardo e la vedo tornare a sedersi, mi ritrovo a pensare che dovrei ricalibrare, di nuovo, le mie emozioni.
Il fatto è che non sento niente. La mia coscienza è a posto.
Dovrei incazzarmi, secondo lei? Avrei dovuto farlo con la Petulante? Ho di meglio da fare che stare dietro alle persone, come se me ne fregasse qualcosa di ciò che dicono o pensano. Perlomeno non mi ha mai detto cazzate, il che è sorprendente da scoprire; non la facevo una sincera. Ma dovrebbe lavorare un po’ sull’onestà e la lealtà.
Inarco un sopracciglio, continuando a fissare Megan imperterrito, quando mi avvisa di aver bisogno di un momento. Le annuisco e mi metto a sedere di fronte a lei, sul sedile opposto. La consapevolezza di quanto scomodi siano questi cosi mi colpisce nel momento in cui tento di riassumere la posizione precedente su di essi, con la nuca appoggiata sul bordo dello schienale, le gambe svogliatamente distese e le braccia incrociate al petto. Dopo aver avuto il calore e la morbidezza di Megan addosso, adesso mi sembra di sentire freddo. Comunque, resto così. Incrocio le caviglie e volto lo sguardo a osservare oltre il finestrino… Ma resisto pochi secondi. Vedere il panorama scorrere così veloce mi dà la nausea.
Il buio di una galleria ci avvolge in un istante che sembra sospeso nel tempo. Riesco a sentire i rumori provenienti dalle altre cabine e il silenzio tra di noi si fa così assordante da celarli del tutto alla mia percezione. Credo sia la prima volta che una tale calma apparente mi provochi un senso di disagio e mi ritrovo sul punto di chiederle di dire qualcosa, anche solo fosse per sentirmi dire di andare via, almeno non dovrei sorbirmi quest’angoscia.
Ma ecco che la sua voce torna a riempire la cabina. E lo fa nel peggiore dei modi. Esordire con “io e Kevin” già mi fa girare subito subito i coglioni. D’impulso, mi ritrovo con gli occhi al cielo e mi sfugge uno sbuffo dalle labbra. Ho il viso inclinato di lato, verso la porta su cui va a posarsi il mio sguardo dopo quella reazione istintiva. Mi dico che non me ne frega niente, che so per certo che ai loro tempi non hanno scopato, che la Megan che vedo e ho io è un privilegio che a lui è stato negato. Qualsiasi cosa sia successa nel passato con Occhibelli, non riguarda me e lei adesso.

Lo so. Vi ho visti insieme a un ballo. - rispondo prontamente, continuando a fissare la porta come se, a furia di osservarla, avesse finito col diventare interessante.
Ho fatto 2+2 nei giorni seguenti il mio incontro con Confa da Sinister. Mi ci è voluto un po’ per arrivarci, il che dimostra solo che anche per le questioni rilevanti non riesco a far caso all’esistenza di persone che normalmente ignorerei, ma avevo collegato tutto. Loro due insieme al ballo; le voci nella scuola di un fantomatico fidanzato di Megan che mi avevano spinto a restare a distanza, perché lo stronzo è pure figo e più grande; la probabilità che mi abbia disarcionato a trenta secondi dall'inizio della mia prima partita di quidditch solo per umiliarmi.
Non voglio guardare Megan negli occhi adesso, cederei. Per una volta, vorrei provare a mantenere il punto.
Non c’è traccia di alcun tipo di emozione sul mio viso quando riporto lo sguardo sul suo. La maschera d’apatia mi calza a pennello.

Anche io parlo con altre persone, per quanto assurdo possa sembrarti. E anche io ho pomiciato con altre persone, prima di te. Il passato è passato e non mi interessa. Il punto di dirmi adesso del Tassorosso, solo dopo che la stronza ti ha messo all’angolo, qual è? Perché ci riguarda, adesso? La cosa in sospeso è che non ci avevi ancora scopato e hai rimediato? Non dovrei chiederti un cazzo, Megan, perché non l’ho mai fatto, perché solo tu decidi cosa condividere e a me sta bene. Ma se mi tieni nascoste cose non puoi incazzarti con chi è più sincero con me di quanto lo sia tu. - le parole vengono fuori come un fiume in piena, il tono di voce freddo e scostante, nonostante sia sul punto di vomitare anima e cuore in un colpo solo se aprissi di nuovo bocca. La serro. Stringo la mascella fino a sentire dolore ai denti.


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Lei rifiuta sempre di capire, di sentire;
ride per coprire il terrore di se stessa.Ha sempre camminato sotto gli archi delle notti e ovunque Lei è passata, ha lasciato l'impronta di cose spezzate.



Mi viene da vomitare.
Ho cercato di resistere allo sguardo disgustato di Draven ma ciò che gli è appena uscito dalla bocca mi fa rabbrividire.
Rizzo di poco la schiena, entrambi i palmi asciugano il viso in fretta tentando di cancellare il dolore.
Non meriti di vedermi così.
Le parole mi hanno ferita, ma più di ogni altra cosa il tono di disprezzo che ho avvertito in ogni singola sillaba. Lo guardo in tralice, sul mio viso una smorfia carica di disprezzo. Le mani tornano a tremare lungo le ginocchia, prendo aria ma ad ogni tentativo di respirare sento la gola chiudersi.

Panico.

Non so perché ho provato a spiegarmi, non è servito a nulla. Mi sento così stupida di fronte a lui adesso, sotto il suo sguardo giudice di una situazione che non conosce affatto, che si è limitato a sentenziare troppo presto e con una superficialità che non ammette ripresa.
«No, hai ragione, non ci riguarda» dico velocemente. «Non ti riguarda», il tono è gelido e sottolineo apertamente le due lettere al centro di quella piccola frase tagliente.
Il mio sguardo torna al finestrino. Improvvisamente mi sembra di sentire l’aria che sferza sul viso, il vento pungente che formicola sulla pelle tesa. Immagino di essere lì fuori, da qualche parte al di là delle alte montagne lontane ma sono immobile, su un treno e senza possibilità di via d’uscita. Ogni fibra del corpo sembra vittima di un incanto di pietrificazione e faccio fatica anche a socchiudere le palpebre umide.
Il sangue scorre, il cuore batte veloce nel petto in preda ad un’agitazione e alla rabbia che non riesco più a controllare; è questa l’unica cosa che mi consente di capire che è tutto vero quello che sta accadendo: sentire le vene pulsare e il formicolio contorto risalire lungo la schiena, allargarsi su braccia e gambe sino ad arrivare all’estremità della punta delle dita.
Ora fa male da morire.
«Ti prego, almeno, di non trattarmi come fossi una puttana» parlo e lo faccio ancora una volta con decisione, con una freddezza che dentro si sgretola come pezzi di vetro taglienti nella carne.
Fa male.
Non voglio trattarlo in questo modo; non voglio ferirlo ma…
Come può solamente pensare che io sia andata a letto con Kevin? Di aver “rimediato” perché non ne avevo avuto occasione prima? Quale considerazione ha di me?
La delusione fa da padrona e non riesco a lasciare scivolare via lo schifo che provo e la bile che ribolle nello stomaco.
Mi volto e lo sguardo troneggia sul volto di Draven con assoluta apparente calma: gli occhi blu sono spenti e le profondità dell’abisso alle quali appartengono lasciano emergere solo il vuoto; delle lacrime non vi è più alcuna traccia.
Le dita tremano, sono le uniche che tradiscono la maschera di cera che indosso e così le affondo nella carne ed il dolore diventa un balsamo che conosco bene.
Mi tiro su a fatica e lascio scivolare le gambe a terra. Entrambi i piedi toccano il pavimento ed io mi trascino sul bordo della seduta.
«Non credo che abbiamo molto altro da dirci e non voglio che la situazione peggiori, fa già abbastanza schifo. È stato detto quanto basta e a quanto pare Abigail ha raggiunto il suo scopo, magari potrai dirglielo tu stesso una volta che me ne andrò da qui».


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view post Posted on 27/12/2023, 12:22
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Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts

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Non gli importa se dovrà aspettare
è certo. ottiene sempre ciò che vuole. Alla fine della giornata gli resta ciò che era ieri e ciò che sarà domani; l’ansia insaziabile dell’essere sempre la stessa persona e un’altra.



Come cazzo è possibile tutto questo?
Nel momento in cui serro le labbra, fatico a credere che le parole che ho appena pronunciato siano davvero uscite dalla mia bocca.
Non dovrebbe interessarmi che mi abbia tradito.
Pur di stare con lei sopporterei di tutto.
È cambiato qualcosa?
C'è stato un tempo in cui avrei soprasseduto qualsiasi situazione. Un tempo in cui pregavo di avere solo un po’ di attenzione da parte sua o anche solo che mi consentisse di stare al suo fianco per poterla ascoltare, per poterla conoscere e ammirare da più vicino di quanto avessi avuto modo di fare nel momento in cui ho capito che volevo stare con lei. Abbiamo sempre viaggiato su due binari diversi, la nostra storia non è iniziata in maniera usuale. Ma mi stava bene.
Perché penso a tutto questo al passato?
Non ho mai dato retta all’orgoglio, fino ad ora.
È questo che è cambiato?
Mi sono sempre accontentato di ciò che poteva e voleva darmi, senza pretendere altro, nonostante più sentissi crescere i miei sentimenti per lei, più sentivo l’esigenza che per lei fosse lo stesso.
Forse ho sperato troppo che imparasse ad amarmi tanto quanto l'amo io.
È questo a farmi male?
Non ho dato credito a nessuna delle voci su di lei, su di noi, fino a questo momento; perché ho sempre creduto che fossimo fatti per stare insieme. Lo credo ancora, nonostante il suo silenzio non faccia che accentuare le mie convinzioni riguardo questa situazione di merda.
Chissà che cazzo di senso ha dirmi di poterle fare tutte le domande di cui ho bisogno per poi non rispondere nemmeno ad una.
Mi sfrego il viso tra le mani. La realizzazione di come stia per lasciarmi mi pressa sulle spalle e mi chino in avanti, dolorosamente. I gomiti poggiati sulle ginocchia a sorreggere quello che temo sia il peso della coscienza improvvisamente sporca. Dovrei stare bene con me stesso, visto il disinteresse che ho avuto in questi mesi per tutte le parole dette su di lei che ho lasciato vagare nel vento senza darvi alcuna rilevanza. Dovrei sentirmi a posto, vista la mia incapacità di fidarmi e l’impegno che, nonostante ciò, ho messo nel nostro rapporto per darle fiducia.
Invece, mi viene da vomitare.
Non è nemmeno vero che parlo con altri o che ho baciato altre persone. Non so perché l’abbia detto… è tutto così stupido e insensato.
Avrebbe potuto dirmi subito del Tassorosso, avrebbe potuto cogliere quest'occasione per raccontarmi qualsiasi altra cosa sia successa, con lui o chicchessia...
È l'omissione a ferirmi?
Sa quanto odi le bugie, eppure... Mi ha mentito così tante volte.
È come se una parte primordiale in me avesse preso il sopravvento per farmi sbattere contro la consapevolezza che Megan ed io non siamo destinati a durare, che tutto ciò che credo su di noi non sia altro che il delirio di un ragazzino. Si dice che tutto ciò che ha un inizio ha anche una fine, no? Chissà perché mi ero convinto che non potesse valere per noi.

Non dirlo. Non lo sei. - rispondo, con una voce di cui, di nuovo, fatico a riconoscere l’origine.
Mi sento spaccato a metà, tra l’esigenza di continuare a proteggerla e quella di rinfacciarle tutto ciò che ho fatto e sopportato per lei… Per l’amore che provo e per tutte quelle volte in cui mi ha lasciato credere che per lei potesse essere lo stesso.

Non ti ho mai chiesto di rendermi conto di ciò che fai, di chi vedi. Solo… è… Doloroso. Fa malissimo, cazzo.
Mantengo quella posa china, gli occhi chiusi come se volessi nascondermi da ciò che mi circonda, come se volessi nascondermi da lei.
Per qualche motivo, mi viene in mente quando giocavo a nascondino con i miei genitori e mi nascondevo dietro al mio stesso indice credendo che, così, non potessero vedermi.
Sono così stupido.
Risollevo le palpebre, forse per presa di posizione contro i miei stessi pensieri. Non so diventare invisibile e, per quanto ci abbia sempre provato, non sono nemmeno bravo ad affrontare i miei problemi. Ignorarli? So farlo discretamente, ma non quando la fonte è a un metro e mezzo di distanza da me. Quindi, punto lo sguardo nella sua direzione.
La vedo di sottecchi mentre cambia posizione e penso che, se andrà via da questa cabina adesso, sarà finita per davvero.
In qualche modo, riesco a far reagire il mio corpo.
C’è altro che vorrei sapere. Un’ultima cosa.
Mi metto in piedi e vado ad appoggiarmi di schiena contro la porta per non farla andare via. Probabilmente sto solo peggiorando la situazione impedendole di uscire e allontanarsi da me, ma a questo punto temo di non avere molto altro da perdere.
Prendo un respiro profondo, cerco di farmi coraggio.
Sono sempre fuggito dalla realtà delle cose, credo di non aver fatto altro che costruirmi castelli in aria riguardo noi due.
Forse… Forse, se sapessi la verità su ciò che prova, sarei almeno in grado di lasciarla andare.

Ne è valsa la pena? - esordisco, a fatica. Concedendomi solo il tempo di un battito di ciglia, prima di continuare e spiegarmi, costringendomi ad alzare lo sguardo a incontrare il suo.

Stare con lui per non stare più con me…


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